in giro con la lampada di aladin su autonomia, specialità e dintorni…

like Picasso copiaaladin-lampada3-di-aladinews312 – Sardegna perinde ac cadaver. Come stiamo perdendo la nostra autonomia speciale nell’indifferenza (quasi) generale.
by vitobiolchini
- L’autonomia sarda rischia la cancellazione. Mauro Pili su L’Unione Sarda.
- Mauro Pili grida “al Lupo!”. Ma Cappuccetto Rosso è stato già sbranato dal branco. Andrea Pubusa su Democraziaoggi. - segue -

Vito-Biolchin-occhialiniiSardegna perinde ac cadaver. Come stiamo perdendo la nostra autonomia speciale nell’indifferenza (quasi) generale
by vitobiolchini

Il treno delle riforme costituzionali corre veloce. Passa una volta ogni cinquant’anni e oggi la Sardegna rischia clamorosamente di perderlo. Con quali effetti? Nefasti. La nostra autonomia speciale è a rischio: non perché in cambio avremo uno statuto migliore, più moderno e più sovranista (cioè con maggiori poteri di autogoverno) ma perché diventeremo come tutte le altre regioni, cioè una regione ordinaria e per di più in un nuovo sistema politico e istituzionale fortemente accentrato. Non vedremo rispettate né la nostra storia né la nostra condizione geografica, e in un parlamento dimezzato sarà dimezzata anche la nostra capacità di far valere le nostre ragioni.

Il rischio che la Sardegna perda la sua autonomia è reale e concreto, e basta parlare con i nostri parlamentari per rendersene conto. L’ultimo allarme l’ha lanciato Mauro Pili (“L’autonomia sarda rischia la cancellazione”) ma la sua è una delle poche voci che gridano nel deserto.

Senza l’autonomia non avremo più alcun strumento formale per opporci all’assalto dei grandi interessi delle multinazionali dell’energia, né per chiedere lo smantellamento delle servitù militari, o di chiedere che venga colmato il gap di sviluppo con il resto del paese. Un’isola così grande e sempre meno popolata, senza uno statuto di rango costituzionale (quale è quello tuttora vigente) in grado di difenderci, sarà condannata a subire passivamente le grandi scelte strategiche prese dal governo nazionale italiano su qualunque tema. Qualunque.

La situazione è drammatica ma l’opinione pubblica sarda ancora non se ne è accorta. C’è anzi chi segretamente lavora per la fine definitiva dell’autonomia, sperando stoltamente che una maggiore condivisione con le sorti dello stato italiano possa metterci al riparo dalla crisi, oppure perché porta a sostegno di una nuova “perfetta fusione” l’inadeguatezza delle nostre classi dirigenti, come se queste non fossero state in questi decenni una diretta emanazione di quella stessa politica italiana a cui adesso vorremmo affidarci totalmente, perinde ac cadaver.

Il momento è drammatico anche per i sovranisti e per gli indipendentisti che hanno sempre considerato la statuto di autonomia superato se non addirittura dannoso. Si tratta di decidere se giocare in difesa (cioè tutelare con le unghie e con i denti lo statuto del ’48 ritenendo che non ci sono le condizioni politiche per puntare ad una sua revisione e ad una estensione dei nostri poteri di autogoverno) oppure se andare all’ attacco e mobilitare la politica e la società sarda in maniera da scrivere in tempi rapidi un nuovo statuto, più adatto alle nostre esigenze e a quel modello di sviluppo sostenibile che in tanti da tempo chiedono.

L’impressione (terribile) è che al momento non ci siano le forze né per difenderci né per attaccare.

Se non vogliono passare alla storia come gli affossatori dell’autonomia, la giunta Pigliaru e questo consiglio regionale possono e devono avere un ruolo determinante. Il documento sulla riforma dello statuto esitato dalla prima commissione Autonomia è però evidentemente insufficiente, da esso non traspare il senso di urgenza che invece comunicano i nostri parlamentari.

Dicendo no alla firma sul protocollo d’intesa sulle servitù militari il presidente Pigliaru ha inaugurato un nuovo modello di rapporto con lo Stato: potrà essere replicato per opporsi al rischio di morte dell’autonomia? Urge una risposta in tempi rapidissimi.

Poi ci sono i sovranisti che fanno parte di questa maggioranza e sono presenti nella giunta Pigliaru. In che misura combatteranno la battaglia per la specialità? Sarà per loro una questione dirimente nei rapporti con gli altri partiti (specialmente il Pd) e nella valutazione di questa giunta o prenderanno atto dei rapporti di forza e accetteranno senza alcuna conseguenza politica il più che probabile esito nefasto della riforma all’esame del parlamento italiano?

Poi ci sono gli indipendentisti, quelli che hanno sempre considerato l’autonomia una sciagura. Preferiranno combattere per questo statuto (che almeno riconosce la natura pattizia del rapporto fra Sardegna e Italia) oppure favoriranno il suo svuotamento? E in questo caso, quale sarà la loro battaglia politica e con chi la condurranno? Sardegna Possibile e Progres dovranno presto schierarsi.

I due appuntamenti organizzati lo scorso mese di giugno a Cagliari dalla Fondazione Sardinia, dall’associazione Carta di Zuri e da Sardegna Soprattutto hanno dato un quadro chiaro della situazione. Chi (come il sottoscritto) pensava che ci fossero i margini per chiedere la convocazione di una assemblea costituente si è dovuto repentinamente ricredere: quell’opzione è impraticabile.

