in giro con aladin sulla legge elettorale sarda…

democraziaoggilampada aladin micromicro- E’ appagante la sentenza del Tar? Amsicora su Democraziaoggi
- Ecco la sentenza del Tar sulla Legge elettorale sarda (su Democraziaoggi).

E’ appagante la sentenza del Tar?
18 Novembre 2014

Amsicora, Democraziaoggi

Avete letto la sentenza del Tar Sardegna sull’impugnazione della legge elettorale? Cosa pensate della motivazione? Vi ha soddisfatto? A me no. A caldo non mi sembra appagante. Ci torneremo, ma ecco, in sintesi alcune osservazioni critiche.
Anzitutto, la sentenza più che prendere posizione sulle censure mosse alla legge elettorale, ne fa un commento sommario. Assume acriticamente la ratio della legge e la esplicita. “Cio che è reale è razionale”, dice il Tar. Sennonché è proprio la razionalità, la ragionevolezza delle legge nella sua struttura fondamentale ad essere messa in discussione in riferimento al principio di eguaglianza del voto. Il Giudice amministrativo dice sbrigativamente che la sentenza n.1/2014 della Corte costituzionale ha annullato il porcellum perché assegna il premio di maggioranza senza fissare una soglia, mentre la legge sarda lo determina nel 40% con premio del 60% dei seggi e al 25% con assegnazione del 55% dei consiglieri. Tutto questo è vero, ma non risponde alla censura dei ricorrenti e neppure coglie il senso della sentenza n. 1/2014. Il giudice delle leggi, infatti, dice che la soglia per far scattare il premio e il premio stesso devono essere congrui, ossia ragionevoli alla luce dei riferimenti costituzionali, in particolare dell’eguaglianza del voto. Ed allora il quesito è il seguente: è o non è ragionevole che lo schieramento che ha il 40% del voti abbia il 60% dei seggi? Oppure questa disciplina sacrifica eccessivamente l’uguaglianza del voto “in uscita”, al momento dell’assegnazione dei seggi, a favore dell’esigenza di stabilità dell’esecutivo? Il quesito non ha risposta, o meglio la risposta è apodittica, dà per dimostrato ciò che invece deve esserlo. Ma – si badi – deve esserlo ad opera della Corte costituzionale, non del Tar che si deve limitare a dire se esiste un dubbio di legittimità costituzionale o no. Il Tar invece si sostituisce alla Corte nel giudizio di fondatezza della questione, il che non gli compete.
Discorso analogo vale per le soglie di sbarramento. Il 10% è ragionevole o eccessivo? E, si badi, non in relazione al sistema turco cui si riferisce la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo richiamata dal Tar, ma alla Costituzione italiana. Ed ancora è ragionevole o eccessivo fissare insieme una soglia bassa per il premio e una alta per lo sbarramento? La governabilità non è assicurata dal premio? Che senso ha una volta ssegnato il premio (il 60 o il 55% dei consiglieri) impedire l’accesso in Consiglio delle liste co meno del 5% dei voti o i raggruppamenti con meno del 10%? Garantisce la stabilità, gia assisurata dal sistema premiale, o è volta a far sì che i due partiti maggiori si dividano maggioranza e opposizione? Dice il Tar. Si vuole scongiurare il proliferare dei partiti e delle liste? Questa è bella! Nel sedicente centrosinistra ci sono 11 liste e nel centrodestra più o meno altrettante. La verità è che la legge elettorale sarda codifica una conventio ad excludendum, delle liste e degli schieramenti non omogenei ai due partiti maggiori. Ma questo è manifestamente contro lo spirito e la lettera della Costituzione che certo considera un valore la stabilità di governo, ma anche quello del pluralismo politico vero.
Anche su questo punto il Tar Sardegna si sostituisce alla Corte, non limitandosi a rilevare se questa disciplina fa sorgere un dubbio sulla sua confomità alla Costituzione, ma esprimendo un giudizio di infondatezza che non gli spetta.
Si potrebbe continuare sulla presenza femminile: 4 donne su 60 consiglieri son pochine, non vi pare? L’art. 117 Cost, dice che le leggi regionali devono favorire la parità di genere negli organi elettivi. Non vi pare in odore di illegittimitù costituzionale una legge che porta ad un risultato che evoca più un califfato islamico che un sistema democratico fondato sull’eguaglianza uomo/donna?
In conclusione, la sentenza del Tar sardo sembra contenere una motivazione apparente, elusiva dei nodi posti dal ricorso, con l’aggravante che non si limita al giudizio sulla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, ma esprime direttamente un giudizio di infondatezza, che spetta alla Corte costituzionale. Insomma, tante buone ragioni per chiedere il riesame del Consiglio di Stato, con la speranza di avere miglior fortuna.
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Ultim’ora: ecco la sentenza del Tar sulla Legge elettorale
17 Novembre 2014

