Sardegna, a ciascuno il suo silenzio

VIETATO PARLARE
(Pigliaru non spiega: almeno ascolterà?)
di Vito Biolchini *

E all’improvviso scese il silenzio. Se nei sette mesi che hanno preceduto il voto una febbre aveva colpito la Sardegna, scuotendola quotidianamente con migliaia di post riguardanti la campagna elettorale e i suoi principali candidati, parole rilanciate sui siti, sui blog e sui social network in maniera quasi compulsiva, dall’elezione di Francesco Pigliaru tutto questo si è arrestato.

La politica è tornata ad essere argomento di pochi e per pochi. Nessuna riflessione pubblica. Lo spettacolo è finito, i macchinisti hanno smontato le scenografie e al posto dei riflettori, ad illuminare là dove prima era la scena, ora c’è solo in lampione, con la sua luce tremolante, a levare dal buio ad intermittenza pezzi di realtà.

Forse ai cittadini-tifosi interessava solo la gara: si levano gli striscioni dalle curve, chi ha vinto si gode il trionfo, gli altri vanno a leccarsi le ferite in silenzio. Ma la politica è (ma a questo punto sarebbe giusto dire “dovrebbe essere”) un’altra cosa. Perché proprio adesso viene venire il bello, e adesso ci sarebbe bisogno di controllo, di stimolo, di idee, di dibattito e di confronto.

Le dichiarazioni programmatiche del presidente non hanno suscitato alcun tipo di commento nel due quotidiani isolani: niente di niente. Pigrizia, inadeguatezza, prudenza, accondiscendenza eccessiva nei confronti dei nuovi potenti? Chissà.

Tace la chiesa, parlano il meno possibile i sindacati, si defilano gli accademici: a ciascuno il suo silenzio. C’è quello dei sudditi e quello degli ignavi, quello degli interessati e quello degli impauriti (parlare di politica è facile, ragionare sulla politica è diverso e comporta dei rischi evidenti).

Per fortuna che altrove, nel mondo della rete (spesso vituperato: ma per fortuna che esiste) a chi si è permesso di far notare i limiti (evidenti) di un ragionamento scarno di spunti politici e colpevolmente omissivo su temi centrali quali l’agricoltura, l’energia, la cultura, la lingua sarda, le servitù militari, il rapporto con lo Stato e la riforma del Titolo V (e qui ci fermiamo), l’obiezione è arrivata secca: “L’avete votato? Adesso tenetevelo, e peggio per voi”. Come se il consenso dato col voto fosse per sempre e l’azione politica non fosse invece il frutto dialettico del confronto tra istituzioni, partiti, opinione pubblica e soggetti portatori di interessi.

Forse che anche in Sardegna il voto è inteso come un bagno purificatore che sana tutte le contraddizioni e le incongruenze della politica e dei suoi rappresentanti? Che sia morto quello che una volta si chiamava “controllo democratico”?

Sono tante le emergenze e i limiti dell’isola, ma fra i più gravi c’è questa afasia che ci prende quando bisogna seriamente parlare di politica, ovvero di cose serie.

Eppure pretendere che la Sardegna esca dalla sua crisi nel silenzio è come sperare che un bambino cresca sano senza che nessuno mai gli rivolga la parola, è come credere che una famiglia risolva i suoi problemi senza mai riunirsi per discuterne.

La solitudine della politica è amplificata dalla debolezza delle nostre strutture informative e da una opinione pubblica fragile. Servono più luoghi di confronto, più liberi e più aperti. Perché la politica cresce nella discussione, nel confronto anche aspro, nella dialettica (qui invece le categorie di “politico” e “personale” coincidono, e al critico impenitente alla fine il candidato toglie perfino il saluto)

In Sardegna non esiste una “società politica”, forse è presente non in maniera embrionale oppure ha un ruolo marginale, una vita sotterranea. Ci mancano tante cose in Sardegna, ma ci mancano soprattutto le parole: senza le quali i famosi “fatti” evidentemente non arriveranno mai.

È chiaro però che c’è anche chi parla: vox clamans in deserto, quasi sempre. Parole che cadono nel vuoto, che non si fanno azione per le difficoltà oggettive in cui versano le strutture del consenso organizzato.

Anche perché bisogna fare i conti con la nuova politica, quella del decisionismo fine a se stesso. In cui non ascoltare è sinonimo di “tenere la schiena dritta”, di non “farsi condizionare”. La turris eburnea come simbolo della virtù: per stare lontano dai partiti (sempre cattivi), lontano i sindacati (per carità), lontano dalla burocrazia (il diavolo). L’esecutore politico deve restare puro, incorrotto. Senza occhi e senza orecchie: solo cervello. Ragione pura che si diffonde nella società, salvandola.

