E’ morto Giorgio Melis, giornalista sardo

Giorgio Melis giornalistalampada aladin micromicroCi rattrista molto la morte di Giorgio Melis, grande giornalista sardo per il quale la professione era una missione permanente, per tutta la vita, al di là della meritata pensione. Una voce critica di cui in ogni tempo e in ogni luogo e – per noi, soprattutto oggi e in Sardegna – si ha bisogno come il pane. Per questo ci mancherà. Condoglianze e vicinanza alla sua famiglia e a tutti i suoi amici e estimatori. Riteniamo giusto commemorarlo riportando i servizi su di lui del quotidiano online SardegnaPost, con il quale collaborava e che ha condiviso l’ultimo suo impegno di giornalista.
luttoE’ morto Giorgio Melis, una vita per il giornalismo
29 marzo 2015 su SardiniaPost
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Ha raccontato per cinquant’anni, attraverso la cronaca e i commenti, la storia della Sardegna. Oggi, a 76 anni, Giorgio Melis, cagliaritano, uno dei più importanti, forse il più importante, tra i giornalisti sardi del dopoguerra, se s’è andato dopo una lunga malattia. A febbraio aveva compiuto le nozze d’oro con la professione: era iscritto all’Ordine dei giornalisti dal febbraio del 1965. I funerali saranno celebrati a Cagliari domani, lunedì 30 marzo, alle 16, nella chiesa del SS Crocifisso in via Zagabria.

Un uomo contro, un polemista spietato. Non c’è stato evento della storia isolana di cui Giorgio Melis non sia stato narratore e testimone. Prima sulle pagine de l’Unione sarda, di cui divenne condirettore e dove – a parte una breve esperienza come capo ufficio stampa del consiglio regionale – lavorò fino al 1985. Poi, per oltre vent’anni, de La Nuova Sardegna dove entrò come vicedirettore, chiamato da Alberto Statera. Quindi sul quotidiano Il Sardegna di Nichi Grauso di cui fu direttore editoriale dal 2004 al 2006 quando si dimise clamorosamente per la mancata pubblicazione di un suo editoriale di denuncia sul caso Sismi-Abu Omar e il doppio ruolo di Renato Farina, giornalista e informatore del servizio segreto.

Dagli anni del Piano di Rinascita al Berlusconismo, dall’epopea di Graziano Mesina all’era del giudice Luigi Lombardini, dall’Unità autonomistica allo scandalo dei fondi ai gruppi consiliari, migliaia di articoli, di interventi pubblici, di analisi, spesso ripresi dalla stampa nazionale. Dopo le dimissioni dal Sardegna, giunto ormai alla soglia dei settant’anni, Giorgio Melis nel 2006 si lancia a mani nude in una nuova impresa con l’apertura del sito (e per un periodo anche di un giornale cartaceo) L’altra voce che diventa rapidamente un punto di riferimento imprescindibile per quanti vogliono avere delle vicende sarde una lettura non piegata agli interessi della lobby politico-editoriale che controlla l’informazione isolana.

I suoi articoli su l’Altra voce, mentre vengono ripresi da Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, da Marco Travaglio e Michele Serra, sono messi all’indice da buona parte della classe politica sarda. Addirittura con una richiesta bipartisan di escluderli dalla rassegna stampa del Consiglio regionale. E’ il febbraio del 2008. Commenta Melis: “La maggioranza dell’assemblea si leva indignata (per fortuna con alcune voci di netto dissenso) o tace e acconsente contro il nostro giornale. Lo mette al centro del dibattito e molti onorevoli concludono: per il trionfo della democrazia, imbavagliate quella voce, fatela tacere. I cannoni contro un moscerino su Internet. Va schiacciato: la Sardegna non ha altri problemi, potrà perseguire le magnifiche sorti e progressive. Ridicolo”.

Nell’estate del 2009 L’altra voce sospende le pubblicazioni. Scrive Melis ai lettori: “Quest’anno la pausa estiva dell’Altravoce.net coinciderà con l’estremo tentativo di resistere e sopravvivere con un restyling in corso, rinnovando la grafica, ampliando e diversificando i contenuti con una sinergia tecnologica d’avanguardia. Queste le nostre buone intenzione di cui sono lastricate le strade per un’onesta informazione. Con mezzi minimi, oggi tuttavia diventati quasi inarrivabili specie per chi canta fuori dal coro e non ha accesso ai mezzi pubblici gestiti come affare privato”.

Il sito riparte, sempre con pochissimi mezzi. Va avanti fino al 2012. Contemporaneamente Giorgio Melis affianca – generosamente e in modo totalmente gratuito – la breve vita del quotidiano Sardegna 24. Scrive editoriali importanti. Sostiene la direzione e la redazione fino agli ultimi giorni. Partecipa alla nascita dell’Associazione Asibiri, per la libertà d’informazione, e di Sardinia Post.

Una vita spesa sul fronte del giornalismo che informa e denuncia, che contribuisce alla crescita civile della collettività. Negli ultimi anni esclusivamente con le proprie forze, il sostegno di pochi amici e di una capacità lavorativa fuori dal comune, unita a una professionalità straordinaria e a un amore speciale per la propria terra. Chiamato giovanissimo a entrare nella redazione politica de Il Messaggero, Giorgio Melis scelse di stare in Sardegna. E così anni dopo quando, passato a La Nuova Sardegna e al gruppo editoriale l’Espresso, fu distaccato all’ufficio centrale de La Repubblica. Un amore a volte rabbioso e disperato per le occasioni perdute, per l’ambiente maltrattato, per il degrado dell’etica pubblica. Per tutto ciò che ha tolto la Sardegna ai sardi e ne ha fatto “L’Isola degli altri”, come intitolò nel 1985 il suo libro dedicato alla storia isolana del dopoguerra.

