Pigliaru e la Giunta regionale partecipino alla manifestazione di Capo Frasca

AlessandroMagno-moaico-Pompei-300x210- Servitù militari, Pigliaru va alla guerra: ma con quali armi? Il testo integrale del suo intervento in Consiglio regionale
di Vito Biolchini, su vitobiolchini.it

Servitù militari, Pigliaru va alla guerra: ma con quali armi? Il testo integrale del suo intervento in Consiglio regionale
di Vito Biolchini, su vitobiolchini.it
9 settembre 2014 alle 21:41

Quello tenuto oggi in Consiglio regionale da Francesco Pigliaru sulle servitù militari è stato veramente un “discorso storico”, come lo ha definito il capogruppo di Sel Daniele Cocco? Forse sì. Mai si era sentito un presidente della Regione avanzare richieste così precise e vincolanti: dismissione rapida del poligono di Capo Frasca, tempi certi per la chiusura di Teulada e la riqualificazione di Perdasdefogu. Esattamente come stabilito dalle due commissioni parlamentari che al Senato e alla Camera negli ultimi due anni hanno affrontato il tema delle servitù militari in Italia. Inoltre, Pigliaru ha manifestato la volontà di convocare la seconda conferenza regionale sulle servitù, e questo consentirà alle amministrazione e alle parti sociali di discutere sul futuro non solo delle basi, ma anche di decine e decine di stabili militari che sarebbe opportuno passassero al demanio regionale.

Pigliaru non è stato né ambiguo né vago, e ha portato la vertenza sulle servitù ad un punto di non ritorno. Il discorso del 1981 fatto dal presidente Mario Melis e pubblicato oggi dall’Unione Sarda, già risultava datato prima dell’intervento di Pigliaru di questo pomeriggio; dopo, ha assunto i tratti del reperto archeologico. Perché oggi Pigliaru è andato ben oltre ogni attesa: perché nessun presidente aveva si era posto con tanta chiarezza un obiettivo così ambizioso: la chiusura di due poligoni su tre. Difficile non essere tutti d’accordo.

Pigliaru va alla guerra e i sardi lo seguiranno: ma con quali armi combatteranno? Ecco, se c’è da ritrovare un limite nel ragionamento del presidente sta tutto negli strumenti politici che lui, la sua giunta e la sua maggioranza pensano di utilizzare per dar corpo a questo ambiziosissimo progetto di liberazione della Sardegna dalle servitù militari. Perché l’opposizione dello stato è chiara e le ostilità sono già state aperte. Il ministro della Difesa Pinotti ha infatti rigettato la richiesta di sospendere le esercitazioni in Sardegna fino al 30 settembre, decretando uno stop solo fino a metà mese. Pigliaru ha dichiarato di volersi appellare ora al Consiglio dei ministri, ma cosa succederà se Renzi (come è presumibile) prenderà le parti della Pinotti? Alla domanda, fatta dal consigliere del Movimento Zona Franca Modesto Fenu, Pigliaru in sede di replica non ha dato risposta.

Però la questione è cruciale. Personalmente continuo a ritenere che Pigliaru stia sbagliando nel non aprire con lo stato e il governo una complessiva “questione Sardegna”, che veda trattati contestualmente cinque temi centrali per il nostro sviluppo: nuovo statuto di autonomia, servitù, energia, trasporti e regime delle entrate.

Perché il governo non può essere benevolo quando di tratta di aprire una clinica privata ad Olbia e ostile quando si parla di coste bombardate.

Pigliaru ha bisogno di dotarsi di una complessiva visione politica più strategica e più ambiziosa, altrimenti rischierà su questo tema delle servitù di farsi molto male. E noi con lui.

Per sostenere la sua battaglia può servire un referendum consultivo popolare? Non si rischia, come ha fatto notare l’ex presidente Cappellacci nel suo intervento, di dilatare i tempi? Nello strumento referendario ci sono pro e contro. Di sicuro, chi promuove il referendum sta dando per scontata la necessità di trovare nell’opinione pubblica e nella piazza una sponda determinante.

