America, America
QUANDO L’ECCEZIONALISMO AMERICANO E’ UN BOOMERANG
di Marino de Medici*
La commedia dell’assurdo impersonata da Donald Trump ha raggiunto un nuovo apice con la campagna di pressioni esercitate daL presidente per ottenere che le scuole pubbliche e private riaprano ad Agosto nel bel mezzo dell’epidemia che sta tuttora falcidiando vari stati e grossi centri urbani. La frenesia di Trump di riaprire le scuole ha poco a che fare con l’educazione dei giovani e molto di più con l’economia e la disperata campagna di rielezione. Il calcolo di Trump e dei suoi tirapiedi è presto detto: con i ragazzi fuori casa nei banchi di scuola, i genitori potranno tornare al lavoro e ridare fiato all’economia. Un altro filo di speranza per Trump è che le donne e gli elettori suburbani accoglieranno con favore il ritorno imposto alla scuola e voteranno per il rinnovo della presidenza Trump. Tra il dire e il fare ci sono peraltro vari ostacoli, il più alto dei quali è la resistenza di una maggioranza di genitori, dei sindacati degli insegnanti e di numerosi esperti del settore educativo che temono per la salute degli scolari e dei loro insegnanti. “Qualcuno evidentemente conta su una migliore statistica della forza lavorativa”, ha commentato con sarcasmo il presidente dell’associazione degli insegnanti. Un altro educatore ha osservato che rischio a parte, non è realistico attendersi che un bambino di sei anni accetti di portare
costantemente una mascherina.
Ancora una volta, il presidente è ricorso alle minacce per ottenere il risultato voluto. Ha infatti minacciato di tagliare i finanziamenti federali alle scuole se queste non riapriranno nei tempi voluti dall’amministrazione.
Il fatto è però che i fondi per le scuole provengono dagli stati e dalle municipalità e non dal governo federale. Per sopperire a questa irrilevanza l’amministrazione minaccia di collegare l’esborso dei finanziamenti straordinari per la crisi economica alla riapertura delle scuole. Non vi è limite insomma all’impudenza del ricatto trumpiano. A questa sconcia operazione partecipa anche il vice presidente Pence quando dichiara: “Non vogliamo che la guida della CDC sia troppo severa”. La CDC (Centers for Disease Control) emaneraà nuove istruzioni nei prossimi giorni, ha annunciato Pence, ma la risposta dei governatori non si è fatta attendere. Il governatore di New York, Andrew Cuomo, ha sparato a zero sull’amministrazione: “Le decisioni per le scuole spettano agli stati. Fine del discorso. Il presidente non c’entra”.
Da parte sua, la Federazione Americana degli Insegnanti ha messo a fuoco il problema di fondo: “Non possiamo riaprire l’economia senza riaprire le scuole, e non possiamo riaprire le scuole senza le risorse per poterlo fare in sicurezza”. In California, il governatore Newsom ha fatto sapere che la riapertura delle scuole sarà dettata da criteri di sicurezza e non dal presidente.
Lo stato fornirà gratuitamente mascherine, guanti ed altri supporti sanitari e permetterà ai distretti scolastici di decidere la riapertura in base alla situazione locale.
E’ scontro aperto tra il presidente repubblicano e gli stati a conduzione democratica. Si deve giungere insomma alla conclusione che dopo le mascherine e le divergenze sul “testing” Trump abbia deliberatamente politicizzato la riapertura delle scuole, con la sperimentata strategia di aprire una nuova spaccatura nella massa degli americani. La mossa di Trump per la riapertura ad ogni costo delle scuole è tanto più sintomo di disperazione alla Casa Bianca in una fase di forte recrudescenza della pandemia e di modelli epidemiologici che pronosticano 200.000 morti entro il giorno dell’elezione presidenziale. I dati inducono al pessimismo: nell’arco di quattro settimane, le infezioni sono passate da due a tre milioni di casi. Non ci vorrà molto per arrivare a quattro milioni. Quello che è successo a Tulsa, nell’Oklahoma, dovrebbe servire come drammatico monito ai fanatici repubblicani che sfidano il virus per ascoltare la voce del padrone. Le autorità sanitarie della contea di Tulsa, dove Trump tenne un comizio, hanno registrato un picco di infezioni con più di 500 casi in due giorni, a due settimane dall’assembramento. Nelle convulsioni politiche della pandemia negli Stati Uniti (è superfluo notare che nulla del genere è avvenuto nelle democrazie europee ed in altri Paesi avanzati) si registrano episodi sconcertanti, come l’improvvisa conversione del leader repubblicano del Senato, Mitch McConnell, all’imperativo uso della mascherina. Mentre Trump si vanta di non portare la mascherina, il suo procuratore senatoriale l’indossa e si esibisce con essa davanti ai fotografi. McConnell dimostra di aver capito che la resistenza alla mascherina à una scommessa perdente per i repubblicani e che il messaggio ardentemente propagato dal dottor Fauci (“mettetevi la mascherina!”) è condiviso da una maggioranza degli americani. Di fatto, la prestazione del leader mascherato dinanzi ai fotografi ha un chiaro intento politico, quello di sorreggere la ripresa economica con misure di sicurezza sanitaria.
