Formazione per far vincere la Pace. L’insegnamento di Aldo Capitini

574ac741-1550-43f2-ad9f-2be5967149474bf7cd01-076a-4be1-a565-16a735523215BIBLIOGRAFIA DISARMATA: ALDO CAPITINI .
Aldo Capitini (1899-1968).

Aldo Capitini: 20 ragioni della nonviolenza

1. La nonviolenza prende in considerazione il nostro rapporto con gli altri esseri viventi, con la fiducia di renderlo sempre più reciprocamente amichevole, comprensivo, soccorrente, lieto, malgrado le difficoltà che gli altri stessi possono metterci. Questa fiducia non cessa di colpo al confine degli esseri umani e spera anche per gli esseri viventi non umani; ma si rende conto che la storia con la sua spinta vitale ha separato da noi finora questi esseri (animali e piante) in forme di più difficile educazione, trasformazione, liberazione.
2 La nonviolenza è aperta all’esistenza, alla libertà, allo sviluppo di ogni essere. Quando nel Settecento sono stati banditi i principi di libertà, eguaglianza, fratellanza, non è stato fatto tutto. La libertà era più la libertà propria come diritto che la libertà degli altri come dovere;l’eguaglianza era un bel principio, ma si fermava a metà perché restavano i miseri e gli sfruttati; la fratellanza era più quella generica con i lontani che quella difficile, nonviolenta e perdonante verso i vicini.
3 La bellezza della nonviolenza è che essa preferisce non di distruggere gli avversari, ma di lottare con loro in modo nobile e dignitoso, con il metodo nonviolento, che fa bene, prima o poi, a chi lo applica e a chi lo riceve. In fondo è più coraggioso volere vivi e ragionanti gli avversari, che farli a pezzi.
4 Ma sarebbe errore credere che la nonviolenza consista nel non fare nulla, nell’incassare i colpi, le cattiverie e le stupidaggini degli altri. La nonviolenza è sveglia e attiva, e protesta apertamente, anzi cerca i modi non solo per convincere gli autori delle ingiustizie, ma per informare l’opinione pubblica, di cui ha la massima considerazione: la nonviolenza per nessuna ragione crede che si possa sospendere la libertà e la possibilità abbondante di informazione e di critica per tutti, fino all’ultimo essere umano. Anche qui la nonviolenza attua al massimo un principio del Settecento, che la borghesia ha poi alterato a proprio vantaggio: la formazione libera dell’opinione pubblica, comprendente tutti.
5 La nonviolenza può rinnovare veramente la vita interna di un paese, perché nell’insieme di un’opinione pubblica, tutta sveglia e obbiettivamente informata, porta eventuali piani di non collaborazione e perfino, in casi estremi, di disobbedienza civile, che servono a bloccare iniziative autoritarie dall’alto. In Italia un popolo privo di esatta informazione e critica responsabilità fu portato ad uccidere e a morire, e poi al popolo privo del metodo di opposizione nonviolenta fu imposta una dittatura. L’uso del metodo nonviolento avrebbe salvato e trasformato l’Europa, a cominciare dall’Italia e dalla Germania.
6 Trasformare la situazione interna dei paesi vuol dire anche avere un continuo promovimento di campagne giuste e rinnovatrici, in cose piccole e in cose grandi, e senza portare il terrorismo della guerra civile nelle strade e nelle case. È un metodo nuovo, il tenere attiva una società con il metodo nonviolento, controllando e smascherando, protestando e agitando, sacrificandosi e così educando i giovanissimi a cercare coraggiosamente di migliorare le società dal di dentro. Anche qui la nonviolenza salva i giovani, occupandoli bene (rivoluzione permanente).
