L’eurocentrismo che genera mostri.
Parigi, lo scontro di civiltà e le radici storiche dell’Occidentalismo
di Francesco Casula
La barbara strage jihadista di Parigi ripropone alla nostra attenzione la vecchia e vexata Quaestio sullo scontro (supposto?) di civiltà fra l’Occidente e l’Islam. Condividendoli, rimando l’analisi e le motivazioni dei gravi fatti parigini a due eccellenti articoli: quello di Rossana Rossanda dal titolo significativo: ”L’ambiguità delle piazze francesi”. Secondo la prestigiosa intellettuale comunista infatti “Non si possono portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista francese, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica”. Il secondo è quello di Massimo Fini (su Il Fatto Quotidiano del 10 gennaio 2015) secondo cui ”è stata l’aggressività dell’Occidente a fomentare il radicalismo islamico contro di noi e ad allargarne le basi”. Da parte mia, in questa mia disamina, cercherò di individuare le radici ideologiche e storiche dell’Occidentalismo e dell’Eurocentrismo che possono illuminare e farci comprendere meglio anche quanto è successo in questi giorni. E non solo a Parigi. Entro subito in medias res, partendo da lontano: da Erodoto, storico greco, secondo il quale l’Europa è una semplice nomenclatura geografica, mentre con Roma diventa la Respublica romana prima e l’impero poi, cui Virgilio assegna il destino di parcere subiectis et debellare superbos. L’impero di Carlo Magno sorge contrapposto all’Oriente e la Respublica Christiana, si muove unita con le Crociate contro gli infedeli, sollecitate e benedette dal papa. E sarà unita nella riconquista della terra santa, nella reconquista in Spagna, nella difesa di Bisanzio contro i Turchi. Alla fine del ‘400 il massacro di interi popoli indios, la distruzione di memorabili civiltà come quelle dei Maya, degli Aztechi o degli Incas, diventano pomposamente “scoperte” e “imprese” dei Colombo e dei Vespucci, dei Magellano e dei Caboto. Naturalmente la “conquiste” sono ispirate e legittimate da nobilissime intenzioni: “gli indigeni sono gente senza fede e senza leggi” (Vespucci) e dunque occorre portare loro le leggi e la religione europea. Sono voci inascoltate quelle di Charles-Andrè Julien – creatore del mito del buon selvaggio- o di Jean de Lery ma soprattutto di Montaigne che sdegnato scrive in un passo di un suo celebre Saggio, Dei Cannibali: ”Provo vergogna nel vedere i nostri uomini inebriati da questo stupido stato d’animo e sbigottiti per le forme contrarie alle loro. Ovunque vadano si attengono alle loro usanze e disprezzano le altre”. E conclude. ”Tante città rase al suolo, tante nazioni sterminate, milioni di persone passate per le armi e la parte più ricca e bella del mondo sconvolta soltanto per il commercio delle perle e del pepe”. L’eurocentrismo non entrerà in crisi neppure con la Rivoluzione Francese che pure con la Costituzione del 1791 proibisce qualsiasi conquista. Sappiamo infatti come andarono le cose: l’espansione rivoluzionaria per la libertà degli altri popoli si tradurrà in un gigantesco sforzo di egemonia e di guerre, soprattutto con Napoleone, per riaffermare il dominio eurocentrico sull’Oriente, l’Asia e l’Africa. Così, una rivoluzione, che pare mettere in crisi l’idea dell’Europa come Comunità superiore, in realtà la rafforza e si pone per eccellenza, come la rivoluzione occidentalista dell’occidentalismo borghese, illuministico, razionalistico, e scientista. Sarà poi l’Europa degli Stati nazionalisti, militaristi e capitalistici a lanciarsi alla conquista del mondo: dal Sud est dell’Asia all’Africa, alla stessa Cina. In Francia si parla dell’idea lanciata da Albert de Mun sui doveri delle razze superiori che “hanno un diritto perché hanno un dovere” – affermerà Jules Ferry il 28 Luglio 1885 parlando alla Camera: Esse hanno il dovere di civilizzare le razze inferiori, in virtù del diritto di una razza civile che ha il diritto ”di occupare i territori lasciati incolti dalle popolazioni barbare”. Questa razza civile è – manco a dirlo – quella europea. Lo storico tedesco Leopold Von Ranke parla di ”Un germe, uno spirito dell’Occidente che ha compiuto dei progressi enormi, che ha conquistato l’America togliendola alle forze brute della natura e alle popolazioni indomabili che l’abitavano e l’ha trasformata completamente. Attraverso strade diverse è penetrata fino al limite della lontana Asia, e cinge l’Africa avendo occupato le sue coste. Irresistibile, ineguagliabile, invincibile, grazie alle sue armi e alla sua scienza è diventata il padrone del mondo”. Su questi presupposti teorici si affermerà il nuovo eurocentrismo militarista e imperialista degli Stati che genererà la prima guerra mondiale con gli otto milioni e mezzo di morti, distruzione e devastazione economica, miseria e carestia e… disordine su cui nascerà il “Nuovo Ordine” fascista e nazista. L’Ordine Nuovo di Hitler infatti è totalmente eurocentrico, per lui infatti l’Europa – “la nuova Europa” – “non è soltanto un’espressione geografica ma un concetto culturale e morale…. per i mille anni a venire”. Il postulato, un vero e proprio dogma agli occhi di Hitler, è quello dell’ineguaglianza delle razze umane. Di tutte le razze, quella più completa, quella che possiede una maggiore intelligenza, una maggiore energia, un maggiore potere creativo, è la razza dei grandi ariani biondi dolicocefali. Essa ha quindi diritto di conquistare lo “spazio vitale”. Si chiede il grande storico francese Jean-Baptiste Duroselle: ”Questa famosa civiltà europea esiste ed è veramente più valida delle altre civiltà”? Ecco la sua risposta: ”Io mi sento culturalmente e intellettualmente più vicino a Leopold Senghor che non al mio miglior amico inglese o olandese, cosa che non pregiudica affatto la nostra amicizia. E quando mi si dice che l’Europa è il paese del Diritto e della dignità umana io penso al razzismo; quando mi si dice che è il paese della ragione io penso a Cartesio che sosteneva che ”il buon senso è la cosa meglio suddivisa nel mondo.” –
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La Sarda Rivoluzione? Sciocchezzuole!
