I Centri di aggregazione sociale peseranno nelle contese elettorali municipali, soprattutto nelle elezioni per il comune di Cagliari
Come anticipato in un precedente intervento (Aladinews del maggio 2015) pubblichiamo le note di accompagnamento alla proposta di legge regionale sui Centri sociali (che oggi chiamiamo più opportunamente “Centri di aggregazione sociale”, formulata negli anni 80 da Democrazia Proletaria Sarda. Il testo della proposta di legge oggi va attualizzato e riproposto, in quanto l’esigenza di disporre di dette strutture resta ed anzi è cresciuta in questi anni. Dunque proponiamo che questo si faccia subito e bene. In questa direzione impegniamo la nostra news per quanto possiamo fare. A cominciare dalla “vertenza della Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis”. In quel quartiere, il più popoloso di Cagliari, sono assolutamente carenti le strutture di aggregazione sociale, necessarie per affrontare concretamente i problemi della disgregazione sociale (e quello strettamente correlato della dispersione scolastica) che lo affliggono in misura maggiore rispetto ad altre aree cittadine, certo congiuntamente con altre misure [a tal proposito non possiamo esimerci di citare le opportunità del programma ITI finanziato dall'Unione Europea con i fondi strutturali, che riguarda Olbia, Sassari (San Donato) e Cagliari (Is Mirrionis)]. A parole quasi tutti sono d’accordo, nei fatti le scelte delle amministrazioni locali, a cui compete la titolarità degli interventi in argomento, vanno in direzione contraria. Il direttore dell’Azienda Area, in un recente incontro, di cui abbiamo dato ampio resoconto, ha sostenuto che il Comune di Cagliari, così come tanti altri Comuni italiani, sta adottando una politica di dismissione dei centri sociali come di altre strutture consimili, nella logica dello spending review. Ha sostenuto, infatti, che l’Azienda Area può costruire bellissimi centri, ma poi i Comuni (non solo quello di Cagliari) non li prendono in carica, seppure ceduti ad essi gratuitamente, perché non hanno soldi per poterli gestire in proprio e non trovano chi lo possa fare a titolo oneroso, tanto da non creare ulteriori costi per le finanze comunali. Le eccezioni di cui ogni Comune può fare vanto non spostano la realtà della inadeguatezza degli interventi rispetto alle esigenze richiamate. Al riguardo è lecito pensare che le descritte politiche municipali non rispondano solo a logiche di risparmio quanto a un’impostazione antidemocratica che vede con fastidio la partecipazione popolare, considerata una minaccia alla stabilità del potere nelle mani degli attuali suoi gestori. Vale per la destra e purtroppo in misura eguale per la sinistra al governo, a tutti i livelli. Non disturbate il manovratore: questa è la regola prevalentemente adottata, a cui dobbiamo opporci senza alcuna esitazione. Contrastiamo pertanto le decisioni comunali di dismettere scuole e centri sociali magari per costruirvi al loro posto case popolari, nonostante esista un vasto patrimonio abitativo inutilizzato e aree già nella disponibilità pubblica per costruire abitazioni ex novo. La scelta politica impostata dalla destra e continuata dalla sinistra di contrapposizione tra le due esigenze primarie del diritto alla casa e del diritto ai centri di socialità porta solo ad accentuare i problemi di disgregazione sociale e accentua la carenza di qualità della vita soprattutto delle periferie urbane. Noi vogliamo invertire questa impostazione sbagliata.
Torneremo presto su questa questione, cercando di affrontarla nei diversi aspetti, segnatamente di carattere politico, compresi quelli che hanno e avranno peso nelle scadenze elettorali, Cagliari in primis.
IL MUNICIPIO NON VUOL SAPERE QUANTO E’ BELLO IL CENTRO DI QUARTIERE
di Giorgio Giovannini e Ignazio Trudu
Tempo fa un gruppo di compagni di D.P. Sarda, constatata la mancanza assoluta di spazi aggregativi a Cagliari (e non solo a Cagliari), lanciava una proposta di legge regionale di iniziativa popolare per l’istituzione di Centri sociali e per agevolare l’informazione di base.
L’idea dei compagni di D.P. Sarda era di raccogliere le firme (ne occorrono 10 mila) per la presentazione della proposta di legge al Consiglio Regionale, così come prevede lo Statuto sardo, coinvolgendo attivamente in tal modo molte persone.
Ma le difficoltà incontrate solamente per iniziare l’iter di presentazione apparvero subito insormontabili, per questa ragione il progetto fu accantonato.
D’accordo con i compagni di D.P. Sarda, questo nostro giornale rilancia la proposta, in modo del tutto aperto, sia riguardo a un miglioramento del contenuto, sia ai mezzi più opportuni per coinvolgere nell’iniziativa quanti (gruppi o singoli) siano interessati, e per investire della proposta il Consiglio regionale (raccolta di firme in modo formale, petizione, presentazione alle forze politiche, etc.). Sarà comunque opportuno creare un Comitato che gestisca questa proposta, di cui facciano parte soprattutto rappresentanti dei gruppi di base.
