Coronavirus. Pensare, analizzare, agire.
Proponiamo alle nostre lettrici e ai nostri lettori il quarto contributo, una riflessione di Alessandro Barban, priore generale dei camaldolesi, condiviso dalle redazioni de il manifesto sardo, Democraziaoggi e aladinpensiero, nell’ambito dell’impegno comune che qui si richiama.
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IL VACCINO CHE SI STA ATTIVANDO DENTRO DI NOI. La nostra vita col virus.
L’epidemia in corso sta rimettendo tutto in discussione. Anche la nozione di Dio. Le illusioni, l’emergenza, il nuovo normale, i cambiamenti evolutivi
di Alessandro Barban o.s.b
Ormai è chiaro. Ci eravamo solo illusi che la diffusione del virus Covid-19 sarebbe rimasta nella regione dello Hubei e precisamente nella città di Wuhan in Cina. Già alla fine di novembre e ancor di più all’inizio di dicembre dello scorso anno si manifestavano a Wuhan polmoniti atipiche molto gravi (interstiziali) che non si riuscivano a guarire con i soliti farmaci. Poi un dottore oculista molto scrupoloso Li Wenliang (morto il 6 febbraio 2020 per Covid-19) si accorse a dicembre che ben sette suoi pazienti erano colpiti da congiuntiviti aggressive, dense, resistenti ai medicinali. E il suo sospetto divenne realtà: si trattava di un virus. Dette l’allarme, per cui alla fine di dicembre 2019 molti sapevano in Cina, certamente diversi direttori di ospedali e capi di partito. Ma non si sono ascoltati i medici più attenti e preparati. Non si trattava della comune congiuntivite, non si trattava della solita influenza annuale o della consueta polmonite invernale. Non si volle credere che si era davanti ad un nuovo virus.
Ancora un’altra illusione: alcuni supponevano (come il Dott. Li) che era il virus della Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome) del 2002-2003, che ritornava … Altri pensarono: si tratterà della Mers (sindrome respiratoria mediorientale) che ha avuto inizio in Arabia Saudita nel 2012. Invece, no! Eravamo e siamo di fronte ad un coronavirus sconosciuto: Covid-19 (Corona Virus Disease 19) o malattia respiratoria acuta da SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus2). Una volta individuato l’agente patogeno, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, informava nel mese di gennaio della reale pericolosità del nuovo virus. Tuttavia, preferiva non comunicare il panico. E’ una faccenda della Cina che con un lockdown generale sembra contenere la diffusione del virus. Andrà tutto bene: tutto è cominciato in Cina e tutto finirà in Cina. Invece, non è stato così! Il virus si diffondeva attraverso i malati, non riconosciuti per tempo e isolati, e soprattutto tramite gli asintomatici che viaggiavano senza troppi controlli dalla Cina in Europa e viceversa, ma erano infettati senza presentare alcuna malattia trasmettendo il virus agli altri.
Alcuni virologi come la Prof.ssa Ilaria Capua che dirige One Health Center of Excellence della Univerisity of Florida, già nei primi giorni di febbraio afferma che eravamo di fronte ad una epidemia sconosciuta che presto sarebbe diventata pandemia, che tantissimi sono gli asintomatici, che è presente ormai da settimane non solo in Cina ma in Europa e raggiungerà gli Stati Uniti perché il virus farà il giro del mondo, che può presentarsi come un’influenza normale e in questi casi si può guarire, ma ci saranno tanti malati gravi da polmonite interstiziale, che finiranno in terapia intensiva perché non riusciranno a respirare da soli … e allora ci saranno tanti morti. Dice con chiarezza che c’è solo un mezzo per fermare la diffusione del virus, visto che non abbiamo alcuna difesa di anticorpi e non c’è un vaccino: fare come i cinesi che si sono chiusi in casa e hanno fermato ogni attività. I capi dei governi in Europa non hanno ascoltato né lei, e neppure i bravi ed esperti virologi dei loro Paesi …
Ma nel giro di poche settimane in Italia scoppiano diversi focolai virulenti, e il virus si diffonde poi in Spagna, in Francia, in Germania e in tutti i Paesi europei. Il virus già presente da settimane approfittava del nostro stile di vita costituito da relazioni multiple, viaggi, vicinanze. L’Inghilterra e gli Stati Uniti minimizzavano i dati nella speranza di non venir toccati dal virus … poi si è capito che le cose non stavano così … Mentre sto scrivendo, vengo a sapere che negli USA i morti stanno superando quelli delle Torri Gemelle di New York, e che il virus ha infettato 150-200 marinai della portaerei americana Roosevelt. Ma a bordo ce ne sono quasi 5000! Il Premio Nobel per la Pace 2018 il Dott. Denis Mukwege della Repubblica Democratica del Congo (Africa), noto per aver curato e assistito nel suo ospedale a Bukavu più di 50.000 donne vittime di abusi sessuali, ha denunciato in questi giorni che se non si interverrà con aiuti massicci assisteremo ad una ecatombe nel continente africano.