Ecco allora che forse si spiega questo silenzio di una parte della Sardegna davanti a questa nuova stagione politica. E il silenzio di chi ha perso la voce, di ritiene che non sarà ascoltato. Perché troppo spesso così è stato, anche in un passato recente (brucia ancora l’esperienza Soru e si consuma a Cagliari il percorso del sindaco Zedda, insensibile ai richiami di chi lo avverte del burrone che gli sta sempre pericolosamente a lato).

Ma la politica ha comunque il compito di ascoltare. Pigliaru, chi ascolterà? Chi c’è, oltre al mondo dei partiti e dell’università delle professioni e delle banche (tutte abbondantemente ben rappresentate in giunta), che lui vorrà consultare? E come? E con quale spirito lo farà?

Le voci dei cittadini organizzati, della cultura non accademica, dei movimenti nel territorio, del volontariato, talvolta sono flebili, è vero: ma chi non è sordo le sente lo stesso. E se vuole può persino ascoltarle. Per decidere un percorso comune e aggiustare la rotta se e quando serve. Essere eletti non basta, far parte degli organi dirigenti di un partito neppure. Oggi la Sardegna sta anche altrove.

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* L’articolo di Vito Biolchini viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.

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Le parole sono importanti, anche quelle che mancano. E che aspettiamo.
di Vanni Tola
Non è facile commentare con una sintesi le dichiarazioni programmatiche del Presidente Pigliaru che, naturalmente, analizzano un’articolata serie di problemi. E non lo faremo. Certo le dichiarazioni programmatiche, come le letterine a Gesù Bambino della nostra infanzia, non vanno al di la di una infinita serie di buoni proponimenti, tutti da verificare nella realtà quotidiana. Non è questo il caso. A dire il vero le dichiarazioni del Presidente evidenziano una ricerca concreta di cambiamento della politica regionale, un forte desiderio di semplificare le procedure legislative, di riformare profondamente l’apparato burocratico della regione, una certa determinazione nel voler liberare la nostra regione dalla crisi e dai ritardi nello sviluppo che stanno alla base dei principali problemi della comunità isolana. Ciò detto, si avverte pure una indeterminatezza generale, una non ben definita ipotesi complessiva, l’assenza di una scelta strategica principale per lo sviluppo dell’isola, che appare come elemento di continuità con le precedenti fallimentari Amministrazioni regionali. Si e portati a pensare che la nuova Giunta non finisca poi con l’operare rincorrendo i problemi e le questioni aperte piuttosto che con l’obiettivo di realizzare un progetto organico di trasformazione e sviluppo che ci piace definire “nuovo piano di rinascita”. Alcuni esempi per rendere maggiormente comprensibile il ragionamento. Si parla nelle dichiarazioni del Presidente di crisi delle produzioni industriali e dell’occupazione ma non emerge un’ipotesi ben definita di sviluppo industriale alternativa alle precedenti. La Sardegna crede ancora nell’industria o si considera il comparto industriale tradizionale una sorta di comparto “da liquidare” per concentrare risorse ed energie principalmente su agropastorale e industria turistica? Scommetterà la Regione sulla possibilità di costituire a Porto Torres un grande polo europeo per i prodotti di base della chimica verde e la realizzazione di un apparato industriale indotto, riconvertendo ciò che rimane dell’industria petrolchimica o si ritiene, come molti sardi pensano, che la possibilità di attivare nell’isola una moderna industria chimica e biochimica debba essere considerata definitivamente conclusa? L’idea che la Sardegna possa svilupparsi esclusivamente valorizzando l’agro-industria e l’industria turistica con una forte protezione dell’integrità ambientale e paesaggistica è molto più diffusa di quanto si pensi e non è certamente priva di un qualche fondamento. Resta però aperta la questione se la Sardegna debba o no disporre anche di un apparato industriale e tecnologico innovativo (ricerche su nuovi materiali, nanotecnologie, bioingegneria, genetica, attività aerospaziali) come in tante altre realtà. Un ulteriore aspetto che appare poco evidenziato nelle dichiarazioni programmatiche del Presidente Pigliaru riguarda poi l’insieme di problemi, fra loro strettamente interconnessi, quali salute, inquinamento ambientale, aree di grave emergenza sanitaria, bonifiche di suoli, acque e aria. Porto Torres è uno dei siti ambientali d’interesse nazionale per un elevatissimo livello d’inquinamento che ha fatto rilevare dati molto preoccupanti (qualcuno dice perfino superiori a quelli di Taranto), un incremento di patologie tumorali e respiratorie da vera emergenza sanitaria. A Ottana un esponente di un Comitato di cittadini ha denunciato l’avvenuto decesso per tumore di oltre quaranta operai che hanno lavorato nel medesimo impianto industriale. Per non parlare poi delle aree con servitù militari e di tutte le altre realtà interessate da situazioni di gravissima emergenza sanitaria e ambientale. Ci saremmo aspettati dal Presidente l’annuncio un piano straordinario, prioritario e urgente, insomma, qualcosa di più di generici riferimenti alla difesa del diritto alla salute e all’integrità ambientale. E infine, per quanto riguarda i piani di settore dei principali comparti produttivi isolani, Pigliaru si limita a rimandare al programma generale della coalizione per esaminare nel merito i proponimenti della Giunta. Certamente lo faremo con attenzione e interesse ma resta forte la sensazione, lo ribadiamo ancora una volta in chiusura, che non si abbia la capacità, la volontà, la lungimiranza di lavorare intorno ad un’unica e ben definita ipotesi strategica di sviluppo alla quale rapportare e finalizzare le diverse azioni e gli interventi della nuova Giunta.
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Daniele-da-Volterra-Arameo IL BRAGHETTONE
Daniele da Volterra, detto il braghettone, Arameo.
[NdD] Il dipinto di Volterra non c’entra… o forse sì
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Guido Reni San Matteo e l'angelo
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Le parole sono importanti. Anche quelle che mancano. E che aspettiamo.
I due deficit politici del presidente

