In Spagna e in Catalogna
Provo a fare la mia sintesi, a caldo, delle elezioni al parlamento spagnolo. Dovrò fare ragionamenti diversi per quanto riguarda l’analisi del voto statale e quella del risultato specifico in Catalogna, visto che sono molto diversi.
La prima cosa da dire è che il bipartitismo, in Spagna, ha sperimentato un ridimensionamento importante, ma la somma dei due partiti principali continua ad essere ampiamente maggioritaria (213 seggi tra PP e PSOE, 123+90, rispettivamente). Hanno perso 83 seggi e quattro milioni e mezzo di voti, ma continuano ad essere determinanti per qualunque scenario di governabilità (tra le altre cose, sono le uniche due forze politiche che possono sommare una maggioranza stabile). Quindi il bipartitismo regge ancora, in parte anche per le caratteristiche della legge elettorale, che tende a premiare i partiti con maggior numero di voti.
Questa erosione è andata, comunque, a vantaggio di due forze politiche nuove, entrambe alla prima uscita in elezioni d’ambito statale: Podemos, che si è beneficiata di una interessante strategia di alleanza locali e che ha ottenuto 69 deputati, e Ciudadanos, con 40. Queste due forze difficilmente sono compatibili tra loro; i loro voti, in altre parole, non sommano. Numeri alla mano, si configura uno scenario frammentario nel quale diventa enormemente complicata qualunque ipotesi di formare governo: PP+Ciudadanos sommano 163 (la maggioranza è di 176) mentre PSOE+Podemos sommano 159, anche se si potrebbero aggiungere diverse forze politiche di sinistra, come i 2 di IU (Izquierda Unida) e i 2 di Bildu (del Paese Basco) che tutti insieme sommano gli stessi 163. Paradossalmente, le formazioni indipendentiste (ERC, 9 seggi, Democràcia i Llibertat, 8 seggi, PNV, 6 seggi) diventerebbero strategiche per costruire delle maggioranze alternative al PP. Si tratta insomma di una situazione complessa e instabile, con equilibri e accordi difficilissimi da costruire. Davanti alle prevedibili pressioni europee e, soprattutto, della finanza internazionale per fare un governo che vada bene ai “poteri forti”, può non essere impossibile che PP e PSOE si mettano d’accordo per gestire la situazione senza perdere i loro previlegi.
In Catalogna il risultato è diverso: qui si può dire che il bipartitismo è superato da tempo. Ci sono sei forze politiche che hanno avuto un risultato significativo. Ha vinto la coalizione “En comú podem” (12 seggi), che forma parte della strategia di alleanze locali di Podemos, fortemente appoggiata da Ada Colau, la nuova sindaco di Barcellona; le due forze indipendentiste che si sono presentate alle elezioni (Democràcia i llibertat + ERC) hanno ottenuto 8 + 9 seggi, rispettivamente; insieme ne fanno 17, che sono a tutti gli effetti la componente maggioritaria (le elezioni precedenti la somma era di 19 seggi, ma c’era anche un altro partito, Unió democràtica, che questa volta si è presentato da solo, e ha disperso il voto senza avere neanche un seggio); il PSC ha resistito (8 diputati), Ciutadanos non ha sfondato (5, gli stessi del PP, di cui è una specie di “marca bianca”. Sommati insieme, arrivano a 10). Quindi si può dire che le forze politiche favorevoli a un processo d’autodeterminazione sono ampiamente maggioritarie in Catalogna (12 di En Comú Podem + 9 d’ERC e 8 di Democràcia i Lliberata, 29 in totale, contro i 18 dei partiti “unionisti”, cioè PSOE 8, C’S 5 e PP 5) e che, in generale, le proposte di trasformazione della società stanno spostando a sinistra l’asse politico. In queste elezioni, insomma, la spinta indipendentista si è incrociata con un’altra spinta, che priorizza le lotte sociali ed ecologiche. Il processo catalano, per altro verso, continua a fare il suo corso, secondo ciò che è emerso dai risultati delle elezioni del 27 settembre; sono ancora in corso le negoziazion per formare governo e scegliere il presidente del governo catalano. Per altro verso, avere a Madrid un governo più dialogante e mentalmente aperto potrebbe aiutare a rendere meno traumatico il processo verso l’indipendenza. Staremo a vedere!
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* dalla sua pagina fb
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L’illustrazione in testa è tratta dalla pagina online della rivista Limes
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Benvenuti in Italia
di Iñigo Domínguez
By sardegnasoprattutto/ 21 dicembre 2015/ Società & Politica/
El Pais del 21 dicembre 2015. Lo scenario più temuto sarà quello del tempo della tattica e della reale forgiatura dei nuovi leader, in una battaglia che dimostrerà chi è il più forte e il più intelligente, chi più è in grado di sopravvivere.
Nell’Italia uscita dalla seconda guerra mondiale divenne abitudine cambiare un Governo mediamente ogni sei mesi, fino all’ultimo decennio. C’era qualcosa che si chiamava pentapartito, un’alleanza fra cinque formazioni politiche, che ha retto per ben 12 anni. C’era inoltre una cosa tanto astrusa come le “convergenze parallele“, espressione del primo ministro Aldo Moro negli anni sessanta, per dire che si poteva pensare in modo simile senza dover necessariamente essere d’accordo su tutto, convivere insieme senza toccarsi, o combinarsi senza mescolarsi.
