Sant’Elia… Cos’è rimasto delle lotte degli anni Settanta? Riparliamone, senza settarismi. Se possibile.

manifestaz s elia72-73Partiamo dal cinema, con un contributo apripista di Gianni Olla
ape-innovativaMolto bello e interessante l’articolo di Gianni Olla. Emozionante per quanti hanno vissuto quegli avvenimenti. Chi lo ha scritto dimostra di non esserne stato estraneo. Grazie Gianni. Ora mi allargo: mi piacerebbe che le brave registe indagassero ulteriormente, ovviamente cinematograficamente, sul quel formidabile movimento di lotta urbana (Marilisa Piga sembra lo sta già facendo, se non ho capito male). A me interesserebbe che si facesse luce anche sull’epilogo non certo glorioso di quell’esperienza, soprattutto per ciò che potrebbe insegnarci per l’oggi in termini di democrazia partecipativa (della sua crisi o della sua percorribilità). Scrive Umberto Allegretti, che di quel movimento fu un protagonista: “… verso la fine del 1973 il comitato di quartiere fu rovesciato e sciolto, attraverso un’assemblea fortemente manipolata, per un atto di forza concordato tra partiti di maggioranza e di opposizione rappresentati al Comune e con l’azione disgregatrice di forze religiose e parapolitiche del quartiere (parrocchia, Acli). A ciò si arrivò dopo un anno di difficili rapporti di incontro-scontro con le dirigenze dei partiti di sinistra e sindacali, attraverso i quali si era cercato di costruire un’organizzazione unitaria cittadina (un primo “coordinamento”) della lotta per la casa e i servizi sociali, formata da comitati di quartiere ed altre associazioni di base, partiti di sinistra, sindacati. Il comitato di quartiere fu sciolto nel momento in cui la sua azione era riuscita ad imporre al Comune il piano della legge 167 per buona parte della zona, e proprio perché i partiti dovevano impadronirsi dei risultati (oltreché per preoccupazioni di strategia generale). La sua fine… comportò un regresso ancora oggi non superato della organizzazione e della stessa coscienza politica del quartiere…” (cfr. U.Allegretti “I quartieri tra decentramento comunale autonomia di base” in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 1/1977).
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Sant’Elia, storia di un quartiere
cinemecum3 Il cinema e la tv, dai filmati di famiglia a Bellas Mariposas, raccontano il rione: una sorta di “cuore di tenebra” cagliaritano a due passi dalla civiltà.
di Gianni Olla su cinemecum

Anni Settanta a Sant’Elia. Per caso, o per la determinazione della documentarista Marilisa Piga – autrice di film piuttosto belli come Santa Greca, Li Casi, Inventata da un Dio distratto, quest’ultimo dedicato a Maria Lai – l’evento della rinata Festa di S. Elia è stato un “collage” di tre filmati d’epoca che, ovviamente, mostravano il quartiere e i suoi abitanti “appena” cinquant’anni prima.

I primi due, muti e a colori, proiettati con l’accompagnamento musicale di Irma Toudjian, potrebbero appartenere al “cinema di famiglia”, rappresentando però la pregnanza storica delle immagini sulla vita quotidiana della gente comune, che – come ha sottolineato recentemente a Cagliari Pierre Sorlin – ci raccontano un passato quasi rimosso. Per proseguire nella descrizione, il primo film ha anche un titolo, “Una giornata a S. Elia”, ed è frutto di un lavoro anonimo, anche se c’è la speranza di trovare l’autore: presumibilmente un insegnante della scuola media Don Milani, che sorgeva all’ingresso del quartiere. Viste le immagini, con i ragazzi della III B che hanno in mano la macchina da presa in super8, c’è anche la certezza che il filmato sia stato montato dallo stesso insegnante utilizzando le riprese dei ragazzi, magari effettuate durante un doposcuola sperimentale. L’impostazione cronachistica-impressionista autorizza quest’interpretazione.

Il secondo film, senza titolo, ha invece un’autrice, Paola Coiana, cineamatrice piuttosto famosa negli anni Settanta, che ha depositato la sua pellicola in super8 negli archivi della Cineteca Sarda. È un’opera quasi politica: difatti la descrizione del borgo/quartiere/ghetto è montata in parallelo con le immagini delle manifestazioni per la casa che, negli stessi anni, sfilavano nelle vie del centro cittadino.
Il terzo, infine, è un servizio del regista sardo Edoardo Mulargia (Le due leggi), che apparve in un rotocalco televisivo della Rai. Contiene un’intervista al parroco di S. Elia, Don Vasco Paradisi, che, appunto, negli anni Settanta, ispirandosi al magistero di Don Milani, riuscì ad interagire positivamente con i parrocchiani diventando, in qualche modo, anche un credibile interlocutore per il mondo politico cittadino.

Sant’Elia Le date dovrebbero essere comprese tra il 1974 e il 1976 – nei cortei dominano gli striscioni dei gruppi extra parlamentari che, successivamente si estinsero – e l’importanza dell’ambientazione è scattata subito fuori già all’anteprima quando il variegato pubblico del quartiere, dopo aver passato in rassegna con urla e risate tutte le apparizioni umane, cioè figli, nipoti, padri, madri, nonni, nonne, amici e conoscenti, ancora vivi o purtroppo ormai scomparsi, si è lanciato – mentre ancora scorrevano le immagini – in una discussione sull’identità di Don Vasco Paradisi. “Viara un cumpangiu”, ha gridato un signore di stazza imponente; ed un altro gli ha risposto, scettico, “ma viara sempri unu predi”. Va dunque ricordato il contesto storico. Il quartiere, in quelle sequenze estremamente realistiche, sembra un incrocio tra i poverissimi paesi lucani in cui, negli anni Trenta, fu confinato Carlo Levi e una odierna “favela” sudamericana, con tanto di ruderi a vista (Il Lazzaretto, oggi fortunatamente restaurato), automobili disastrate, strade bianche e polverose, cumuli di immondezza, gruppi di bambini fortunatamente allegri e gioiosi. Ma anche lì si votava e il Partito Comunista superava il cinquanta per cento dei voti, eccezione rilevante in una città democristianissima. Prima dell’arrivo di Don Vasco, il vecchio parroco presidiava la ridotta comunista con l’impeto dei tempi di Pio XII e – così sembra – non era molto amato dagli abitanti.

