Rocca

455529ca-bbc1-4765-b84c-a25807446f46
- È online Rocca 23/2021.
———
Pianeta Giovani.
L’editoriale di Mariano Borgognoni.
[segue] Sono meno del 20% della popolazione. Li chiamiamo giovani, anche se vi sono dentro fino ai 34 anni, cominciando dai 15. Dal 2014 sono più numerosi coloro che hanno oltre 65 anni. Questo fenomeno è definito degiovanimento. A settembre il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è risultato del 29,8%, secondo soltanto alla Spagna (30,06%). Eurostat segnala un tasso medio in zona euro del 15,9%. Dentro questo dato c’è anche una più grave componente di genere. Le donne, che superano in rendimento e quantità i coetanei nel percorso educativo (22% di laureate contro il 16%) trovano poi forti ostacoli nell’accesso al lavoro e tanto più alle posizioni apicali. E a maggior ragione in una società gerontocratica, dove il 70% della power elite ha più di 50 anni. È questo quadro che ci ha indotto ad aprire una ricerca sulla più bruciante delle questioni sociali. Di essa si parla con accenti retorici. Noi vorremmo affrontarla da diversi punti di vista, segnando con una sorta di bollino, toledot G, gli articoli che riguardano il pianeta giovani. In questo numero troverete i primi contributi.
A partire dai dati esposi un elemento appare evidente: il limitato peso demografico dei giovani comporta una scarsa rappresentanza politica e crea difficoltà nel trovare forme adeguate a veicolarne interessi e aspirazioni. Si è fatta largo una privatizzazione dell’incertezza che è l’altra faccia dell’allentamento dei giunti di tenuta della società e perfino delle varie parti di un io che cresceva e diventava adulto in un contesto relativamente coerente. Lo sgretolarsi delle solidarietà orizzontali (dalla famiglia, alla classe, ai partiti, ai corpi intermedi) e la progressiva caduta delle tutele socialdemocratiche e cristiano sociali, insieme alla fine della paura di una alternativa di sistema, pongono gran parte dei giovani in una condizione atomizzata nella quale si salva chi può. Torna a contare più che mai il background, il capitale sociale e culturale ascritto: una parte della gioventù rimane ancorata più di un tempo ai gradini alti della gerarchia sociale; l’altra, o gran parte di essa, trova l’ascensore bloccato e anzi, il più delle volte, operativo solo verso il basso. Crescono i rischi di lavoro discontinuo e mal retribuito, di dipendenza dallo welfare familiare finché dura, di precarizzazione dell’esistenza. Certo rispetto al periodo aurorale dello stato sociale, nel quale sopra il carro dello welfare erano in pochi e tanti erano coloro che lo trainavano, oggi il meccanismo si sta capovolgendo, determinando problemi di sostenibilità finanziaria, ma questo non si può imputare come una colpa alla generazione anziana, né ai giovani, accusandoli di condurre esistenze svogliate, come se bastasse un atto di buona volontà o un’aggiustata alla formazione per dare d’incanto a tutti un lavoro buono e stabile. È falso e non fa vedere come le innovazioni di processo nella produzione e nei servizi eliminino, ferocemente quanto inevitabilmente, posti di lavoro. Senza diminuire l’orario non sarà possibile combattere la disoccupazione giovanile. Bergoglio lo ha detto papale papale. La Sinistra è timida, il Sindacato tiepido, gli altri pensano ad altro. In questa situazione il reddito universale è necessario ad assicurare la sussistenza, ad evitare la schiavitù del supersfruttamento. Poi se va migliorato lo si migliori, lo si faccia diventare lavoro di cittadinanza.
Ultima considerazione. Trovo intollerabile parlare in nome dei giovani quando si affronta il tema delle pensioni come se loro nemici fossero i genitori. Si dice: solo con il sistema contributivo assicureremo ai giovani una pensione. E tutto questo viene presentato come indiscutibile e sommamente giusto. Invece summum ius summa iniuria. Perché il contributivo è la fotografia delle disuguaglianze:chi è ricco avrà una pensione ricchissima, chi è povero ne avrà una poverissima. C’è un’altra via: dare al più ricco una pensione meno ricca e al più povero una meno povera. E vivere tutti con dignità l’ultima stagione. È un altro modo di far quadrare i conti: si chiama solidarietà e redistribuzione. Come un altro modo è quello di tassare adeguatamente le grandi fortune per aiutare le giovani generazioni.
Lo studioso Usa Michael J. Sandel conclude così un suo testo: «Un vivo senso della contingenza della nostra sorte può ispirare una certa umiltà: se non fosse per la grazia di Dio o per un accidente della nascita, sarei io al posto del povero. Un’umiltà come questa è l’inizio del ritorno dalla dura etica del successo che ci separa, verso una meno rancorosa e più generosa vita pubblica». E noi europei, noi italiani non dovremmo mancare di parole adeguate per dire che non c’è vero benessere e buona vita per nessuno se essi non sono condivisi nella giustizia. E nella speranza che ogni generazione nuova possa rendere la vita più ricca e più degna.
————-

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>