Contro la guerra cambia la vita, dai una possibilità alla Pace. A Roma sabato 5 marzo 2022.

5777dff6-8236-4230-8b12-15791d18b622 Manifestazione nazionale a Roma sabato 5 marzo 2022.
Bisogna fermare la guerra in Ucraina.
Bisogna fermare tutte le guerre del mondo.
Condanniamo l’aggressione e la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. Vogliamo il “cessate il fuoco”, chiediamo il ritiro delle truppe.
Ci vuole l’azione dell’ONU che con autorevolezza e legittimità conduca il negoziato tra le parti.
Chiediamo una politica di disarmo e di neutralità attiva.
Dall’Italia e dall’Europa devono arrivare soluzioni politiche e negoziali.
Protezione, aiuti umanitari, diritti alla popolazione di tutta l’Ucraina, senza distinzione di lingua e cultura.
Diamo segnali concreti di solidarietà. Ognuno contribuisca all’accoglienza e al soccorso degli Ucraini in fuga.

Costruiamo ponti e solidarietà tra i popoli con la democrazia, i diritti, la pace.
Basta armi, basta violenza, basta guerra!
Vogliamo un’Europa di pace.
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Commenti
Non indossiamo l’elmetto!
04-03-2022 – di: Domenico Gallo su Volerelaluna.
«Ecco gli elmi dei vinti / e quando un colpo / ce li ha sbalzati dalla testa / non fu allora la disfatta / fu quando obbedimmo / e li mettemmo in testa». Questa poesia di Bertold Brecht è il miglior commento possibile al momento drammatico che stiamo vivendo in perfetta incoscienza.

Da quando è iniziata la tragedia della guerra, il 24 febbraio, non è esploso soltanto un conflitto fondato sulla violenza delle armi. È dilagato in tutt’Europa lo spirito nefasto della guerra, si è materializzata l’immagine del nemico ed è iniziata una mobilitazione bellica della comunicazione, della cultura, delle coscienze. La condanna secca e senza appello dell’aggressione russa all’Ucraina si è trasformata velocemente nell’acritica accettazione della logica della guerra. Di fronte a questo disastro, segno tangibile del fallimento della politica di sicurezza e cooperazione in Europa, le principali forze politiche, non solo in Italia, con il conforto del fuoco di sbarramento unanime dei mass media, hanno assunto il linguaggio della guerra e si sono esercitate in una guerra delle parole contro il nemico. Lo spirito di guerra comporta una divisione manichea dell’umanità, per cui tutto il male sta dalla parte del nemico e tutto il bene dall’altra. Il dissenso non è tollerato perché giova al nemico. Così l’ex deputata europea Barbara Spinelli è stata additata come filoputiniana per aver scritto su Il Fatto Quotidiano che «il disastro poteva forse essere evitato, se Stati Uniti e Ue non avessero dato costantemente prova di cecità, sordità, e di una immensa incapacità di autocritica e di memoria» e il corrispondente della RAI Marc Innaro è stato oggetto dei fulmini del PD per aver osservato: «Basta guardare la cartina geografica per rendersi conto che chi si è allargato negli ultimi trent’anni non è stata la Russia, è stata la NATO». Ma il linciaggio mediatico più velenoso è quello effettuato contro l’ANPI e il suo Presidente, Gianfranco Pagliarulo, reo di aver scritto – in un comunicato precedente all’invasione russa – che «l’allargamento della Nato a Est è stato vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia». Non sono ammesse critiche sugli indirizzi di ordine politico che ci hanno fatto passare dallo smantellamento della guerra fredda, frutto delle scelte di disarmo e di distensione della politica di Gorbaciov, a una nuova corsa al riarmo e al confronto politico militare con la Russia di Putin, adesso drammaticamente sfociato in una guerra “calda” con l’invasione dell’Ucraina. Anzi non solo non sono ammessi ripensamenti, ma addirittura c’è la consacrazione di quelle scelte al punto che il segretario del PD, Enrico Letta, in una recente intervista a La Stampa ha dichiarato: «Quello che è successo dimostra che la Nato doveva fare entrare l’Ucraina prima. E che l’alleanza atlantica serve perché la democrazia va difesa».