Un primo momento di confronto sarà l’Assemblea-dibattito del 17 maggio alla libreria “Sardegna-libri”, di cui daremo resoconto sul prossimo numero di Cittàquartiere. (1)
Questa proposta di legge nasce dall’esigenza di portare un contributo, sia pure parziale, alla soluzione di uno dei problemi più gravi della nostra società: il disagio sociale.
L’isolamento dell’individuo nella nostra società è accentuato dalla mancanza di spazi aggregativi che favoriscano la vita collettiva nei suoi diversi aspetti, dallo scambio culturale, all’attività sportiva o politica, al semplice divertimento.
Alcune fasce sociali, le più deboli, come bambini, giovani e anziani, maggiormente penalizzate dalle carenze strutturali proprie di questa società devono avere l’opportunità di superare l’isolamento nel quale sono attualmente confinate.
La scuola, unico momento aggregativo per le fasce giovanili, non offre nessuna opportunità di sviluppo della personalità individuale. Se si escludono le strutture confessionali o private (alle quali non andrebbe delegata la gestione di queste iniziative) non resta che constatare l’assoluta mancanza di strutture pubbliche.
Non è lecito meravigliarsi se realtà disagiate, esasperate anche dalla mancanza di spazi, alternativi alla strada, si manifestino talvolta in forme di “devianza”, quali droga, delinquenza, ecc.
Ma anche quando il malessere non degenera nella “devianza” è ugualmente presente e on si può continuare ad ignorarlo.
Pensiamo all’attività sportiva: laddove esistono le strutture sono per lo più private, il che comporta l’esclusione dalle stesse di tutte le persone appartenenti alle classi meno abbienti.
Stesso discorso per i gruppi che vorrebbero impegnarsi in attività artigianali, artistiche o politiche: sono costretti ad abbandonare ogni progetto per mancanza di mezzi e spazi.
In questo contesto sociale, di disagi ed emarginazione, non può essere tralasciata la grave realtà degli anziani.
Forse più di ogni altra fascia sociale essi risentono della mancanza di strutture e dell’isolamento che ne deriva.
Anche se il problema degli anziani è molto più complesso e richiede misure più ampie di intervento pensiamo che il problema della difficoltà della vita aggregativa non debba essere trascurato.
I Centri sociali, strutture pubbliche, autogestite e programmate, capaci di stimolare e permettere l’espressione delle diverse realtà, rappresentano a nostro parere un importante strumento di intervento realistico e concreto del malessere sociale.
Il progetto sui Centri sociali non è utopistico ma dovrebbe diventare realtà operante in Sardegna come lo è già in tante altre città italiane ed europee per sostenere la stampa di base.
Un ruolo importante è attribuito all’informazione; attualmente la maggior parte dei canali informativi è gestito e monopolizzato dalle grosse testate e dai gruppi di potere. E’ importante per il pluralismo dell’informazione tutelare e finanziare l’informazione di base, che per ora, quando c’è, si affida all’autofinanziamento (vedi Cittàquartiere), il che comporta precarietà e conduce in molti casi alla breve durata delle pubblicazioni.
Accogliendo l’appello dei promotori pubblichiamo il testo della proposta di legge e invitiamo tutti gli interessati a mettersi in contatto con queste pagine.
—————————————
(1) Cittàquartiere non ha mai pubblicato il resoconto dell’iniziativa, regolarmente tenutasi sabato 17 maggio 1986. Tuttavia gli organizzatori della rivista del Coordinamento dei comitati e circoli di quartiere, fecero un comunicato stampa di sintetico resoconto dell’incontro, presieduto dalla compianta Elisa Spanu Nivola, che sotto riportiamo integralmente.
“Sabato 17 maggio si è svolto presso la Libreria “Sardegnalibri” un dibattito pubblico sul tema “C’è un futuro per i gruppi di base e per la loro stampa?, organizzato dal periodico Cittàquartiere.
Dal dibattito, introdotto da una comunicazione della prof. Elisa Spanu Nivola, è emersa la necessità di un rilancio dell’iniziativa dei gruppi di base, non in contrapposizione alle istituzioni ma in funzione di stimolo, critica alle stesse, sviluppando una capacità di autonoma produzione culturale.
Le istituzioni, soprattutto la Regione, il Comune e le Circoscrizioni devono impegnarsi a sostenere le iniziative di base, evitando i condizionamenti e fornendo loro aiuti soprattutto di strutture e finanziamenti per l’attività. In questa direzione va la legge regionale proposta durante l’incontro.
Tale proposta sarà oggetto di una campagna di informazione dell’opinione pubblica e, corredata da un buon numero di firme dei cittadini, verrà presentata alle orze politiche presenti in Consiglio regionale.
A questo scopo durante l’assemblea si è deciso di dar vita a un Comitato di rappresentanti dei gruppi di base e dei giornali di base che gestisca la proposta, apportanto tutti i possibili miglioramenti.
Cagliari, 22/5/1986″
—————————
Lascia un Commento