No! No! Ho detto no!
di Vanni Tola
Poche cose uniscono i Sardi come la propensione alla costituzione di Comitati contro qualcosa, di Comitati per il No. Voci attendibili riferiscono dell’esistenza in Sardegna di circa centottanta Comitati di lotta o di protesta e di esplicita opposizione contro qualcosa. Di per sé, un elevato numero di Comitati spontanei rappresenta una preziosa risorsa. E’ un indicatore di partecipazione popolare alle scelte e alle decisioni sui destini del territorio. Pur tuttavia appare indispensabile riflettere su alcune particolarità di questo variegato mondo dei Comitati antagonisti. Una prima considerazione generale, che non vuole essere in alcun modo ironica o polemica. Non c’è traccia di nessun Comitato per il Sì o a favore di qualcosa ma soltanto comitati per il No. Come mai? I programmi, le parole d’ordine, le prospettive dei diversi Comitati antagonisti talvolta appaiono non ben definiti. L’affermazione “No alla chimica verde”, per esempio, che significa esattamente? No al progetto dell’Eni (Matrìca) per riconvertire il polo petrolchimico di Portotorres (ex Sir) verso produzioni che utilizzino materia prima di origine vegetale in sostituzione del petrolio e producano polimeri biodegradabili? O sott’intende un generale rifiuto della chimica in quanto tale a prescindere dalla materia prima impiegata? Nel primo caso andrebbero documentati e argomentati i perché del no, nel secondo caso sarebbe utile invece indicare quale modello alternativo di sviluppo dell’isola si ha in mente. Può il sistema Sardegna rinunciare all’industria chimica, al recupero e alla riconversione di quel che resta dei poli petrolchimici a favore di produzioni meno inquinanti? Non esiste in Sardegna alcun progetto per la produzione di energia con le cosiddette “fonti energetiche alternative” che non abbia fatto registrare una forte opposizione delle popolazioni interessate all’intervento. I generatori eolici altererebbero in modo irreparabile la bellezza del paesaggio . Lo afferma anche chi non ha mai speso una parola sulle centinaia di chilometri di elettrodotti e le migliaia di tralicci d’acciaio disseminati ovunque. Gli impianti eolici in mezzo al mare (off shore – vedi la foto dell’impianto di Malta), solitamente collocati a notevole distanza dalla costa e quindi invisibili dalla terra ferma, rappresenterebbero un grave oltraggio per le nostre rinomate spiagge. Gli impianti solari e le centrali fotovoltaiche sono definiti “ecomostri” di specchi che stravolgono le vaste distese di pascolo, spesso indiscutibilmente incolti o quasi abbandonati. Della realizzazione d’impianti per lo smaltimento dei rifiuti è quasi vietato parlarne. Lo smaltimento dei rifiuti è un problema anche per la Sardegna ma si preferisce fingere che non esista, rimuoverlo piuttosto che confrontarsi su possibili soluzioni ragionevolmente praticabili anche nell’isola. Poco importa che nel centro economico e commerciale di Vienna, una delle più belle città d’Europa, faccia mostra di se un grande inceneritore di rifiuti (vedi foto) che svolge magnificamente il proprio compito senza inquinare, senza deturpare l’ambiente circostante e rappresentando perfino un luogo di grande interesse turistico. Il geotermico, l’utilizzo del calore degli strati profondi del sottosuolo per produrre vapore e, da questo, corrente elettrica e acqua calda per riscaldamento industriale e domestico è qualcosa d’innominabile nell’isola. Si può quindi ragionevolmente affermare che una delle poche certezze espresse dei sardi, in questi anni, sia stata la determinazione nel rifiutare qualunque forma di produzione di energia con le fonti energetiche rinnovabili. Scelta che implica, piaccia o no, essere, di fatto, condannati a continuare a produrre energia con le fonti energetiche tradizionali, il fossile che inquina e genera costi energetici elevati. Ma non era l’alto costo dell’energia uno dei principali ostacoli per lo sviluppo industriale? L’Euroallumina non ha chiuso i battenti per l’impossibilità di ottenere forniture di energia a costi contenuti? Discorso a parte meriterebbe la vicenda della ricerca del metano nella zona di Arborea e in alcune aree del Campidano. E’ evidente che l’eventuale impiego del metano nell’isola comporterebbe certamente la realizzazione d’impianti di estrazione e lavorazione del prodotto con possibili effetti negativi sull’ambiente circostante. Detto questo rimane il problema fondamentale. Una volta accertata la disponibilità di metano nel sottosuolo sardo, una risorsa che in qualunque parte del mondo utilizzerebbero ben volentieri, il nostro sistema produttivo può permettersi di rinunciare tout court a produrre energia a basso costo? Non sarebbe meglio impostare un discorso di razionale impiego di questa importante risorsa fatta salva, naturalmente, l’esigenza di tutelare al meglio la salute degli abitanti e la difesa dell’ambiente? E questo discorso ci porta a un’ultima considerazione, forse quella che rappresenta l’essenza del problema. In Sardegna non esiste un piano energetico regionale. Non si conoscono neppure le reali esigenze energetiche dell’isola né quanta energia è attualmente prodotta né quali siano i fabbisogni energetici del sistema economico regionale. La conseguenza è la programmazione d’interventi energetici i più vari, calati in un sistema economico produttivo nel quale è assente un quadro definito di bisogni e necessità energetiche per l’immediato e in una prospettiva di medio e lungo periodo. E’ questa una delle cause del proliferare d’interventi totalmente slegati da un’ipotesi di sviluppo realistica e praticabile che la classe politica regionale stenta a definire. E i sardi allora continuano a dire no. No grazie, no non vi vogliamo, no al petrolio, no al trattamento dei rifiuti, no ai cardi, no alla chimica verde. Ma per fare che? Questo pochi lo sanno, solitamente, quando ci si esprime nel merito, non si va oltre l’enunciazione di programmi generici e indefiniti riassunti con termini quali lo sviluppo dell’agricoltura, del turismo, dei prodotti tipici, la tutela del paesaggio. Torna alla mente la canzone napoletana “basta che c’è sta o sole, che c’è rimasto o mare”. Purtroppo non basta.
