La Sardegna e l’Europa si salvano insieme
Si ripropone con urgenza la modifica della legge elettorale per consentire ai sardi di eleggere propri rappresentanti nel parlamento europeo
di Franco Meloni
La scadenza delle elezioni politiche tedesche del prossimo settembre è dai più considerata come vero e proprio spartiacque rispetto ai destini dell’unione europea. I nuovi equilibri politici della Germania, attuale stato guida europeo, determineranno in sostanza quale di due opposte strade si dovrà percorrere, basate: la prima sull’ipotesi di un processo di maggiore integrazione politica fino alla costituzione di una nuova entità statuaria (Confederazione, Federazione?); la seconda sulla presa d’atto dell’attuale crisi con la probabile costituzione di almeno due gruppi di paesi selezionati per omogenei gradi di integrazione, che darebbero origine a due “aree euro”. Tutti iscritti entro una labile cornice che di Europa avrebbe soltanto il nome. In questo caso si tornerebbe clamorosamente indietro tutta! Ovviamente questa è una rappresentazione schematica che non da conto di possibili sfumature di scenari, che potranno essere prossimi alla prima piuttosto che alla seconda ipotesi. Gli altri paesi che fanno? Beh, a di là delle dichiarazioni (per rimanere alla Francia e all’Italia: svolta, a parole, verso gli stati uniti d’Europa di Hollande e rituale giuramento europeista di Letta, nonostante Berlusconi) più o meno si aspetta tutti la scadenza tedesca. Nelle ipotesi prospettate io sto sulla prima, nella consapevolezza che tutto potrà accadere. Non c’è certo da stare allegri: sempre meno peraltro ci si può fidare dei governi. Speriamo che infine prevalga la saggezza degli elettori. Cosa anch’essa abbastanza problematica. Ma, fatta questa premessa e soprattutto fatta, nonostante tutto, la scelta più autenticamente europeista, dobbiamo chiederci dal nostro punto di vista di sardi: che fare, oggi, nella prospettiva di breve, medio e lungo periodo? Ebbene, per quanto mi riguarda esplicito e propongo una risposta, che spero convincente, nel seguente modo: dobbiamo impegnarci a costruire una Sardegna indipendente e sovrana, radicata nell’appartenenza europea, di un’Europa che evidentemente vogliamo diversa, per missione e contenuti (l’Europa dei popoli) e per gli aspetti istituzionali, attraverso la realizzazione degli “stati uniti d’Europa”, con un modello originale che faccia tesoro delle migliori esperienze storicamente attuate e/o in atto. Quest’Europa e questa Sardegna, nella visione delineata – che richiede studio, negoziazioni, sperimentazioni, correzioni in itinere, etc. e soprattutto partecipazione dei cittadini europei (per quanto ci riguarda sardo-europei) e dunque, appunto per queste ragioni, impegno di lunga lena – vanno costruite da subito. Con questo faro d’orientamento, con questa certezza di prospettiva (di medio e lungo periodo), partiamo pure dal contingente. E il contingente è costituito in primo luogo dalle due scadenze elettorali, quasi contemporanee, quella sarda (elezione del consiglio regionale e del presidente della regione), presumibilmente nel febbraio 2014 e quella europea (elezione del parlamento europeo e, forse, designazione del commissario europeo) sicuramente nel maggio 2014. Dobbiamo nel dibattito per la costruzione dei programmi e per la designazione dei candidati intrecciare fortemente queste due tematiche, che sintetizziamo nello slogan: Sardegna e Europa si salvano insieme. Dico a tutti noi e soprattutto alla sinistra e al mondo indipendentista che non è consentito avere sull’Europa “riserve mentali”, cioè dobbiamo dichiararci ed essere profondamente europeisti (e agire di conseguenza), in questo riallacciandoci al miglior pensiero federalista dei pensatori universali e, tra questi, particolarmente dei pensatori sardi e, se vogliamo come io propongo, riferendoci esplicitamente al Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, più che mai attuale nella visione europeista. Voglio rimarcare che proprio nell’attuale situazione di incertezza e di diffusa sfiducia verso la concreta realizzazione dell’unione europea è necessario avere e proporre una prospettiva certa. Considerato che tale situazione di sfiducia non riguarda il concetto di Europa e neppure la necessità di integrazione europea, ma piuttosto la sua deludente realizzazione storica. Mi chiedo infatti, con un esempio riduttivo ma significativo: come potrebbero non essere europeisti i giovani sardi che hanno fatto l’Erasmus, che si sentono cittadini sardi ed europei, che vedono nella virtuosa