Quel ghetto (strade senza nomi, case senza numeri, blocchi d’isolati numerati come in un lager), nato nel dopoguerra per sopperire alle emergenze dei “senza tetto” provocate dai bombardamenti alleati, era stato visualizzato in un documentario di Ugo Fasano, Sardegna, il lavoro (1954), che lo definiva, a dispetto delle immagini, “quartiere modello” (sic!) della nuova espansione urbanistica della città. Il luogo, affacciato sul mare, era però straordinario e negli anni Sessanta fu adocchiato da una multinazionale che intendeva realizzare un complesso di ville sulla collina e un porticciolo turistico. Tutto ciò, previa demolizione delle case, e trasferimento degli abitanti in qualche altro ghetto periferico. L’affare sembrò andare avanti senza intoppi ma, inaspettatamente, accade qualcosa, spiegabile genericamente, con il Sessantotto, il suoi riti, le sue proteste, e anche una teatralità che non si poteva trascurare. Dunque, durante una messa, officiata a S. Elia dal vescovo della città, monsignor Botto, un gruppo di autorevoli cattolici (medici, professori universitari, giovani politici ad inizio carriera) lesse a voce alta una lettera aperta al vescovo perché si schierasse apertamente e cristianamente dalla parte degli “ umili”, ovvero gli abitanti del quartiere, impedendo, con la sua autorevolezza, la “deportazione”.

Ne scaturì un mezzo scandalo che, dal mondo cattolico, si propagò ai partiti della sinistra tradizionale e poi ai gruppi dell’estrema sinistra. S. Elia era finalmente entrata a far parte della città di Cagliari anche socialmente e non solo geograficamente.
Da allora, il quartiere ghetto, che si vide circondato da una velocissima e discutibile espansione urbana (il nuovo stadio del Cagliari di Gigi Riva, appena scudettato; gli orrendi palazzoni di case popolari; ovvero il nuovo quartiere di Sant’Elia che duplicava la ghettizzazione, i condomini borghesi delle cooperative, il “verdissimo” e ricco quartiere del Sole verso il Poetto), diventò un catalizzatore di buone intenzioni missionarie e politiche. Come avrebbe detto uno scrittore francese, tutti i paesi hanno i loro luoghi esotici a due passi dalla civiltà, e così Sant’Elia diventò – suo malgrado – una sorta di “cuore di tenebra” cagliaritano in cui diffondere sia il vangelo di Cristo che quello di Marx, Lenin e Mao, allora molto in voga.

La successiva esplosione mediatica del quartiere – e si trattò di un evento nazionale e quasi internazionale – avvenne non a caso nel 1970, quando il papa Paolo VI, in visita alla città, fu condotto nel quartiere degli “umili” e si vide offrire un caffè da un ciabattino che lo ospitò per pochi minuti nella propria casa. Quasi un film neorealista o forse del primo Fellini (Le notti di Cabiria, Il bidone) e persino di Buñuel.
Insomma quelle immagini televisive, viste fuori contesto, farebbero probabilmente esclamare ad un giovane di oggi: “Ma è davvero il Papa?”.
Era davvero il Papa e, ai margini di quella casa, la polizia teneva a bada e, senza troppi complimenti, bastonava un gruppo di cosiddetti anarchici che manifestava contro quella visita “pietosa” o forse pietistica. Ci furono arresti e processi, e il fatto passò alla storia con il titolo suggestivo e esagerato delle “pietre al Papa”. Sarebbe bello se Marilisa Piga recuperasse sia il documentario degli anni Cinquanta, sia quelle cronache televisive, e soprattutto le eventuali “immagini rubate” da qualche cineamatore.
Perché infatti, quell’episodio, spettacolarizzato dalla stampa e dalla Rai, fu un ulteriore incentivo ad occuparsi del quartiere.

Negli anni successivi ecco nascere il comitato di quartiere iperpoliticizzato, i cortei per la casa, i cineforum (con discussioni in gergo sardo-cagliaritano) e le lezioni per gli adulti. Insomma un volontariato culturale, sociale e politico – in cui si ritrovavano i cattolici e i gruppi di estrema sinistra – che sta alla base anche dei filmati “incollati” da Marilisa Piga, primo passo di un futuro documentario, questa volta memoriale. Racconterà la storia del quartiere attraverso le testimonianze di quell’epoca e forse si spingerà fino all’oggi, almeno cinematograficamente. Com’è noto, infatti, i nuovi/vecchi palazzoni di Sant’Elia vengono sfiorati da Enrico Pau nei suoi due film cagliaritani: Pesi leggeri, Jimmy della collina. Qualche anno dopo, Salvatore Mereu ci entrerà dentro con Tajabone e Bellas Mariposas – quest’ultimo ispirato al racconto omonimo di Sergio Atzeni – utilizzando come protagonisti e comparse, gli abitanti, soprattutto adolescenti, che vi abitano.

Il finale della storia, quasi avventurosa, sarebbe comunque triste: la modernità è arrivata dappertutto, ha unificato i costumi, i consumi, le mode, gli atteggiamenti, ma non il distacco dalla città di quel quartiere.

8 settembre 2014

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