Il discorso di Marino de Medici in occasione della premiazione.
Gentili membri della Associazione Amerigo, Console Ragini Gupta, Presidente Andrea Gubina, Rappresentante Massimo Cugusi, Coordinatore Michele Ricceri e gentili ospiti di questa celebrazione della dodicesima edizione del Premio Amerigo,
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desidero esprimere a voi tutti un sentito ringraziamento per il Premio Speciale che mi è stato conferito quale riconoscimento alla mia carriera di corrispondente dagli Stati Uniti durante sessanta anni che hanno visto straordinari eventi snodarsi in America e nel mondo. Di questi accadimenti sono stato testimone diretto da Washington come corrispondente e nel mondo come inviato speciale del quotidiano Il Tempo. Ero sbarcato in America nel 1954 da giovane con tante belle speranze lasciandomi alle spalle un lavoro di redattore al Messaggero. Avevo ricevuto una borsa di studio Fulbright che mi portò all’Università di Washington a Seattle, nello stato di Washington. Questa destinazione fu la prima sorpresa perché pensavo si trattasse della capitale Washington. Quando corsi alla carta geografica per vedere dove era Seattle, il mio sguardo dovette spingersi alla costa ovest sul Pacifico. Da Seattle il passo fu più breve a Berkeley, all’Università di California.
I miei studi universitari mi spronarono a capire più a fondo l’America al punto che dopo il mio rientro in Italia diedi corso al mio proposito di tornare in America per lavorarci come corrispondente. L’agenzia ANSA appagò la mia ambizione inviandomi come corrispondente proprio a Washington. Sbarcai in America nel dicembre del 1960. La mia passione per gli Stati Uniti d’America aveva una vecchia radice, o dovrei dire sublimava il mio primo amore di giornalista, quello per il Primo Emendamento della Costituzione americana.
Il Primo Emendamento della Costituzione americana protegge la libertà di parola, di religione e la stampa. Protegge anche il diritto alla protesta pacifica ed a petizioni al governo. Fu approvato nel 1791 insieme ad altri nove emendamenti noti come Bill of Rights. Da allora, numerose decisioni della Corte Suprema hanno protetto il diritto dei cittadini di protestare contro l’intervento in conflitti esteri, incluse azioni come dare alla fiamme la bandiera nazionale e pubblicare documenti segreti del potere esecutivo. Oggi, posso dire di aver reso omaggio al Primo Emendamento in quanto verso la fine della mia carriera ho insegnato un corso sul Primo Emendamento alla Shenandoah University, situata a Winchester, dove vivo, nella Virginia. Il Primo Emendamento continua a proteggere la stampa come a suo tempo il pamphleteer, il libellista dell’Ottocento.
Purtroppo, la stampa tradizionale, ossia i print media, ha subito un tracollo durante i miei anni a Washington, dapprima per l’avvento della televisione, affermatasi come la più popolare piattaforma per il consumo di notizie, fino all’esplosione dei social media. Attualmente, un americano su cinque cerca le notizie sui social media e solo il 16 per cento sui giornali. L’accozzaglia di notizie false la moltitudine di teorie di complotti propagate dai social media sono particolarmente dolorose per un accanito giornalista dei print media.
Quando arrivai a Washington per coprire la nuova amministrazione Kennedy, il presidente Eisenhower era prossimo a lasciare l’incarico. Fu un sereno trapasso di poteri, da un repubblicano ad un democratico, all’insegna del comune rispetto della tradizione democratica. Il mio primo vivo ricordo di Washington è proprio quello dell’inaugurazione di John Kennedy. Si svolse davanti al portico orientale del Campidoglio americano, ammantato di neve, con un freddo glaciale.
In sessanta anni di lavoro negli Stati Uniti, posso dire di aver visto una democrazia rappresentativa in azione, in tempi cupi e drammatici, dall’assassinio di Kennedy all’ultima elezione che ha visto un presidente rifiutare l’esito del voto ostacolando un ordinato trapasso dei poteri. In compenso, ho appena visto la fotografia di tre ex presidenti – Clinton, Bush e Obama – abbracciati nell’annunciare che si sarebbero vaccinati pubblicamente contro il Covid-19. Ad onta di conflitti e catastrofi, dalla paura di uno scontro nucleare con l’Unione Sovietica alla guerra perduta nel Vietnam, dall’abbattimento delle torri gemelle di New York alla battaglia senza fine contro il terrorismo islamico, la democrazia americana ha conservato la sua identità democratica ed ha tenuto fede ai suoi impegni per la difesa di Paesi alleati e per la promozione dei diritti umani nel mondo.
Sin dagli inizi, dell’America mi ha impressionato la ricchezza del pensiero politico, legato al piacere intellettuale e alla tranquillità spirituale. Uno stretto legame insomma all’epicureismo esaltato dal filosofo Lucrezio, tanto che Thomas Jefferson ne fu talmente influenzato da includere la ricerca della felicità nella Dichiarazione di Indipendenza. Non ho mai dimenticato che Jefferson possedeva cinque copie del testo latino di De Rerum Natura.
Il richiamo dell’Associazione Amerigo ai meriti di quanti “narrano” l’America agli italiani non potrebbe essere più felice. Sono fiero di avere partecipato a questa narrazione e Vi ringrazio di avere riconosciuto il mio contributo.
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