costruzione dell’Europa il superamento dell’assurdo impasse in cui si è cacciata l’Italia soprattutto (ma non solo) nell’orrendo ventennio berlusconiano. Analoghe considerazioni, mutatis mutandis, possono essere fatte con riferimento alla crisi dell’autonomismo e all’attuale condizione della Sardegna, che i giovani sardi (e non solo) vogliono diversa. Dobbiamo approfondire. Tuttavia in questo quadro azzardo un pensiero (forse illusorio): possiamo ritrovare un senso del nostro essere sardi ed europei in un rinnovato coerente impegno nella direzione indicata? E, con una buona dose di “ottimismo della volontà”, in certa parte tale impegno può fare da contraltare alle ragioni del “pessimismo della ragione”, spietatamente presenti nel primo intervento di Salvatore Cubeddu? Tornando al contingente, è evidente che in tema di elezioni europee non possiamo non batterci per la modifica dell’attuale legge elettorale (italiana) per l’elezione del parlamento europeo che penalizza la Sardegna, al fine di consentire l’elezione di almeno due parlamentari nell’unico collegio sardo. L’altro aspetto contingente -ma meglio sarebbe dire di breve e medio termine – è la programmazione dei consistenti fondi europei del periodo 2014-2020, che per i meccanismi di spendita si protrarrà al 2023 (proprio la data che indicava Nicolò Migheli come orizzonte temporale per il nostro impegno programmatico). Al riguardo occorre rimuovere l’attuale monopolio decisionale che nella crisi della rappresentanza politica di fatto esercitano burocrati, assessori di turno e altri “addetti ai lavori” per consegnare la competenza a una nuova classe politica (rappresentata in primis dal Consiglio regionale e dai nostri rappresentanti a Bruxelles). Ad essa spetta coinvolgere i sardi, nella misura maggiore possibile (e a questo fine anche noi siamo impegnati), unendo e finalizzando la materialità dei finanziamenti europei, governativi e di bilancio alle cose da fare su tutte le tematiche note (già elencate da Nicolò): la lingua, i beni culturali, le entrate, l’istruzione, le servitù militari, il sistema carcerario, l’agricoltura, i trasporti, il welfare… Per fare questo non fidiamoci dei partiti, senza peraltro demonizzarne nessuno, ma lavoriamo per creare molte occasioni di dibattito e di tavoli di lavoro, con tutti i mezzi disponibili (quelli tradizionali, fatti di assemblee e incontri, e quelli che ci forniscono le tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Un po’ come stiamo già facendo, anche con i nostri blog, ma con maggiore spirito unitario e coinvolgimento di persone e organizzazioni e, ancora, con maggiore impegno per fare a scadenze programmate sintesi e rilancio di proposte condivise e concretamente attuabili, dandoci pertanto per ciascuna delle grandi tematiche obbiettivi chiari e misurabili, entro il quadro di riferimento temporale al 2023. Solo pochi esempi: “Di quanto riteniamo essere in grado di ridurre la dispersione scolastica? Di quanto ci riteniamo capaci di incrementare l’occupazione e ridurre la disoccupazione? Di quanto riteniamo possibile ridurre il gap infrastrutturale tra la Sardegna e le regioni europee più dotate? E così via. Per tutte queste questioni si tratta ovviamente di partire dalla situazione odierna e dallo “stato dell’arte”, tenendo prioritariamente in conto le “emergenze”, quali quelle ben segnalate dall’intervento di Vito Biolchini. Evidentemente anche per contribuire a cambiare impostazioni e ricercare diverse soluzioni, attraverso piani e programmi costruiti con l’ausilio dei migliori esperti e con la più diffusa partecipazione e ricerca del consenso delle popolazioni interessate.
Non vado oltre su queste ed altre questioni, che saranno oggetto di prossimi interventi anche con opportune ricognizioni di dibattiti avviati in altre sedi.
Mi piace invece chiudere con una sintetica considerazione sul problema dei problemi, cioè sulla classe dirigente (non solo politica, ma in tutti i settori e livelli della società): dentro una virtuosa alleanza generazionale, che riconosca il diritto dei giovani di essere protagonisti e decisivi nei posti di comando, occorre individuare e far emergere le persone dotate di idee ed energie nuove (che senz’altro ci sono in Sardegna in tutti i campi e che sono spesso sconosciute, come ben rilevato nell’intervento di Fabrizio Palazzari) per affidare loro i destini della nostra Isola, sostituendo le persone obsolete e inadeguate, perché come sosteneva Albert Einstein: Non si può risolvere un problema con lo stesso modo di pensare che ha creato il problema!
