Un giorno, un tribunale della storia giudicherà per crimini contro l’umanità tutti coloro che hanno frapposto all’accoglienza le ciniche ragioni di una politica xenofoba ed egoista

Migranti foto SardiniaPost.
di Tonino Dessì, su fb
Tristezza, rabbia, preoccupazione.
Prima di augurare il rituale buon giorno, oggi mi sono chiesto se aprire anch’io con la foto del bambino siriano trovato morto affogato su una spiaggia turca, ennesima vittima di un esodo che ha tutto l’orrore dell’ecatombe.
Ho deciso di non farlo. Il mio profilo FB non ha gli obblighi di informazione dei media e individualmente credo di dover rispettare i morti, soprattutto se bambini.
È un fatto che certe notizie e certe immagini suscitino anche rabbia e reazioni primordiali.
Non sfuggo nemmeno io a certe pulsioni. Un giorno, un tribunale della storia giudicherà per crimini contro l’umanità tutti coloro che hanno frapposto all’accoglienza le ciniche ragioni di una politica xenofoba ed egoista.
Oggi io giudico, con un verdetto etico non appellabile, chi nei giorni scorsi ha introdotto subdolamente, nei media e nella politica, ragioni di sospetto non sulla tratta dei viaggi, ma sull’intervento istituzionale e volontario di accoglienza, anche in Sardegna.
Nei giorni scorsi, in Italia, non solo la Lega di Salvini, ma anche il blog di Grillo e del M5S hanno sostenuto, tra le altre argomentazioni, che il dovere di accogliere rifugiati per motivi politici non deve portarci ad estendere l’accoglienza per motivi umanitari, che chi non è qualificabile come profugo politico deve essere considerato clandestino e rimpatriato, se necessario con la forza.
Ecco: quel bambino era un caso che da noi sarebbe rientrato nella categoria dell’accoglienza “umanitaria”. E io verso chi avrebbe proposto, da noi, di rimpatriare a forza lui e i suoi genitori provo un rancore inestinguibile, che la consuetudine con la ragion politica difficilmente potrà estinguere (e non parlo soltanto di Salvini, per intenderci).
Detto questo, vorrei ricordare che poco tempo fa, in una trasmissione televisiva, da Bruno Vespa, una ministra del Governo Renzi ha ammesso che fino all’inizio di quest’anno erano letteralmente scomparsi dall’Italia 3000 bambini sbarcati come profughi. In quella allucinante trasmissione sul progetto di invasione della Libia e di mitragliamento delle imbarcazioni, la preoccupazione era se questi bambini potessero essere addestrati e successivamente utilizzati da organizzazioni terroristiche. Del traffico sporco di minori, collaterale e specifico agli altri traffici di carne umana, in quel talk show della TV di Stato non si fece neanche cenno.
Io non riassorbirò facilmente la pessima impressione che mi hanno dato anche una certa stampa sarda e una certa politica regionale anche in occasione dell’ultimo sbarco di fuggitivi in Sardegna. Forse quell’impressione si attenuerebbe se, con gli strumenti professionali dell’inchiesta, ci venisse dato conto, grazie alla stampa, di quanti bambini sono sbarcati nell’Isola finora, di come vengono censiti nel rispetto delle convenzioni internazionali per l’infanzia, di chi se ne occupa con una assistenza specifica, di dove sono, con chi stanno, cosa fanno, come stanno vivendo.
Mentre piangiamo i morti, cerchiamo a maggior ragione di pensare ai vivi.
Ci torneremo, anche su questo.
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Aylan e il suo fratellino Galip, di cui il mare non ci ha restituito il corpo risparmiando all’occidente l’onere di un’altra indignazione, erano curdi di Kobane. Su quel piccolo corpo che oggi fa il giro del mondo non c’è solo la solita vaga firma delle responsabilità occidentali ma c”è impresso tutto il silenzio di questo anno davanti alla esplicita complicità tra l’Isis e Erdogan, complicità che ha permesso allo stato islamico di devastare la città di uno dei cantoni autogovernati del Rojava costringendo la popolazione alla povertà e alla fuga. Aylan come tanti altri bambini di Kobane, prima del 15 settembre dell’anno scorso,viveva in una città libera e democratica e probabilmente era un bambino felice. Poi ha conosciuto l’orrore nero dei jihiadisti, le bombe, il sangue, gli stupri. La resistenza e la vittoria dei compagni non sono bastate a garantirgli un futuro a casa sua perché per ricostruire Kobane, nonostante gli innumerevoli appelli, l’occidente non ha fatto nulla. Piuttosto Ha continuato a strizzare l’occhio alla Turchia che impedisce che arrivino a Kobane persino le medicine. Aylan e’ un bambino del Rojava. A lui spettava un altri futuro perché i suoi padri stavano scrivendo la storia in un altro modo. Invece oggi di lui resta una fotografia terribile e una rabbia infinita. Allora Se a qualcosa è servito il suo sacrificio basta applausi e indignazione silenziosa. Facciamo aprire ad Erdogan quella cazzo frontiera e soprattutto aiutiamo i curdi a ricostruire la sua Kobane!
(dalla pagina fb di Eleonora De Majo) [tramite Piergiorgiolo Annichiarico-Artico]
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La foto è di SardiniaPost

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