E allora a questo punto, visto che la manifestazione di sabato ha già avuto l’adesione di Sel e perfino del Pd, perché non immaginare a Capo Frasca la presenza di Pigliaru e della sua giunta? Dopo l’intervento di questo pomeriggio sarebbe la cosa più logica da fare.

***

Questo è il testo integrale del discorso tenuto questo pomeriggio dal presidente Pigliaru in Consiglio regionale.

Signor Presidente, onorevoli consiglieri,

ho chiesto questa riunione urgente del Consiglio perché chi guida le istituzioni ha il dovere di svolgere al meglio le sue funzioni nei luoghi deputati a ciò. Io non ho mai pensato che chi governa debba interpretare contemporaneamente la protesta e il governo. Chi governa deve governare e, nel governare, deve saper interpretare anche i bisogni di chi protesta. Senza inutile e dannosa demagogia. Vogliamo arrivare, in questo tema come in altri, a risultati concreti. Sappiamo che per farlo servono disciplina, fatica, capacità, osservazione, forza, coesione. Persino chi vive di pregiudizi dovrebbe ricordare che ciò che noi vogliamo è stato detto con chiarezza e che ogni richiesta contingente è esclusivamente finalizzata a gestire l’emergenza per consentire di riprendere, immediatamente, il sentiero che ben conosciamo e che abbiamo condiviso.

Quando nel 1981 Mario Melis intervenne come Assessore dell’Ambiente nella prima Conferenza regionale sulle Servitù Militari, fece precedere le sue valutazioni sul caso specifico delle servitù in Sardegna da alcune considerazioni generali sulla pace e sull’art.11 della Costituzione, per poi disegnare la cornice politica su questo tema. Cornice che è rimasta invariata per tutti questi anni, da allora fino ad oggi, e che è così semplicemente riassumibile: la Sardegna paga e ha pagato un prezzo troppo alto rispetto alle altre regioni d’Italia e, direi, d’Europa, per concorrere alla difesa e quindi alla pace.

Ebbene, al netto del ritiro degli americani dalla Maddalena, che ha avuto ragioni del tutto particolari, dovute prevalentemente ad un cambio della strategia militare dopo la caduta del muro di Berlino, tre poligoni c’erano allora e tre poligoni ci sono ancora oggi.

Ci si dovrà per lo meno chiedere che cosa la politica deve cambiare nel proprio modo di agire per non lasciare in campo questa situazione che nessuno finora è riuscito a mutare. Non tutti i presidenti della Regione hanno infatti aperto un conflitto istituzionale con lo Stato per i poligoni.

Noi lo abbiamo fatto da subito. Lo abbiamo fatto senza fanfare, senza gagliardetti, senza esibizioni. Abbiamo negato qualsiasi assenso alle servitù militari in Sardegna e l’abbiamo fatto in sede istituzionale, aprendo un conflitto che intendo proseguire se non si giunge a un accordo serio. E in questo momento siamo ulteriormente confermati in questa posizione dall’insofferenza e il disagio espressi sempre più dall’opinione pubblica nella nostra regione.

Intanto i fatti. Il 3 e il 4 settembre nel poligono di Capo Frasca è accaduto un grave episodio che esplicita il conflitto di interessi civili e politici che in questo momento intercorre tra la Regione e il Ministero della Difesa. E siamo qui oggi, per nostra richiesta, perché i conflitti tra istituzioni richiedono un pieno coinvolgimento di tutte le istituzioni.

Il 3 e 4 noi c’eravamo e sappiamo esattamente che cosa è successo e useremo questa conoscenza in tutte le sedi in cui è possibile declinare il conflitto in atto. Questa volta la Regione c’era, non era altrove. Questa volta la Regione ha atti che delimitano i fatti e che non sono smentibili. Il 3 e il 4 era in corso un’esercitazione per la quale l’aviazione tedesca ha pagato per far sì che i suoi aerei potessero sparare a Capo Frasca. Siamo cioè nella situazione in cui lo Stato italiano prende dei soldi da forze armate straniere che scaricano il loro materiale da esercitazione sul nostro territorio.