di Franco Meloni
Per Francesco Pigliaru le parole sono importanti. Ricordo una mattina di alcuni anni fa quando chiuse rapidamente una riunione all’Università (di cui era pro rettore alla Ricerca scientifica) perchè, ci disse, doveva terminare di scrivere, immagino rivedere attentamente, un articolo per La Nuova Sardegna del giorno dopo. Dunque occorreva essere precisi e dedicarvi tutto il tempo necessario. E’ sicuramente con lo stesso scrupolo che ha redatto il documento delle sue dichiarazioni programmatiche da presidente della regione, sicuramente soppesando ogni singola parola scritta. Pertanto prendiamo sul serio ogni parola e analizzeremo con attenzione e commenteremo il contenuto del documento, come già abbiamo cominciato a fare con l’editoriale di Vanni. Il documento, anche tenendo conto dell’analisi di Vanni, è totalmente condivisibile e anch’io lo sottoscrivo: per quanto dice, ma ci riserviamo di esprimere valutazioni e giudizi successi per quanto è allo stato troppo generico e indeterminato e di capire e dare le nostre valutazioni e giudizi su quanto ancora non detto e che è necessario dire quanto prima. Anche su questo versante Vanni è stato precisamente esigente! Voglio ora esprimere un mio parere di carattere generale: le dichiarazioni programmatiche del presidente Pigliaru hanno due “deficit politici”, di fondamentale importanza, che attengono uno alla sardità e l’altro all’europeismo. Tratto queste due questioni in maniera intrecciata, come è giusto che sia. Non è pensabile che il programma del presidente (e della sua coalizione), così come è attualmente formulato, prescinda da una esplicita visione del posizionamento istituzionale della Sardegna, oggi e in prospettiva, in Italia e in Europa. Al riguardo è vero che Pigliaru non poteva sollevare la bandiera dell’indipendentismo o del sovranismo che lo vuole praticare anticipatamente (gli indipendentisti e i sovranisti sono pur sempre una minoranza, seppure importante, della coalizione di centro sinistra), ma la visione che sottende il documento appare francamente riduttiva, niente altro di diverso da un “autonomismo sbiadito”, che non ci porta molto lontano. Pigliaru si guarda bene dal pronunciare parolacce quali indipendentismo e sovranismo e neppure federalismo, utilizza in un passaggio il termine “sovranità” nell’accezione di auto-responsabilità (cito testualmente: “…il principale esercizio di sovranità cui vogliamo dedicare tutta le nostre capacità ed energie, è un’essenziale assunzione di responsabilità verso cui orientiamo la nostra azione di governo”). Non basta certo! Specie nell’attuale momento storico, che ha necessità di una Sardegna rinnovata, anche nelle sue istituzioni, consapevole delle proprie risorse e potenzialità, capace quindi di un suo protagonismo, indispensabile per sopravvivere nel quadro degli attuali rapporti di forza tra entità territoriali (nel confine statuale e in quello europeo). E’ solo in questo quadro, che, come detto, richiede anche una nuova struttura istituzionale della regione, che credo possa iscriversi, citando Vanni: un auspicabile progetto organico di trasformazione e sviluppo che ci piace definire “nuovo piano di rinascita”. Per fare tutto questo non si può prescindere da una politica sulla lingua sarda, sull’identità sarda, sull’università della Sardegna… in definitiva su chi siamo noi sardi e chi vogliamo o vorremo/vorremmo essere. E, allora: è possibile che Pigliaru non parli della nuova costituente statutaria, a cui siamo tenuti anche in virtù degli esiti referendari sardi? E’ possibile che parli dell’Europa sostanzialmente come vincolo per la nostra economia, come purtroppo è, ma che non necessariamente deve continuare ad essere, o, ancora, come bancomat per prelevare tutte le risorse finanziarie possibili? Importante ma terribilmente riduttivo. E’ possibile che parli d’Europa senza fare cenno all’incredibiie situazione di discriminazione politica dei sardi, impossibilitati, per ottusa e incostituzionale legge italiana (modificabile domani se solo ci fosse la volontà politica dei grandi partiti italiani) ad avere propri rappresentanti nel parlamento europeo? Si chieda Pigliaru se, per fare un esempio, le stesse nostre difficoltà di utilizzare pienamente e con efficacia i fondi europei siano solo problemi organizzativi e di preparazione del personale tecnico, amministrativo e anche politico. Come pur è vero, ma non sono spiegazioni sufficienti a dare conto della situazione. Credo infatti che questo come tanti altri problemi non possano essere disgiunti da uno, più pesante di tutti: l’incapacità della Regione di esercitare un ruolo politico nel quadro europeo, sia nei confronti dell’Italia che s’interpone tra la regione e le istituzioni europee, sia nei confronti dell’istituzioni europee, direttamente, laddove ciò è possibile, anche attualmente, per esempio per incidere, modificandole o integrandole, sulle politiche europee. Ma di tutto quanto detto Pigliaru non si cura, destando il più che legittimo sospetto che per lui bastino l’onestà, la competenza, la tecnica e la razionalità per risolvere i problemi della Sardegna, minimizzando quello che in realtà è soprattutto un problema di Politica. Si dirà che la coalizione del centro sinistra potrà integrare il programma e precisare l’impostazione data dal presidente. Vedremo e vedremmo. Nel mentre parliamo, scriviamo e sottoponiamo i nostri argomenti al presidente, ai politici, ai cittadini sardi…
Per ora chiudo qui, con un’informazione/richiesta. Segnaliamo che dopo il dibattito, attualmente in corso in Consiglio regionale, vi saranno a breve due primi importanti appuntamenti laddove il presidente è chiamato ad esporre le sue idee, possibilmente “aggiornando” il programma: 1) l’inaugurazione della Fiera internazionale della Sardegna, prevista nella tarda mattinata del 25 aprile, dove in un passato non troppo recente il presidente della regione faceva il punto sulla situazione economica della regione e sulle prospettive future; 2) sa die de sa Sardinia, con specifico riferimento alla seduta aperta del Consiglio regionale, prevista la mattina del 28 aprile.