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 332 del 2014, proposto da:
Marco Ligas, Francesco Tronci, Maria Bonaria Mazza, Antioco Floris,
Giacomo Meloni, Manlio Guerrino, Antonio Sorba, Francesco Meloni,
Gianna Candida Lai, Antonello Murgia, Nicola Imbimbo, Maria Nunzia
Iesu, Giovanni Marilotti, Gianfranca Maria Fois, Rita Angela Sanna, Franco
Scasseddu, Francesco Bertolino, Bruno Visentin, Laura Immacolata Moro,
Maria Antonietta Marras, Maria Grazia Del Bene, Davide Canu, Rita Maria
Grazietta Pilotto e Giovanni Nuscis, rappresentati e difesi dagli avv.ti prof.
Andrea Pubusa e Paolo Pubusa, presso lo studio dei quali in Cagliari, via
Tuveri n. 84, sono elettivamente domiciliati;

contro
Regione Autonoma della Sardegna, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mattia
Pani e Alessandra Camba, dell’Ufficio Legale del’ente, presso la cui sede in
Cagliari, viale Trento, n. 69, è elettivamente domiciliata; Ufficio Centrale
Elettorale Regionale, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura
Distrettuale dello Stato, presso i cui uffici in Cagliari, via Dante n. 23, è
legalmente domiciliato;
nei confronti di
Anna Maria Busia, rappresentata e difesa dall’avv. Gianmarco Tavolacci,
presso il cui studio in Cagliari, via Carbonia n. 22, è elettivamente
domiciliata;
Valter Piscedda, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Avino Murgia,
presso il cui studio in Cagliari, via Ariosto n. 11, è elettivamente
domiciliato;
Francesco Pigliaru e Ugo Cappellacci, non costituiti in giudizio;
per l’annullamento
del verbale delle operazioni dell’Ufficio Centrale Elettorale costituito presso
la Corte d’Appello di Cagliari e dei presupposti verbali degli Uffici Centrali
Circoscrizionali, relativi alla elezione del Presidente della Regione e del XV
Consiglio Regionale della Sardegna, le cui votazioni si sono svolte in data
16/2/2014;
delle deliberazioni dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale della
Sardegna e della Giunta Regionale e degli atti connessi e conseguenti;
dell’atto di proclamazione degli eletti;
dell’attribuzione dei seggi alle due liste collegate al Presidente eletto e al
secondo dei candidati Presidenti;
della ripartizione dei seggi fra i gruppi di liste della coalizione vincente e fra
quelli collegati al candidato Presidente Ugo Cappellacci;
dell’attribuzione dei seggi alle liste circoscrizionali;
dell’intero processo elettorale, con ogni atto conseguente al fine della
riedizione delle elezioni.
Visti il ricorso e i relativi allegati.
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Autonoma della
Sardegna dell’Ufficio Centrale Elettorale Regionale e dei sig.ri Anna Maria
Busia e Valter Piscedda.

