Oggi domenica 11 agosto 2024/e

img_3099Eolico e dintorni: così la pensa Lucia Chessa. Lo Stato impugna le legge di “moratoria”, così detta, approvata dal consiglio regionale sardo. Non è che fosse imprevedibile, era scontato. Così come scontato è che la legge sarà annullata dalla Corte Costituzionale.
Tutto ciò è evidente, la stessa presidente Todde lo sa, tanto è vero che la strategia, dopo numerosi aggiustamenti comunicativi, parrebbe oggi quella di approvare il decreto di individuazione delle aree idonee prima che la legge venga cassata.

Personalmente trovo debolissima, e per diverse ragioni, la gestione di questa nuova ondata coloniale che si abbatte sulla Sardegna.

Non solo perché non è chiaro quanti impianti non rientrino nella tipologia di ciò che è bloccabile a norma della legge regionale, non solo perché sistemare in cosiddette aree idonee un minimo di 6,8 GW di energia da rinnovabile è una enormità indicibile e inaccettabile e non solo perché l’oscuro ed invisibile assessore regionale all’industria, Emanuele Cani, scandalosamente silente sull’aggressione eolica e fotovoltaica, ieri riapre bocca per parlare di gas e di gasdotto.

La gestione dell’assalto speculativo ai danni della Sardegna è debolissima perché le norme nazionali approntate negli ultimi due/tre anni, i famigerati decreti Draghi di cui nessuno vuole assumere responsabilità, sono scritti molto bene.

Si los ghetant dae pala in coddu, come si dice in Sardegna, ex parlamentari, ex componenti del governo, ex dirigenti nazionali e regionali di partiti di maggioranza a Roma e a Cagliari, con discorsi di una ambiguità scandalosa.
Cercano di sollevarsi da responsabilità politiche pesanti, attraverso discorsi tecnici su chi firma e chi non firma, chi vota e chi non vota, su cosa è una legge, un decreto legge, un decreto legislativo, e si atteggiano pure a dare lezioncine di diritto e di procedure parlamentari.

Ma le responsabilità sono politiche, consistono nel non aver saputo rappresentare e tutelare gli interessi della Sardegna e nell’aver consegnato questa terra nelle mani rapaci di speculatori di ogni sorta. Tutto nel loro esclusivo interesse e in quello di regioni più forti e tutelate. La tecnica degli ingegneri e degli esperti o presunti tali di diritto, non c’entra molto rispetto alla volontà politica di fare o non fare, di fare in un modo o in un altro.

E come le responsabilità sono politiche e non tecniche anche la via d’uscita è politica e non tecnica.
E sai cosa vuol dire? Che ci vorrebbe un popolo sardo che si ribella, che resiste, che sia fermamente convinto di non poter accettare. Ci vorrebbe una coscienza diffusa del fatto che sia necessario combattere per impedire che ancora una volta qualcuno si mangi la Sardegna e la sua possibilità di una vita dignitosa. Ci vorrebbe una degna rappresentanza politico-istituzionale ugualmente convinta che ciò che si è pianificato per questa terra è inaccettabile è va fermato con ogni mezzo. Ci vorrebbero sardi, nelle istituzioni nazionali e regionali, che cancellino dal loro vocabolario il “non si può fare” e aprano subito una vertenza vera con lo Stato perché noi, non è che possiamo essere sempre sacrificati sull’altare dell’interesse nazionale e destinati ad accogliere ogni genere di servitù a favore di altri.
Ci vorrebbero rappresentanti politico-istituzionali disposti finanche alle dimissioni per rimediare al deserto economico, sociale, ambientale che si prospetta sotto quelle distese di impianti fotovoltaici e quella selva di pale eoliche .

E invece qui siamo al paradosso politico-comunicativo. Si tenta persino di far passare l’impugnativa del governo come fatto positivo, come conferma che si va nel verso giusto.

Il mondo è proprio alla rovescia e la Sardegna quasi a testa in giù.

Che la presidente, la giunta e il consiglio regionale decidano cosa vogliono fare evitando però la pappardella del “non si può fare niente”. Che chi ha sbagliato lo ammetta senza reticenze e non cerchi di nascondersi con argomenti che sanno di beffa e presa in giro. Che la gente si mobiliti, partecipi alle iniziative dei comitati, alla raccolta di firme sulla legge Pratobello. Che chi può segnali e suggerisca. Che si continui sulla via intrapresa da alcuni comitati degli esposti alla magistratura. Che i controlli sui cantieri siano assidui da parte dei soggetti preposti, almeno quanto lo sono stati per i manifestanti del presidio al porto di Oristano.
Perché, sia ben chiaro, non è che questa sia terra di nessuno.
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