Nella complessità della situazione odierna cogliere le opportunità per costituire legami forti tra le strutture di ricerca e le imprese operanti nel territorio
di Franco Nurzia*
Nell’introdurre i lavori di questo seminario [28 aprile 2012] concordo con l’atteggiamento degli organizzatori che non hanno voluto dare ad esso un eccessivo risalto. Si sta infatti attraversando un momento di riflessione e discussione che, a mio parere, deve condurre ad una migliore focalizzazione dei rapporti tra il sistema della ricerca e quello delle imprese.
Anche se la mia posizione riflette il punto di vista di uno che ha svolto per più di quarant’anni ricerca nel settore dell’Ingegneria Industriale ed in particolare di quella Meccanica, debbo dire che raramente ho percepito situazioni di difficoltà simili a quelle attuali. Sarà perché i ridimensionamenti verificatesi nella grande industria hanno comportato anche una progressiva contrazione delle attività di ricerca, sarà perché gli indirizzi che sta prendendo il sistema universitario penalizzeranno sedi come la nostra, ma certo è che la situazione, fatte salve le debite eccezioni, non favorisce un atteggiamento ottimista.
(nella foto, di repertorio, Franco Nurzia e Franco Meloni, fino al 2009 ai vertici dell’area Innovazione dell’Ateneo di Cagliari, nella rispettiva veste di pro-rettore all’innovazione e dirigente della Dirinnova
Rivolgendo l’attenzione al tema che ci riunisce, rapporti tra ricerca e imprese, osserviamo che non a caso il seminario è promosso dalla Camera di Commercio, cioè da un Ente a forte valenza territoriale e sensibile, almeno in linea di principio, alle interazioni tra il sistema della ricerca e le realtà produttive operanti nel territorio. Si pongono allora due necessari interrogativi, e cioè che cosa ha fatto il sistema della ricerca per il sistema delle imprese, ma anche che cosa ha chiesto il mondo delle imprese al sistema della ricerca.
Non v’è dubbio che molta della ricerca sviluppata nel passato, per molteplici e comprensibili ragioni, sulle quali in questo momento non intendo addentrarmi, abbia avuto poca attinenza con il territorio; tuttavia oggi si potrebbe assistere ad un ulteriore impoverimento dei rapporti poichè potrebbe anche accadere che docenti di discipline che possono legarsi a problematiche territoriali, per ragioni connesse alle modalità di valutazione della qualità della ricerca basate su indicatori bibliometrici, siano indotti ad occuparsi di tematiche con minori ricadute territoriali ma presentanti un maggior interesse per la letteratura scientifica internazionale. Potrebbe quindi verificarsi per alcuni, pur importanti, settori un ulteriore allontanamento dell’attenzione dell’Università verso il mondo produttivo regionale con l’indebolimento del ruolo essenziale che potrebbe e dovrebbe svolgere l’Università per lo sviluppo del territorio.
A queste considerazioni si aggiunga anche la constatazione che molti dei nostri migliori allievi trovano occupazione fuori dalla Sardegna, spesso all’estero ed in posizioni di prestigio. Orbene se da un lato questo testimonia la validità della formazione impartita dal nostro Ateneo, dall’altro pone in luce sia la crisi occupazionale sia lo scarso collegamento tra i due ambienti.
Ed infatti anche il secondo quesito su quanto il mondo delle imprese o in generale il territorio conosca, interpelli e stimoli la “propria “ Università trova limitate risposte. Sovente non si conoscono le reali competenze, scientifiche e formative, presenti nell’Università e si incontrano difficoltà di dialogo, talvolta per timore di affrontare costi elevati, altre volte per definire gli obbiettivi e armonizzare gli interessi.
A mio avviso non si possono neppure ritenere portatrici di notevoli ricadute sul sistema delle imprese i progetti di ricerca condotti in collaborazione tra Università, Centri di Ricerca ed imprese su tematiche spesso importanti e di ampio respiro. In realtà in molti casi tali attività spesso si risolvono con gli apporti separati dei diversi partecipanti attraverso le competenze disponibili, con vantaggi per ciascuno, ma in generale senza determinare una interazione più profonda tra i due sistemi che possa prolungarsi nel tempo con i relativi coinvolgimenti ed arricchimenti.
Il tema che ci riunisce è piuttosto complesso e la nostra discussione deve cercare di dare un contributo per individuare possibili percorsi per avviare collaborazioni efficaci. Vorrei però fare due ulteriori considerazioni.
La prima riguarda la possibilità di svolgere attività di ricerca in proprio da parte delle imprese.
Mentre la grande imprese possiede le risorse per investire in tale attività e comunque è in grado di far svolgere quegli studi presso qualunque Centro di Ricerca od Università ovunque esso sia, non altrettanto accade per la piccola impresa, spesso impossibilitata economicamente ad indirizzare risorse umane e materiali in attività di studio e ricerca.
