Costituente Terra

costituente-terra-logo
una Terra
un popolo
una costituzione
una scuola

Newsletter n. 47 del 28 settembre 2021

Se il papa annuncia il Vangelo

Care Amiche ed Amici,

un singolare carteggio polemico si è scambiato in questi giorni tra due rabbini in rappresentanza dell’ebraismo mondiale e il cardinale Kurt Koch, presidente della Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Materia del contendere è stata la catechesi sulla lettera di san Paolo ai Galati che papa Francesco sta tenendo ai fedeli nelle udienze generali del mercoledì. Per i cristiani la lettera ai Galati non è archeologia: come scrive il gesuita padre Giancarlo Pani nel presentarne un’edizione, “si tratta della prima riflessione sulla fede per la salvezza”, scritta prima ancora dei Vangeli, e in quanto chiarisce “in che cosa consista la salvezza donata da Cristo” “è fondamentale anche per noi, per i cristiani di ogni generazione e di tutti i tempi”. In particolare quella a cui i rabbini hanno reagito è la catechesi papale dell’11 agosto scorso sul tema del rapporto tra Legge e Vangelo che è al centro del messaggio paolino: i Galati, spinti da missionari rigidi e fondamentalisti stavano perdendo la libertà arrecata dal Vangelo per ricadere nel formalismo ipocrita dell’osservanza della Legge e Paolo, come fa Francesco con i fedeli di oggi, li esorta nella sua lettera a non tornare indietro per non finire di nuovo sotto le vecchie schiavitù. I due rabbini sono Rasson Arussi, che a nome del Gran Rabbinato di Israele a Gerusalemme presiede la Commissione per il dialogo con la Santa Sede, e il rabbino David Sandmel che presiede il Comitato Ebraico per le Consultazioni Interreligiose a New York; i due rabbini hanno scritto una vibrata lettera al cardinale Koch riscontrando nelle affermazioni del papa sulla liberazione dalla Legge di Mosè operata da Gesù “un insegnamento sprezzante verso gli ebrei e verso l’ebraismo”. Papa Francesco aveva fatto riferimento all’immagine paolina della Torah come “pedagogo” per giungere a Gesù, immagine non certo denigratoria, ma i rabbini hanno ritenuto che in tal modo il Papa non solo avesse presentato la fede cristiana come un superamento della Torah (che secondo Paolo Cristo aveva portata a compimento nello Spirito Santo secondo il comandamento dell’amore) ma avesse sostenuto che quest’ultima non dà la vita, il che implica che la pratica religiosa ebraica nell’era attuale è obsoleta.
Questa protesta ufficiale dell’ebraismo è giunta come un fulmine a ciel sereno e del tutto imprevedibile perché mai come con papa Francesco i rapporti del cristianesimo con le altre religioni sono state presentate in modo più accogliente e meno esclusivo, mentre uno straordinario amore il papa ha manifestato in tutti i modi proprio nei riguardi degli ebrei. Degli stessi Comandamenti il papa non aveva affatto detto che non si dovessero osservare ma che anzi bisogna camminare sulla loro strada, senza però cadere nel fondamentalismo che distoglie dall’incontro con Gesù e quindi con il Padre. Né si può dire che Francesco avesse detto qualcosa di nuovo riguardo ai rapporti con l’ebraismo o vi avesse aggiunto qualcosa di suo; lui stesso ha espresso meraviglia per l’accusa che gli era stata rivolta quando in una successiva catechesi, quella del 1 settembre, senza arretrare dal suo insegnamento, ha detto che la sua spiegazione della Lettera di San Paolo ai Galati “non è una cosa nuova, una cosa mia; è quello che dice San Paolo, in un conflitto molto serio, ai Galati. Ed è anche Parola di Dio, perché è entrata nella Bibbia. Non sono cose che qualcuno si inventa, no. È una cosa che è successa in quel tempo e che può ripetersi”. Perché dunque i rabbini se l’erano presa?
