Spopolamento, desertificazione… Che fare? In una nuova politica di accoglienza una parziale ma importante risposta.

Sagama murale di Pina Monneape-innovativaLo studio sullo spopolamento e sui “Comuni in estinzione” commissionato dalla Regione Sardegna a due studiosi dell’università di Cagliari, il sociologo Gianfranco Bottazzi e il docente di statistica Giuseppe Puggioni di cui ha dato recente notizia La Nuova Sardegna (ma lo studio è di fine 2013 ed è disponibile integrale sul sito della RAS*), ci induce a riproporre la “questione spopolamento” legandola alla politica dell’accoglienza, quest’ultima proprio come una tra le possibili risposte allo spopolamento. E’ necessario che di tutto la Regione si faccia maggiormente carico, a partire dal Consiglio Regionale che potrebbe al riguardo istituire una “commisione di indagine” attraverso un’apposita legge regionale. Ovviamente la questione coinvolge tutti e richiede risposte ampiamente condivise dai sardi e da tutte le organizzazioni che operano in Sardegna. Ci sembra pertinente in questo contesto riproporre un editoriale di Vanni Tola, dell’11 settembre 2014, insieme ad altri contributi sulla stessa tematica pubblicati nel tempo su Aladinews.
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Una nuova operazione “Mare nostrum” per una differente politica dell’accoglienza
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sedia-van-gogh4di Vanni Tola
E’ cronaca di questi giorni. Migranti provenienti da lontani paesi dell’Africa settentrionale, in fuga dalla guerra e dalla miseria, dopo aver attraversato a piedi il deserto e affidato le loro vite agli scafisti e al mare, talvolta trovano temporaneo rifugio in alcuni paesi della nostra isola. Accade però che dopo alcuni giorni di permanenza in questi improvvisati centri di accoglienza, gli ospiti stranieri lasciano spontaneamente i loro nuovi rifugi per cercare fortuna altrove. Cosa c’è che non va nei nostri paesi, a Sadali, a Ottana, a Valledoria, a Lu Bagnu, in riva al mare della Costa Paradiso? La risposta è drammaticamente semplice. Questi luoghi di accoglienza, spesso isolati rispetto ai grandi centri abitati, mal collegati dai trasporti pubblici, non offrono che un alloggio con relativi servizi, piccoli aiuti materiali, un po’ di solidarietà della gente del posto ma anche l’assoluta certezza che difficilmente l’immigrato potrà intravvedere in tali località la possibilità di un reale inserimento sociale, di una valida prospettiva di vita, la possibilità di “mettere radici”. Meglio scappare lontano verso le grandi città. Un’altra considerazione. Più volte ci siamo occupati dell’andamento dei principali indicatori demografici dell’Isola. Dati drammatici, paesi destinati a scomparire nei prossimi decenni per mancanza di abitanti. Comparti produttivi fondamentali per la Sardegna, quale l’agro – pastorizia destinate a non avere un futuro per l’invecchiamento degli attuali addetti al settore e la mancanza di nuova forza lavoro da impiegare a causa del notevole decremento delle nascite. C’è un nesso tra l’arrivo di migranti nell’isola e la condizione di cronico spopolamento della nostra regione? Certamente sì. L’arrivo dei migranti, fenomeno in atto e storicamente irreversibile e l’eccezionale spopolamento della nostra regione, insieme, creano le precondizioni per attivare un differente approccio alla questione dell’accoglienza degli immigrati. Una programmazione organica di flussi immigratori, infatti, potrebbe perfino avere un influsso positivo per la situazione demografica della Sardegna e rappresentare nello stesso tempo una prospettiva di vita accettabile per gran parte dei migranti. Naturalmente a condizione che determini reali possibilità d’integrazione che vadano oltre le pur importanti iniziative di prima accoglienza, finora realizzate. In alcune realtà sono arrivate delle vere e proprie piccole comunità (è il caso delle venti copie di immigrati con bambini) che, se adeguatamente inserite in uno qualsiasi dei nostri paesini con saldo delle nascite negativo, scuole chiuse per mancanza di alunni, centinaia di case abbandonate nei centri storici, avrebbero potuto “fare la differenza”. Avrebbero potuto concorrere a modificare sensibilmente le tendenze demografiche in atto rivitalizzando la comunità ospitante, mantenendo in vita i servizi sociali, e la scuola fra questi, favorendo il recupero dei centri storici abbandonati, rivitalizzando la macro economia locale con l’impiego degli ospiti in lavori utili alla collettività (terre abbandonate, difesa dell’ambiente, ripopolamento aree rurali). Diversi osservatori dei fenomeni demografici, partendo dalla considerazione che in Sardegna si registrano tassi di natalità tra i più bassi al mondo e che i giovani continuano a emigrare, propongono da qualche tempo la necessità e l’urgenza di attivare interventi concreti ed efficaci per invertire la tendenza a un significativo spopolamento della Sardegna e delle zone interne in particolare. La sintesi delle ricerche effettuate ipotizza la realizzare un grande processo di riantropizzazione programmata – come avvenuto in altre aree del mondo con analoghi problemi di spopolamento – utilizzando la possibilità di razionalizzare e migliorare qualitativamente l’attuale politica dell’accoglienza dei migranti. Un progetto di reale inclusione che garantisca progetti di vita validi e accettabili a cominciare dal diritto di cittadinanza per i loro figli. Tali proposte, che potrebbero apparire il parto di fertili menti di sognatori, sono nella realtà saldamente presenti all’interno del dibattito nelle principali istituzioni della Comunità europea. Talmente presenti da essere state tradotte in un piano, il Programma Horizon 2020 per le politiche dell’integrazione che destina milioni di euro (in parte spendibili già dal corrente anno) per le politiche d’integrazione che i paesi comunitari volessero realizzare. Dedicare la dovuta attenzione a questo progetto potrebbe rappresentare per la Sardegna la possibilità di diventare un’area geografica di accoglienza e gestione programmata di flussi migratori che potrebbero, a loro volta, concorrere a rivitalizzare una società tendenzialmente minacciata di estinzione o comunque di un notevole ridimensionamento del proprio ruolo nel mondo. Non è un’operazione di poco conto, è un intervento che implica il superamento di difficoltà considerevoli, anche in termini culturali e di evoluzione del modo comune di pensare la convivenza con altri popoli e altre culture, che è cosa ben diversa dall’aiuto temporaneo e dall’ospitalità. Ma perché non provarci?
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- Horizon2020, per saperne di più
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- Lo studio di Bottazzi/Puggioni sullo spopolamento è stato presentato dalla Ras in un’iniziativa del 23 gennaio 2014.
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Nel primo riquadro: Sagama, murale di Pina Monne, ripreso dalla copertina dello studio di Bottazzi-Puggioni.