Così come bisogna prendere atto che i politici che maggiormente si stanno impegnando per difendere l’autonomia sarda fanno parte di tre partiti che si dichiarano incompatibili tra di loro: il deputato di Unidos Mauro Pili, il senatore di Sel Luciano Uras, il senatore del M5S Roberto Cotti.

Questo cosa significa? Che questa situazione non può essere affrontata con il paraocchi della campagna elettorale e che si dovranno per forza aprire scenari nuovi. Che il Pd non stia brillando in difesa dell’autonomia speciale sarda è, al momento, un dato di fatto di cui bisogna prendere atto.

La situazione dunque è estremamente difficile. Eppure questa in difesa della nostra specialità è l’unica battaglia che merita di essere combattuta dalla nostra classe dirigente e politica. Siamo veramente ad un crocevia della storia isolana, esattamente com’è stato nel 1948. Solo che stavolta non faremo un balzo in avanti ma rischiamo di farne cento indietro. Nell’indifferenza generale.

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democraziaoggi Mauro Pili grida “al Lupo!”. Ma Cappuccetto Rosso è stato già sbranato dal branco.
8 Luglio 2014
di Andrea Pubusa su Democraziaoggi

Che Mauro Pili sia un combattente è sicuro. Anche se spesso le sue son battaglie sbagliate o già perse, se entra in campo quando tutto è finito e intorno ci sono solo morti e macerie. E’ il caso del suo allarme contro i propositi assassini della specialità delle Regioni differenziate, come la Sardegna.
Caro Mauro, la specialità è morta e sepolta. Lo è nella dottrina giuridica, dove da qualche decennio la communis opinio, come dicono i giuristi, l’opinione comune, salva qualche voce isolata, è che la specialità sia un anacronistico privilegio accordato ad alcune regioni per far clientela e inutili sprechi. Vuoi una conferma? Chiedi lumi all’assessore regionale alle Riforme che ben conosce queste cose, essendo un dotto costituzionalista. E ben lo sa Pigliaru e quanti lo hanno preceduto, anche perché la specialità è stata uccisa normativamente con la riforma dell’originario titolo V della Costituzione. Obietterete: ma gli Statuti speciali rimangono, ed è vero. Tuttavia, caso forse unico nei moderni stati costituzionali, possono avere poteri speciali anche le regioni …non speciali e, per sapere se residua qualche potere in più alle regioni differenziate, occorre desumerlo da una complicata interpretazione del combinato disposto del nuovo titolo V e di ciò che resta degli Statuti speciali. Un guazzabuglio!
Chi dunque l’assassino? Basta vedere chi ha riformato il titolo V e come lo ha fatto, e basta indagare su chi ha sostanzialmente lasciato fare. La banda è sempre la stessa, quella che forma il governo allargato di oggi dal PD a FI. Non solo: per rendere oscuro e misterioso l’assassinio hanno inferto tutti un colpo di pugnale, come usa nei patti scellerati. Come fa il branco.
Ma la morte della specialità è opera anche delle forze interne alla Sardegna, che non hanno saputo inverarla. Forse l’ultimo tentativo in questo senso può farsi risalire alla giunta di sinistra e sardista presieduta da Mario Melis, benché anche allora la Commissione speciale presieduta da Francesco Cocco non partorì alcunché per l’ottusa opposizione della DC. Rimase però lo sforzo di elaborazione come arricchimento culturale, che poteva essere ripreso e tradotto in iniziativa legislativa anche di rango costituzionale. Poi si è volato sempre più basso fino a planare e ora ad inabissarci. Ed è di questo gridare senza pensiero, senza elaborazione, ed è di questo emettere parole forti senza senso che oggi approfitta Renzi, d’intesa col pregiudicato n. 1, per dare il colpo di grazia. Vengono colpite anche quelle forze regionali, del centro Italia e del Nord, che hanno teorizzato la “questione settentrionale” in contrapposizione a quella meridionale e che, insieme alla sostanziale cancellazione della specialità nel nuovo titolo V, hanno anche eliminato il riferimento alla questione meridionale, con la modifica dell’art. 119 Cost. Così è stata cancellata per legge una questione, quella meridionale, insieme a quella delle regioni insulari e di confine (specialità regionale), frutto della migliore cultura italiana, da Gramsci a Sturzo, da Salvemini a Lussu, da Giustino Fortunato a Rossi Doria. E’ stata fatta violenza alla storia, alla cultura e alla realtà. E il duo Renzi-Berlusconi oggi completano l’opera, con l’appoggio di tutti, perfino dei sovranisti locali, quantomeno di quelli alleati fedeli e servili del PD e di FI. Perfino Sale, pardon! l’on Sale, è fra loro.
S’aggittoriu di Pili giunge dunque tardivo e senza intelocutori fra le forze presenti in Consiglio regionale. Per la difesa della Costituzione rimane l’opposizione dei “professoroni”, riuniti in Comitato, e quella del M5S, unitamente a Il fatto quotidiano, che sulla difesa della Costituzione si è molto speso in passato, raccogliendo molte firme, e oggi lanciando una nuova campagna. Occorre allargare il fronte e non mollare.