Franco Meloni
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Il presente contributo viene pubblicato anche in altri siti/blog, nell’ambito di un accordo tra diverse persone (tutte impegnate nel movimento culturale “In sardu”), le quali dispongono di detti spazi virtuali che mettono a disposizione per favorire la circolazione di idee (e l’organizzazione di iniziative di carattere politico-culturale) sulle problematiche della Sardegna, senza limiti di argomenti e nel pieno rispetto delle diverse opinioni e impostazioni politiche e culturali, ovviamente nella condivisione dello spirito e dei comportamenti democratici. I contributi saranno pubblicati in italiano e/o in sardo.
Ecco i siti/blog (a cui nel tempo se ne aggiungeranno altri, auspicabilmente) :
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Il primo intervento di Salvatore Cubeddu
Il secondo intervento di Fabrizio Palazzari
Il terzo intervento di Nicolò Migheli
Il quarto intervento di Vito Biolchini
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È vero, Sardegna e Europa si salvano insieme.
Però se si vuole realmente la «partecipazione dei cittadini sardo-europei» è necessario fare chiarezza su alcune questioni terminologiche che sono tutt’altro che irrilevanti.
Parlare di «Sardegna indipendente e sovrana» nell’ambito degli «“Stati Uniti d’Europa”» è un non senso giuridico e politico se si utilizzano le categorie otto-novecentesche che definiscono il concetto di “indipendenza” e “sovranità”.
In quest’ottica, se per “Stati Uniti d’Europa” si intende uno Stato federale sul modello americano (ma, per fare «tesoro delle migliori esperienze storicamente attuate e/o in atto», anche sul modello elvetico come ricorda Adriano Bomboi qui sotto ), un eventuale Stato sardo federato degli “Stati Uniti d’Europa”, non sarebbe affatto indipendente e avrebbe un grado di sovranità più o meno ampia a seconda del modello federale costituito.
Per intenderci: la California (o il Canton Ticino) non è uno Stato indipendente. Gode di un ampissima sovranità che però finisce dove comincia quella degli Stati Uniti d’America, per i quali si può (forse e al limite) ancora parlare di Stato «indipendente e sovrano» nell’accezione classica.
Ma se per «Sardegna indipendente e sovrana» si intende uno Stato che si è reso “indipendente” dalla Repubblica italiana per farsi Stato federato di uno Stato federale che superi la confederazione dell’Unione Europea per dar vita agli “Stati Uniti d’Europa”, Stato federale che garantisce alla Sardegna un grado di “sovranità” di gran lunga superiore a quello previsto (e non applicato) dall’attuale Autonomia regionale (ma comunque inferiore alla “sovranità” di cui hanno goduto gli Stati membri della UE fino ad oggi), allora il ragionamento ha senso.
Ora, si deve decidere se è il caso di operare una chiara e rigorosa ridefinizione in chiave contemporanea dei termini “indipendenza” e “sovranità” nel senso che ho descritto o se forse non sarebbe meglio consegnarli alla Storia e cominciare a parlare all’opinione pubblica sarda di “Stato sardo” federato agli “Stati Uniti d’Europa” dove si spiega cosa si intende per l’uno e per l’altro in relazione al contesto Storico in cui stiamo vivendo.
In relazione alla vicenda catalana, ho già approfondito l’argomento in un post del mio blog (http://www.cagliarifornia.eu/2012/11/con-lindipendentismo-catalano-torna-il.html) del quale, per chiarire ancor più la questione, vorrei riportare un passaggio importante:
«termini ed espressioni come «indipendentismo», «indipendenza nazionale», «stato indipendente» non hanno più il significato che avevano nell’ ’800 e nel ’900 e la Catalogna non può diventare come la Spagna o la Scozia come il Regno Unito.
Lo Stato federale avrà competenza sui «grandi problemi globali» come per esempio la politica energetica, il clima, la politica estera, quella monetaria e finanziaria, l’esercito e la difesa, i diritti umani, le risorse alimentari, i dazi doganali, eccetera.
