Una riflessione sull’Islam che non si fermi all’emotività determinata dagli episodi di fanatismo integralista
La sedia
di Vanni Tola
Otto e mezzo, la nota e brillante trasmissione condotta da Lilli Gruber, ha trattato recentemente il tema della paura dell’Islam, di grande attualità sui media italiani. La scelta dell’ospite principale è stata quanto mai azzeccata. Tahar Ben Jelloun, di origine marocchina, poeta, romanziere e giornalista molto noto in Italia per i suoi numerosi libri, tra i quali cui Creatura di sabbia, 1987; L’amicizia, 1994; Corrotto, 1994; L’ultimo amore è sempre il primo? 1995; Nadia, 1996; Il razzismo spiegato a mia figlia, 1998 (giunto alla quarantottesima edizione e ripubblicato nel 2010 in una nuova edizione accresciuta); L’estrema solitudine, 1999; L’albergo dei poveri, 1999; La scuola o la scarpa, 2000; L’Islam spiegato ai nostri figli, 2001; Il libro del buio, 2001 (International IMPAC Dublin Literary Award 2004); Jenin, 2002; Amori stregati, 2003; L’ultimo amico, 2004; La fatalità della bellezza, in Amin Maalouf, Tahar Ben Jelloun, Hanif Kureishi, Notte senza fine, 2004; Non capisco il mondo arabo, 2006; Partire, 2007; L’uomo che amava troppo le donne, 2010; La rivoluzione dei gelsomini, 2011; Fuoco, 2012; L’ablazione, 2014. Applicando una pessima consuetudine ormai consolidata, anche lo staff della trasmissione Otto e mezzo, non ha saputo rinunciare a contrapporre all’illustre ospite qualcuno che rappresentasse opinioni differenti da quelle che avrebbe espresso Tahar Ben Jelloun. Fin qui poco male se l’interlocutore contrapposto all’ospite principale si fosse rivelato all’altezza del compito e avesse concorso a mettere in evidenza opinioni e valutazioni differenti sull’Islam. Purtroppo quando si tratta di Islam e immigrazione, i media televisivi non hanno una grande scelta, la loro lista comprende il solito Salvini e pochi altri di pari spessore culturale. Accade cosi che, a dialogare con uno dei maggiori intellettuali islamisti si invita l’immarcescibile Daniela Santachè che, come da copione, esibisce il massimo del suo bagaglio culturale citando i soliti slogan anti islam, alcune affermazione della resuscitata Oriana Fallaci e amenità simili. Mettendo peraltro a dura prova perfino la pazienza dello scrittore che tenta con garbo e determinazione di illustrare le proprie argomentazioni. Ne nasce un delizioso siparietto degno dei migliori blog tra la Santanché e il giornalista del fatto quotidiano Scanzi che, senza mezzi termini la accusa pubblicamente di palese ignoranza sull’argomento trattato. Molto interessante invece e, nonostante tutto, si rivela l’intervento dello scrittore Jellloun che, presentando il suo ultimo lavoro, L’Islam che fa paura ed. Bompiani, offre a noi occidentali numerosi spunti di riflessione sulla nostra scarsa conoscenza dell’Islam, sugli errori commessi dalla comunità dell’occidente nel rapportarsi alla questione araba, sui danni provocati dagli interventi militari che hanno devastato gran parte dei paesi medio orientali senza riuscire a favorire in alcun modo l’evoluzione di un mondo, quello islamico, che vive gravi e specifiche contraddizioni. Numerosi gli interrogativi di fondo ai quali l’opera dello scrittore tenta di dare risposte. Attualmente, dopo le minacce, le parole d’ordine e le stragi dell’estremismo islamico si può non temere l’Islam? È questo timore è un timore giustificato? Ma, soprattutto, l’Islam è davvero, per sua natura, violento e antidemocratico come molti lo dipingono cavalcando l’onda emotiva suscitata dagli avvenimenti recenti? Tahar Ben Jelloun propone delle considerazioni che dovrebbero aiutarci a comprendere meglio ciò che ci accade intorno, ai confini del nostro mondo. Intanto ci invita a rilevare che la maggior parte dei terroristi che si sono resi protagonisti di gravi episodi di violenza non sono personaggi paracadutati sull’occidente o sbarcati dai barconi della disperazione bensì cittadini con passaporti e residenza nei paesi europei, raggiunti e motivati dalla propaganda e dal proselitismo del cosiddetto Califfato. Personaggi che, a tutt’oggi, non hanno esitato a uccidere e terrorizzare, oltre gli “infedeli” dell’occidente, anche moltissimi mussulmani. L’autore del libro si sofferma, infatti, anche sullo sdegno della gran parte dei mussulmani (solitamente definiti moderati con una definizione che egli definisce poco appropriata) che si trovano a dover fare i conti con un fondamentalismo che deturpa la vera fede in Allah. L’Isis riesce a reclutare seguaci fra i più giovani e fragili, fra gli emarginati sempre più disorientati dalla mancanza di lavoro e di prospettive di vita accettabili, dalla miseria materiale e morale che chiama in causa anche le responsabilità di noi occidentali, spesso indifferenti ai gravi disagi degli immigrati di prima e seconda generazione che popolano le nostre città. L’Islam che fa paura suggerisce delle risposte, sviluppa delle analisi, si presenta come un libro di riflessione ma anche di lotta e di resistenza. Una riflessione sull’Islam che riesca a superare e prescindere valutazioni fortemente limitate dall’emotività determinata da recenti episodi di fanatismo integralista.
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