in giro con la lampada di aladin per l’Europa

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23 Maggio 2014
di Red su Democraziaoggi

democraziaoggiIn vista delle elezioni del Parlamento europeo Democraziaoggi avvia una riflessione sulle criticità dell’Europa, a partire dall’evidente deficit democratico.

Si avvicinano le elezioni per il Parlamento europeo, e un parlamento, si sa, evoca l’idea della democrazia. Però quasi tutti riconoscono un serio deficit di democrazia a livello europeo. Le istituzioni europee, alcuni leader politici anche sinceramente europeisti, e la maggior parte dei commentatori continuano a sostenere la necessità di delegare maggiori poteri al livello sopranazionale — soprattutto più poteri al parlamento di Strasburgo, ma nessuno crede che questo risolva la questione democratica nel Vecchio Continente, I critici dell’Europa, anche quelli più duri, in realtà criticano questa Europa, ma non l’idea europeista in sé. Vogliono un’altra Europa.
La prima elezione diretta del parlamento europeo, nel 1979, aveva suscitato la speranza che una forte partecipazione al voto avrebbe fornito la necessaria legittimazione democratica. Il 10 febbraio 1977, parlando al Parlamento italiano in occasione del dibattito per la ratifica della Convenzione per le elezioni dirette del Parlamento Europeo (PE), Altiero Spinelli aveva detto: “Se la parola “popolo” significa un insieme di uomini che sono e che si sentono partecipi di comuni istituzioni, attraverso le quali esprimono e cercano di realizzare impegni comuni, con questa elezione diretta assisteremo alla nascita del “popolo europeo”. Eppure l’elezione diretta del Parlamento Europeo e l’aumento continuo dei poteri del PE è stato accompagnato da una parallela, costante diminuzione del tasso di partecipazione alle elezioni europee.
1979—> 63% (Italia 85,5%)
1989—>58,5% (Italia 81%)
1994—>56,8% (74% in Italia)
1999 sotto 50% (30% Paesi bassi )
Il trend negativo è continuato nelle elezioni successive fino al 43,08% del 2009, e il 25 maggio prossimo l’astensione sarà il dato più significatico. E tutto questo, nonostante lo stanziamento da parte del PE di fondi considerevoli per le relazioni pubbliche.
Quali le radici del deficit democratico? Tante, ma due su tutte:
a) la mancanza di equilibrio tra le istituzioni europee e la presenza di decisori esterni;
b) ma, ancor prima, negli stessi metodi di integrazione seguiti per oltre mezzo secolo.
Il cosiddetto “metodo comunitario” affida il monopolio dell’iniziativa legislativa ad un organo esecutivo, la Commissione, privo di legittimazione democratica. Ha prevalso la strategia di Monnet del fatto compiuto, che rende inutili discussione ed opposizione, e che ha prodotto, tra l’altro, un unicum nella storia delle democrazie moderne — un’unione monetaria senza unione politica; c’è poi poca trasparenza dei processi decisionali, e mancano idonei meccanismi per valutare le responsabilità dei diversi attori;
c) infine, lo squilibrio sempre più pronunciato tra l’ampiezza dei compiti affidati alla UE e la limitatezza delle sue risorse normative.
Nessuno di questi difetti strutturali può essere corretto aumentando i poteri del Parlamento europeo. Al contrario, è la legittimità dello stesso parlamento sopranazionale che oggi viene messa in dubbio: una sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 30 giugno 2009- – che ha costretto il Bundestag a riscrivere la legge di ratifica del Trattato di Lisbona in senso più restrittivo per quanto concerne il trasferimento di nuovi poteri alla UE — parla esplicitamente di “deficit democratico strutturale” di cui soffrirebbe il PE.
Ma non basta, c’è dell’altro: non sembra che gli scopi della costruzione europea si siano realizzati in modo soddisfacente. Quali, in estrema sintesi, le finalità per la quale l’Europa è stata pensata e realizzata? Fin dal primo dopoguerra alcuni spiriti nobili hanno pensato di por fine delle guerre fratricide del passato. Questo proposito si è poi rafforzato nel corso della seconda guerra mondiale. La fine degli stati nazionali con una federazione europea è la creazione di un mercato unico sono parsi gli strumenti più idonei per la pace e il benessere nel vecchio Continente.
In realtà non ci cono state guerre negli ultimi decenni. Ma forse quelle non ci sarebbero state comunque, come ha affermato più d’un osservatore. Ma nel 1991 nella crisi jugoslava la guerra c’è stata e l’incapacità dell’Europa è stata evidente, tant’è che è stato chiesto l’intervento degli USA; l’accordo di Dayton del novembre 1995 tra serbi,croati e musulmani non ci ha visto protagonisti. Nel 1999 in Kossovo è stato chiesto ancora l’aiuto militare Usa alle condizioni degli americani (guerra aerea). La proclamazione unilaterale dell’indipendenza Kossovo ha costituito un vero e proprio “scacco dell’Europa”. L’Europa è del tutto ininfluente nel nuovo ordine mondiale. E’ del tutto delegittimato il Ministro degli esteri europeo, come si vede anche nella crisi Ucraina..
La crisi economica poi mina il benessere. La crescita abnorme della disoccupazione e la deindustrializzaione sono sotto gli occhi di tutti. Vien meno il Welfare con la privatizzazione dei settori remunreativi anche nei servizi. Risorse fondamentali come l’acqua e perfino i centri di cultura rischiano di essere assorbiti in questo vortice in cui i grandi gruppi finanziari assorbono tutto ciò che può dare profitti.
Il deficit democratico produce crisi economica e deficit di benessere, anzi vera e propria sofferenza sociale. E’ l’intero progetto europeo, pertanto, che deve essere ripensato con l’aiuto di strumenti analitici nuovi, e dopo una seria riflessione critica sulla qualità dei risultati ottenuti finora. Ma di questo un’altra volta.

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