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Editoriale
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Bisogno di Pace!
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Il progetto costituente
Fermiamo subito tutte le guerre – Raniero la Valle a Campiglia Marittima
16/11/2024
Una saletta comunale colma di persone interessate ad ascoltare Raniero La Valle, pronte a condividere o dibattere il pensiero di un giovane novantatreenne che riesce a coinvolgere profondamente con la sua visione pacifista e razionale del mondo da, come si autodefinisce, “militante per la pace”
CT
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In sintonia con gli amici di Costituente Terra, pubblichiamo il comunicato stampa del Comune di Campiglia Marittima sull’evento che si è tenuto il 14 novembre 2024.
RANIERO LA VALLE FA IL PIENO ALLA SALETTA COMUNALE DI VENTURINA TERME
Iniziativa di Costituente Terra per ripudiare la guerra da subito come unica via di salvezza per l’umanità
Una saletta comunale colma di persone interessate ad ascoltare Raniero La Valle, pronte a condividere o dibattere il pensiero di un giovane novantatreenne che riesce a coinvolgere profondamente con la sua visione pacifista e razionale del mondo da, come si autodefinisce, “militante per la pace”
Raniero La Valle, fondatore di Costituente Terra, deputato della sinistra indipendente per quattro legislature, intellettuale e scrittore, è stato invitato dal Circolo di Costituente Terra – Val di Cornia per dialogare sull’urgenza della pace globale e di un percorso che porti ad un nuovo ordinamento degli stati dove le guerre siano definitivamente escluse. Hanno aderito all’organizzazione numerose associazioni del comprensorio (*). Il Comune di Campiglia, rappresentato dalla sindaca Alberta Ticciati e dall’assessora alla pace Silvia Benedettini ha voluto dare il patrocinio all’iniziativa nel solco dell’attività di promozione di una cultura di pace avviato con l’istituzione dell’assessorato specifico e con una prima camminata tenuta con successo a fine settembre. La Valle ha apprezzato il clima di cordialità che ha percepito nella sala, perché, come ha detto, il primo modo in cui si manifesta la pace, è il rapporto tra le persone, quindi la disponibilità verso l’altro, l’ascolto, la gentilezza, la non aggressività, sono una condizione necessaria per costruire la pace, che non si può realizzare solo invocandola, ma occorre far sì, con la nostra azione quotidiana dal basso, che chi ci governa e chi ha il potere di decidere la persegua. L’intervento ricco di riferimenti storici e culturali, ha argomentato che la guerra, invenzione dell’uomo, può e deve essere ripudiata: oggi non è facile eliminarla perché le nostre culture ne sono permeate, ma se vogliamo che l’umanità abbia un futuro è necessario fermarla subito. Un obiettivo, un sogno, che potrebbe sembrare un’utopia, ma che in realtà, per l’alto rischio attuale di escalation verso la distruzione del genere umano l’utopia della pace è molto più praticabile e ragionevole del lasciare che le guerre prendano il sopravvento. Non dobbiamo lasciare che la guerra sia il principio regolatore del mondo perché una volta superato il limite della disumanità, rappresentato dalle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, siamo entrati in un’era in cui la guerra è un crimine, fuori dalla ragione e dal diritto e, se è sempre stata un orrore, oggi quell’orrore non ha neanche più regole, e nessun vincitore: solo distruzione. Le riflessioni sulle guerre russo-ucraina e israeliano-palestinese, hanno evidenziato le contraddizioni e le atrocità di conflitti armati di cui non si vede la fine, anche se le soluzioni potrebbero non essere così impossibili e lontane. La possibilità concreta di fermare le guerre e dare all’umanità la prospettiva di un futuro, la prospettiva che la storia possa continuare, è stata una finestra sulla speranza che Raniero La Valle ha aperto facendo respirare aria fresca e nuova a una platea in cui adulti e ragazzi si sono sentiti motivati ad agire. Molti gli interventi del pubblico, le domande, le riflessioni, da quelle più provocatorie alle dimostrazioni di stima e di gratitudine. L’incontro si è chiuso con la proposta di Raniero la Valle di costituire dei comitati per la pace e l’invito è stato subito accolto con la sottoscrizione di un elenco di adesioni. Inoltre, per il mese di gennaio, il Comune tramite l’assessora Benedettini si propone di costituire un tavolo della pace.
