Chichibio, il gatto e il professor Di Chiara.

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Istituto tecnico commerciale Pietro Martini di Cagliari, anno scolastico 1966/67 (III superiore).
di Franco Meloni.
La nostra classe era chiassosa e indisciplinata, spesso e volentieri. Ovviamente ci si approfittava dei professori che avevano difficoltà a mantenere la disciplina, come ad esempio la bravissima docente di matematica Angelina Cabras, nota Lillotta. Nella peggiore tradizione delle scolaresche terribili quanto vigliacche, inscenavamo dei casini pazzeschi. Non così con altri docenti, che ci facevano rigare dritti. Tuttavia con alcuni di questi non era difficile stare massimamente attenti, come con il prof. di italiano e storia Angelo Di Chiara, per gli amici Angelino. Perché lui sapeva coinvolgerci. Eppure non eravamo liceali, votati agli studi umanistici. Ammettevamo perfino che per noi, aspiranti ragionieri, il prof. Di Chiara era un po’ sprecato. Avrebbe meritato ben altro pubblico, come in effetti probabilmente accadde nel proseguo della sua carriera d’insegnamento. Ma il fatto di avere a che fare con noi e non con più degni discenti, a lui non sembrava pesare. Per nostra fortuna. Sì, perché lui si spendeva alla grande per accrescere la nostra cultura e farci appassionare alla storia, alla letteratura e non solo, svolgendo un programma scolastico comunque impegnativo. Gliene siamo grati tutti, per sempre. Facile oggi, direte voi: col senno di poi. E invece noi avemmo tutti quanti già all’epoca contezza del privilegio di averlo come docente e come educatore. Le sue lezioni erano davvero interessanti, memorabili, tanto è che ancora molti dei suoi alunni di allora, io tra di loro, le ricordiamo, passati, nel mio caso, ben 53 anni. Nei miei ricordi soprattutto Dante (L’inferno) e Boccaccio (Il decamerone). Ecco, solo con riferimento a Boccaccio e alle sue novelle voglio qui parlare. Ne ricordo diverse, tra cui: Frate Cipolla e la piuma dell’arcagnolo Gabriele, La storia di Lisabetta a cui i fratelli uccisero l’amante, Chichibio e la gru). Su quest’ultima mi soffermo perché che mi ricordi suscitò un grandissimo interesse e fu occasione per sviluppare un partecipato dibattito in classe. Il quesito posto dal professore fu “Chichibio è un candido scemotto o un furbo di quattro cotte?”. Arrivammo unanimemente alla seconda conclusione. [segue] Il professore, quantunque poco incline a elargire complimenti ne fu, credemmo, in tutta evidenza soddisfatto.
E mal gliene incolse. Perché? Seguite il proseguo del racconto.
Alcuni giorni dopo era fissata la data del compito in classe di italiano, che se ben rammento aveva frequenza di due compiti a trimestre. Il professore, dato il successo del programma fino ad allora svolto e, particolarmente, all’analisi delle novelle del Boccaccio, pensò bene di trarne spunto per proporre un tema letterario. Pressapoco: “L’alunno scelga un personaggio delle novelle di Boccaccio e ne tratteggi la personalità, attenendosi al racconto dell’Autore, ma svolgendo proprie personali considerazioni”. Non vi dico la reazione della classe, dai corali murrungi all’esplicita richiesta di cambiare titolo. Qualcosa di più facile. Il professore ci rimase male, ma capitolò senza troppa esitazione. “E vabbè – sentenziò – allora il tema che vi assegno ex novo è il seguente: ‘Il gatto’. Chi ne ha uno parli di quello, chi non ce l’ha se lo inventi!”. E così ci toccò svolgere proprio quel tema: “Il gatto”. Non ricordo precisamente gli esiti. Forse andò abbastanza male per tutti. Per quanto mi riguarda avrei di gran lungo preferito Boccaccio. Ma anche allora… col senno di poi!

One Response to Chichibio, il gatto e il professor Di Chiara.

  1. […] un bellissimo ricordo, generale e perfino nel dettaglio di alcune lezioni (per esempio su Dante e Boccaccio). Sarà anche perché non faceva le classiche interrogazioni; girava la classe, tra i banchi, […]

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