Viste le memorie difensive prodotte dalle parti.
Visti tutti gli atti della causa.
Nominato relatore per l’udienza pubblica del giorno 12 novembre 2014 il
Consigliere Alessandro Maggio e uditi l’avv. A. Pubusa per i ricorrenti,
l’avv. M. Pani per la Regione, l’avvocato dello stato L. Salis per l’Ufficio
Centrale Elettorale Regionale, l’avv. A. Avino Murgia per il sig. Piscedda e
l’avv. G. Tavolacci per la sig.ra Busia.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’odierno ricorso i sig.ri Marco Ligas, Francesco Tronci, Maria Bonaria
Mazza, Antioco Floris, Giacomo Meloni, Manlio Guerrino Antonio Sorba,
Francesco Meloni, Gianna Candida Lai, Antonello Murgia, Nicola
Imbimbo, Maria Nunzia Iesu, Giovanni Marilotti, Gianfranca Maria Fois,
Rita Angela Sanna, Franco Scasseddu, Francesco Bertolino, Bruno
Visentin, Laura Immacolata Moro, Maria Antonietta Marras, Maria Grazia
Del Bene, Davide Canu, Rita Maria Grazietta Pilotto e Giovanni Nuscis,
nella loro qualità di elettori iscritti nelle liste elettorali dei rispettivi comune
sardi di residenza, impugnano gli esiti, con i relativi atti, della competizione
elettorale per l’elezione del Presidente della Regione e del XV Consiglio
Regionale della Sardegna, svoltasi il 16/2/2014.
A sostegno del gravame deducono i seguenti motivi.
1) Il numero di seggi (36) assegnato alle liste collegate al Presidente
proclamato eletto è dipeso dal riconoscimento, in loro favore, del premio di
maggioranza previsto dal combinato disposto degli artt. 1 e 13 della L.R.
Statutaria 12/11/2013 n. 1
Tali norme, unitamente agli artt. 15 e 24 della stessa legge, sono, però,
incostituzionali per violazione degli artt. 3, 48, 49, 51, comma 1, e 122 cost.
nonché 16 dello Statuto Speciale per la Sardegna (L. Cost. 26/2/1948 n. 3).
Ed invero, la contemporanea presenza di un premio di maggioranza e di
N. 00332/2014 REG.RIC. http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Cagliari/Sezione …
3 di 21 17/11/2014 9.28
una soglia di accesso viola le menzionate previsioni costituzionali che
qualificano il voto come personale, uguale e diretto.
E’, inoltre, irragionevole l’attribuzione di un premio di maggioranza alle
liste collegate al Presidente eletto, in considerazione del consenso da
quest’ultimo conseguito, anziché in relazione ai voti ottenuti dalle liste e ciò
tanto più in presenza, come nella fattispecie, della possibilità di voto
disgiunto.
L’entità del premio di maggioranza (sia quello nella misura minima del 55
% sia quello nella misura massima del 60 %), è, infine, eccessiva, in quanto
si assegnano molti più seggi di quelli occorrenti per garantire alla coalizione
vincente la maggioranza assoluta necessaria per governare.
2) All’esito del voto l’Ufficio Elettorale Centrale presso la Corte d’Appello
di Cagliari ha proclamato Presidente della Regione il candidato alla
presidenza più votato (prof. Francesco Pigliaru) e consigliere regionale il
candidato presidente con un numero di voti validi immediatamente
inferiore al primo (dott. Ugo Cappellacci).
Non ha, invece, proclamato eletti consiglieri regionali i candidati alla
presidenza Michela Murgia e Mauro Pili, ancorché costoro abbiano
ottenuto la prima 76.155 voti (pari a una percentuale del 10,317 %) e il
secondo 42.858 (pari a una percentuale del 5,806 %).
Tale risultato è dipeso dall’applicazione delle norme di cui agli artt. 1,
comma 5, 11 e 17, comma 7, della L. R. Statutaria n. 1/2013.
Ma le dette norme sono incostituzionali per violazione degli artt. 1, 3, 48,
49, 51, comma 1 e 122 cost., nonché 16 dello Statuto Speciale per la
Sardegna, in quanto ledono i principi di democraticità dell’ordinamento, di
libertà del voto e di ragionevolezza.
3) La previsione di una soglia di sbarramento tarata su una percentuale dei
voti validi ottenuti da tutti i gruppi di liste a livello regionale, pari al 10 %
per i gruppi di liste che fanno parte di una coalizione e al 5 % per i gruppi
di liste non coalizzati, soprattutto in presenza di un premio di maggioranza
e della possibilità di voto disgiunto, è irragionevole, eccessiva e contraria al
principio di democraticità dell’ordinamento.
La detta previsione è, inoltre, idonea a incidere sul sistema di finanziamento
dei gruppi politici creando effetti distorsivi rilevanti sotto l’aspetto della
disparità di trattamento.
L’irragionevolezza è evidente sol che si consideri che possono accedere al
Consiglio Regionale liste con bassissimo consenso popolare, soltanto
perché collegate ai due candidati alla Presidenza più votati, mentre possono
restare prive di seggi, liste o coalizioni che hanno conseguito un numero di
voti molto maggiore delle prime ma che non siano collegate ai due
candidati alla Presidenza maggiormente votati.
Nella fattispecie la contestata previsione di una soglia di sbarramento, non
garantisce nemmeno il soddisfacimento della finalità per cui è posta, ovvero
quella di contenere la frammentazione delle forze politiche.
Infatti, la disciplina contenuta nella L.R. statutaria n. 1/2013, che assegna al
candidato Presidente primo classificato il premio di maggioranza e il
tendenziale monopolio dell’opposizione al candidato Presidente secondo
classificato, induce costoro a coalizzare attorno a se un molteplicità di forze
politiche, anche ininfluenti, al solo scopo di accrescere, anche di poco, il
proprio bacino elettorale, così incentivando il sorgere di sigle con scarso
seguito elettorale.
Gli artt. 1, comma 7, 13, 14 e 15 della L. R. Statutaria n. 1/2013, sono,
quindi, in contrasto con gli artt. 3, 48,49, 51 57, 117 e 122 cost., nonché 16
dello Statuto Speciale per la Sardegna.
4) La disciplina del procedimento elettorale introdotta dalla L.R. Statutaria
n. 1/2013 è in contrasto con il principio di parità tra generi, come dimostra
il fatto che in un assemblea regionale composta da 60 Consiglieri Regionali
sono risultate elette solo 4 donne.
Vero è che l’art. 4, comma 4, della citata L.R. prevede che in “ciascuna lista
circoscrizionale, a pena di esclusione, ciascuno dei due generi non può
essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati”
stabilendo, altresì, l’arrotondamento “all’unità superiore se dal calcolo dei
due terzi consegue un numero decimale”, tuttavia tale disciplina ha
consentito la presentazione di liste di soli uomini (vedasi per es. la lista PD
in Ogliastra) ed è quindi incostituzionale.
Se invece tale esito non fosse consentito dalla corretta interpretazione della
norma, risulterebbe errata la sua applicazione, con conseguente illegittimità
dell’ammissione della lista che andrebbe quindi annullata.
Nel descritto contesto è, altresì, costituzionalmente illegittima la norma di
cui all’art. 9 della citata L.R. Statutaria laddove non consente l’espressione
di una seconda preferenza in favore di candidato/a di genere diverso da
quello cui è stata assegnata la prima preferenza.
Risultano, in definitiva, violati gli artt. 1, 3, 48, 51, comma 1, e 117 cost.
nonché 16 dello Statuto Speciale per la Sardegna.
5) Il Movimento Sardegna Zona Franca Lista Maria Rosaria Randaccio ha
partecipato alle elezioni regionali del 16 febbraio 2014 senza necessita di
raccogliere le firme ordinariamente occorrenti per la presentazione delle
liste e ciò pur non avendo mai preso parte ad alcuna competizione
elettorale regionale.
Ciò ha potuto fare grazie all’adesione alla lista, da parte dell’allora
Presidente della Regione, avvenuta in conformità a quanto previsto dall’art.
21. comma 3, della L.R. Statutaria, in base al quale, tra l’altro: “Nessuna
sottoscrizione è richiesta per la presentazione di liste di candidati … ai
quali, con dichiarazione formale, aderisca almeno un consigliere regionale
in carica alla data di indizione dei comizi elettorali …”.
Tale norma è, però, in contrasto con gli artt. 3 e 48 cost.
6) In base all’art. 3, comma 3, della L.R. Statutaria, ciascuna circoscrizione
elettorale ha diritto ad un numero di seggi proporzionale alla popolazione
in essa residente.
Sennonché, la concreta applicazione delle norme sull’assegnazione dei seggi
(artt. 13, 14, 15 e 17) ha fatto si che alcune circoscrizioni (Olbia-Tempio,
Medio Campidano e Ogliastra) abbiano conseguito un numero di
consiglieri inferiore a quello loro spettante, a vantaggio di altre
circoscrizioni (Sassari, Cagliari e Nuoro) che, invece, ne hanno ottenuto più
di quelli dovuti.
Risultano, pertanto, violati i principi di rappresentatività territoriale e di
uguaglianza del voto, di cui agli artt. 3 e 58 cost. e 16 Statuto Speciale per la
Sardegna.
La legge presenta poi una contraddizione interna tra l’art. 3, comma 3, che
indica il numero di seggi spettante a ogni circoscrizione e l’art. 18 che
ammette che a ciascuna di queste possa essere assegnato un solo seggio.
Gli artt. 3, comma 3, e 18 della L.R. Statutaria contrastano, quindi, con gli
artt. 1, 3 e 48 cost., nonché 16 dello Statuto Speciale per la Sardegna.
In relazione a tutte le sopra enunciate censure viene, dunque, sollevata
questione di costituzionalità.
Si sono costituiti in giudizio la Regione Autonoma della Sardegna, l’Ufficio
Centrale Elettorale Regionale, e i sig.ri Valter Piscedda e Anna Maria Busia,
i quali, con separate memorie, si sono opposti all’accoglimento del ricorso.
La causa è passata, una prima volta, in decisione alla pubblica udienza del
2/7/2014 dove la Sezione, con ordinanza 8/7/2014 n. 578, ha disposto la
ripetizione della notifica per pubblici proclami.
Alla nuova udienza pubblica del 12/11/2014 la causa, dopo ampia e
articolata discussione, è stata, definitivamente, trattenuta in decisione.
DIRITTO
Correttamente eseguito l’incombente disposto con ordinanza 8/7/2014 n.
578, il ricorso può essere affrontato nel merito, prescindendo, stante
l’infondatezza del medesimo, dall’esame dell’ulteriore eccezione dedotta
dalla difesa erariale.
Col primo motivo i ricorrenti lamentano l’illegittimità costituzionale degli
artt. 1, commi da 1 a 6, 13, 15 e 24 della legge statutaria elettorale, L.R.
Statutaria 12/11/2013 n. 1, che disciplinano l’attribuzione del premio di
maggioranza, sia perché ritenuto eccessivo, sia perché la sua attribuzione è
collegata al consenso conseguito dal candidato eletto Presidente, sia, infine,
perché, contemporaneamente, la menzionata legge regionale prevede delle
soglie di sbarramento.
La detta normativa regionale violerebbe le previsioni costituzionali di cui
agli artt. 3, 48, 49, 51, comma 1, e 122 cost. nonché 16 dello Statuto
Speciale per la Sardegna, che qualificano il voto come personale, uguale e
diretto.
Prima di passare all’esame della censura, occorre precisare che la dedotta
questione di costituzionalità va affrontata solo con riguardo agli artt. 1,
comma 6, e 13, comma 2, lett. a), essendo le ulteriori norme sospettate di
incostituzionalità o inesistenti (art. 24), o estranee alla problematica
dell’attribuzione del premio di maggioranza (art. 15), o, ancora, inapplicate
nella fattispecie (art. 13, comma 2, lett. b).
Così delimitato l’ambito dello scrutinio da effettuare, la censura risulta
manifestamente infondata.
L’art. 1, comma 6, dispone che. “Alla coalizione collegata al presidente
eletto è attribuito un premio nei casi e con le modalità previste dall’art. 13”.
Quest’ultimo, al comma 2, stabilisce, per quanto qui rileva: “Salvo quanto
previsto dal comma 5, si assegna alla coalizione o al gruppo di liste non
coalizzato collegati al presidente proclamato eletto:
a) il 60 per cento dei seggi del Consiglio regionale se il presidente
proclamato eletto ha ottenuto una percentuale di voti superiore al 40 per
cento”.