La Difesa, è un fatto, intasca soldi per attività che impongono costi al territorio che le ospita, e quei costi, in gran parte, la Difesa fa finta che non esistano, non li valuta in modo realistico. Questo è sempre più inaccettabile. Gli incendi sono stati due e si sono sviluppati in due giorni. Il giorno 3 settembre, l’incendio si è sviluppato intorno alle ore 13.35 e ha interessato una superficie di circa un ettaro. Sono intervenuti un elicottero del servizio antincendi regionale, proveniente dalla base di Fenosu; a bordo dell’elicottero è giunto sul posto un forestale che ha curato il coordinamento dell’intervento aereo. È intervenuta inoltre una pattuglia del Corpo forestale con un automezzo dotato di acqua.

Il 4 settembre, l’incendio si è sviluppato alle ore 13.35, e ha interessato una superficie di circa 32 ettari di macchia mediterranea con prevalenza di palma nana e lentisco. Sull’incendio è intervenuto lo stesso personale del giorno precedente e l’elicottero che ha effettuato numerosi lanci nell’arco orario compreso fra le ore 14.25 e le 18.45, compreso il tempo di un rientro in base per il rifornimento di carburante.

La richiesta di intervento per il giorno 4 settembre è pervenuta al Centro operativo provinciale di Cagliari del Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale direttamente dal comando della base di Capo Frasca. L’intervento di spegnimento per la parte via terra si è protratto fino a quando non si sono verificate delle deflagrazioni a terra, una delle quali a una distanza di circa 50 metri dalla posizione della pattuglia del Corpo forestale. A quel punto, al personale intervenuto a terra per lo spegnimento è stato ordinato di interrompere le operazioni a terra e di riferirne, come poi è avvenuto, al magistrato competente della Procura di Cagliari.

Un’osservazione: il personale del Corpo forestale giunto sul posto è stato fatto entrare da personale militare all’interno del poligono, ma non affiancato nelle operazioni di spegnimento, nonostante esplicita richiesta. Il mancato affiancamento del personale del Corpo Forestale da parte dell’Aeronautica Militare, dovuto all’indisponibilità di adeguate risorse di operatori e mezzi antincendio, ha costretto gli uomini del Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale ad intervenire in condizioni di incertezza sulle effettive condizioni di sicurezza. In conclusione, per due giorni sono bruciati circa 33 ettari, in gran parte di macchia mediterranea, l’elicottero ha effettuato 86 lanci e da una prima stima, il costo dell’intervento dell’apparato antincendi regionale è di circa 20.000 euro, che verrà ovviamente fatturato al Ministero della Difesa Italiana. E sono costi al netto dei danni ambientali che dovranno essere valutati con attenzione.

Dal 1998 ad oggi, cioè in soli 16 anni, non c’è stato anno in cui dai poligoni non siano partiti incendi; solo a Teulada sono andati in fumo 440 ettari di ettari di bosco. Nessuno può negare che i poligoni generano un pericolo per la Sardegna, da questo punto di vista in particolare. Sono fonte di incendi.

E allora occorre fare un altro ragionamento. I territori che costituiscono un poligono militare del Ministero della Difesa della Repubblica Italiana, assoggettati alle normative internazionali per quanto riguarda l’uso esercitativo dei sistemi d’arma, sono altresì soggetti alle disposizioni generali – che valgono per l’intero territorio della Regione Sardegna – relative alla prevenzione degli incendi boschivi.

Qualunque “incendio”, così come definito dalla L. 353/2000, che si sviluppi durante il periodo di grave pericolosità stabilito dalle Prescrizioni regionali antincendio deve essere affrontato dal sistema di lotta regionale. Considerate tuttavia le particolari condizioni giuridiche di detti territori, l’intervento delle squadre di lotta dentro i poligoni, e in particolare nelle aree interdette, è sempre stato problematico.

