America, America. Novità per Cuba?

cuba-2-348x215CINISMO E SPERANZE PER CUBA
di Marino de Medici

Le recenti manifestazioni di protesta all’Avana ed altri centri di Cuba giustificano un quesito che per mezzo secolo appariva
irrealistico: è possibile che a Cuba sia nella fase di incubazione un movimento verso un sistema politico più inclusivo, basato su una nuova base economica che non sia vittima delle imposizioni esterne, dallo sfruttamento di Cuba nel quadro geopolitico mondiale ed in modo particolare dell’embargo americano che continua a gravare sull’isola?
[segue]
Il carattere distintivo di Cuba è la rassegnazione di un popolo
dinanzi allo sfruttamento senza la possibilità di insorgere
contro le incursioni e l’autoritarismo imposti dall’esterno.
Non è avvenuto quando si presentava una speranza di
liberazione, o quanto meno di cambio, al momento della disgraziata
spedizione anti-Castro organizzata dall’amministrazione Kennedy,
prontamente soffocata da Fidel nella Baia dei Porci. Il calcolo
americano su un sollevamento interno in concomitanza con lo
sbarco di esuli armati dall’America si rivelava una chimera.

Da allora, l’unica manifestazione di protesta a Cuba è stato il cosidetto
Maleconazo del 1994 sul famoso lungomare dell’Avana. La repressione
castrista fu rapida e sanguinosa. A quel tempo, come oggi, tutto
ruotava attorno alle penose condizioni economiche, a cominciare
dalla perdita dei sussidi della defunta Unione Sovietica. Il governo
castrista, incapace di risolvere i problemi della fame e del fallimento
dell’economia rivoluzionaria, si aggrappava all’ancora di salvezza di
quel turismo che Fidel aveva condannato negli Anni Sessanta come
un retaggio dell’imperialismo americano. A sua volta, Raul Castro
muoveva qualche incerto passo sulla via della liberalizzazione,
incoraggiato dalla politica del presidente Obama che si sforzava
di aprire alla normalità nei rapporti tra Stati Uniti e Cuba.

Era un capitolo destinato a chiudersi a seguito di una nuova
politica intransigente del presidente Trump e dell’incompetenza
del nuovo leader cubano Miguel Díaz-Canel. La nuova generazione
di cubani si trova dinanzi allo stesso capestro dei loro padri,
l’incapacità di influenzare le forze politiche ed economiche, interne e globali, che oscurano l’evoluzione ad un futuro migliore. Paradossalmente, l’unica speranza di cambio a Cuba e’ legata
al fatto che la nuova generazione non serba un profondo sentimento di
lealtà verso la leadership al potere, il lascito di cubani che avevano
lottato contro i dittatori Gerardo Machado e Fulgencio Batista e che
Fidel Castro aveva sfruttato come nuovo caudillo.

Chi si attendeva dal presidente Díaz-Canel qualcosa di diverso dalla
pedissequa concione rivoluzionaria è rimasto deluso. Le sue parole
ricalcavano esattamente il rapporto di sempre tra il governo
rivoluzionario e qualsiasi forma di dissenso. Chi protesta è lo
strumento prezzolato dell’embargo che non rinuncia a strangolare
Cuba. Ciò giustifica la permanenza dell’apparato di repressione e
la continuità del governo rivoluzionario. Con questa strategia il
governo ha costantemente privilegiato il ricorso a misure cautelative
per prevenire qualsiasi possibilità di sollevamento. Ma ora c’e’
qualcosa di nuovo in atto, l’emergente presenza di un settore
popolare che scende in piazza senza il timore della prevenzione.
Non è molto, ma non è neppure poco.

Resta da chiedersi se l’America di Biden potrebbe in qualche
modo assecondare il movimento di protesta cubano contro
l’incessante tentativo del governo di attribuire il perdurante
marasma economico alle sanzioni degli Stati Uniti. La cessazione
delle sanzioni non è in vista, e gli analisti americani sono d’accordo
che una simile svolta comporta un forte rischio politico per
il presidente Biden. La Florida, con la sua forte componente
conservatrice di esuli cubani, lo condannerebbe con
violenza, di pari passo con la destra oltranzista. Detto questo, va ricordato che da 29 anni l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite condanna l’embargo per Cuba. Nell’ultima sessione il voto
e’ stato di 182 contro 2. Hanno votato contro gli Stati Uniti ed
Israele. Ma il fatto più sorprendente è che in ampia misura i
media americani evitano di considerare la misura in cui l’embargo
americano continua ad esasperare la situazione nell’isola ed
a vanificare qualsiasi serio tentativo di normalizzarla. In breve,
le condizioni non sono mature per un riesame della politica
americana che contempli la possibilità della cessazione dell’embargo.

Non molti sanno che il presidente degli Stati Uniti ha l’autorità di
modificare unilateralmente l’embargo contro Cuba. Il presidente
può agire in tal senso, fino al punto di cancellare l’embargo, ad
onta dello Helms-Burton Act che impone condizioni politiche su
Cuba per la rinuncia all’embargo. Per contro, il Congresso non
mancherebbe di opporsi alla cessazione unilaterale dell’embargo.
Le corti americane sarebbero tratte in causa anche se fino ad
oggi hanno evitato di pronunciarsi sul contenzioso cubano. Il
presidente Trump aveva accettato i postulati dello Helms-Burton
Act. In termini legali, però, quella legge non ha “codificato” l’embargo
nè ha compromesso la discrezione del presidente ai fini della sua
abolizione. In conclusione, l’embargo resta una bomba inesplosa
nello scenario politico degli Stati Uniti. E lo resterà per qualche
tempo ancora con le conseguenze che sono da decenni sotto gli
occhi di tutti.

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