7 La nonviolenza è strettamente congiunta col punto a cui è giunta la guerra, con la sua attrezzatura tecnica e le armi nucleari. L’esasperazione della ferocia e della vastità distruttiva della guerra, specialmente dopo Hiroshima, ha posto il problema di arrivare a un altro modo di condurre le lotte e la stessa difesa. Come ci si difende alle frontiere da missili che varcano i continenti e in pochi minuti distruggono città, specialmente le industrie, i civili? Si può arrischiare una tale strage e un tale avvelenamento dell’educazione delle generazioni? Dietro e dopo le soluzioni provvisorie dell’equilibrio del terrore, mentre è enorme nel mondo la fabbricazione di armi di tutte le specie e la loro distribuzione anche ai popoli sottosviluppati, la nonviolenza prepara la svolta storica del possesso in tutto il mondo di un metodo di lotta che esclude la distruzione dei nemici, attraverso la non collaborazione con il male, la solidarietà aperta dei giusti. Questo metodo non ha bisogno di armi e perciò di appoggiarsi ad una nazione con industrie capaci di darle, come sono costretti a fare i guerriglieri violenti, che usano anche i vecchi modi del terrorismo tra gli avversari e della tortura dei prigionieri
8 Il metodo nonviolento esige prima di tutto qualità di coraggio, tenacia, sacrificio, e di non perdere mai l’amore; poi esige un addestramento fisico e psicologico, ma possibile anche per persone di forze modeste. Un metodo in cui un cieco può essere più utile di un gigante. Così il metodo nonviolento si rivela come la possibilità di partecipazione attiva, appassionata ed eroica, di persone che non hanno altro che il loro animo e le loro giuste esigenze: la nonviolenza le valorizza, illumina, e rende presenti anche moltitudini di donne, di giovinetti, folle del Terzo Mondo, che entrano nel meglio della civiltà, che è l’apertura amorevole alla liberazione di tutti. E allora perché essere così esclusivi (razzisti) verso altre genti? Oramai non è meglio insegnare, sì, l’affetto per la terra dove si nasce, ma anche tenere pronte strutture e mezzi per accogliere fraternamente altri, se si presenta questo fatto? La nonviolenza è un’altra atmosfera per tutte le cose e un’altra attenzione per le persone, e per ciò che possono diventare.
9 Davanti a questa svolta storica in anni e decenni, il prevalere di gruppi violenti per un certo periodo rimane un episodio. L’unica forza che scava loro il terreno è la nonviolenza, ma ci può volere pazienza, tempo, costanza. È vero che un atto di violenza può fronteggiare un altro atto di violenza, ma poi? Nel quadro generale è meglio attuare un altro metodo. Si possono conservare ancora forze coercitive per piccoli fatti, di ordine quotidiano, ma nel più e nell’insieme è il metodo del rapporto nonviolento che va risolto e articolato sempre più. In esso, nel fatto che esso è amorevolezza,approfondimento dell’unità, festa della vicinanza, inizio di una storia nuova con nuovi modi di realizzarsi, sta il compenso per i sacrifici della lotta nonviolenta e per il ritardo delle vittorie.
10. La nonviolenza è la porta da aprire per non sentirsi soli. La nonviolenza cerca sempre di essere con gli altri. E questo è molto importante oggi, perché sta dilagando il bisogno di una democrazia diretta, dal basso, con il controllo di tutti su tutto. Contro i poteri imperiali dei capi degli eserciti e delle industrie che li servono (private o statali), la democrazia diretta costituirà i suoi strumenti con la continua guida della nonviolenza, per smontare la varia violenza dei potenti (violenza burocratica, giudiziaria, nella scuola, nel lavoro, negli enti di assistenza, nella stampa e nella radio), non con assalti sanguinari che non trasformerebbero, ma con la preparazione al controllo serio e aperto.

11 Dire nonviolenza è come dire apertura in tutti i campi, occuparsi degli esseri viventi in modo concreto e aiutarli (che è anche un modo per avere forza in se stessi); tenersi pronti per sostenere cause giuste e meritare il nome di essere perfettamente leale; riconoscere che negli errori degli altri c’è sempre una qualche responsabilità e possibilità attiva per noi; perdonare facilmente al passato nella serietà di impegni migliori per il futuro; invidiare Dio che può conoscere più da vicino tutti gli esseri e aiutarli infinitamente; tendere a costituire comunità di vita con più persone e famiglie in modo che ci sia uno scambio più attivo e un’educazione comune dei piccoli; essere più sensibili ad ogni altro valore pratico e contemplativo (l’onestà, l’umiltà, la musica, ecc.); essere più fermi nella serietà e severità quando occorra (per es. contro le ingiuste e molli raccomandazioni); cercare di estendere il rispetto della vita quando è possibile (per es. col vegetarianesimo, ma facendolo bene perché non sia dannoso) e assecondare dalla fanciullezza la zoofilia; utilizzare l’appassionamento universale per la massima valorizzazione degli esseri per arricchire l’attenzione nel tu rivolto a un singolo essere, perché non sia isolato e stagnante; attuare quotidianamente la gentilezza costante, senza ipocrisia e con franchezza; portare in ogni situazione un’aggiunta di ragionevolezza umana e di comprensione reciproca; garantire una riserva di serenità per il fatto che la nonviolenza è qualche cosa di più rispetto alla semplice amministrazione della vita.