Insomma la politica ha indossato l’elmetto ed è scesa simbolicamente in guerra. Però questa settimana è stata superata un’ulteriore soglia, col passaggio dalle parole alle azioni di guerra. Il presidente del Consiglio Draghi nelle sue comunicazioni alle Camere, il 1 marzo, ha motivato la decisione di inviare armi al Governo ucraino, con queste parole: «L’Italia ha risposto all’appello del presidente Zelensky, che aveva chiesto equipaggiamenti, armamenti e veicoli militari per proteggersi dall’aggressione russa. È necessario che il Governo democraticamente eletto sia in grado di resistere all’invasione e difendere l’indipendenza del Paese. […] La minaccia portata oggi dalla Russia è una spinta a investire nella difesa più di quanto abbiamo mai fatto finora». In sostanza la lezione che il Governo trae da questi fatti è che bisogna incrementare la corsa agli armamenti. L’unica opzione esistente – secondo Draghi – è «scegliere se farlo a livello nazionale oppure europeo». Lo scenario che si prefigura è quello della costruzione di un’Europa come potenza militare, armata fino ai denti, che costruisce le relazioni con i suoi vicini fondate sull’intimidazione invece che sul dialogo e la cooperazione: insomma la guerra fredda permanente.

Quello che non è stato spiegato al Parlamento e all’opinione pubblica è che la legge italiana sulla neutralità (regio decreto n. 1415 del 1938, All. B, art. 8) vieta di fornire armi ai paesi in guerra. La ragione è semplice: chi fornisce armi a un paese in guerra partecipa al conflitto e quindi non può essere più considerato neutrale. Con l’invio di uno stock imprecisato e secretato di armamenti e di mezzi bellici, l’Italia abbandona la neutralità e diviene un paese belligerante, sia pure per interposta persona. Insomma, armiamoci e partite! Queste forniture – ha scritto la rivista militare Analisi Difesa – ci rendono a tutti gli effetti “belligeranti” contro la Russia. Si tratta di un atto di ostilità in senso tecnico, che come tale è stato percepito dalla Russia. In nota ripresa dalla Tass il ministero degli Esteri russo dichiara: «Coloro che sono coinvolti nella fornitura di armi letali alle forze armate ucraine saranno responsabili delle conseguenze di queste azioni».

Come si vede si tratta di una scelta gravida di conseguenze imprevedibili. Dalla doverosa condanna dell’ingiustificabile aggressione russa, siamo passati – sia pure ambiguamente – alla partecipazione al conflitto armato. Quasi senza accorgercene ci hanno calato in testa l’elmetto e arruolato nella guerra contro la Russia. In questo modo si alimenta il conflitto e si rende più impervia la strada per una soluzione negoziata. E quel che è ancora più grave si crea un’ulteriore pericolo di escalation della guerra, rendendo più probabile il coinvolgimento della NATO. E allora togliamoci gli elmetti prima che un colpo fatale ce li sbalzi dalla testa.
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Controcanto
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Armi all’Ucraina?
02-03-2022 – di: Tomaso Montanari
su Volerelaluna

È purtroppo evidente che, di fronte all’invasione russa, ogni scelta sembra sbagliata: e quel che resta della coscienza democratica occidentale non sopporta di non fare nulla di fronte alle immagini delle città devastate dalla guerra.

Ma il problema è cosa fare: mentre le tanto annunciate sanzioni economiche avanzano con troppa lentezza, l’Occidente, e con lui l’Italia, decide il riarmo di Kiev. Il fantasma dell’Unione Europea, colpevolmente assente nella gestione politica della crisi che ha condotto alla guerra, si materializza così nel peggiore dei modi: nel ruolo, cioè, di fornitrice di armi. L’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Josep Borrell ha detto che armeremo le forze ucraine per sostenerle «nella loro eroica battaglia». Così, dopo essere stati incapaci di fare la pace, gli europei vogliono provare a fare la guerra, naturalmente attraverso i corpi dei soldati e dei civili ucraini.

