La Sardegna si salva solo con i migranti
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L’UNIONE SARDA – Politica: Sardegna come un deserto «Ci salveranno i migranti» 07.09.2015
«Verrà un giorno in cui la coesione sociale sarà garantita dagli immigrati». Lei è un pessimista. «Nient’affatto, è quel che succederà, a maggior ragione nelle aree più desertificate d’Europa. E la Sardegna, non dobbiamo dimenticarlo, è la regione che attraversa la più pesante crisi demografica di tutto il Continente. Sta invecchiando talmente male che gli anziani verranno abbandonati: non ci saranno più i figli e i nipoti ad assisterli». E allora, ci salverà chi viene dal mare fuggendo dalle guerre? «Proprio così». Tre anni fa, quando l’umanità in marcia verso la terra promessa non era ancora l’onda dell’esodo di questi mesi, il professor Giuseppe Pulina – commissario dell’Ente Foreste, esperto di Modelli matematici e statistici, già direttore del Dipartimento di Agraria a Sassari – accennò queste idee in un convegno sullo sviluppo delle zone interne, a Lodine. Nel fiume di parole e dei soliti discorsi in tema di politiche del lavoro, della famiglia e della casa, lui prese la parola e disse cose che fecero cadere dalla seggiola più d’uno fra i partecipanti all’incontro. Parlò di progetto di ripopolamento per il cuore della Sardegna e spiegò che «visti i tassi di natalità tra i più bassi al mondo e i giovani che emigrano, se si vuole scongiurare un’implosione demografica bisognerà accogliere, entro il 2050 e nell’arco di dieci anni, 15 mila coppie fertili di immigrati». Resta dello stesso avviso? «Certamente, e non soltanto per il Nuorese. Ma quel che sta accadendo viene affrontato solo in un’ottica di emergenza…». È un esodo biblico, se non è emergenza questa… «Voglio dire che ci si sta fermando a un’unica domanda: quante persone possiamo accogliere? Ecco, questa è la logica dell’emergenza, quella in cui si ragiona peggio. L’obiettivo vero è l’integrazione di queste persone». Ma intanto occorre salvarle. «Certo, dico solo che tutti i governi degli Stati europei dovrebbero affrontare il fenomeno con criterio e con una visione che non può essere quella del proprio mandato elettorale, dei cinque anni e basta. Qui c’è un tema etico di fondo, un principio universale che può essere sintetizzato con l’immagine della zattera in mare. Io sono sopra, assieme a dieci persone; restano al massimo una trentina di posti ma vedo che tra i flutti ci sono cento naufraghi. Che faccio? Prima salvo i più deboli. Ma la mia azione non può fermarsi a questo». In Sardegna, dice lei, i migranti sarebbero una benedizione. «Sì, come per le aree centrali della Spagna e altri territori interni dell’Europa. La nostra Isola si sta impoverendo perché si spopola e si sta spopolando perché è sempre più povera. Oggi avrebbe l’occasione per invertire questa tendenza diventando un laboratorio di ripopolamento e integrazione». Con quali soldi? «Coi fondi europei, le risorse del programma Horizon che finanzia le politiche di coesione. Milioni e milioni di euro che possono essere spesi subito nelle singole comunità, ma va fatta al più presto una seria programmazione». Chi la deve fare? «Beh, c’è un Centro di programmazione regionale all’altezza». Cosa dovrebbe prevedere, il progetto, perché l’Europa lo finanzi? «Deve basarsi su tre principi: residenzialità, imprenditorialità, formazione. Sul primo punto, basti pensare alle tante case sfitte dei nostri comuni…». Dove, ormai, nascono pochi bambini. «Appunto. In un paese basterebbero 25 nascite all’anno per cominciare a invertire la tendenza. Sono i bambini che una volta giocavano in piazza, quelli per cui si forma una classe. Se solo pensiamo che le scuole dei piccoli centri vengono chiuse e cadono a pezzi…». Il secondo punto significa niente assistenza? «Sì, chi si stabilisce qui deve aprire un’impresa. Con quali risorse? Beh, lo Stato tassa le rimesse degli immigrati, quei miliardi di euro che vengono spediti verso i Paesi d’origine. Sarebbero gli stessi extracomunitari a finanziare le loro nuove attività». Quindi la formazione… «Fondamentale». Chissà quanti, leggendo queste righe, sentiranno minacciata la propria identità culturale. «È stata la paura dei Nuragici davanti ai Fenici e poi di chi ha visto arrivare i Romani, ma la lingua che parliamo noi sardi deriva dalla loro. Non si può ragionare in una prospettiva di esclusione, bensì di integrazione e di scambio. Non si perde la propria identità per questo. I nuovi sardi saranno figli di coppie miste: isolani e cinesi, senegalesi…». Perché, davanti a questo esodo, pure chi non è razzista ha reazioni di chiusura? «Perché la gente non capisce cosa hanno in testa i governanti. Uno dei principi base della democrazia è la chiarezza dei programmi, se manca questa si finisce per alimentare tensioni». Considerati le guerre, le primavere arabe fallite, l’Isis che nessuno vuol fermare – quanto poteva essere previsto quel che sta accadendo? «Era stato previsto già nei primi anni Settanta quando il Club di Roma (associazione non governativa di scienziati, economisti e capi di Stato, ndr ) pubblicò il primo report sui limiti dello sviluppo economico. Dove si creano gli squilibri, questo era il concetto di fondo, lì si generano forti flussi emigratori».
[…] e contribuire a rilanciare il dibattito è proprio la recentissima intervista al prof. Pulina (apparsa su L’Unione Sarda del 7 settembre), che riportiamo integrale in altra parte della nostra news. Pertinente anche l’intervista […]