Orbene, la Corte Costituzionale con la recente sentenza 13/1/2014 n. 1, ha
affermato che la previsione di un premio di maggioranza, purchè collegato
al raggiungimento di una soglia minima di voti, è compatibile col sistema
costituzionale.
Quest’ultimo, infatti, non impone scelte proporzionalistiche, nè dispone
formalmente in ordine ai sistemi elettorali, la configurazione dei quali resta
affidata alla legge ordinaria (Corte Cost. 12/9/1995 n. 429).
Pertanto, la “determinazione delle formule e dei sistemi elettorali
costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza la
politicità della scelta legislativa” (cfr Corte Cost. 31/10/2012 n. 242;
4/4/1996 n. 107).
Il principio costituzionale di eguaglianza del voto – ha inoltre rilevato la
Corte – esige che l’esercizio dell’elettorato attivo avvenga in condizione di
parità, in quanto “ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari
efficacia alla formazione degli organi elettivi” (Corte Cost. 3/7/1961 n.
43), ma non si estende al risultato concreto della manifestazione di volontà
dell’elettore che dipende esclusivamente dal sistema elettorale che il
legislatore ordinario, non avendo la Costituzione disposto al riguardo, ha
adottato, in relazione alle mutevoli esigenze che si ricollegano alle
consultazioni popolari (citata sent. n. 43/1961).
L’ampia discrezionalità assegnata al legislatore nel delineare il sistema
elettorale da utilizzare è censurabile, quindi, soltanto quando la stessa risulti
esercitata in modo manifestamente irragionevole (citata Corte Cost. n. 242
del 2012).
Orbene, in base al trascritto art. 13, comma 2, lett. a), della L.R. Statutaria
n. 1/2013, il premio di maggioranza, scatta solo al raggiungimento di una
determinata soglia costituita da “una percentuale di voti superiore al 40 per
cento”. La norma, quindi, rispetta i parametri di costituzionalità delineati
dal giudice delle leggi.