Il “compromesso storico” c’è stato mentre la Democrazia Cristiana rifletteva su un avvicinamento agli odiati comunisti. La Lega Nord, il nuovo partito rivelazione degli anni ’90, chiamava tutti giorni Belusconi mafioso. Finché non si è unita a lui per più di un decennio. Quando il movimento di “antipolitica” di Beppe Grillo fece irruzione nelle elezioni del 2013, il panico creatosi tra le due forze tradizionali, di destra e di sinistra, le ha portate a qualcosa di inimmaginabile, come un matrimonio contro natura.
Tanto che, nella guerra interna che ne è conseguita all’interno della parte progressista è stato spazzato via il presunto vincitore della campagna elettorale, Pierluigi Bersani. Felipe Gonzalez l’aveva già detto in maggio che la Spagna si stava avviando verso un contesto di tipo italiano, con l’aggravante di non avere italiani per gestirlo. Beh, adesso ci siamo arrivati.
Bisognerà abituarsi a cose finora viste ciclicamente nella televisone italiana: giri di consultazione del Capo di Stato con i partiti, la repentina crescita di importanza delle formazioni politiche “nane”, nella logica che ogni seggio può valere oro per far numero – e da qui l’arte del transfughismo- la quadratura del cerchio e il passare del tempo senza che nulla accada. Gli spagnoli sono impazienti. Aldilà dei solidi principi e delle chiare finalità, mal sopportano la suspence e temono i cattivi risultati. Andare a letto la notte delle elezioni non sapendo nulla è come tornare indietro senza aver raggiunto la meta. Il trascorrere così di diverse notti e diversi giorni renderà nervosa molta gente, ma tutto starà nell’abituarsi.
Gli italiani sono maestri in questi intervalli, nella ricreazione, nella gestione del tempo. Sarà il tempo degli esperti di tatticismo più che degli strateghi, e non avrà un gran valore il marketing. Sarà un momento appassionante di politica con le lettere maiuscole, in cui tutti questi nuovi leader dovranno realmente dimostrare di che pasta sono fatti. Da allora vincerà il più equilibrato, il più furbo e il più forte, e probabilmente non da subito, perché tutta questa battaglia è un gioco molto grande che logora irrimediabilmente. La democrazia è cresciuta, prima era tutto più facile. Adesso comincia il bello.
*Traduzione di Raffaele Deidda
Testo originale
Bienvenidos a Italia
El escenario más temido será el tiempo de la táctica y la auténtica forja de los nuevos líderes en una batalla que demostrará quién es el más fuerte y el más listo, el mejor superviviente
En la Italia que surgió de la Segunda Guerra Mundial se acostumbraron a tener una media de un Gobierno cada seis meses hasta la última década. Existió una cosa llamada pentapartito, una alianza de cinco formaciones, que aguantó nada menos que 12 años. También algo tan abstruso como las “convergencias paralelas”, una expresión del primer ministro Aldo Moro en los sesenta para decir que se podía pensar parecido sin llegar a estar de acuerdo en todo, convivir juntos sin tocarse, o combinados sin mezclarse.
El compromesso storico fue cuando la Democracia Cristiana se planteaba acercarse a los odiados comunistas.
La Liga Norte, el nuevo partido revelación en los noventa llamaba mafioso a Silvio Berlusconi todos los días hasta que se unieron con él durante más de una década. Cuando el gran movimiento de la antipolítica de Beppe Grillo irrumpió en las elecciones de 2013 el pánico entre las dos fuerzas tradicionales, de derecha e izquierda, les llevó a algo tan inimaginable como un matrimonio contranatura, que en la guerra interna consiguiente en el lado progresista se llevó por delante al supuesto ganador de los comicios, Pierluigi Bersani.
Felipe González ya dijo en mayo que España iba hacia un escenario italiano pero con el grave problema de estar sin italianos para gestionarlo. Bien, ya estamos en él.
Habrá que acostumbrarse a cosas que hasta ahora veíamos cíclicamente en la tele en Roma: rondas de contactos del jefe de Estado con los partidos, la repentina importancia de las formaciones enanas, que cada escaño valga oro para hacer números –y de ahí el arte del transfuguismo-, la cuadratura del círculo y que pase el tiempo sin que ocurra nada. Los españoles son impacientes, más de sólidos principios y claros finales, llevan mal el suspense y ansían el desenlace. Irse a la cama la noche electoral sin saber nada es como volver de marcha sin haber ligado, y que pasen así varias noches, y varios días, pondrá nerviosa a mucha gente, pero todo es acostumbrarse.
Los italianos son maestros en ese intervalo, en el recreo, en manejar los tiempos. Será el tiempo de los grandes tácticos, más que de los estrategas, y ya no valdrá tanto el marketing. Resultará un momento apasionante de política con mayúsculas, donde deberán demostrar realmente de qué están hechos todos estos nuevos líderes. Desde luego vencerá el más templado, el más listo y el más fuerte, y probablemente no enseguida, porque toda esta batalla es un juego muy largo que desgasta de forma irremediable. La democracia ha crecido, antes era todo más fácil. Ahora empieza lo bueno.
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