(*)Università Libera Val di Cornia, Consulta del sociale del Comune di Campiglia, Anpi Piombino-Campiglia, Spi Cgil, Arci Piombino Val di Cornia, Pubblica Assistenza Piombino, Legambiente Val di Cornia, Auser, Acat, Rete Radie Resch, Associazione Ruggero Toffolutti, Croce del Sud Commercio equo solidale, Circolo interculturale Samarcanda, Gruppo per la pace Massa Marittima, Libera.
COMUNE DI CAMPIGLIA MARITTIMA
Ufficio stampa: Luciana Grandi email: l-grandi@comune.campigliamarittima.li.it cell. 3338760991 – whatsapp 3892792777
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Documentazione
https://m.youtube.com/watch?v=5LXG1cOgmBQ
Luigi Ferrajoli
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Da La Nuova Sardegna mercoledì 31 ottobre 2012
Pagina 23 – Ed_Cagliari
piazza Yenne
Rivolta contro la statua di Carlo Felice
CAGLIARI Ieri mattina la statua di Carlo Felice non aveva grandi motivi per sorridere: è stata interamente coperta da un maxi-lenzuolo bianco (nella foto). E vista da Castello sembrava un grande fantasma al centro della città. Oscurata. Come dire: non la vogliamo più. Gli organizzatori della manifestazione (del Presidio piazzale Trento, Css e altri movimenti) chiedono di spostare il monumento al re dei Savoia in un museo e intitolare invece quell’area ai martiri di Palabanda. La vicenda risale al 1812: un gruppo di cagliaritani, proprio due secoli fa, fu scoperto e arrestato mentre organizzava una sommossa. Con i capi della congiura condannati all’impiccagione. «Carlo Felice – spiega Giacomo Meloni, Css – allora non c’era. Ma successivamente fu implacabile nell’applicazione delle condanne». I rivoltosi erano stati bloccati a duecento metri da piazza Yenne, nella zona intorno alla attuale via Palabanda. Il malcontento in città era diffuso. E nel mirino c’erano proprio i regnanti piemontesi. Da due secoli fa al presente. (s.a.)
Intervento di Andrea Pubusa su Sardegna Oggi 31 Ottobre 2012
Il 2012 è anch’esso s’annu doxi?
di Andrea Pubusa
Passerà il 2012 alla memoria dei sardi come “s’annu doxi”, come l’anno della fame? Come s’annu doxi vero, quello della grande fame e, non a caso, della rivolta di Palabanda? Il paragone, formulato da qualcuno nelle rievocazioni della rivolta di due secoli fà, a primo acchito, mi è sembrato forzato. La fame del 1812 era fame vera, quella che nelle narrazioni delle grandi carestie del passato ha manifestazioni paurose. Gli uomini che, animalescamente, tornano a mangiare l’erba, a praticare perfino il cannibalismo, a morire nelle strade colpiti dalla fame e dalle pestilenze.
Amarthia Sen ci ha insegnato che la democrazia, fra i suoi tanti meriti, ha anche quello di aver sconfitto le grandi carestie. L’informazione e la prevenzione consentono di avere riserve per gli anni negativi. La solidarietà, assicurata dallo Stato democratico, fa il resto: anche i ceti popolari riescono a sopravvivere. Le pestilenze sono vinte dal sistema sanitario e dalla diffusione dell’acqua.