Il premio, poi, consistente nell’attribuzione del 60 per cento dei seggi del
Consiglio Regionale, non risulta eccessivo rispetto all’esigenza di garantire
la governabilità, obiettivo questo di rilevo costituzionale (Corte Cost. n.
1/2014 e 107/1996 citate).
Del resto, l’analogo premio di maggioranza, previsto per le elezioni
comunali dall’art. 73, comma 10, del D. Lgs. 18/8/2000, n. 267, è già stato
ritenuto compatibile col sistema costituzionale dalla giurisprudenza, la
quale ha, anche, precisato che tale percentuale costituisce il limite minimo
per assicurare la governabilità, essendo possibile incrementarla in presenza
di cifre decimali (Cons. Stato, Sez. V, 26/9/2013 n. 4762 e 20/8/2013 n.
4196).
Non viola, gli invocati principi costituzionali nemmeno la disposizione che
collega l’attribuzione del premio di maggioranza al consenso ricevuto dal
candidato eletto Presidente della Regione.
In un sistema elettorale come quello delineato dalla L.R. Statutaria n.
1/2013, caratterizzato dall’elezione diretta del Presidente della Regione, la
previsione risulta, infatti, coerente con l’esigenza di assicurare al Presidente
eletto una maggioranza che gli consenta di governare, esigenza che, anche
in considerazione della possibilità del voto disgiunto, potrebbe restare
frustrata se il premio fosse assegnato in base ai voti conseguiti dalle liste o
coalizioni di liste.
Nessuna illegittimità costituzionale è, infine, ravvisabile in conseguenza del
fatto che il premio di maggioranza sia attribuito in presenza di un sistema
elettorale che prevede soglie di sbarramento per le liste o coalizioni di liste.
Premio di maggioranza e soglie di sbarramento rispondono a logiche
differenti, essendo il primo finalizzato al garantire la governabilità, le
seconde a disincentivare la presentazione di liste con scarso seguito,
evitando così la frammentazione delle formazioni partitiche. E nulla
preclude al legislatore, nell’esercizio della discrezionalità particolarmente
ampia di cui gode in subiecta materia, di introdurli entrambi nel sistema
elettorale prescelto, al fine di assicurare, quanto più possibile, la stabilità
del quadro politico.
Col secondo motivo i ricorrenti deducono l’incostituzionalità delle norme
della L.R. Statutaria che hanno precluso l’ingresso in Consiglio Regionale
dei candidati Presidente Michela Murgia e Mauro Pili, ancorchè costoro
abbiano conseguito un consistente risultato elettorale (76.155 voti la prima,
pari a una percentuale del 10,317 e 42.858 voti il secondo, corrispondenti a
una percentuale del 5,806), per violazione dei principi di ragionevolezza,
democraticità e libertà del voto.
La doglianza è manifestamente infondata.
Il non censurato art. 7, comma 1, della legge statutaria elettorale stabilisce
che: “I candidati presidente non possono presentarsi come candidati nelle
liste circoscrizionali”.
In deroga a tale prescrizione l’art. 1, comma 5, della medesima legge
prevede che: “Il Presidente della Regione e il candidato alla carica di
Presidente della Regione che ha conseguito un numero di voti validi
immediatamente inferiore fanno parte del Consiglio regionale”.
La mancata elezione dei suddetti candidati è, dunque, dipesa dal fatto che
gli stessi, pur avendo conseguito un consistente numero di voti, non
concorrevano per l’assegnazione di un posto di consigliere regionale.
Né alcun seggio poteva essere assegnato alle liste ai medesimi collegate, non
avendo le medesime raggiunto le soglie di sbarramento di cui all’art. 1
comma 7, della L.R. Statutaria, soglie la cui introduzione, come più sotto si
vedrà, risulta compatibile col sistema costituzionale.
Col terzo motivo gli odierni istanti denunciano, sotto vari profili, la
violazione dei principi costituzionali di uguaglianza, ragionevolezza e
democraticità, ad opera delle disposizioni della L.R. Statutaria che
ammettono alla ripartizione di seggi solo liste, o coalizioni di liste, che
abbiano raggiunto determinate soglie di sbarramento (artt. 1, comma 7 e
15, essendo gli artt. 13 e 14, pure denunciati dai ricorrenti, estranei alla
problematica della compatibilità costituzionalità delle soglie di
sbarramento).
Il motivo è manifestamente infondato.
Dispone l’art. 1 comma 7, della L.R. Statutaria:
“Sono esclusi dall’attribuzione dei seggi:
a) i gruppi di liste che fanno parte di una coalizione che ottiene meno del
10 per cento del totale dei voti validi ottenuti da tutti i gruppi di liste a
livello regionale;
b) i gruppi di liste non coalizzati che ottengono meno del 5 per cento del
totale dei voti ottenuti da tutti i gruppi di liste a livello regionale”.
L’art. 15 a sua volta prevede, per quanto qui rileva, che: “Detratti i seggi
spettanti al presidente proclamato eletto e alla coalizione o al gruppo non
coalizzato ad esso collegati, i seggi restanti si ripartiscono tra tutti gli altri
gruppi ammessi all’attribuzione di seggi …”.
Orbene, occorre premettere che in materia elettorale, la ratio legis sottesa
alle soglie di sbarramento è quella di favorire la concentrazione dei
candidati in liste omogenee, attraverso un meccanismo che premi queste
ultime, disperdendo il voto espresso in favore di liste che non superino una
percentuale minima, in modo che l’elettore sia indotto ad orientarsi verso
raggruppamenti o liste che gli garantiscano l’utilità del voto ed a
disincentivare la presentazione di liste che, nonostante la loro scarsa
consistenza, presumano di raggiungere la percentuale minima di voti
imposta dalla legge.
La previsione delle dette soglia e la conseguente “sterilizzazione” dei voti
attribuiti alle liste o coalizioni di liste che non le superano non lede in alcun
modo gli invocati principi costituzionale di uguaglianza, ragionevolezza
democraticità.