Gli Stati federati come la Catalogna (e come l’eventuale Stato federato Spagna, se esisterà ancora) si occuperanno invece di «piccoli problemi locali» (che poi piccoli non sono affatto) come per esempio servizi e infrastrutture, sanità, istruzione, trasporti, fiscalità, diritto privato, polizia, diritti civili, etica, gestione e controllo del territorio e via dicendo. Non mancheranno certamente le materie concorrenti (e non mancheranno nemmeno i trasferimenti fiscali allo Stato centrale federale, quelli che la Catalogna non vorrebbe più girare a Madrid, che serviranno anche ad aiutare i Paesi svantaggiati attraverso trasferimenti dal centro alla periferia), ma questo sarà lo schema generale su cui verranno organizzate le interdipendenze tra gli Stati membri. Un po’ come avviene già negli Stati Uniti d’America, ma con le ovvie specificità di cui necessita uno Stato federale europeo».
Sembrerà un ragionamento di lana caprina, ma non lo è affatto. Anzi, la questione è tutt’altro che secondaria se si vuole coinvolgere l’opinione pubblica nel dibattito e far passare diffusamente un messaggio che risulti politicamente credibile in termini di necessità Storica ed economica. Lo dico perché l’opinione pubblica sarda, non per colpa sua, attribuisce a “indipendenza” e “sovranità” dei significati ben precisi che richiamano ancora le categorie classiche oramai superate e che evocano nell’immaginario collettivo modelli anacronistici che sarebbero pericolosi se non apparissero così ridicoli.
(Questo intervento è anche un post del mio blog intitolato «A BENEFICIO DEI SARDI CHIARIAMO UNA VOLTA PER TUTTE IL SIGNIFICATO ATTUALE DI “INDIPENDENZA” E “SOVRANITÀ”. UNA RISPOSTA A FRANCO MELONI» http://www.cagliarifornia.eu/2013/06/a-beneficio-dei-sardi-chiariamo-una.html)
Intervento nel dibattito sul sito vitobiolchini
Adriano Bomboi 12 giugno 2013 at 12:53
D’accordo con Franco Meloni sulla riforma della legge elettorale, tenendo conto di dare ampio respiro alle minoranze in questa Europa. Ma la visione di Spinelli è completamente datata rispetto al dibattito in corso, proprio in queste minoranze, non a caso oggi si parla di “elvetizzazione” dell’Europa piuttosto che di “Stati Uniti d’Europa”. Segnalo un intervento di questo mese sul tema: http://www.sanatzione.eu/2013/06/ma-quale-europa-vogliamo/
Ringrazio Adriano Bomboi e Mario Garzia per i loro tempestivi e competenti interventi. Interverrò anch’io più avanti con alcune considerazioni di carattere prevalentemente politico (ammettendo una personale difficoltà di muovermi quanto i miei bravi interlocutori in una materia complessa che richiede competenza specifica di carattere tecnico.giuridico e non solo) C’è sempre comunque molto da imparare! Dei loro apporti e di quelli di tanti altri esperti, anche di diversi orientamenti che attendiamo fiduciosi, abbiamo bisogno come il pane. Speriamo pertanto che il dibattito cresca nelle nostre e nelle altrui sedi. Intanto segnalo l’individuazione di un comune terreno d’impegno per la modifica della legge elettorale (italiana) che possa consentire una presenza adeguata di rappresentanti dei sardi nel prossimo parlamento europeo. L’urgenza di operare ci impone un supplemento di impegno. A presto (Franco Meloni)
Dal sito di Vito Biolchini (www.vitobiolchini.it)
paolo55 12 giugno 2013 at 23:13
Ecco una proposta di legge presentata in questa legislatura per modificare li eletti al parlamento europeo….http://documenti.camera.it/apps/CommonServices/getDocumento.ashx?idLegislatura=17&sezione=lavori&tipoDoc=pdl&idDocumento=144
Dal sito della Fondazione Sardinia: intervento di Mario Puddu
By Mario Pudhu, 12 giugno 2013 @ 22:13
Cundivido deunudotu s’artículu de Franco Meloni e no creo chi si potat cumprèndhere male su sensu de indipendhéntzia e soberania: semus faedhendhe de indipendhéntzia e soberania in su mundhu e in sa realtade de oe e si cherimus istare in d-un’Europa de sos pópulos, ma a donzi modu in d-un’istrutura colletiva ue bi semus nois e bi sunt sos àteros, est craru chi mai podet èssere un’indipendhéntzia e soberania “assoluta”. Ma proite, indipendhéntzia e soberania gai, ndh’at mai tentu calicunu? Ant proadu, antzis, ant proadu a si fàghere meres de sos àteros puru fintzas a candho no lis ant pistu sos murros, chi cheret nàrrere chi cun sos àteros ant dépidu e depent totugantos fàghere sos contos. E no creo chi s’idea maca de èssere in Europa e in su mundhu a solos, e mancari dominendhe sos àteros puru, siat in conca de sos Sardos. Est s’idea contrària, e bona, chi podet interessare a nois Sardos, ca de sa maca e delincuente semus a dolu mannu paghendhe sas cusseguéntzias.