Una risposta articolata è stata poi fornita ai due interlocutori in una lettera del cardinale Koch, scritta dopo aver sentito il papa stesso. In essa si dice che “la convinzione cristiana costante è che Gesù Cristo è la nuova via di salvezza. Tuttavia questo non significa che la Torah sia sminuita o non più riconosciuta come la ‘via di salvezza per gli ebrei’”. Come il Papa aveva detto in un discorso fatto in Vaticano nel 2015 al Consiglio internazionale dei cristiani e degli ebrei, che il cardinale richiama e conferma, “le confessioni cristiane trovano la loro unità in Cristo; il giudaismo trova la sua unità nella Torah. I cristiani credono che Gesù Cristo è la Parola di Dio fatta carne nel mondo; per gli ebrei la Parola di Dio è presente soprattutto nella Torah. Entrambe le tradizioni di fede trovano il loro fondamento nel Dio unico, il Dio dell’Alleanza, che si rivela attraverso la sua Parola”.
Questa controversia che si è accesa tra il papa e gli ebrei è sorprendente perché non ha altra causa che la predicazione del Vangelo, come se essa stessa fosse causa di offesa per gli ebrei; ma se così fosse sarebbe il Vangelo stesso a dover essere taciuto, non ci sarebbe rimedio all’inimicizia e tutti gli sforzi fatti per stabilire una vera comunione con gli ebrei dopo il Concilio sarebbero vani. La pietra dello scandalo sarebbe la teologia di Paolo che più di ogni altro ha presentato la novità cristiana come una liberazione dalla legge mosaica. In effetti Paolo è sempre stato considerato un nemico dagli ebrei, che gli imputano di aver teorizzato il trasferimento dell’elezione divina da Israele alla Chiesa. Ma non tutti gli ebrei pensano così e qui va ricordata la rilettura di Paolo fatta dal grande intellettuale ebreo Jacob Taubes che nel suo seminario tenuto poco prima di morire a Heidelberg nel 1987 su “La teologia politica di san Paolo” , ha sostenuto che Paolo non è un “convertito” dall’ebraismo, non di questo si sarebbe trattato nel famoso episodio di Damasco; si trattò invece di una chiamata, di una vocazione, come quella di un altro grande profeta ebreo, Geremia, che, prima ancora di nascere era stato “stabilito profeta delle nazioni” (Ger. 1,5); è lo stesso Paolo, osservava Taubes, che si presenta come “chiamato” ad un compito, prescelto per vocazione ad essere apostolo (infatti non lo era, come gli altri dodici), “inviato dagli ebrei ai pagani”, restando, pertanto, ebreo. Né Paolo ha tradito l’ebraismo perché tutt’altro che affermare una revoca delle promesse di Dio al popolo eletto, ha sostenuto che la promessa di Dio al popolo d’Israele è irrevocabile; non si trattava per lui di trasferire l’elezione da un popolo a un altro, sia pure più grande, ma di estendere l’elezione a tutti i popoli in forza non più di un’obbedienza alla legge ma di una “obbedienza alla fede”; e la dialettica interna di questa posizione è quella espressa nel cap. 9 della lettera ai Romani, secondo cui si trattava di volgere gli stranieri alla fede per “ingelosire” Israele; e quando a causa dell’ “indurimento” di una parte d’Israele fosse entrata la totalità delle nazioni, allora tutto Israele (pás Israel) sarebbe stato salvato, come dice al cap. 11 la lettera ai Romani. Questa è la tesi di Taubes che fa di Paolo il grande profeta ebreo chiamato da Dio a passare il testimone dagli ebrei ai pagani, e perciò a tutti gli uomini, senza peraltro sottrarlo ai primi.
Che interesse ha ricordare questa interpretazione ebraica della figura di Paolo (che si può trovare in un capitolo del libro di Raniero La Valle “Prima che l’amore finisca”, e si può leggere ora nella terza sala – l’unità umana – del sito http://labibliotecadialessandria.costituenteterra.it/)? La sua attualità sta nel fatto che se i rabbini che hanno protestato col papa per la sua catechesi su Paolo l’avessero tenuta presente non avrebbero scritto la loro protesta; ma soprattutto è utile perché ristabilire attraverso lo stesso Paolo una continuità dell’economia salvifica divina tra l’ebraismo e il cristianesimo sarebbe un grande contributo alla costruzione dell’unità umana oggi così necessaria, non solo per le sorti politiche del mondo ma per la sua stessa continuità e sopravvivenza.
Una cronaca della crisi intervenuta tra Vaticano e ebrei si può trovare nella sezione “Dicono i fatti” del sito Chiesadituttichiesadeipoveri.
Con i più cordiali saluti