Due anni fa la malattia. Che Giorgio Melis affronta alla sua maniera. Di petto, con coraggio, come una sfida, continuando a scrivere finché le forze glielo consentono. All’inizio del 2014 apre un blog su questo giornale, e lo chiama “L’altra voce”. L’ultimo suo editoriale, lo scorso 7 novembre, lo dedica al settantesimo compleanno di Gigi Riva e al ricordo del “gran rifiuto” che Rombo di Tuono oppose alle offerte di Silvio Berlusconi di entrare in politica nel 2004, per affiancare Mauro Pili nella battaglia poi persa contro Renato Soru.

“Vale la pena di ricordare – scrive – quella scelta di un uomo coerente e dritto come un fuso perché, benché siano passati solo dieci anni e il fatto a suo tempo abbia avuto grande risalto anche nazionale, mi pare che quasi nessuno lo abbia ricordato e sottolineato come necessario. Anche per sintetizzare quanto meritano le qualità extrasportive del Riva cittadino. Consapevole di quanto rappresenti per la Sardegna. Consapevoli tutti di quanto abbia sempre ed accuratamente evitato di impiegare men che onorevolmente l’affetto e la stima che lo circondano da mezzo secolo nell’Isola”.

Parole che oggi riferiamo al loro autore: un uomo coerente e dritto come un fuso. Un maestro di giornalismo e di vita. La sua scomparsa lascia un vuoto che nessuno è in grado di colmare.

Sardinia Post

(foto Studio Rosas)
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Il culto della notizia e la passione civile
Una lunga carriera sempre al servizio del lettore

di Giacomo Mameli su La Nuova Sardegna
CAGLIARI Chissà se avrebbe “passato” questo pezzo. Perché Giorgio Melis amava i fatti, non gradiva le celebrazioni. Ma non è un fatto se è stato lui, per decenni, a Cagliari e a Sassari, l’idea di “giornale”? Sì: i fatti. Che per Giorgio erano conditi da entusiasmo, passione civile, etica. Con un solo mito: il lettore. Con pochi altri fari del giornalismo del Novecento – Giuseppe Fiori, il fratello Vittorino e Angelino Demurtas, per citare tre “Nobel” della notizia di casa nostra – aveva fatto dell’informazione pura la religione laica della sua vita. Certo: prima del lavoro c’era la famiglia di cui è stato un vero sardus pater. Ma nei decenni trascorsi a L’Unione Sarda e successivamente alla Nuova Sardegna, si sentiva al servizio del lettore, si parlasse di cronaca bianca o nera, di giudiziaria o politica. Prima che a Milano esplodesse “Mani pulite”, i magistrati sardi avevano già inviato avvisi di garanzia a manager, ministri e banchieri finanziatori disinvolti delle imprese folli dei mestatori della petrolchimica. Era stata soprattutto la sua schiena dritta a scavare e a far scavare sugli affari loschi della razza-padrona del dopoguerra, sulle scatole cinesi della galassia Sir (andrebbero riviste e rilette le vignette di Franco Putzolu dove si materializzavano le intuizioni di Giorgio), sulle collusioni fra politici «unti e bisunti col petrolio che aveva sostituito l’inchiostro nelle rotative dei due quotidiani sardi». Le notizie dei palazzi di giustizia diventarono inchieste, interviste a una classe dirigente di tute blu, giornalisti non più a sentire voci di blateranti club privati ma a registrare le assemblee roventi dei consigli di fabbrica, fotografare il malessere e le delusioni dello sviluppo negato. Del nuovo mosaico che si disegnava tra Portotorres e Macchiareddu è stato Giorgio il vero tessitore: negli anni d’oro del giornalismo sardo a Cagliari col direttore Fabio Maria Crivelli e a Sassari con Alberto Statera. Coraggioso, per nulla succube di editori spesso arroganti, sapeva animare le redazioni che attorno a lui trovavano una guida professionale di spessore e un difensore. Perché sapeva reggere un giornale e correggere chi sbagliava, regista dei grandi fatti di cronaca che creavano feeling fra i lettori e i giornali che si ritrovavano fra le mani: dai sequestri di persona alle faide in Barbagia, dall’emigrazione che spopolava l’isola al turismo che faceva la sua comparsa con imprenditori giunti dall’estremo oriente. Vanno riletti alcuni pezzi firmati da Giorgio tra gli anni ’70 e ’80: da incorniciare nell’antologia di un giornalismo di alto profilo. Giorgio Melis – passando dai due principali quotidiani ad altri dalla vita breve per manifesta cecità editoriale da lui sempre denunciata – ha raccontato la metamorfosi di un popolo, un’epopea, con articoli dove ai fondamentali del saper scrivere sapeva unire la completezza dell’informazione con una efficacia di cui pochi maestri sono capaci. Un leader anche per gli inviati di punta dei principali quotidiani nazionali. E mai prono verso il potere che non ha amato le critiche. Per gli scandali anche recenti di «una classe politica mediocre, corrotta, incapace». Pochi giorni fa, parlando del suo libro del 1985 “L’Isola degli altri” aveva detto: «Gli altri non sono solo quelli che vengono dal mare. Sono più devastanti i sardi servi sciocchi che nulla hanno imparato da Antonio Gramsci ed Emilio Lussu».-

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