12 La nonviolenza non sta in un individuo astratto, ma è da individui a individui in situazioni, strutture, grandi problematiche e urgenti realizzazioni. Un modo in cui si fa presente è, come abbiamo visto, quello del pacifismo integrale. Il che vuol dire non solo il rifiuto di collaborare alla guerra e guerriglia, e a ciò che inevitabilmente le accompagna, il terrorismo contro i civili e la tortura sui prigionieri; ma anche la scelta del disarmo unilaterale, unito all’addestramento all’azione del metodo nonviolento. Perciò la nonviolenza indica il pericolo dell’equilibrio del terrore, durante il quale eserciti e industrie alimentano di armi tutto il mondo, da cui conflitti grandi e piccoli; indica gli spegnimenti della democrazia che vengono fatti per allinearsi in grandi blocchi politico-militari; mostra l’immenso consumo di denari nelle spese militari invece che nello sviluppo civile. Le Nazioni Unite, come insieme di sforzi per dominare razionalmente le situazioni difficili e per provocare continuamente la cooperazione, sono sostenibili, anche perché tutte le trasformazioni rivoluzionarie che la nonviolenza porta, sono sempre il fondamento e l’integrazione di quelle decisioni razionali e giuridiche che gli uomini prendono, quando esse sono un bene per tutti. Certo, il nonviolento non si scalda per il governo mondiale,che potrebbe diventare arbitrario e oppressivo, ma per il suscitamento di consapevoli e bene orientate moltitudini nonviolente dal basso.
13 La nonviolenza vuole la liberazione di tutti, e non cessa mai di portare l’eguaglianza a tutti i livelli. Ora un problema molto importante è che l’uomo non subisca la violenza mediante il lavoro. Il lavoro è uno dei modi che l’uomo ha (non il solo) per esprimere la sua personalità, ed è perciò positivo, un diritto-dovere, una partecipazione alla comunità. Ma va sempre più realizzato il fatto che ogni lavoro è verso tutti, e in certo senso pubblico, non privato e sottoposto a condizioni di servitù e di sfruttamento. Difendere e sviluppare la posizione di tutti i lavoratori vuol dire renderli sempre più capaci di eguaglianza di fruizione della vita comune, nei beni materiali e nei beni culturali, mediante la formazione nell’adolescenza e mediante il tempo libero, e capaci di partecipazione attiva, civica, critica, costruttiva. Perciò i provvedimenti per cui la proprietà viene resa pubblica e controllata, cioè aperta e non chiusa (socialismo) snidano la violenza sostanziale di chi si vale della proprietà per alienare gli uomini, staccandoli dal loro pieno sviluppo nonviolento e creativo sul piano orizzontale di tutti.
14 Il grande fatto della metà di questo secolo è il discorso sul potere. La nonviolenza, meglio di ogni altro atteggiamento, può indicare quanta violenza si annidi nel vecchio potere. Si è constatato che la statalizzazione della proprietà non toglie la durezza del potere. Non basta far cadere le posizioni della proprietà privata perché “il potere operaio” abbia il diritto di tutto costruire. Il problema non è che nuova gente arrivi, in un modo o in un altro, al potere; ma che il potere sia esercitato in modo nuovo; altrimenti è meglio continuare a lottare e formare un terreno più favorevole per arrivare ad un “potere nuovo”, magari cominciando da forme di potere locale, dove è meglio possibile attuare tipi di “potere aperto”, che conta sulla costante collaborazione degli altri e possibilmente di tutti.
15 Che fa la nonviolenza davanti alla legge? La scruta per intenderla, per integrarla con l’animo, per migliorarla, per ridurre la violenza. La legge, come decisione razionale, che riguarda azioni da comandare o da impedire, non può essere respinta senz’altro per sostituirla con la naturale istintività individualistica umana. La legge è una conquista della ragione, e spesso merita di essere aiutata. Ma il nonviolento l’aiuta a modo suo. L’accetta quando è molto buona. Consiglia di sostituire progressivamente alla esclusiva fiducia nei mezzi coercitivi, lo sviluppo di mezzi educativi e di controllo cooperante di tutti. Fa campagne per sostituire leggi migliori, quando le attuali sono insoddisfacenti e sbagliate. Errato è insegnare a ubbidire sempre alle leggi e a non volerle riformare, come se non esistesse la coscienza e la ragione. La nonviolenza aiuta a capire che non basta dire: “Noi siamo autonomi e ci diamo perciò le nostre leggi”. Bisogna aggiungere: “E le nostre leggi hanno l’orientamento di realizzare la nonviolenza come apertura all’esistenza, alla libertà, allo sviluppo di tutti”.
16 In questo tempo in cui la nonviolenza allarga e approfondisce le sue responsabilità, essa si trova davanti il potere delle autorità religiose, e l’urto è inevitabile. Tali autorità pretendono di decidere su violenza e nonviolenza. La nonviolenza porta una sua prospettiva, di un sacro aperto e non chiuso, del valore di raggiungere l’orizzonte di tutti come superiore al cerchio dei credenti. Il credente nonviolento finisce col trovarsi più volentieri a fianco del nonviolento di un’altra fede che con le “autorità” della propria fede. Lo spirito di autoritarismo che pervade tutto il corpo ecclesiastico cerca di scacciare proprio quello spirito della nonviolenza aperto all’interesse per ogni singolo nel suo contributo e nel suo sviluppo, e impone una assenza di violenza che è passiva obbedienza. Ben altro è la nonviolenza aperta, che non ha paura di nessuna autorità, ed è sicura di farsi valere prima o poi.