di Nicolò Migheli *
Taglia che ti taglio, la giunta che governa questa isola disgraziata, ha eliminato persino i finanziamenti per Sa Die de sa Sardinia. È la prima volta che capita da quando è stata istituita nel 1993. La finanziaria del 2015 cancella la Giornata del popolo sardo. Chi vuole la festeggi, ma le massime istituzioni dell’Isola saranno assenti. Forse si rimedierà con una riunione straordinaria in Consiglio Regionale, lo si farà per non perdere definitivamente la faccia. Tutti quei programmi che garantivano la memoria dei fatti di fine Settecento nelle scuole e nelle piazze della Sardegna non ci saranno più.
Chi vuole festeggi, chi vuole faccia iniziative, il governo dell’Isola lascia ampia libertà ai privati ed ad altre istituzioni. In fin dei conti chi erano Giovanni Maria Angioy, Michele Obino, morti esuli ed in povertà a Parigi? Chi era Francesco Cillocco impiccato e squartato dalla (in)giustizia savoiarda, colpevole di essersi rivoltato contro l’assolutismo monarchico e di aver sognato una Sardegna libera e indipendente? Chi erano costoro di cui non vi è traccia nei libri di scuola dove studiano i nostri figli? Chi si ricorda della Sarda Rivoluzione che ebbe il pregio di essere l’unica rivolta liberale non istigata dai francesi, autonoma, frutto di questa terra martoriata? Chi si ricorda dell’avvenimento che portò la Sardegna nella modernità?
In molti, ma non i professori che ci governano. La giunta più competente della storia, liquida quell’avvenimento come un sciocchezzuola, una quisquilia buona per romantici neo sardisti e para indipendentisti. Che senso ha ricordare si saranno chiesti, se mai se lo sono chiesti. Qui occorre operare con la lesina che fu di Quintino Sella, tutto il resto non conta. Ci siamo ridotti a questo. Come il Manno neghiamo e nascondiamo la nostra storia. Anzi esaltiamo i Giganti, facciamone pure una operazione mitopoietica ma nascondiamo il nostro passato prossimo. Trasformiamo pure la nostra identità in orpello markettaro, buono per vendere il “prodotto” Sardegna, ma evitiamo qualsiasi legame con una storia diversa; una possibilità di riscatto che vada oltre quella del sogno di essere al pari delle migliori regioni italiane.
Abbiamo ridotto a folklore le nostre tradizioni culturali ed ora è il momento della storia. Questa linea di condotta è coerente con l’economicismo che domina questi tempi, tutto è buono per “vendere” fuori dalla Sardegna, esportare. Siccome Sa Die de sa Sardinia interessa solo i sardi, possiamo persino cancellarla. Così come lo sono stati i finanziamenti per il sardo nelle scuole. Altro orpello inutile secondo certa vulgata che sente l’essere sardi come una diminutio, che si immagina internazionale ed invece si nasconde, finendo con l’esprimere la vergogna di sé.
Ancora una volta viviamo nella negazione di noi stessi. Si sogna lo Stato e si distruggono le fondamenta e gli avvenimenti storici che lo legittimano. Come se la Francia non finanziasse il 14 luglio e i catalani la Diada. Il sospetto però è, che questa che passerà come dimenticanza o distrazione, sia un voler aderire al progetto centralista che anima il governo Renzi, reputandolo il migliore per l’Italia di questo secolo. Si sa lo spirito del sacrificio dei sardi per il bene italiano è sempre dietro l’angolo. Dentro di noi freme il sassarino. In quello sì che ci si riconosce. Accumulare meriti e porte sbattute in faccia. È bene prenderne atto.
Si cancelli il 28 aprile 1794 e si adotti come festa nazionale il 30 di marzo quando i Savoia respinsero le famose “Cinque domande”. Noi il rifiuto dei governanti esterni lo abbiamo interiorizzato. Ci giustifica come eterna vittima e ci deresponsabilizza. Se poi nei recessi di bilancio si dovessero trovare qualche migliaio di euro, si potrebbe costruire davanti al Consiglio Regionale o in viale Trento un monumento, o almeno una targa ricordo, a Efisio Luigi Pintor Sirigu, noto Pintoreddu, prima rivoluzionario e poi capo dei reazionari. Pintor non si limitò a chiedere perdono al Savoia, ma fu artefice della dura repressione dei rivoluzionari.
Facciamola questa opera di chiarimento, dimentichiamo l’inno de su Patriotu sardu. Riconosciamolo fino in fondo, non siamo degni dei nostri sogni.
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* La Sarda Rivoluzione? Sciocchezzuole! [di Nicolò Migheli]
By sardegnasoprattutto/23 gennaio 2015/Culture/
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Nell’illustrazione: Giovanni Battista Lorenzo Bogino
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