“Fratelli tutti” UN APPASSIONATO INVITO ALL’UNITÀ UMANA

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L’enciclica “Fratelli tutti” di papa Francesco in una lettura di “Noi siamo Chiesa”. Ogni azione deve tendere a riconoscere l’altro, a un incontro tra differenze, per una trasformazione degli stili di vita, per nuovi rapporti sociali

L’ enciclica “Fratelli tutti” per la complessità e la molteplicità dei temi che tratta meriterà molta attenzione di volta in volta sui vari blocchi di argomenti. Una prima lettura serve ad averne un’idea generale senza in alcun modo esaurire la riflessione.

La situazione difficile del mondo

Essa, nelle sue linee generali, riprende ampiamente il messaggio culturale e sociopolitico di papa Francesco, lo sistematizza e lo arricchisce. In particolare riprende ampiamente il documento di Abu Dhabi del febbraio del 2019 “sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” firmato dal papa con il Grande Imam Abu Al-Tayyeb dell’Università Al-Azhar del Cairo. La prima parte descrive la situazione del mondo constatandone il peggioramento per i nazionalismi emergenti, la crescita delle radicalizzazioni e delle disuguaglianze, i razzismi, le nuove povertà, la pandemia “che ci ha denudati” e ha gravemente penalizzato i più deboli, il rischio del “tutti contro tutti”, il rifiuto dei migranti, i muri, invece dei ponti, che si costruiscono un po’ dovunque, le forme ormai consolidate di schiavitù, la guerra mondiale a pezzi, i poteri economici che sovrastano i soggetti politici che dovrebbero proteggere la “casa comune” dell’umanità.

In questa descrizione si può leggere un contributo abbastanza nuovo (cap. 44 e 45) sulle tante aggressività che si esprimono mediante la comunicazione online e in tutto il mondo digitale che ha alle spalle interessi economici enormi e che è capace di forme invasive e sottili di controllo e di manipolazione. In questa descrizione non nuova delle tante cose negative dello scenario globale non vi è spazio (un solo cenno) per un approfondimento della specifica condizione della donna che è pesante e diffusa ovunque. I diversi aspetti della sua condizione di subordinazione fanno parte dei pesanti rapporti di dominio esistenti al mondo che tutti l’enciclica condanna duramente. Questa assenza ci sembra il limite principale dell’enciclica ed è coerente con la mancanza nel pontificato di papa Francesco di un impegno non formale od episodico perché la condizione femminile sia tutelata e promossa nella società e, a maggior ragione, nella Chiesa. La richiesta che l’enciclica si chiamasse “Sorelle e fratelli tutti” ci sembrava del tutto giustificata (la citazione esatta delle parole di S. Francesco poteva essere ripresa e spiegata nel testo). E’ stato anche rilevato che tra i grandi “maestri” citati tra quelli che hanno ispirato l’enciclica (S. Francesco, Martin Luther King, Desmond Tutu, Mahatma Gandhi, Charles de Foucauld) non c’è nessuna donna.

Il Samaritano, modello per la vita e per la società

L’enciclica passa poi ad un approfondimento del racconto evangelico del buon Samaritano, che viene assunto come modello generale per nuovi rapporti tra gli uomini. Il testo è particolarmente efficace nel descrivere i quattro soggetti presenti nella parabola, assunti a tipologie di comportamenti diffusi. Partendo da qui si sviluppano le linee portanti dei principali messaggi di Francesco. Essi riguardano: gli “ultimi”, i migranti, il potere economico che domina la politica, gli individualismi generalizzati che chiudono le comunità e le società in se stesse, la proprietà privata che dovrebbe essere diritto secondario rispetto ai beni comuni ed al bene comune, i nazionalismi fondati sulla xenofobia e via di questo passo. L’amore si deve praticare da una parte verso le fragilità individuali nei rapporti interpersonali che ognuno di noi incontra nella propria vita, dall’altra con quella che Francesco chiama “amicizia sociale” perché la carità si deve esprimere con l’intervenire sulle situazioni di sofferenza della casa comune (con azioni di tipo sociale, politico, culturale). Questa è la solidarietà. Poi l’enciclica fa un interessante discorso su Fraternità, Libertà e Uguaglianza. Le tre parole d’ordine della Rivoluzione francese vengono naturalmente accettate (già demonizzate dalla Chiesa a suo tempo) ma declinate in questo modo: la fraternità è la condizione indispensabile perché libertà e uguaglianza siano veramente tali. Tutta l’enciclica ruota attorno alla tutela e alla promozione dei diritti umani, a partire dagli ultimi, dagli esclusi, dai “non conosciuti”. Qualcuno ha osservato che la Chiesa mentre li promuove con convinzione dovrebbe essere più consapevole che al proprio interno essi meritano una ben maggiore tutela (per esempio quelli degli abusati dal clero pedofilo) e che, in generale, tante strutture della Chiesa dovrebbero finalmente cambiare nella direzione di quanto dice l’enciclica (per esempio nella gestione delle sue risorse economiche, argomento di assoluta attualità).