One Response to Sardegna, a ciascuno il suo silenzio

  1. admin scrive:

    DALLA SALA STAMPA DEL CONSIGLIO REGIONALE
    Approvato un odg a tutela della specialità autonomistica

    09/04/2014 Il Consiglio regionale ha approvato, al termine del dibattito sul disegno di legge di revisione costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri, un ordine del giorno che impegna il presidente della giunta a ricercare ogni sede di confronto con il governo perchè venga salvaguardata la specialità autonomistica della Sardegna. Nell’odg si sollecitano tutte le rappresentanze sarde nel Parlamento affinchè si battano nel modo più efficace possibile contro la cancellazione dell’autonomia regionale. Nel documento si propone anche l’inserimento, nel testo della riforma, di una clausola di salvaguardia della specialità che faccia salve le competenze previste dagli statuti speciali, con l’estensione alla Sardegna solamente delle norme di maggior favore. Nel testo dell’ordine del giorno approvato dal Consiglio si chiede che sia previsto nell’articolo 116 e nei commi 3 e 4 dell’articolo 117 una procedura di revisione degli statuti speciali che non consenta in alcun modo l’imposizione di modifiche senza il parere vincolante della Sardegna. Dopo l’approvazione dell’ordine del giorno il presidente del Consiglio Gianfranco Ganau ha chiuso la seduta. Il Consiglio regionale si riunirà mercoledì 16 aprile alle 16. (R.R.)

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