Per ovviare a tale problema, i Comandi militari dei poligoni di Teulada e Perdasdefogu, nel corso degli anni, hanno provveduto ad organizzare dei propri servizi di pronto intervento per il rapido spegnimento. Spesso però l’incendio sfugge alla loro capacità di controllo e direi che Capo Frasca è un clamoroso esempio di questa situazione, e normalmente è richiesto l’intervento aereo o terrestre della struttura di lotta antincendi regionale. Si comprende, quindi, come in tale situazione talora l’incendio sfugga e giunga a propagarsi fino all’esterno dei poligoni.

Dati questi presupposti, ho dato disposizioni perché il Corpo Forestale intensifichi il servizio di sorveglianza intorno ai poligoni al fine di tutelare e salvaguardare le popolazioni e l’ambiente della Sardegna.

A questo proposito, poiché è apparso chiaro che le misure applicate dalle Forze Armate nelle aree in parola per la prevenzione dagli incendi ed il contenimento dei medesimi non risultano adeguate per limitare e contenere il fenomeno e poiché si tratta di aree a regime speciale, l’assessorato dell’Ambiente sta lavorando a un’integrazione delle “Prescrizioni regionali antincendio”: la normativa, cioè, sarà adeguata alla possibilità di costruire piani specifici per le aree gravate da servitù militari. Significa che nel periodo dal primo giugno al trenta settembre le Forze Armate dovranno sottostare alle nostre misure di prevenzione e contenimento degli incendi.

Questo incidente, le modalità con cui è stato affrontato, il forte turbamento che ne è scaturito nella nostra popolazione, rafforzano la nostra convinzione che la prospettiva non può più essere incerta: la Sardegna esige da tempo e ribadisce con la massima forza in questo momento una diminuzione significativa delle servitù che si realizzi in questa legislatura. Sappiamo che per ottenerla dobbiamo combattere con le armi legali e politiche del confronto istituzionale e, ove necessario, con gli strumenti del conflitto istituzionale, non con manifestazioni verbose e inconcludenti come nel passato è speso capitato.

Quarant’anni di opposizione a tutto campo, con la richiesta di dismissione immediata, non hanno portato a nessun risultato. La strategia portata avanti da questa giunta, che punta all’attivazione di una procedura negoziale che porti ad un riequilibrio con l’obiettivo della graduale dismissione dei poligoni, è quella uscita quest’Aula, che ha dato mandato alla Giunta, con un Ordine del giorno votato all’unanimità. Stiamo eseguendo il mandato che ci è arrivato dal Consiglio. Abbiamo individuato le modalità precise, abbiamo individuato un percorso che porti a risultati concreti e lo stiamo seguendo. Obiettivi perseguibili, non utopie che nel presente contesto legislativo non sono in alcun modo realizzabili.

A giugno, prima in Commissione Difesa e poi alla Conferenza nazionale sulle servitù, abbiamo portato una posizione chiara e forte, con l’Ordine del giorno di questo Consiglio, approvato all’unanimità, che ci ha impegnato a proseguire le interlocuzioni con il Governo, sino ad arrivare eventualmente alla stipula di un’Intesa i cui contenuti dovranno essere preliminarmente illustrati al Consiglio Regionale e da questo approvati. Al centro dell’accordo da raggiungere attraverso questo percorso è il sancire l’impegno del Governo verso un riequilibrio del gravame militare, attraverso la previsione di una progressiva diminuzione delle aree soggette a vincoli, la dismissione di alcuni poligoni e la riconversione di altri.

Sono queste le posizioni riportate e ribadite in Conferenza, posizioni che ci hanno portato a non firmare un’intesa che non volevamo firmare in quei termini. In quell’occasione abbiamo chiesto giustizia, correttezza delle regole, certezza dei diritti, equa distribuzione dei doveri ricordando che si tratta della base stessa del patto costituzionale.