http://www.costituenteterra.it/
———————————
logo76
———————————
cost-terra-logo
————————————–
lbda-logo-tr-1
L’Islam non avanza con la spada
Lettera aperta ad Al-Baghdadi

Giovedì 24 Settembre 2014, 126 tra i maggiori sapienti e accademici dell’Islam di tutto il mondo hanno pubblicato una lettera aperta nella quale vengono confutate le argomentazioni religiose sostenute dal gruppo definito “Stato Islamico” (IS) (anche noto come DA’ISH, ISIS, e ISIL). La lettera, costituita da 22 pagine, è stata originariamente redatta in lingua araba e poggia saldamente sulle citazioni dal Corano e sugli Hadith, in modo tale da confutare in principio il complesso di convinzioni e azioni violente di questo gruppo. Sebbene questa non sia la prima volta che l’IS venga condannato dai sapienti musulmani, si tratta di certo della prima dichiarazione approfondita ed esauriente, basata proprio sulle fonti che lo stesso IS dichiara di prendere come modello, che viene pubblicata dai sapienti sunniti così da mostrare i motivi per i quali l’IS è in errore. La lettera si presenta nel modo tradizionalmente educato di dare consigli.

Sintesi

1. Nell’Islam è vietato emettere una fatwa [sentenza giuridica, n.d.t.], senza le necessarie qualificazioni di studio. E anche qualora questo venga rispettato, le fatwa devono conformarsi alla teoria legale islamica così come è definita nei testi classici. E’ anche vietato citare i versetti coranici, o parte di essi, da cui estrapolare un norma, senza fare riferimento a quanto il Corano e gli Hadith insegnano sul quel particolare argomento. In altre parole, vi sono requisiti rigorosi, sia soggettivi che oggettivi, per emettere sentenze giuridiche e nessuno può prendere a piacere parti del testo Coranico da cui trarre argomentazioni legali senza tener conto dell’interezza del Corano e degli Hadith.

2. Nell’Islam è vietato pubblicare sentenze legali a qualsiasi riguardo se non si ha una completa padronanza della lingua sacra dell’Arabo.

3. Nell’Islam è vietato semplificare eccessivamente le regole della Sharia ignorando le consolidate scienze religiose dell’Islam.

4. Nell’Islam è concesso (agli studiosi) di non essere concordi su determinati punti, tranne sui principi fondamentali della religione che devono essere parte basilare delle conoscenze di ogni musulmano.

5. Nell’Islam è vietato non tener conto della realtà del contesto contemporaneo quando vengono
espresse sentenze giuridiche.

6. Nell’Islam è vietato uccidere gli innocenti.

7. Nell’Islam è vietato uccidere emissari, ambasciatori e diplomatici, così come uccidere i giornalisti e i loro assistenti.

8. Il Jihad nell’Islam è una guerra a scopo difensivo. Non è lecito condurla senza una giusta causa, per uno scopo retto e senza precise regole di condotta.

1 Il testo in italiano è a cura della CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) Italiana, tradotto dall’edizione inglese della lettera, pubblicata a Washington dal Direttore del Consiglio per i rapporti americano-islamici (CAIR), Nihad Awad, accompagnato da dieci altri rappresentanti religiosi musulmani americani e leader nel campo dei diritti civili.

9. Nell’Islam è vietato affermare che qualcuno non è musulmano a meno che questa persona non abbia dichiarato apertamente la sua miscredenza.
10. Nell’Islam è vietato maltrattare o ferire in qualsiasi modo i Cristiani e le “Genti della Libro”.
11. E’ obbligatorio ritenere gli Yazidi “Genti del Libro”.
12. Nell’Islam la reintroduzione della schiavitù è vietata, ed è stata abolita all’unanimità.
13. Nell’Islam è vietato forzare le persone alla conversione.
14. Nell’Islam è vietato privare le donne dei loro diritti.
15. Nell’Islam è vietato privare i bambini dei loro diritti.
16. Nell’Islam è vietato promulgare pene legali (hudud) se non si seguono le corrette procedure
che mirano a garantire congiuntamente giustizia e indulgenza.
17. Nell’Islam è vietato torturare le persone.
18. Nell’Islam è vietato sfigurare i morti.
19. Nell’Islam è vietato attribuire a Dio azioni malvage.
20. Nell’Islam è vietato distruggere le tombe e le reliquie dei Profeti e dei Compagni.
21. Nell’Islam è vietata l’insurrezione armata fuorché nei casi in cui il sovrano manifesti
chiaramente la sua miscredenza e impedisca di compiere la preghiera.
22. Nell’Islam è vietato dichiarare un califfato senza il consenso unanime di tutti i musulmani.
23. Nell’Islam è permesso provare amore verso la propria patria.
24. Dopo la morte del Profeta a nessun musulmano è richiesto di emigrare.
In nome di Dio, Misericordioso nella trascendenza e nell’immanenza,
sia lode a Dio il Signore dei Mondi,
e la Pace e le Benedizioni siano sul Sigillo dei Profeti e degli Inviati.
“Per il giorno che declina! In verità l’Uomo è in decadenza, Eccetto coloro che credono e
compiono le opere pure, e si esortano vicendevolmente alla verità, e si esortano
vicendevolmente alla pazienza” (Al-‘Asr, 103:1-3)

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>