17 La nonviolenza non è soltanto una cosa della vita e nella vita. Nel suo sforzo continuo di migliorare il rapporto tra gli esseri, e di congiungere più saldamente la vita del singolo con la vita di tutti, avviene effettivamente un’influenza sulla così detta “natura”, che è la vitalità, la volontà di forza, di vita come vita, come piacere, come guadagno e profitto, come potenza, come riposo utile, come schiacciante energia dal seno stesso della realtà fisica. Il Vesuvio sterminatore osservato dal Leopardi e che uccise tanta gente; l’acqua di un’inondazione, che copre indifferente un sasso e il volto di un bambino, sono aspetti della natura. Ma natura è anche la vitalità che spinge il bambino a nascere e a crescere; la forza che ci affluisce ogni giorno mediante il cibo, il riposo, l’aria. Non si può tagliare da noi tutta la natura; ma si può scegliere: o svilupparci come bruta natura, o svilupparci come crescente nonviolenza verso gli esseri, rimediando la crudeltà della natura e proseguendola nel buono, nel vivo, trasformandola progressivamente.
Perché al limite estremo c’è la sua trasformazione e il suo portarsi al servizio di tutti gli esseri affratellati. Un atto di nonviolenza è perciò anche un atto di speranza in questa trasformazione della cruda forza della natura.
18 Ma la nonviolenza non soltanto progredisce come rapporto. Essa qualche volta ha a che fare direttamente con la morte: è rifiuto di dare quella morte determinata, è constatazione dell’impotenza davanti ad una morte, è l’improvviso trovarsi a dire un tu ad un essere che ci sembra non lo riceva più perché è morto. Il nonviolento, che fonda molto della sua decisione sul rispetto della vita, può anche semplicemente confermare, davanti alla morte, il proposito di non darla, e accomunare i morti in una cara memoria dei singoli e in una generale pietà. Ma può anche considerare ogni morte come una crocifissione che la natura fa di ogni essere, come l’impero di Roma lo faceva per i ribelli; e se ogni morte è una crocifissione, il morto non è spento ma risorge nella compresenza di tutti. Così la nonviolenza può condurre a vivere questo grande mistero della compresenza di tutti, viventi e morti.
19 Vista ora nell’insieme di queste possibili attuazioni e prese di influenza e di azione su una realtà che oggi parrebbe così contraria ad essere penetrata dalla nonviolenza, essa mostra il suo posto, l’aggiunta che fa al mondo presente. È facile la profezia che ancora gli imperi militari-industriali del mondo concentreranno forze immani. Ma la nonviolenza ha cominciato ad aprire in ogni paese un conto, in cui ognuno può depositare via via impegni e iniziative. Se si pensa alla creatività teorica e pratica di pochi decenni, si sente la crescita potenziale di una Internazionale della nonviolenza. Bisogna riconoscere che, indipendentemente dalle altre sue teorie, Gandhi, con la formazione del metodo di azione nonviolenta, ha dato il più grande contributo all’era della nonviolenza; e così ogni altro grande attuatore del metodo nonviolento, e suo testimone, ci è fratello e padre. Nessuna paura e nessuna fretta, nessuna gelosia e nessuna presunzione, per l’organizzazione: possono sorgere innumerevoli centri per l’addestramento alle tecniche del metodo nonviolento
20 E se da questo largo quadro torniamo al semplice e singolo individuo che prende interesse per la nonviolenza, che prova a sceglierla, che vede di poter resistere al pensiero della violenza come soluzione, che non si impiglia nella casistica dello schiaffo e del non schiaffo, del bambino ucciso e non ucciso, perché non tutto sta lì, e bisogna rifarsi al quadro generale, vediamo che lo stesso processo di sviluppo c’è in grande come c’è in piccolo, nel mondo e nel singolo individuo. Noi abbiamo ancora molta violenza addosso, come ce l’ha il mondo. Se uno per togliersela si isolasse da eremita, sbaglierebbe, perché si priverebbe di tutte le occasioni per far progredire in sé e nel mondo la nonviolenza, che è amore concreto, e per riprenderla, se l’avesse trascurata.
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  1. […] disattesa nella realtà: la Dichiarazione Universale dei diritti umani. L’altra è quella che Aldo CapitiniK, il nostro grande teorico della nonviolenza, chiamò la dismissione dei nazionalismi. Entrambe le […]

Rispondi a Rocca: Europa: altro che radici cristiane. Domani: Anche in nome della civiltà, la guerra è una barbarie | Aladin Pensiero Annulla risposta

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