Dal discorso di Draghi a un Parlamento come al solito di fatto esautorato, alla retorica bellica di Enrico Letta, all’editoriale del Corriere della sera che lamenta che «noi occidentali stiamo perdendo la potenza delle armi perché non sopportiamo più di subire perdite in una guerra convenzionale. All’epoca dei nostri nonni un caduto in famiglia era motivo d’orgoglio, oggi è considerato inaccettabile»: ci stiamo mettendo l’elmetto, e spediamo migliaia di soldati al confine ucraino.

Se è giusto, oltre che compatibile con la nostra Costituzione, inviare in Ucraina «equipaggiamenti militari non letali di protezione», e cioè mezzi di difesa, è invece un grave azzardo aver deciso di mandare armi letali di offesa. Perché dall’Unione Europea, e dall’Italia, ci si aspetta ora che lavorino ventre a terra per la pace, non che alimentino anch’esse la guerra. Si dice che dobbiamo aiutare la resistenza ucraina: anche qua, è difficile e penoso provare ad articolare un pensiero a migliaia di chilometri di distanza e nelle nostre case (per ora) sicure. Ma siamo sicuri che, se riguardasse l’Italia, vorremmo armi per prolungare di qualche giorno l’ineluttabile resa a una potenza così più grande? I maschi paramilitari che da giorni gongolano in tv con la bava alla bocca (perché finalmente vedono una guerra vera da vicino) ci dicono che non è il momento del dialogo, perché bisogna rendere a Putin il boccone più indigesto, per poi strappare di più ai negoziati. Ma tacciono sul prezzo: migliaia (forse decine o centinaia di migliaia) di militari e civili ucraini straziati, con in mano le nostre armi: per guadagnare un po’ di tempo. Chiederemmo per noi stessi quel che stiamo offrendo agli ucraini che diciamo di voler aiutare? Non lo so, me lo chiedo: ma è davvero inquietante la ferrea sicurezza guerriera dei nostri politici di cartone.

Di sicuro c’è che dare armi all’Ucraina senza fare anche più diplomazia, senza dialogare subito, senza immaginare e compiere anche gesti clamorosi è contro lo spirito, se non contro la lettera, dell’articolo 11 della Costituzione: non possiamo abbracciare la guerra come unico rimedio alla guerra.

Lo stesso Governo con l’elmetto ha evacuato l’ambasciata italiana da Kiev a Leopoli: ma invece in quell’ambasciata doveva volare lo stesso ministro degli Esteri, con tutti i suoi colleghi europei. È lì che – oggi stesso – dovrebbe riunirsi la stessa Commissione Europea in carne ed ossa, con i capi di Stato e di governo: come segno potente di vicinanza e di interposizione simbolica. Ma i capi dell’Occidente pensano di cavarsela più a buon mercato, e senza rischiare direttamente: e senza terremotare più di tanto un’economia globale legata mani e piedi alla Russia di Putin, fino a ieri ottimo partner di affari.

Armare il popolo ucraino è un calcolo cinico travestito da solidarietà, un gesto irresponsabile che rischia di essere drammaticamente sbagliato: perché prolungare e aggravare una guerra dall’esito purtroppo scontato, può aprire la strada a esiti che non lo sono per nulla. Buttare benzina su questo fuoco, infatti, può condurre – quasi meccanicamente, senza che nessuno davvero si renda conto di ciò che sta innescando – a una terza guerra mondiale, e al conflitto nucleare. Cioè alla fine della vita sulla terra. Fino a mercoledì scorso i nostri onnipresenti esperti di geopolitica giuravano che l’invasione non ci sarebbe stata: ora gli stessi santoni giurano che non c’è rischio nucleare. Vorrei potermi fidare, di loro e del ceto politico occidentale: ma l’impressione è quella di essere guidati da ciechi che seguono altri ciechi. Tutti rigorosamente con l’elmetto.

In testa all’articolo di Montanari: Pieter Paul Rubens, “Conseguenze della guerra” (1637-1638), Firenze – Galleria Palatina
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