In questi poco più di due mesi, abbiamo fatto incontri interlocutori per preparare l’apertura del tavolo concordato con il Ministero della Difesa in sede di quella Conferenza. La immediata interruzione di tutte le esercitazioni militari per l’intera stagione turistica, per esempio, e l’istituzione di Osservatori indipendenti di monitoraggio ambientale all’interno dei Poligoni sono i punti di partenza di qualunque trattativa e come tali devono essere interpretati. Punti di partenza e non di arrivo, come qualcuno ha maliziosamente interpretato. Punti di partenza e non di arrivo, come abbiamo scritto qualche giorno fa al Ministro della Difesa esprimendo tutta la nostra contrarietà per i fatti di Capo Frasca.

Il Ministro ci risponde oggi comunicandoci la sospensione delle esercitazioni sino al 15 settembre. Una risposta che apprezziamo per la tempestività, che interpretiamo come un’apertura di dialogo per quanto timida, ma che non può soddisfarci nella sostanza e che di nuovo mostra una difficoltà da parte del Ministero a valutare adeguatamente il sentimento diffuso nella popolazione sarda verso lo stato attuale delle servitù militari.

A questo proposito valuteremo tutte le azioni percorribili, a partire dalla possibilità di presentare formalmente richiesta di riesame da parte del Consiglio dei Ministri del provvedimento di approvazione del Ministro della Difesa dei programmi di impiego dei poligoni sardi per il secondo semestre 2014. E ciò, anche alla luce di quanto appena successo, è ancor più necessario per l’alto e acclarato rischio di incendi.

Porre queste richieste di nuovo – voglio sottolinearlo – non significa rinunciare alla prospettiva, bensì aprirla. Come abbiamo detto, siamo al governo e non all’opposizione, dobbiamo seguire percorsi istituzionali. Alcune cose, come queste, possiamo ottenerle immediatamente, altre le dobbiamo perseguire con decisione e fermezza. Questa mattina sono entrato nel poligono di Capo Frasca e la visita non fa altro che confermare che la Sardegna in tutti questi anni ha pagato un prezzo altissimo. In tempi di spending review, dove si taglia su tutto, l’unica cosa su cui non si taglia sono le servitù militari localizzate nella nostra regione.

E allora, proprio con quella decisione e con quella fermezza, chiediamo allo Stato italiano un forte riequilibrio in termini non generici, in tempi certi e secondo percorsi chiari. Siamo ragionevoli e non chiediamo la dismissione di tutto immediatamente, ma siamo pronti a sederci a quel tavolo e la nostra richiesta è molto semplice, chiara e incomprimibile: la dismissione in tempi rapidi del poligono di Capo Frasca e l’immediata definizione dei tempi e delle modalità della riduzione e della successiva dismissione del poligono di Teulada. Stiamo parlando delle richieste definite dalla Commissione d’inchiesta del Parlamento italiano e che rileggiamo nell’ordine del giorno votato all’unanimità.

Intanto affermiamo che per la Regione Sardegna la servitù di Santo Stefano a La Maddalena è scaduta il 3 marzo e noi ci opporremo in ogni sede a qualsiasi tentativo di reiterarla. Per intanto, il Corpo Forestale presidierà da subito l’area intorno al deposito dell’isola, per evitare ogni rischio possibile di incendio in un’area così sensibile. Santo Stefano, per noi, è legalmente nostra e questo grazie all’azione svolta dalla giunta del 2004 guidata da Renato Soru.

A questo punto, il primo tassello da mettere in campo è la conoscenza dei fatti. È paradossale che ad oggi non esista una stima in Regione, una misurazione sostenibile e difendibile, del costo che la Sardegna sta pagando per le servitù militari. Per avere ragione bisogna scrivere la sete di giustizia in numeri, dati, immagini, bisogna rendere evidente la verità. Ciò permetterà la valutazione dei costi da mancati sviluppi alternativi dei Comuni nei quali insistono i Poligoni, una valutazione da svolgersi secondo standard scientifici internazionali.

Intendo perciò convocare insieme a voi la seconda Conferenza regionale delle Servitù militari, in modo da aumentare la coscienza del nostro diritto e la conoscenza dei fatti, in modo da poterci confrontare con tutte le rappresentanze politiche, sociali ed economiche e predisporre una modalità concreta di muoverci col popolo, sostenuti dal popolo, nel confronto istituzionale in corso.