Come, infatti, chiarito dalla giurisprudenza, i principi costituzionali di
eguaglianza del voto, di ragionevolezza e di democraticità, esigono che
l’esercizio del diritto di elettorato attivo avvenga in condizioni di parità,
donde il divieto del voto multiplo o plurimo, ma non anche che il risultato
concreto della manifestazione di volontà dell’elettorato sia proporzionale al
numero dei consensi espressi, dipendendo questo, invece, dal concreto
atteggiarsi delle singole leggi elettorali (cfr. Corte cost. n. 107 del 1996
citata, nonché C. Si. 25/2/2013 n. 275).
Anche la misura della soglia fissata nella legislazione regionale non appare
in contrasto con gli invocati parametri costituzionali.
Come sopra rilevato, per le liste non coalizzate è prevista una soglia del 5
% del totale dei voti validi, mentre solo per le coalizioni la soglia sale al 10
%.
Sul punto giova rilevare che anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
ha ritenuto non contraria alla Convenzione, seppur a determinate
condizioni, la previsione di una soglia di sbarramento, riferita, si badi, alle
liste e non alle coalizioni, del 10 % (cfr. sentenza 8/7/2008 Yumak e Sadak
c/ Turchia).
Risulta, poi costituzionalmente irrilevante, che all’interno della coalizione
che supera la prevista soglia di sbarramento, possano concorrere alla
distribuzione dei seggi, anche liste che abbiano conseguito risultati elettorali
poco consistenti.
Ciò è, infatti, coerente con la ratio della coalizione che si sostanzia nel
mettere assieme forze che, pur distinte fra loro, condividano, almeno in
larga parte, un programma politico comune e unitario
Lamentano ancora i ricorrenti che in base alle censurate disposizioni della
L.R. Statutaria le soglie di sbarramento opererebbero solo per le liste e le
coalizioni di liste collegate ad un candidato Presidente che non sia giunto
secondo. Ma la corretta interpretazione del dato normativo smentisce la tesi

sostenuta in ricorso, atteso che le soglie operano in generale per qualunque
formazione, a nulla rilevando che nel caso concreto, si sia verificata, in
fatto, una situazione per cui hanno conseguito seggi solo la coalizione
vincente e quella giunta seconda.
In linea astratta nulla escludeva, e in particolare non lo escludeva la
censurata normativa, che anche le altre formazioni partecipanti alla
competizione elettorale, sia come singole liste che come coalizioni,
potessero superare le previste soglie di sbarramento ed essere ammesse,
dunque, alla ripartizione dei seggi.
Del tutto priva di riscontro è, poi, l’affermazione in base alla quale le soglie
di sbarramento avrebbero l’effetto di determinare “quali forze o coalizione
formano l’opposizione”.
Sostengono, infine, gli odierni istanti che la congiunta previsione di
previsione di soglie di sbarramento e voto disgiunto inciderebbe “sul
sistema di finanziamento dei vari gruppi politici, creando effetti distorisivi e
rilevanti sotto l’aspetto della disparità di trattamento”.
Ebbene, ove anche così fosse, tutto ciò risulterebbe irrilevante ai fini della
prospettata questione di costituzionalità, scaturendo la dedotta
conseguenza finanziaria da altre disposizioni legislative del tutto estranee al
presente giudizio.
Col quarto motivo i ricorrenti denunciano per un verso l’illegittimità
costituzionale degli artt. 4, comma 4, e 9 della legge statutaria regionale e,
per altro, verso l’illegittima applicazione del citato art. 4, comma 4, con
conseguente vizio dell’ammissione alla competizione elettorale della lista
denominata “Partito Democratico della Sardegna”
La censura è manifestamente infondata, tanto sotto il dedotto profilo di
incostituzionalità della norma, tanto sotto quello di mera illegittimità
dell’atto applicativo.
Il menzionato art. 4, comma 4, recita testualmente:

“In ciascuna lista circoscrizionale, a pena di esclusione, ciascuno dei due
generi non può essere rappresentato in misura superiore a due terzi dei
candidati; si arrotonda all’unità superiore se dal calcolo dei due terzi
consegue un numero decimale”.
Tale disposizione, di recepimento della sovraordinata disciplina nazionale e
comunitaria, è chiaramente volta al superamento di ogni discriminazione
fondata sul sesso e tende a garantire le pari opportunità tra generi
nell’accesso alle cariche elettive.
Nell’esercizio della sua discrezionalità, dunque, il legislatore sardo ha
dettato la ricordata disposizione che stabilisce che ciascuno dei due generi
non può essere rappresentato in misura superiore a due terzi dei candidati.
In via esemplificativa: in una lista composta da 3 candidati, se due sono
uomini il terzo dovrà necessariamente essere una donna, e viceversa.
Orbene, alla consultazione elettorale per cui è causa hanno partecipato
formazioni politiche che nel presentare le loro liste nella circoscrizione
dell’Ogliastra hanno indicato solo 2 candidati, entrambi di sesso maschile.
Tra queste in particolare la lista “Partito Democratico della Sardegna”
risulta formata dai signori Francesco Sabatini e Giuseppe Loi (noto Peppe).
Ciò comporterebbe, ad avviso dei ricorrenti, la violazione dell’art. 4 citato,
laddove richiede necessariamente la partecipazione di rappresentanti di
entrambi i generi.
Come detto il motivo non è fondato.
Va premesso che la particolarità della vicenda in esame discende dal fatto
che in essa il calcolo dei due terzi richiesti dalla norma non determina un
numero finito bensì un decimale.
La soluzione del problema è tuttavia espressamente offerta dallo stesso
articolo 4, comma 4, il quale dispone che “…si arrotonda all’unità
superiore se dal calcolo dei due terzi consegue un numero decimale”.
E a tale inequivoco dettato normativo ha aderito l’ufficio elettorale:

trattandosi di lista di due soli candidati, l’arrotondamento all’unità
superiore porta fino a 2 il numero dei candidati possibili, anche di un solo
genere.
Ad avviso dei ricorrenti così interpretata la disposizione in esame si
porrebbe in contrasto con la ratio ad essa sottesa che, come detto, è quella
di favorire l’accesso di rappresentanti di entrambi i sessi alle cariche elettive,
profilandosi un contrasto col sovraordinato quadro normativo
costituzionale.
L’argomento non convince.
Ed invero il legislatore regionale, lungi dal codificare un’ipotesi di
discriminazione fondata sull’appartenenza ad un determinato genere, ha
ritenuto di introdurre una disposizione ben idonea a promuovere la piena
opportunità tra i generi in materia elettorale, senza che possa censurarsi di
illegittimità costituzionale la scelta, alternativa rispetto ad altre pure
possibili, come quella per es. di imporre, in caso di due sole candidature, un
candidato uomo e un candidato donna, ossia una percentuale del 50% ,
scelte non imposte dalla normativa sovraordinata richiamata a parametro
della prospettata questione di legittimità costituzionale, normativa che deve
ritenersi rispettata laddove il legislatore, sia esso nazionale o regionale, non
ostacoli ma favorisca e promuova la partecipazione alla vita pubblica anche
alle donne.
Pertanto la più volte ricordata disposizione regionale, anche con riguardo al
meccanismo correttivo di arrotondamento, appare senz’altro legittima
rispetto ai parametri normativi richiamati in ricorso, così com’è legittima la
sua interpretazione e applicazione operata dall’Ufficio Elettorale intimato
(in termini T.A.R. Sardegna, Sez. II, 8/7/2014 n. 571).
Per le stesse ragioni sopra esposte deve ritenersi manifestamente infondata
anche la questione di costituzionalità dedotta nei confronti dell’art. 9 della
legge statutaria regionale, laddove non prevede la possibilità di esprimere

una doppia preferenza di genere.
Ed invero, le modalità attraverso cui realizzare la parità tra generi e favorire
e promuovere la partecipazione alla vita pubblica anche delle donne, sono
rimesse alla discrezionalità del legislatore, che nella specie appare
correttamente esercitata.
Di qui, senza necessità di ulteriori argomentazioni, il rigetto della censura.
Col quinto motivo i ricorrenti lamentano l’illegittimità costituzionale, per
violazione degli artt. 3 e 48 cost., dell’art. 21, comma 3, della L.R.
Statutaria nella parte in cui stabilisce che “Nessuna sottoscrizione è
richiesta per la presentazione di liste di candidati … a(lle) quali, con
dichiarazione formale, aderisca almeno un consigliere regionale in carica alla
data di indizione dei comizi elettorali …”.
La norma, infatti, creerebbe disparità di trattamento con quelle liste che,
invece, sono costrette a raccogliere il previsto numero di sottoscrizioni per
partecipare alla competizione elettorale e favorirebbe la frammentazione del
quadro politico.
Anche questa doglianza è manifestamente infondata.
Occorre, intanto, rilevare che l’esigenza perseguita con la richiesta di un
certo numero di sottoscrizioni per la presentazione delle liste, ovvero quella
di assicurare che i soggetti che partecipano alla competizione elettorale
dimostrino un minimo di seguito, non ha una copertura costituzionale; nel
senso che, ben potrebbe il legislatore ordinario, prevedere un sistema in cui,
ai fini della presentazione delle liste non occorre un numero minimo di
sottoscrizioni.
Ciò posto non si ravvisa la dedotta violazione della c.d. par conditio tra
competitori elettorali, atteso che non omogenei sono i termini di paragone.
La lista a cui abbia aderito un componente del Consiglio Regionale si trova,
infatti, in una situazione diversa da quella in cui versa la lista che non possa
vantare tale adesione.

