LA SEDIA DI VANNI
Chimica verde? Discutiamone con tutti i dati sul tavolo. E poi decidiamo (e questo è il punto!) innanzitutto nell’interesse di noi sardi e della Sardegna.
Spesso il desiderio di dimostrare un concetto viene concretizzato adattando informazioni e dati, che dovrebbero essere quanto più obiettivi, al proprio obiettivo. Il risultato, in termini di corretta comunicazione, diventa, in questi casi, controproducente e non favorisce di certo il miglioramento delle conoscenze di chi legge e l’arricchimento del dibattito. Affermare che il progetto Chimica Verde rappresenti una follia, che si tratti di un progetto rischioso e sorpassato che guarda al passato e rischia di pregiudicare lo sviluppo futuro della Sardegna, è un’opinione legittima e naturalmente rispettabile. Ma non si può descrivere un progetto complesso e articolato come quello di Matrìca in modo semplicistico e superficiale. Dall’articolo di V. Biolchini, pubblicato sul nostro notiziario, sembra di capire che l’obiettivo fondamentale del progetto Matrìca sia quello di “ creare una centrale elettrica a biomasse alimentata da due caldaie. La prima per la produzione di vapore, alimentata, come combustibile, da un residuo industriale speciale del cracking dell’etilene, denominato FOK (alla faccia dell’ecologia!). La seconda caldaia per la produzione di bioplastiche (e qui viene il bello) dovrebbe invece bruciare la bellezza di 500-600 mila tonnellate di cardi all’anno!”.
Procediamo con ordine. Il progetto Matrìca in realtà consiste, fondamentalmente, nel trasformare il vecchio impianto dell’Eni di Portotorres in una bioraffineria di terza generazione, una delle più importanti d’Europa, per produrre il bio-butadiene, un monomero impiegato nell’industria della gomma utilizzando, come materia prima biomasse. In pratica nel trasformare un cimitero industriale in una fabbrica di elementi base per la produzione di polimeri biodegradabili da prodotti vegetali che costituiranno la materia prima per la produzione di bioplastiche. La centrale elettrica alimentata da biomasse (cioè dal residuo del cardo dopo che sono stati estratti gli olii per la produzione dei polimeri) serve esclusivamente per produrre l’energia elettrica necessaria per il funzionamento della bioraffineria evitando di utilizzare combustibili fossili. La centrale elettrica ausiliaria, che originariamente doveva essere alimentata con il Fok, sostanza pericolosissima e cancerogena, sarà in realtà alimentata con altro combustibile. Questa è una notizia ufficiale emersa nell’incontro pubblico tra Eni e Comune di Portotorres di qualche mese fa. E’ priva di fondamento la notizia dei centomila ettari di suolo agricolo da destinare alla coltura del cardo. Al momento neppure l’Università di Agraria azzarda previsioni sulla superficie necessaria per la produzione del cardo che alimenterà la bioraffineria. Il responsabile agricoltura dell’Enimont, intervistato a margine della citata riunione di Portotorres, ha dichiarato che, sulla base delle loro sperimentazioni e nella migliore delle ipotesi, la superficie agricola interessata alla coltivazione del cardo non supererà i 25.000 Ha. Superficie notevole che, tuttavia, corrisponde si e no a circa la metà delle superfici agricole abbandonate in provincia negli ultimi cinque anni (dati Istat).
Chiarito ciò, è evidente che nessuno è disposto a mettere la mano sul fuoco sulla “bontà” del progetto Matrìca. I danni prodotti dall’Eni in Sardegna sono sotto gli occhi di tutti. I problemi da approfondire sono tanti, in primo luogo quello delle bonifiche ambientali del vecchio sito petrolchimico, la verifica del reale impatto ambientale della nuova bioraffineria. Il problema vero però, a mio avviso è un altro. La Sardegna può disinteressarsi di un grande progetto di riconversione della chimica di base. Può chiamarsi fuori dal mercato delle bioplastiche che presenta interessanti potenzialità economiche nel mondo e stravolge il vecchio modo di fare chimica da fossile o deve rincorrere, favorire e assecondare tali processi come una delle possibili scelte di sviluppo?
(Vanni Tola)
E questo è il punto! In Sardegna (come da altre parti) abbiamo bisogno di una classe dirigente all’altezza del compito, che sappia assumer decisioni nell’intreresse dei sardi. Invece abbiamo troppi QUAQUARAQUA!
Quaquaraquà, a volte scritto quacquaraquà, è un termine fonosimbolico della lingua siciliana, ormai d’uso comune in quella italiana, in entrambe con il significato di persona particolarmente loquace, ma priva di capacità effettive, per questo ritenuta scarsamente affidabile. Nel gergo mafioso il termine “quaquaraquà” è anche usato come sinonimo di “delatore” (da Wikipedia)
Più che una sedia è una sediata a Biolchini! Beh siamo democratici, discutiamo apertamente!