One Response to Pigliaru e la Giunta regionale partecipino alla manifestazione di Capo Frasca

  1. admin scrive:

    Da La Nuova Sardegna on line mercoledì 10 settembre 2014
    Le proteste della Regione
    e il silenzio delle stellette
    di Luciano Marrocu

    I fatti di questi giorni dimostrano che ai militari non si comanda e che decidono loro dove, quando e come fare le loro guerre per finta
    Alle proteste dei sardi, primo fra tutti il presidente della Regione Francesco Pigliaru, per le indiscriminate esercitazioni sul loro territorio, gli alti comandi militari hanno risposto con una distratta alzata di spalle. Il silenzio ufficiale, per nulla imbarazzato, che gli alti comandi dell’esercito e il “loro” ministro Roberta Pinotti hanno opposto alle prese di posizione di vasti settori dell’opinione pubblica sarda dice sostanzialmente questo: che ai militari non si comanda e che lo decidono loro dove, quando e come fare le loro guerre per finta. Se poi avviene che queste guerre simulate si svolgono al settanta per cento in Sardegna, lasciando sul terreno schifezze di ogni genere, questo è perché i sardi, un tempo “ottimo materiale di guerra”, abitano una terra che con i suoi ampi spazi, le sue spiagge deserte etc. etc. sembra fatta apposto per le esercitazioni militari. Quanto al ministro Roberta Pinotti, ha lasciato intendere come la pensava quando, in missione in Sardegna per visitarne gli arsenali, non ha trovato il tempo per concedere ai nostri rappresentanti neppure una visita di cortesia. Si tratta, come ha scritto Piero Mannironi sulla “Nuova Sardegna”, di un “problema complesso e irrisolto.” È chiaro a tutti che, sino a quando gli arsenali non si saranno per miracolo trasformati in granai, le forze armate dovranno godere di uno status particolare, legato alla particolare funzione che svolgono. Avviene però che la specialità di questo status sia profondamente mutata con l’avvento della democrazia repubblicana. Sino al secondo dopoguerra era in sostanza la Corona (con forti limitazioni durante il fascismo) a nominare i vertici dei dicasteri militari. Questo a significare come tutto ciò che riguardava la guerra dovesse essere sottratto al controllo e all’influenza di governo e Parlamento, della politica insomma, e rientrare in un ambito dove anche le forme, lo stile, i rituali dovevano mantenere il sapore e i colori dell’ antico regime. Tanto più la guerra diventava crudelmente moderna, coinvolgendo gruppi sempre più larghi di esseri umani, tanto più essa doveva rimanere sotto il controllo di una élite di tipo castale. Responsabile per altro, questa élite, di prove miserande, da Caporetto a quella “morte della patria” dell’8 Settembre a cui gli alti comandi militari italiani, in rinnovata sintonia con la Corona, diedero il loro decisivo contributo. Con l’avvento della Repubblica tutto sarebbe dovuto cambiare e molto in effetti cambiò. Per due ordini di motivi. Subendo le regole e le forme di una democrazia parlamentare, le forze armate cessavano di essere quel corpo separato, fin troppo orgoglioso della sua specialità, che era stato anche, forse soprattutto, in epoca prefascista. Ancora più importante il fatto che, dall’immediato secondo dopoguerra in poi, esercito, marina e aviazione vennero chiamate a integrarsi all’interno di strutture multinazionali. La stessa funzione primaria delle forze armate, la difesa dei confini nazionali, veniva ripensata in una chiave nuova e affidata in misura maggior che nel passato all’inserimento dell’Italia in un sistema di alleanze internazionali. Ha fatto bene il presidente della Regione ad alzare la voce con il ministro della Difesa Roberta Pinotti, ponendo insieme al concretissimo problema dei danni non solo ambientali che le esercitazioni militari provocano alla Sardegna anche quello della grave limitazione dell’autonomia che esse, quando non contrattate, comportano. Non dimenticando però che al fondo della questione c’è il problema, tutto nazionale e non del tutto risolto, di ridisegnare in un contesto democratico il ruolo delle forze armate.

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