A prescindere da ciò è da osservare che il Consigliere Regionale che
aderisca ad una lista, adduce a quest’ultima quel certo grado di consenso
che egli ha a suo tempo conseguito per poter essere eletto.
In sostanza, ricorre nella fattispecie la medesima ratio che giustifica
l’esonero dall’onere di raccolta delle sottoscrizioni occorrenti per la
presentazione, quelle liste che si presentino “con contrassegni
tradizionalmente usati o ufficialmente riconosciuti dai partiti o gruppi o
movimenti politici di carattere nazionale o regionale che abbiano avuto
eletto, nella legislatura in corso alla data dell’indizione dei comizi, un
proprio rappresentante nel Consiglio regionale” o che siano contraddistinte
“da un contrassegno composito nel quale sia contenuto quello di un partito
o gruppo politico esente da tale onere”.
Esoneri, questi ultimi, della cui legittimità costituzionale i ricorrenti stessi
non dubitano.
Del tutto inconferente risulta, poi, nella fattispecie il riferimento al
parametro costituzionale di cui all’art. 48 cost.
E’, infine, manifestamente infondata la questione posta col sesto motivo di
gravame.
Va, in primo luogo osservato, che con sentenza 22/7/2010, n. 270, la
Corte Costituzionale – chiamata a pronunciarsi sulla legittimità
costituzionale della normativa per l’elezione del Parlamento europeo di cui
alla legge n. 18 del 1979, nella parte in cui contempla due norme (nella
specie gli artt. 2 e art. 21, comma 1, n. 3) tra loro in potenziale contrasto, in
termini assolutamente analoghi a quanto già osservato per gli artt. 3 e 17
della legge statutaria sarda – ha affermato, in sintesi, quanto segue:
a) pur riconoscendo l’esistenza della descritta antinomia normativa, ha
escluso che la stessa possa rendere costituzionalmente illegittimo il sistema
elettorale, ritenendo rientrante nella discrezionalità del legislatore
l’individuazione dei meccanismi di bilanciamento ritenuti più opportuni;

b) ha espressamente affermato che, oltre al principio della cd.
“rappresentanza territoriale”, va tenuto in adeguato conto anche quello
della cd. “proporzionalità politica”, che premia la partecipazione alle
consultazioni elettorali e l’esercizio del diritto di voto;
In sostanza, nessuno dei criteri sopra descritti è “costituzionalmente
obbligato”, trattandosi di valori tutti potenzialmente rilevanti e come tali
suscettibili di un adeguato coordinamento rimesso alla discrezionalità del
legislatore, il quale, peraltro, come precisato dalla V Sezione del Consiglio
di Stato con sentenza 31/5/2011, n. 3254, “nel disegnare il sistema
elettorale a livello regionale ha tenuto conto anche di altri criteri, quali la
stabilità degli organi elettivi, la governabilità, nonché quello di garantire ai
gruppi di minoranza, un’adeguata rappresentanza”; principi, questi ultimi,
che “costituiscono ai sensi dell’art. 122 della Costituzione, principi
fondamentali in materia di elezione degli organi rappresentativi della
Regione” (così testualmente la citata sentenza del Consiglio di Stato).
Inoltre, lo stesso Consiglio ha ulteriormente osservato che “il consigliere
regionale non rappresenta la provincia di provenienza ma l’intera regione
(l’art. 1, comma 5, della l. n. 108 del 1968 stabilisce che “i consiglieri
regionali rappresentano l’intera regione senza vincolo di mandato”).
Tale impostazione sistematica, che il Collegio pienamente condivide, non
può che valere anche nello specifico caso ora in esame, vista l’assoluta
analogia delle discipline elettorali implicate, con la conseguente
insussistenza dei presupposti minimi che consentono al giudice a quo di
sollevare questione di legittimità costituzionale (per la riaffermazione degli
enunciati principi si veda anche Cons. Stato, Sez. V, 13/5/2014 n. 2445).
Si osserva, infine, che l’infondatezza della questione sollevata trova
ulteriore conferma nel fatto che il legislatore regionale sardo ha
specificamente preso in considerazione, all’art. 18 della legge statutaria,
proprio l’ipotesi del contrasto tra i criteri di distribuzione dei seggi dettati
“a valle” dall’art. 17 e il metodo di ripartizione previsto “a monte” dall’art.
3, dettando un meccanismo di “tutela minima” del criterio di
rappresentatività territoriale che fuga ogni residuo dubbio circa la
legittimità costituzionale della normativa in esame, la quale risulta, quindi,
conforme agli invocati parametri costituzionali ivi compreso quello di cui
all’art. 16 dello Statuto Speciale per la Sardegna.
Peraltro, giova rilevare che in base all’art. 24 dello Statuto Speciale, “I
consiglieri regionali rappresentano l’intera Regione” e ciò rafforza il
convincimento espresso dal Collegio in ordine all’irrilevanza costituzionale
del principio di rappresentanza territoriale nei termini predicati dalla
ricorrente.
Appurato che il principio della rappresentanza territoriale, così come
configurato in ricorso, è privo di copertura costituzionale, perdono di
rilievo anche le doglianze relative alla dedotta contrarietà, della censurata
normativa regionale, ai principi della personalità e uguaglianza del voto, la
cui violazione, nella prospettazione dei ricorrenti, è una diretta conseguenza
dell’asserita, ma insussistente, lesione del primo (cfr. TAR Sardegna, Sez.
II, 8/7/2014 n. 575).
Ad ogni buon conto, il principio della personalità ed eguaglianza del voto,
sancito dall’art. 48, comma 2, Cost., non è finalizzato ad una generica
salvaguardia del corpo elettorale, ma è diretto ad assicurare la parità di
condizione dei cittadini nel momento in cui il voto viene espresso, senza
riguardare fasi successive a tale momento, quali la distribuzione dei seggi
sulla base dei risultati elettorali (Corte Cost. 13/1/2014 n. 1 e 4/5/2005 n.
173).
Il ricorso va, in definitiva, respinto.
La novità e la particolare complessità delle questioni trattate, giustifica
ampiamente l’integrale compensazione di spese e onorari di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 12 novembre
2014 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Maggio, Presidente FF, Estensore
Tito Aru, Consigliere
Antonio Plaisant, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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