Una forzatura dunque il paragone fra il 1812 e il 2012? No e sì. No, se si pensa ad una improponibile replica. Sì, se si pensa allo sfascio del sistema produttivo e alla disoccupazione dilagante. Mentre si svolgeva il Convegno all’Orto botanico, l’orto di Palabanda dell’Avv. Salvatore Cadeddu, dove si riunivano i cospiratori nel 1812, nella vicina viale Trento il Sulcis, la zona più povera d’Italia, era in piazza per chiedere al governatore della Sardegna, Carlo Felice…, pardon!, Ugo Cappellacci, misure per ridurre la disoccupazione endemica, per combattere la mala stagione di oggi, la chiusura delle fabbriche e la riduzione delle attività economiche, la pura sopravvivenza dell’agroalimentare.
A ben pensarci, anche oggi esistono i ceti parassitari, come nell’Ancien Régime. Vivono senza produrre, ma assorbono gran parte dell reddito. O hanno compensi sproporzionati rispetto a quanto fanno. Basta guardare la ricchezza ostentata nei porticcioli turistici per rendersi conto che, mentre gran parte della società si arrabbatta per tirare a campare, altri possono gettare al vento, negli ozi e nello svago, una ricchezza, che, per la sua smodatezza, non può essere frutto del lavoro, ma di sistemi perversi di attribuzione. La gente vede sopratutto nello status dei politici questa artificiosa creazione di privilegi. Ma questa è la fascia più visibile, non la più estesa e neppure la più privilegiata.
Ma oggi c’è anche Vittorio Emanuele I° o Carlo Felice? E’ certo una forzatura. Ma chi oggi lascia alla mano invisibile del mercato l’opera di aggiustamento della situazione certo si avvicina a quei governanti preoccupati solo delle sorti dei ceti alti. Ed oggi la politica delle grandi istituzioni mondiali ed europee è su questa linea. E lo è Monti, il quale, da ferreo iperliberista, imperturbabile non muove un dito per salvare qualcosa dell’apparato industriale italiano. Non è affare del governo, dice, ma delle forze sociali, imprese e sindacati. Il governo Monti fa strame dei diritti sociali e beffardamente le chiama riforme. L’aspetto curioso della vicenda è che alla fedeltà al re dei sardi di allora corrisponde la credibilità di Monti oggi, non presso i suoi amici delle centrali ipeliberiste mondiali, ma perfino nel maggior partito della sinistra parlamentare italiana. Sta facendo il deserto nei settori produttivi e nei diritti, sociali e territoriali, ma dicono (Napolitano prima di tutti) che sta realizzando riforme impressionanti.
Come possano P.Torres, P. Vesme, Ottana, Villacidro e gli altri settori produttivi riprendersi, senza una politican industriale statale, è un mistero. Ma oggi non esistono centri organizzativi capaci non dico di sacrosante ribellioni, ma di un programma serio di fuoriuscita dalla crisi con la mobilitazione consapevole delle masse. Dalle elezioni siciliane vengono segnali opposti e inquietanti. E’ vero s’annu doxi è lontano, ma lo sfascio produttivo e democratico è vicino, qui fra noi, grande. E il futuro è oscuro.
[...] Un gruppo di indipendentisti ha occupato la statua di Carlo Felice, nel largo omonimo a Cagliari; hanno ricoperto il monumento con un telo bianco, rivestendolo dei Quattro Mori. Di fianco alla statua sono stati issati cappi che ricordano i cagliaritani uccisi dopo la congiura di Palabanda del 1812. Salvatore Cadeddu, Raimondo Sorgia, Giovanni Putzolo giustiziati. Gaetano Cadeddu, Giuseppe Zedda, Francesco Garau, Ignazio Pani condannati a morte in contumacia. Giovanni Cadeddu e Antonio Massa condannati all’ergastolo e Giacomo Floris e Pasquale Fanni al remo a vita. I congiurati cagliaritani sono ricordati solamente da una lapide nascosta nell’Orto botanico. [...]