Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (10)


ape-innovativaSu proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti – ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni, alcuni non più tra noi – sul filo della memoria. Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione . Oggi il decimo raccontino (per la cronaca 2° classificato), dopo l’esordio del 17 settembre, il secondo del 18, il terzo del 19, il quarto del 20, il quinto del 21, il sesto del 23, il settimo del 24, l’ottavo del 25, il nono del 26.
franco e il gabbiano cagliari_3Paolo Zuddas
Una cattura singolare
Storie di pesca nel golfo di Cagliari

(mentre il porto stava a guardare)
Pino e Paolo, un’amicizia che durava sin dai tempi della scuola elementare e che dopo varie vicende si era rinsaldata ora che, entrambi pensionati, avevano più occasioni da dedicare al tempo libero.
Li aveva legati forse il fatto che entrambi, in famiglia, avevano solo sorelle e quindi, nell’età dell’adolescenza, ma anche più tardi, si erano sentiti come fratelli, surrogando la mancanza di un fratello vero.
Avevano vissuto parallelamente anche le prime esperienze con l’altro sesso, supportandosi a vicenda, quando necessario e raccontandosi le avventure. Ma soprattutto li legava la passione per il mare e quella voglia segreta di sfidare la grandezza e i misteri dell’elemento terracqueo.
È pur vero che avventure in mare ne avevano vissute altre e le ricordavano sempre perché erano servite ad ampliare le loro esperienze, ma quest’ultima era stata davvero singolare. – segue
Paolo aveva sistemato il gommone in una nuova stazione di rimessaggio in via di ampliamento e sistemazione sulla Costa orientale del golfo ed aveva espresso il desiderio di volerlo mostrare all’amico anche in considerazione che proprio in tale struttura erano previsti, l’anno successivo, i campionati mondiali di vela junior e
quindi i lavori in corso erano mirati a realizzare quanto necessario per accogliere degnamente la manifestazione.
Arrivarono lì in auto e dopo un giro di perlustrazione, eseguirono tutte quelle operazioni di routine necessarie per la messa in acqua del natante. Lo avevano fatto
tante di quelle volte che ormai era diventato un rituale.
Come da intese precedenti non avevano portato altri tipi di esca perché si doveva operare la pesca al traino con l’esca finta, una anguilletta fosforescente che aveva
preparato lo stesso Paolo.
Imperava un vento di maestrale abbastanza teso ed il mare, soprattutto fuori dal porto, si presentava con le onde ben marcate e spumeggianti.
I primi passaggi avevano portato la prima preda, una spigola che a prima vista superava certamente il mezzo chilo, come confermato poi alla pesata effettuata a terra.
Per determinazione di Paolo si era stabilito che la prima preda era destinata a Pinoperché la volta precedente era stata di Paolo.
Dopo un po’ abboccò una ricciola appena più piccola della spigola e si rimise la paratura in mare per proseguire l’azione di traina.
Si eseguirono alcuni passaggi tra gli spruzzi delle onde senza che succedesse niente ma, ad un tratto, Pino che reggeva il mulinello sentì uno strappo e si voltò
verso il terminale della lenza: notò che vi era ubicato un gabbiano in lotta con qualcosa di indefinito.
Si pensò dapprima che avesse abboccato un altro pesce e che il gabbiano, come spesso succede, volesse portarselo via. Paolo lanciò alcune urla per farlo scappare
ma non successe niente.
Al recupero della lenza il gabbiano vi restava attaccato ed allora si capì che probabilmente aveva tentato di mangiare l’esca finta e vi era rimasto arpionato.
Pino era deciso ad avvicinare il gabbiano per poterlo liberare anche se Paolo era contrario e forse più propenso a tagliare la lenza per il timore che il gabbiano, una
volta vicino, potesse assalire con beccate e zampate i malcapitati pescatori.
Quando fu ad una distanza di circa cinque/sei metri, il gabbiano tentò di sollevarsi in volo trascinando la lenza. Paolo ordinò: “Dagli lenza, dagli lenza” e Pino così
operò ma il gabbiano ricadde in acqua e fu allora che Pino lo avvicinò ulteriormente e lo afferrò per il collo portandolo a bordo.
La lenza fuoriusciva dal becco chiuso con forza e Pino dovette faticare non poco per riuscire ad aprirlo e liberare l’amo che era conficcato nella lingua della bestiola.
Fatto questo lo lasciò subito libero ma la vicenda non era finita. Cercando di andar via nei grovigli della lenza il gabbiano rimase nuovamente impigliato con l’amo sotto l’ala sinistra.
Ormai erano in ballo e Pino decise di avvicinarlo ancora per completare la liberazione.
Fu allora che si prese una grossa beccata sulla mano ed una zampata sul braccio.
Il gabbiano ricevette in cambio un deciso buffetto sul becco. “Stai buono” disse Pino, “Voglio liberarti”.
Il gabbiano sembrava che avesse capito e restò docile e calmo, ma forse era stanco anche lui mentre nel trambusto il gommone continuava a saltellare sulle onde che
coprivano di spruzzi i protagonisti dell’episodio.
Pino riuscì finalmente a liberare il gabbiano dall’amo e dal groviglio delle lenze, lo prese per le ali e gli diede una spinta verso l’alto dicendo “Vai”. Paolo aggiunse, con sollievo, “E non tomare mai più”. Quella lenza era resa ormai inutilizzabile, si tentò qualche altro passaggio con una nuova lenza ma la battuta di
pesca era ormai conclusa e si rientrò a terra ed a casa con una esperienza in più da raccontare ai nipotini.
Pino e Paolo
———————-
partenza motonave Tirrenia, fine anni ’50

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