A questo si aggiunga che non ci si improvvisa ricercatori. E’ una questione di metodo e di forma mentis che chi opera nella ricerca acquisisce nel tempo, imparando a convivere, se ci si riferisce ad esempio ai settori tecnologici, con un continuo susseguirsi di prove di laboratorio, analisi teoriche e messa in discussione delle ipotesi di lavoro sino al conseguimento di un risultato accettabile. E’ evidente allora che in contesti come quello a noi vicino la ricerca può essere fatta solo dall’Università o Centri di Ricerca attrezzati per le competenze presenti e per la possibilità di dedicare ad essa le necessarie energie. E’ quindi preferibile, nell’interesse di un reale coinvolgimento del sistema della ricerca nelle problematiche di sviluppo delle imprese, che si scelgano forme di finanziamento dell’ attività di ricerca a strutture dedicate, ma ponendo il vincolo di operare su indicazione o in stretta connessione con le imprese per il raggiungimento di risultati utilizzabili dalle stesse. In altri termini, da un lato è necessario evitare che per le imprese il finanziamento per la ricerca divenga una delle tante poste di entrata e dall’altro è importante vincolare il finanziamento alle strutture di ricerca al raggiungimento ( anche in termini temporali) di obbiettivi concretamente valutabili da parte delle imprese. Una ipotesi interessante, peraltro già ventilata in sede di politica regionale, è quella di istituire dei voucher da conferirsi alle imprese per una loro utilizzazione presso strutture di ricerca.
La seconda riguarda le tematiche di ricerca e il contesto in cui vengono svolte . Anche se giustamente l’attività di ricerca viene legata ad un discorso di innovazione, è necessario tener presente che molte delle attività vanno indirizzate non tanto ad innovazioni di prodotto quanto piuttosto ad innovazioni di processo, includendo in tali termini, per brevità, anche tutti gli altri aspetti che concorrono a rendere più competitiva l’azienda. Orbene, limitando le osservazioni agli aspetti tecnologici, in molte piccole realtà si registra anche un deficit di conoscenze per esempio nell’impiego di nuovi materiali e di processi lavorativi. E’ necessario pertanto agire perché possano compiersi quelle operazioni di trasferimento tecnologico indispensabili per far crescere le acquisizioni tecnologiche dell’impresa e quindi favorirne lo sviluppo. E’ evidente che tale attività precede quella di ricerca in senso stretto ma costituisce un passaggio ineludibile e può essere messa in conto nel quadro delle attività di formazione di elevato profilo.
Credo che vi siano molti elementi per poter avviare un discussione che mi auguro proficua.
Indubbiamente in questo momento vi sono spazi ed opportunità di interventi per Enti territoriali per incentivare e orientare l’attività di ricerca. Paradossalmente la complessità della situazione che ho cercato di rappresentare potrebbe costituire una occasione da non perdere per costituire legami forti tra le strutture di ricerca e le imprese operanti nel territorio.
E’ altresì evidente che può essere necessario superare le forme tradizionali di rapporti tra i due sistemi e può essere utile utilizzare forme nuove quali possono aversi attraverso i centri di competenza tecnologica, gli incubatori per imprese innovative , le fondazioni etc., cioè attraverso strutture che possano da un lato essere interlocutori unici ma, allo stesso tempo , essere capaci di svolgere un ruolo di complessa “mediazione” tra i diversi interlocutori.
Gli strumenti possono dunque essere molteplici e possono essere potenzialmente tutti efficaci ovvero infruttuosi.
I risultati sono legati alle risorse disponibili, sia quelle materiali sia quelle umane. Anzi vorrei sottolineare proprio l’importanza di queste ultime, poiché è ben noto che chi si impegna sulle frontiere citate a fronte di una attività svolta con dedizione ed impegno di tempo ed energie avrà modeste soddisfazioni economiche ma, probabilmente, elevate soddisfazioni morali.
* Introduzione ai lavori del Seminario sul rapporto tra ricerca e imprese, organizzato dalla Camera di Commercio di Cagliari il 28 aprile 2012 (Fiera della Sardegna)
Per connessione: intervento di Franco Nurzia alla VII giornata dell’Economia, organizzata dalla Camera di Commercio di Cagliari 9 maggio 2008
[...] nel dibattito, coordinato dal direttore di aladinpensiero news, raccogliendo le sollecitazioni del prof. Franco Nurzia, il quale ha invitato i ricercatori a porre le proprie competenze al servizio del territorio. Si [...]
Da Quotidiano.Net
Fornero: “I nostri studenti non sanno l’italiano”
“Dai test risultati sconsolanti, soprattutto per i più giovani”
Elsa Fornero attacca la “qualità” della nostra istruzione. Secondo il ministro i ragazzi non conoscono l’italiano, la matematica e “non sanno fare di conto”. Poi l’autocritica: “Gli atenei hanno affrontato troppo poco il confronto con le imprese”
Torino, 7 maggio 2012 – A Elsa Fornero non bastavano i lavoratori, ora nel mirino del ministro finiscono anche gli studenti, ‘rei’ di non sapere l’italiano: “non conoscono la lingua, neppure la loro”. La Fornero è intervenuta oggi a Torino a un convegno promosso dalla Regione Piemonte sull’apprendistato.
“Se andiamo a guardare la qualità della nostra istruzione – ha detto la Fornero – , e lo facciamo con test consolidati, questi test dimostrano che i nostri ragazzi sanno troppo poco. Non conoscono la lingua, neppure la loro, non conoscono i rudimenti dell’aritmetica e della matematica. Non sanno fare di conto” ha detto il ministro, precisando: “Parlo in particolare della fascia di età più giovane”. E citando classifiche internazionali, aggiornate al 2010, il ministro ha sottolineato che i dati “ci consegnano un mondo abbastanza sconsolante”.
Come docente universitaria, Fornero ha poi fatto autocritica, sottolineando che gli atenei hanno sempre tenuto un atteggiamento snob nei confronti delle imprese. “Troppo poco si è affrontato il confronto con le imprese per migliorare la corrispondenza tra domanda di competenza e offerta formativa”, ha concluso il ministro.
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