Il sen. McConnell pensa di introdurre una nuova legge di sovvenzioni straordinarie anti-virus dal valore di un trilione (mille miliardi) di dollari per far fronte alle impellenti necessità sanitarie ed alla crisi economica. I democratici insistono che lo stanziamento straordinario dovrebbe essere di tre trilioni e propongono cento miliardi di sovvenzioni agli affitti e 75 miliardi di contributi alle ipoteche. Ma da questo orecchio i repubblicani non ci sentono. Al posto della estensione del programma di assegni per la disoccupazione, che è al centro delle richieste dei democratici, McConnell vuole un programma quinquennale di assicurazione contro i rischi di responsabilità di aziende, scuole ed ospedali danneggiati dalle riaperture.
Aldila’ degli stanziamenti stratosferici del Congresso, resta il quesito fondamentale: come è possibile che il Paese più ricco del mondo, sede di istituzioni di fama internazionale come i CDC e gli Istituti Nazionali di Sanità abbia prodotto l’epidemia più micidiale al mondo? Nazioni di livello economico inferiore, come la Corea Del Sud, hanno raggiunto un livello ben più alto di contenimento del virus ed hanno sofferto un minor danno economico. La risposta che molti politologi danno è che gli Stati Uniti hanno chiuso gli occhi dinanzi alle lezioni ed esperienze di altri Paesi. In poche parole, il tanto vantato “exceptionalism” dell’America si è rivelato in fin dei conti un boomerang. Lo storico Eric Foner ha osservato a tale proposito: “Visto che gli Stati Uniti sono eccezionali, non c’è bisogno di apprendere alcunchè da altre società”. Questa è la mentalità che è costata tante vite nella pandemia del coronavirus. Questo spiega perchè a Gennaio e Febbraio i responsabili dell’amministrazione Trump ripetevano da beati incoscienti che il virus presentava un “basso rischio” per gli Stati Uniti. Purtroppo, la “insularità” della politica e cultura americane è un fenomeno storicamente complesso che non si limita alla retorica nazionalista di Donald Trump ma abbraccia il Congresso e la stessa struttura giudiziaria.
C’è bisogno di un cambio strutturale e intellettuale in America. Con un nuovo presidente portato alla fede nella scienza, allo spirito di compromesso e anche all’umiltà c’è da sperare che l’America acquisti un ruolo di leader equilibrato più confacente ad un mondo che è profondamente cambiato. Agli americani l’ardua sentenza.
Quanto all’economia, i numeri non parlano a favore del presidente. Alla fine di Luglio scadranno I termini per la concessione degli assegni di disoccupazione che si aggirano sui 600 dollari per lavoratore. La Pennsylvania, la Florida ed il Michigan, tre stati in cui Trump conquistò per il rotto della cuffia il quoziente di voti del Collegio Elettorale, accusano il maggior numero di disoccupati nella nazione. I disoccupati accuseranno in media un calo del 50 per cento nei loro assegni di disoccupazione ma in alcuni stati perderanno una quota maggiore, dal 64 al 72 per cento. Di fatto, gli stati con i più alti indici di disoccupazione sono quelli che decideranno la consultazione presidenziale.
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*Marino de Medici è romano, giornalista professionista italo americano. Decano dei giornalisti italiani in America, oggi ottantasettenne, vive negli USA da 60 anni. E’ stato Corrispondente da Washington dell’Agenzia ANSA e Corrispondente dagli Stati Uniti per il quotidiano Il Tempo. Ha intervistato Presidenti, Segretari di Stato e della Difesa americani, Presidenti di vari Paesi in America Latina e Asia. La sua produzione giornalistica ha spaziato dalla guerra nel Vietnam, ai colpi di stato nel Cile e in Argentina, a quaranta anni di avvenimenti negli Stati Uniti e nel mondo. Ha anche insegnato giornalismo e comunicazioni in Italia e negli Stati Uniti. Non ha ancora finito di viaggiare e di scrivere dei luoghi che visita. Finora è stato in 121 Paesi e conta di visitarne altri.
Da e-mail.
Marino,
Spieghi la situazione brillantemente.
Ma come è possibile che così tanti Americani pretendono di non conoscere la storia del loro paese?
Forse è perché si vergognano di ammettere il passato ……. ma se non riconosco il passato come sarà possibile
migliorare il presente?
Speriamo bene.
Un Salutone
A.