Indipendhéntzia e soberania tenent su sensu de ndh’essire dae sa gàbbia Itàlia, tenet su sensu de èssere in Europa e in su mundhu cun sa cara nostra e a númene nostru, e no in busaca de s’Itàlia e cun s’eticheta tricolore, cun su tantu de indipendhéntzia e soberania chi cumportat su istare paris. E cumportat fintzas chi no si depant fàghere totu sas sete crésias pro lòmpere a su “santíssimu” e fintzas de tènnere it’e fàghere prus pagu cun sa mentalidade de chie faghet sas lezes e ti leat in ziru. E cumportat fintzas de fàghere sos contos cun nois etotu, a su postu de prànghere e pònnere a suta, ca indipendhéntzia e soberania est sa política de sa responsabbilidade. Depo nàrrere, però, chi mancu sos indipendhentistas semus cumprendhindhe cantu est urzente a pònnere passos de indipendhéntzia.
UNA DELLE TANTE PETIZIONI RIMASTE SENZA ESITO
La rappresentanza della Sardegna presso il Parlamento Europeo costituisce una annosa battaglia più volte portata avanti da Enti, deputati e personalità politiche, purtroppo, forse per la poca convinzione o per altri motivi poco noti, senza successo. L’attuale legge, la 18/79 prevede, nella Tabella A, che vi sia un collegio insulare costituito dalla Sicilia e dalla Sardegna; Questa associazione consente ai Siciliani, che sono più numerosi dei sardi con una proporzione di 4 a 1, di eleggere tutti e otto i rappresentanti spettanti a tale collegio, negando di fatto, matematicamente, l’elezione di propri rappresentanti alla Sardegna. Con questa petizione vorremmo chiedere la costituzione di un nuovo collegio costituito dalla sola Sardegna, scindendo l’attuale collegio o creandone uno nuovo; Considerando le proporzioni tra tutti i collegi e il numero abitanti alla Sardegna potrebbero spettare 2 rappresentanti e ciò rappresenterebbe un passo storico per la rappresentanza della nostra isola nel parlamento Europeo.
[...] Il quinto intervento di Franco Meloni [...]
[...] che vogliamo contribuire a realizzare. ————– Articoli correlati: La Sardegna e l’Europa si salvano insieme Franco Meloni, [...]
[...] delle politiche europee per la Sardegna. Personalmente, in sintonia con tanti altri, credo che la Sardegna si salvi solo dentro una prospettiva europea, chiaramente di una Europa diversa da quella attuale e che l’Europa sarebbe comunque valorizzata [...]
[...] La Sardegna e l’Europa si salvano insieme come Carthago delenda est Da Wikipedia, l’enciclopedia libera. Marco Porcio Catone Carthago delenda est, abbreviato in Delenda Carthago (“Cartagine dev’essere distrutta”/”Bisogna distruggere Cartagine”) è una famosa frase latina. Il motto si riferisce alla celebre espressione pronunciata da Marco Porcio Catone, passato alla storia come Catone il censore, al termine di ogni suo discorso al Senato pronunciato a partire dal suo ritorno dalla sua missione di arbitraggio tra i Cartaginesi e Massinissa, re di Numidia, avvenuta nel 157 a.C., praticamente fino alla sua morte nel 149 a.C. Catone, convinto che non fosse possibile né conveniente per i Romani venire a patti con il secolare nemico, aveva fatto di questo argomento il leitmotiv di tutta la propria azione politica, tanto che ogni suo sermone, di qualsiasi argomento trattasse, finiva, sempre, con questa esortazione: Ceterum censeo Carthaginem esse delendam (“D’altronde, ritengo che Cartagine debba essere distrutta”). Questa frase, divenuta proverbiale, viene spesso citata per significare una profonda convinzione strategica che sta dietro, e a cui sono finalizzate, tutta una serie di azioni di natura, per così dire, tattica. [...]
[…] Il quinto intervento di Franco Meloni […]