Cosa si debba intendere per popolo

L’enciclica continua su come siano da gestire correttamente i valori di ogni popolo, mantenendo le radici storiche, culturali, linguistiche ma dialogando con ogni altro Paese per capire, accettare e stabilire rapporti positivi a partire dal fatto che ogni popolo deve sentirsi parte della famiglia umana. L’accoglienza e l’integrazione dei migranti sono la base per una nuova politica che esiga però programmi globali internazionali. Il “locale” deve avere l’orizzonte del “globale” ed ogni Paese cerchi alleanze ed integrazioni coi Paesi vicini per trattare con le grandi potenze.

Il testo esamina poi in modo critico il populismo e le forme liberali di gestione del potere e vi descrive gli aspetti positivi del concetto di “popolo”. Ma qualsiasi impegno e soluzione – dice l’enciclica – “potrebbe avere ben poca consistenza, se perdiamo la capacità di riconoscere il bisogno di un cambiamento nei cuori umani, nelle abitudini e negli stili di vita. È quello che succede quando la propaganda politica, i media e i costruttori di opinione pubblica insistono nel fomentare una cultura individualistica e ingenua davanti agli interessi economici senza regole e all’organizzazione delle società al servizio di quelli che hanno già troppo potere.”

La carità è l’impegno per il bene comune

Il discorso continua su un versante più direttamente politico. La crisi del 2008 è stata un’occasione persa, gli Stati nazionali perdono potere e domina la finanza. Soprattutto – passo importante dell’enciclica – è necessaria la riforma dell’ONU, il rilancio dei rapporti internazionali e del multilateralismo che è in grave crisi dopo una fase in cui forme importanti di aggregazione si erano sviluppate, per esempio in Europa e in America Latina. In questa situazione papa Francesco richiama il ruolo dei movimenti popolari e sottolinea molto l’importanza delle organizzazioni della società civile che si impegnano per la tutela dei diritti umani e per il bene comune. Questa è carità, è amore, è l’impegno per il bene comune, per cambiare, per il dialogo, per ogni passo in avanti, anche con risultati modesti. Ogni azione deve tendere a riconoscere l’altro, deve tendere a un processo d’incontro tra differenze (senza fermare le rivendicazioni sociali), per una trasformazione degli stili di vita, per nuovi rapporti sociali. Francesco propone un “artigianato della pace” che parta dal basso e “lasci aperte sempre altre possibilità, altre considerazioni del reale, altre strade possibili, perfino dinanzi al peccato e all’errore; sempre è invocata la pluralità, mai il relativismo, sempre il gusto delle differenze, dell’inedito, del non ancora compreso; il poliedro, mai la torre di Babele, dalla pretesa unificante” (Raniero La Valle).

