La LAMPADA di ALADIN

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Vannevar BushVannevar Bush Everett, 11 marzo 1890 – Belmont, 30 giugno 1974) è stato uno scienziato e tecnologo statunitense. Fu un inventore e coordinò le attività di ricerca degli USA durante la seconda guerra mondiale; precursore degli ipertesti, è stato l’ideologo del supporto delle attività di ricerca ai fini del potenziamento delle democrazie (da wikipedia).
Approfondimenti (segue)
Manifesto per la rinascita di una nazione Il contenuto
Nel novembre 1944, nel pieno della guerra, il Presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt pose al proprio consigliere scientifico, Vannevar Bush, una domanda cruciale: in che modo potremo, a guerra conclusa, sfruttare al meglio lo sforzo che stiamo sostenendo nella ricerca scientifica a scopo bellico e tradurlo in benessere per la nazione? Questo libro è la risposta scritta da Bush e rappresenta di fatto un programma politico e culturale per la ripresa economica, civile e sociale di una nazione uscita da quindici anni di disastrosa crisi economica e cinque di guerra massacrante.
In 70 pagine, chiare e secche, Vannevar Bush sottolinea i vantaggi economici e le ricadute positive della ricerca scientifica, chiedendo di finanziare la ricerca fondamentale, di selezionare le future generazioni di scienziati unicamente sulla base del merito e di diversificare la ricerca il più possibile. Una lezione ancora straordinariamente attuale, anche per un paese complicato e problematico come il nostro.

L’autore
Vannevar Bush (1890-1974), ingegnere statunitense, pioniere dell’informatica, Vicepresidente del MIT, fu a capo dell’Office of Scientific Research and Development durante la seconda guerra mondiale, col quale diede inizio anche al «Manhattan Project».

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Anche noi avremmo bisogno di una frontiera infinita
(da Scienza in Rete)

Sarebbe bello che un documento come “Scienza, la frontiera infinita” finisse nelle mani del capo del governo italiano. Sarebbe ancora più bello che questo avesse un effetto. Che so, l’aumento immediato del finanziamento della ricerca, una politica per incentivare i giovani a iscriversi all’università, la creazione di una Agenzia unica per la valutazione della ricerca e la promozione del merito.

Sarebbe bello. Ed è appunto ciò che immagina Pietro Greco nella introduzione a “Scienza, la frontiere infinita”, il documento visionario con cui il consigliere scientifico presidenziale Vannevar Bush sintetizzò la nuova strategia di rilancio della scienza negli Stati Uniti elaborata da una Commissione voluta dal presidente Franklin Delano Roosevelt nel 1945 (Vannevar Bush, Manifesto per la rinascita di una nazione. Scienza, la frontiera infinita, Bollati Boringhieri, 2013).

Non si può che provare una profondissima invidia per gli statunitensi, e per quello che possono creare quando la storia li mette alle strette, guidati dal mito dell’American way. Uno di quei momenti luminosi riguarda la scienza. E’ il 1944, in piena guerra, quando il presidente Roosevelt scrive al suo consulente per questioni scientifiche Vannevar Bush ponendogli quattro domande:

Come si possono rendere pubblici gli studi scientifici condotti durante la guerra senza mettere a repentaglio la sicurezza militare
Come proseguire la guerra della scienza contro le malattie, che già tanti successi ha mietuto durante e prima della guerra, con la penicillina e con altre grandi scoperte?
Cosa può fare il governo per favorire sempre più la ricerca?
Come individuare e sviluppare ulteriormente il tanto scientifico dei giovani americani per mantenere la ricerca a livelli almeno compatibili con quanto raggiunto durante il periodo bellico?
Come spiega Pietro Greco nell’ampia e precisa introduzione storica, è evidente che la lettera del presidente era stata concordata, quasi dettata, da Vannevar Bush, brillante ingegnere e matematico del MIT e della Carnegie con idee molto chiare sul ruolo che la scienza avrebbe dovuto avere anche in tempo di pace per promuovere la salute, garantire la sicurezza nazionale, la piena occupazione e quindi il tenore di vita degli americani.

La seconda guerra mondiale ha mostrato quanto la scienza possa essere decisiva per l’esito del conflitto: l’invenzione del radar ha sconfitto gli U-Boot, la penicillina ha consentito l’abbattimento del tasso di mortalità per infezioni da ferite dei soldati. Nessuno lo dice ancora, neppure il vicepresidente degli Stati Uniti Truman lo sa, ma il grandioso progetto Manhattan sta preparando l’arma finale. Di tutto questo è al corrente Vannevar Bush, che alla lettera del presidente risponde con un rapporto reso pubblico il 25 luglio 1945, quando Roosevelt è già morto, a guerra non ancora conclusa e bomba atomica non ancora sganciata su Hiroshima e Nagasaki. Frutto del lavoro di più commissioni, “Scienza, la frontiera infinita” è il limpido, ispirato, manifesto della centralità della ricerca scientifica libera per il benessere della nazione. Ed è un bene che sia stato finalmente tradotto anche in italiano.

Il progresso scientifico è essenziale, scrive Bush, per la salute, la sicurezza e il benessere del Paese, ma essa è rimasta troppo a lungo dietro le quinte. Ora bisogna riportarla al centro dell’attenzione, “perché a essa si legano molte nostre speranze per il futuro”.

