Abbiamo un bisogno disperato di un ceto dirigente all’altezza della sfida. Per ora non si vede e il tempo è finito.
E’ un mondo fuori dai cardini, e se a noi è dato in sorte di rimediare, non è detto che ci si riesca. Il quotidiano che stiamo vivendo va oltre ogni immaginazione. Siamo schiacciati nella contingenza e senza futuro. Chi ci dovrebbe rappresentare in quanto eletto va per percorsi che hanno nella perpetuazione del ruolo e dello status l’unica bussola del proprio agire. Tutti eredi dell’Unico stirneriano.
Cosa lega lo scandalo delle Carte Vaticane a un governo che sotto la foglia di fico della tecnica si sta dimostrano forte con i deboli e debole con i forti? Cosa lega una giunta che nomina un giovanotto di belle speranze alla presidenza di un ente regionale, ad una Sardegna nel precipizio? Cosa lega la paralisi dell’Europa ad un presidente di provincia, ad un sindaco e a due assessori alla cultura, che per protestare contro la mancanza di finanziamenti per un consorzio di biblioteche annunciano un rogo di libri, evocando drammi da Berlino degli anni Trenta? -Solo il fatto che persone che si dichiarano democratiche pensino a cose del genere fa accapponare la pelle.- Che rapporto c’è tra il voto del Senato contro l’arresto di De Gregorio e le nomine consociative delle autorità di garanzia? E non si dica che sono fatti che appartengono solo alla politica, comprese le trame vaticane.
Ci avevano raccontato della politica malata e della società civile sana, che la tecnocrazia ci avrebbe salvato, che le banche e le università erano la riserva di classe dirigente della Repubblica. Gli scandali Profumo e Gotti Tedeschi sono la spia di un morbo profondo che ha investito tutta l’èlite di questo paese. Una caduta generalizzata di autorità ed una fuga dalle responsabilità sociali. Edmund Husserl, nello smarrimento tedesco del primo dopoguerra, sosteneva che la politica democratica è relazione, che questa si fonda su di una vita “etica” degli individui. L’idea di una vita vissuta nella autodisciplina, nella “autoregolazione all’insegna della costante vigilanza su di sé” in “una educazione al sé che non ha mai fine.” Una relazione di mutuo riconoscimento continuo, che da valore alle forme moderne di autorità. Un passaggio fondamentale in tempi in cui le autorità ascritte, venivano messe in dubbio dalla società aperta.
Ancor di più oggi, in tempi “orizzontali,” in cui l’autorità data dalla funzione elettiva dovrebbe essere temporanea. Viviamo invece nell’esatto contrario. L’elezione come ordalia. Il giudizio del dio popolo che poi giustifica l’occupazione manu militari del gruppo vincente, solo perché l’investitura e l’autorità conseguente è sancita dal voto. Abbiamo avuto vent’anni di lavaggio del cervello, evidentemente però è tornato utile a molti che hanno assunto una carica pubblica.
Chistopher Lasch con il suo “la ribellione delle èlite” fin dagli anni ’90 aveva intravisto il pericolo, ceti egemoni che si sottraggono a qualsiasi contratto e controllo sociale. La predicazione dell’individualismo esasperato ha portato all’attuale disfacimento. Ad una lotta di tutti contro tutti. Si pensava che la fine del berlusconismo e la crisi avrebbero portato ad una rigenerazione sociale, ad un bisogno di contrastare le forze centrifughe con un nuovo ruolo del Bene Comune e dell’intervento pubblico. Se non altro perché in tempi di crisi c’è bisogno di punti certi, di rassicurazione. Invece sta avvenendo l’esatto contrario.
La crisi italiana, a questo punto anche quella europea sta tutta lì. In un fuggire dalle responsabilità pubbliche date da ruolo e funzione. In luoghi come la nostra Sardegna simili comportamenti hanno ormai del patologico. All’insegna di un sovranismo opportunistico, che non si nutre di progetto ma di sole affermazioni mediatiche, si sta assistendo ad un totale rimescolamento di carte. I responsabili dello sfascio che tentano di salvarsi con alleanze che vanno oltre le classiche divisioni tra destra e sinistra. Certe èlite accarezzano progetti simili, incuranti del fatto che chi dovrebbe votarli tali comportamenti li giudicano inaccettabili. La cosiddetta “fine delle ideologie” giustificherebbe tutto, ancor di più se coniugato con il riscatto dei Sardi.
Ma le differenze esistono. Che idee hanno, ad esempio, su cultura e scuola? Chi idee hanno sulla lingua sarda? Basta scrivere in sardo a Monti? Che idee hanno sul paesaggio e sugli strumenti di salvaguardia, o il tutto deve essere riformato per favorire gli investimenti degli autocrati arabi e i barbeque locali? Come vedono la Sardegna tra vent’anni? Non è vero che il solo contrasto con il governo italiano comporti un agire comune. Le stesse forme di rivendicazione possono essere declinate in maniera differente. Ci si potrebbe accontentare, come sempre è avvenuto, del ruolo di intermediazione e di un rivendicazionismo parolaio. Il ruolo di arrendadore è sempre molto appetito perché comporta benefici evidenti. Oppure agire con una assunzione di responsabilità e quindi di sovranità progressiva. Il finanziere Soros sostiene che la crisi dell’euro, comporterà un Centro Europa forte e l’area mediterranea sempre più debole e povera.
Non è detto che sia così, ma chi si candida a governare la Sardegna dovrà assumere questa previsione come reale. Fare il Presidente della Regione in una simile contingenza sarà svolgere un compito terribile che riuscirà a trovare l’autorità nell’agire per i Sardi. Abbiamo un bisogno disperato di un ceto dirigente all’altezza della sfida. Per ora non si vede e il tempo è finito.
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Articolo già pubblicato su Sardegnademocratica
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