La memoria e il perdono

Per completare il quadro l’enciclica parla del perdono e del suo rapporto con la giustizia e poi della memoria. Non si costruisce per il futuro se non si ha sempre a mente la Shoah ed Hiroshima e Nagasaki. L’enciclica dice: “E nemmeno vanno dimenticati le persecuzioni, il traffico di schiavi e i massacri etnici che sono avvenuti e avvengono in diversi Paesi, e tanti altri fatti storici che ci fanno vergognare di essere umani. Vanno ricordati sempre, sempre nuovamente, senza stancarci e senza anestetizzarci. È facile oggi cadere nella tentazione di voltare pagina dicendo che ormai è passato molto tempo e che bisogna guardare avanti. No, per amor di Dio! Senza memoria non si va mai avanti, non si cresce senza una memoria integra e luminosa. Abbiamo bisogno di mantenere la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che è accaduto», che «risveglia e conserva in questo modo la memoria delle vittime, affinché la coscienza umana diventi sempre più forte di fronte ad ogni volontà di dominio e di distruzione” (messaggio per la Giornata della pace 2020). Papa Francesco è anche esplicito sulla Chiesa e dice: “A volte mi rattrista il fatto che la Chiesa ha avuto bisogno di tanto tempo per condannare con forza la schiavitù e diverse forme di violenza.”

NO alla guerra giusta e alla pena di morte

Il papa riprende quanto già detto molte volte sulla ripresa della corsa al riarmo, in particolare per quanto riguarda le armi nucleari e constata che negli ultimi decenni si è optato “per la guerra avanzando ogni tipo di scuse apparentemente umanitarie, difensive o preventive, ricorrendo anche alla manipolazione dell’informazione. Di fatto, negli ultimi decenni tutte le guerre hanno preteso di avere una giustificazione”. Di conseguenza la Chiesa ritiene superata la dottrina della guerra giusta in certe circostanze e rilancia la proposta della Populorum Progressio per un Fondo mondiale finanziato dalla riduzione delle spese militari per eliminare la fame e per lo sviluppo dei Paesi poveri. Questa posizione netta sulla guerra è una indiretta denuncia di tutti i facili consensi del mondo cattolico nei confronti delle strutture militari ed addirittura di presenze al loro interno (nel nostro Paese i cappellani militari con l’Ordinario militare!). Ugualmente la Chiesa ha definitivamente preso posizione contro la pena di morte in qualsiasi circostanza facendo così una evidente autocritica rispetto alla sua posizione precedente. L’enciclica si conclude sul dialogo tra le religioni e sull’identità cristiana. La Chiesa, che auspica la convergenza del mondo cristiano e di tutte le religioni su queste grandi questioni, rivendica l’autonomia della politica ma «non può e non deve neanche restare ai margini» nella costruzione di un mondo migliore, né trascurare di «risvegliare le forze spirituali che possano fecondare tutta la vita sociale”. In questo modo si contribuisce a combattere a oltranza quel terrorismo che strumentalizza la religione e che combatte la libertà religiosa. Ci lascia però perplessi, al cap. 273 una citazione di papa Wojtyla che dice: “Se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini”. Interpretato alla lettera questo passo può indicare una “esclusiva” delle religioni nell’indicare le strade per la retta convivenza sociale (e ciò è del tutto discutibile sia come affermazione di principio sia perché smentibile osservando la storia).

Fratelli tutti” completa il messaggio della Laudato Si’

Mi pare che “Fratelli tutti” esprima il filone migliore e più universale di un pontificato che viene ostacolato da tante strutture ecclesiastiche che sono retaggio dei due pontificati precedenti, di una comprensione mummificata dell’Evangelo da parte di molti, di una struttura piramidale autoreferenziale e di un accentramento eccessivo del potere nella figura del papa. L’enciclica è quindi “la voce di chi non ha voce” e sfugge anche a un certo dottrinarismo delle vecchie encicliche sociali perché “morde” nella storia. Infatti nel suo lungo ragionare si leggono sottotraccia tutte le situazioni di sofferenza esistenti e le potenzialità pure presenti nella Chiesa. Ognuno le può facilmente vedere. A noi, per esempio, appare evidente quanto i suoi contenuti siano direttamente in contrasto pesante con la linea della presidenza uscente degli USA (lo ha scritto il “Washington Post”!) e, nel nostro Paese, con l’arroganza della destra che si pretende cristiana perché “ci sono ancora coloro che ritengono di sentirsi incoraggiati o almeno autorizzati dalla loro fede a sostenere varie forme di nazionalismo chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi”. L’enciclica fa un appello universale al mondo intero perché il suo messaggio non sia ininfluente. Ma essa interessa soprattutto i cattolici perché si impegnino a cercare di fare seguire alle parole i fatti, dando testimonianza dell’Evangelo, maggiore credibilità alla loro Chiesa e così un forte contributo alla sua vera riforma ed alla sua conversione che consiste nel seguire l’esempio del Samaritano.