Come fare? Prima di tutto non facendo l’errore di lasciare la ricerca nelle sole mani dei privati, che per ovvie ragioni propendono per la ricerca applicata. Poco infatti può fare questa, anche in termini di progresso economico e innovazione, se non è preparata da un vasto movimento di ricerca di base, libera e disinteressata. “Science, the endless frontier” è soprattutto un manifesto per la libertà di ricerca, da garantire e rafforzare dando stabilità e risorse alle università e istituendo una unica agenzia statale, che si chiamerà National Science Foundation, gestita direttamente da scienziati e non da burocrati, a cui andrà demandata una compiuta politica nazionale della ricerca e della formazione.

Subito dopo la seconda guerra mondiale, come ricorda Greco, gli Stati Uniti non erano per nulla all’avanguardia della ricerca: investivano meno dell’Europa, e i loro prodotti industriali erano a basso contenuto di innovazione, come si direbbe oggi. Prima ancora di Bush, altri scienziati e politici americani erano convinti che senza un aiuto da parte del governo federale, le sole imprese non ce l’avrebbero fatta a costituire la massa critica necessaria per competere sul piano internazionale. Fra questi lo stesso Hoover, poi presidente degli Stati Uniti. Ma agli ideali antistatalisti e liberali della giovane nazione americana ripugnava l’idea di una mano pubblica che guidasse la ricerca. Solo l’esperienza del New Deal roosveltiano e la temperie della seconda guerra mondiale convincono il presidente che nei tempi di pace ormai prossimi si sarebbe aperta una competizione spietata sul fronte economico e geopolitico, e che l’America non poteva permettersi di restare indietro nella ricerca scientifica, che così essenziale si era rivelata durante la guerra.

Bando allora agli indugi e il governo si impegni a raddoppiare gli investimenti in ricerca, pur avendo l’accortezza di lasciare a università e laboratori la più “completa libertà d’iniziativa” e di non sottoporli al controllo di agenzie operative, guidate da logiche diverse della ricerca in quanto tale. Si legge nel Manifesto: “La ricerca pura è un’esplorazione necessariamente speculativa dell’ignoto, su cui gli atteggiamenti convenzionali, le tradizioni e i criteri unificanti esercitano un’influenza limitante. La ricerca scientifica di base non può essere condotta in un’atmosfera dove il metro di valutazione sono l’operatività e la produzione”.

La ricerca di base è l’ingrediente essenziale per aumentare il “capitale scientifico” della nazione, che a sua volta è il substrato del progresso economico. Le informazioni scientifiche vanno inoltre desecretate e fatte circolare liberamente a livello internazionale. Ma nel contempo – quasi preparandosi a una nuova guerra, ma con altri mezzi – il governo federale avrebbe dovuto recuperare la mancata formazione dei giovani che avevano dovuto vestire la divisa per servire il Paese. E lo avrebbe fatto seguendo questa straordinaria ispirazione che ci regala il Manifesto di Bush: “E’ impossibile selezionare dal basso le future personalità scientifiche; qui come altrove contano fattori ignoti e imprevedibili. Si tratta di un calcolo sovramatematico, nel quale entrano in gioco il cervello, il carattere, la forza e la salute, la felicità e la forza d’animo, l’interesse, le motivazioni e chissà che altro ancora. Neanche se fossimo infinitamente saggi e sapienti riusciremmo probabilmente a formulare un piano che procuri d’un sol colpo la futura guida scientifica del Paese. Il nostro interesse non è formare un gruppo di eletti. Il piano migliore, in questa Repubblica costituzionale, è a nostro avviso offrire agli uomini e alle donne di ogni tipo e condizione l’opportunità di migliorare se stessi. E’ questa l’American way, il modo in cui gli Stati Uniti sono diventati ciò che sono. E’ molto importante secondo noi abbattere ogni ostacolo all’ambizione intellettuale che non appartenga alla capacità individuale. E’ di vitale importanza, per ogni giovane, sapere che se mostrerà le qualità necessarie, il solo limite che potrà incontrare sarà quello del cielo. E anche se alla fine non raggiungerà la vetta, andrà comunque più avanti di quanto avrebbe fatto se frenato da un limite che considerava insuperabile”.

Fra i limiti da spazzare via nella cavalcata per le sterminate praterie della ricerca c’erano anche burocrazia e budget, dalle cui incombenze i ricercatori dovevano considerarsi liberi. Tanto è vero che per rendere più svelta e incisiva l’azione della neonata National Science Foundation, si sarebbe potuto stilare convenzioni e contratti anche al di fuori della forma della gara d’appalto e anche prescindendo da valutazioni quantitative degli enti da finanziare, tenendo nel dovuto conto “atmosfera e potenziale creativo” dei candidati. Per non dire poi che “i ricercatori andrebbero sollevati dai normali obblighi, richiesti dalla Corte dei conti, di presentare dettagliati giustificativi di spesa. Nel caso dei contratti di ricerca, infatti, l’ottemperanza alle normali procedure sottrarrebbe efficienza allo svolgimento dei lavori, aumentando inutilmente i costi a carico del governo”.

Ce l’ha fatta Vannevar Bush a coronare il suo sogno di una scienza libera da lacci e laccioli? Non del tutto. La morte di Roosevelt e l’ascesa di Truman ha cambiato un po’ le carte in tavola, ma non al punto da frenare la corsa della scienza negli USA. Ma per sapere come è andata a finire leggetevi “The endless frontier” e la preziosa introduzione storica di Pietro Greco.

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