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Vanni Tola
Nelle foto: incerenitore di Vienna, impianto eolico offshore di Malta
Gavinu Dettori Chi sa! se con le piattaforme sul mare si potrebbe sfruttare contemporaneamente l’energia eolica, quella delle onde marine, nonchè solare. Credo che non potremo rinunciare alle trasformazioni industriali, che potrebbero avvenire con la RICONVERSIONE e l’occupazione delle zone già inquinate e compromesse dall’industria in smantellamento SENZA ANDARE AD OCCUPARE ED INQUINARE ALTRO TERRITORIO. Non credo che si potranno bonificare i vasti territori, falde superficiali e profonde…… , da noi già occupati dalla chimica, dichiarare il contrario sarebbe un imbroglio.
Caro Gavinu, personalmente penso che qualunque attività umana (compresa la produzione di energia rinnovabile) comporti inevitabilmente cambiamenti ambientali. La scommessa è quella di limitare l’impatto ambientale al minimo indispensabile. Detto questo penso che noi Sardi non dobbiamo avere paura di analizzare le nuove tecnologie, i nuovi progetti (Matrìca compreso) lasciando da parte pregiudizi ideologici ed entrando nel merito delle scelte in modo critico e scientifico. In parole povere se un intervento non ci va dobbiamo motivare il perchè e possibilmente indicare migliori alternative di sviluppo. Saluti V.Tola
Salve Vanni, vado con ordine:
- in Sardegna c’è un Comitato a favore di qualcosa. Si tratta del Comitato Fiocco Verde che ha raccolto 31.000 firme in tutta l’isola per la presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare a favore dell’istituzione dell’Agenzia sarda delle Entrate. Non la vecchia ARASE, non è quella che s’intende, bensì un’Agenzia che riscuota tutti i tributi spettanti di cui all’art. 8 del nostro Statuto. Questa legge ad oggi circola ancora all’interno del palazzo della Regione e, benché atta a risolvere l’annosa vertenza entrate, questa non viene discussa in Consiglio;
- questione produzione energetica-fabbisogno: secondo dati presenti in Regione, ad oggi la Sardegna produce circa 3 volte l’energia che consuma. Non si capiscono quindi le richieste all’ordine del giorno negli enti per l’installazione di altri impianti di produzione. O perlomeno, si capiscono eccome: i comitati per il NO da te citati nascono proprio perché a monte non vi è un Piano energetico regolatore che dica chiaramente a cosa servono altri impianti, se non per riempire le tasche di multinazionali o grossi imprenditori lasciando le briciole in Sardegna o ai proprietari terrieri interessati. Ci fosse un Piano energetico che ci dicesse chiaramente che abbiamo bisogno di nuovi impianti, magari per andare ad eliminare le fonti di approvvigionamento veramente inquinanti i NO sarebbero molti meno;
- le aziende di Portovesme chiudono per via dei costi? La metanizzazione non risolverebbe il problema, l’ha ampiamente dimostrato proprio il Comitato No al Progetto Eleonora, basta andare a sbirciare tra i documenti prodotti e troverai sorprese a riguardo.
S’intendeus luegus, buona scrittura
Enrico Piras
Caro Enrico, concordo sostanzialmente con le tue considerazioni e mi fa piacere apprendere che esistono anche importanti Comitati per il Si a qualcosa. L’importanza dei Comitati, anche per i dovuti No è per me un importante indicatore di partecipazione dal basso. Io penso da sempre che se i nostri destini non ce li costruiamo noi sarà sempre falso sviluppo, falsa rinascita ecc. A non bidere (V.Tola)
pardon ….. a nos bidere . (chiedo scusa per gli errori, non trovo gli occhiali)
[...] – Dibattito su ambiente, energia e modelli di sviluppo della Sardegna [...]