Roma, 11 ottobre 2020

NOI SIAMO CHIESA
“Fratelli tutti”
UN APPASSIONATO INVITO ALL’UNITÀ UMANA
22 OTTOBRE 2020 / su www.chiesadeipoverichiesaditutti.it
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Fratelli tutti: «La vita è l’arte dell’incontro». Facciamo crescere la cultura dell’incontro

di Franco Meloni

Nello scrivere dell’enciclica provo un certo ritegno perché sintetizzarne i concetti rischia di guastarne la chiarezza e diminuirne la forza comunicativa. Per evitare entrambi ricorro alla tecnica della “virgolettatura”, soffermandomi su pochi passaggi che mi piace mettere in evidenza. Formulo comunque l’invito a leggerla per intero, e poi a rileggerla per singoli argomenti, anche senza seguire l’ordine originario.
Intanto rammento gli intendimenti del Papa: “Consegno questa Enciclica sociale come un umile apporto alla riflessione affinché [...] siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole. Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane [...] ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà”. Ecco: tre parole fondamentali, avvolte dal sogno che ne rafforza la suggestione: fraternità, amicizia sociale, dialogo. E ancora, i destinatari: «tutte le persone di buona volontà», come è consuetudine dei Papi, da Giovanni XXIII (Pacem in terris, 1963) in poi. Perfino nel porgere la parabola del buon Samaritano il Papa ci tiene a dire: “benché questa Lettera sia rivolta a tutte le persone di buona volontà, al di là delle loro convinzioni religiose, la parabola si esprime in modo tale che chiunque di noi può lasciarsene interpellare”.
Riflettiamo sul racconto evangelico, condividendo le parole di Raniero La Valle: «la figura emblematica che fa l’identità di questa enciclica, […] è quella del Samaritano, che ci pone di fronte a una scelta stringente: davanti all’uomo ferito [...] ci sono solo tre possibilità: o noi siamo i briganti, e come tali armiamo la società dell’esclusione e dell’iniquità, o siamo quelli dell’indifferenza che passano oltre immersi nelle loro faccende e nelle loro religioni, o riconosciamo l’uomo caduto e ci facciamo carico del suo dolore: e dobbiamo farlo non solo con il nostro amore privato, ma col nostro amore politico, perché dobbiamo pure far sì che ci sia una locanda a cui affidare la vittima, e istituzioni che giungano là dove il denaro non compra e il mercato non arriva». [segue]
Il Papa nel riprendere i tre grandi valori della Rivoluzione Francese, «Libertà, uguaglianza e fraternità», esamina le relazioni di quest’ultimo con gli altri due: “La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. [...] ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore. Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che «tutti gli esseri umani sono uguali», bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità”.
Il valore della fraternità è stato sottovalutato nel tempo, da tutti. Forse solo gli artisti lo hanno sempre valorizzato. Un esempio lo fornisce lo stesso Papa quando nell’enciclica cita un verso della canzone Samba delle Benedizioni di Vinicius de Moraes, che rende magnificamente l’invito a far crescere una cultura dell’incontro: «La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita». E prosegue: “È uno stile di vita che tende a formare quel poliedro che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono un’unità ricca di sfumature, perché «il tutto è superiore alla parte». Il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda [...]. Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo”.
Un’altra parola fondamentale utilizzata dal Papa è dialogo, connesso all’impegno per la «cultura dell’incontro». Al riguardo merita evidenziare come nell’enciclica citi il suo discorso tenuto a Cagliari al “mondo della cultura” (22/9/2013): “L’isolamento e la chiusura in se stessi o nei propri interessi non sono mai la via per ridare speranza e operare un rinnovamento, ma è la vicinanza, è la cultura dell’incontro. L’isolamento, no; vicinanza, sì. Cultura dello scontro, no; cultura dell’incontro, sì”.
E, allora, fratelli e sorelle: l’enciclica non lascia spazio alla rassegnazione e all’indifferenza, ci obbliga, credenti e non credenti, a un impegno concreto per la fratellanza e l’amicizia sociale nel mondo che abitiamo.
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