Ecco la nostra supponente ed orgogliosa illusione: tutti abbiamo pensato che il virus avrebbe colpito gli altri e non noi! Miopia che rivelava solo il nostro individualismo egoistico.
L’emergenza
Il virus è infido, veloce, pericoloso, letale colpisce non solo anziani con e senza altre malattie, ma anche giovani. Là dove non ci sono altre complicanze mediche e se si arriva per tempo molti ce la fanno, producono anche degli anticorpi … molti muoiono nelle loro case a causa della presunta influenza, tanti si ammalano nelle case di riposo e nelle carceri, altri soccombono negli ospedali dove non ci sono posti sufficienti in terapia intensiva, e soprattutto non ci sono farmaci adatti e testati. I posti negli ospedali non bastano, c’è bisogno di respiratori (in Italia si scopre che abbiamo solo un’azienda che li produce, ma appena 30 al mese, perché la grande produzione è in Cina), non si trovano le mascherine (prodotto che si produce esclusivamente in Cina). La popolazione si deve chiudere in casa, le fabbriche si fermano. Tutto chiuso: scuole, bar, ristoranti, cinema, chiese. Rimangono aperti solo i supermercati, le farmacie e altre attività riconosciute come essenziali. La nostra vita quotidiana viene stravolta: da veloci e inquieti ci dobbiamo fermare e non possiamo più andare da alcuna parte; dai mille impegni che avevamo dividendoci tra famiglia, lavoro e tanto altro improvvisamente non abbiamo più niente da fare; alcuni possono lavorare con lo smart working, ma molti altri non lavorano perché le loro aziende chiudono; bisogna prendersi cura dei figli a casa ma anche dei genitori anziani o dei nonni. Vai alla finestra e non c’è più nessuno per strada. Si sentono i suoni delle sirene delle ambulanze. Per televisione si vedono gli ospedali al collasso per il numero dei ricoverati, il personale medico vestito come degli astronauti per proteggersi dal contagio dei malati è stremato per la mole di lavoro (ma anche medici, infermieri, paramedici e autisti delle autoambulanze si infettano, e vengono ricoverati).
Gli esperti cominciano a descrivere uno scenario di contagio molto grave sostenendo che la pandemia non sarà breve. Sembra un film di fantascienza. Invece, è tutto vero: un virus sconosciuto che va in giro per il mondo, contagia chiunque perché non abbiamo né anticorpi né vaccini, tutto si ferma, gli ospedali sono intasati e anche i cimiteri non sanno più dove seppellire i morti. Eppure e malgrado questa situazione si risveglia una rete di solidarietà, di aiuti molteplici (da quello economico a quello di fare spesa per il vicino di casa; di medici in pensione che si ripresentano in corsia e molti si offrono da altri Paesi per dare una mano negli ospedali) … Mancano mascherine, camici e guanti … Tonnellate di materiale ospedaliero sono arrivate in dono dall’estero in Italia ma anche in altri Paesi, e diversi settori di produzione si riconvertono per produrre ventilatori e materiale sanitario.
Abbiamo attraversato queste tappe delicate nel giro di poche settimane: dall’illusione che il virus non ci riguardava alla paura del contagio diretto; dal pericolo di perdere anche la vita alla possibilità di trovare delle cure efficaci e anche il vaccino; dall’emergenza generalizzata della diffusione virale alla risposta del distanziamento sociale e anche familiare ritrovando inaspettate vicinanze fatte di attenzioni, telefonate, dialoghi, approfondimenti e nuove consapevolezze.
Il nuovo normale
Sempre la Prof.ssa Ilaria Capua ha coniato l’espressione: nuovo normale. Un quotidiano diverso – appunto nuovo – che si interfaccia alla normalità del nostro vivere. Altri hanno colto nelle relazioni la presenza di gesti di umanità che si credeva perduta in tante persone dominate da cinismo (che mi importa: io me ne frego!), da interesse egoistico, indifferenza e razzismo, impoverite da mancanza di etica e di responsabilità … dominate dal denaro e motivate solo dal far soldi, prese solo dal benessere del proprio io. Invece, è emerso in migliaia di uomini e donne da sotto la cenere, dal fondo dell’anima – dopo un lungo letargo – un inaspettato umanesimo frutto del processo evolutivo dello spirito, che dà nuovamente senso alla vita, a questa vita che ora viene minacciata. “L’umanesimo diventerà la nostra prassi quotidiana e l’unica vera ricchezza: non sarà una disciplina di studi, sarà uno spazio del fare che non ci lasceremo mai rubare” (A. Baricco).
E’ evaporato velocemente il bla bla della politica e di una certa opinione di massa, e gli scienziati e la scienza hanno trovato fiducia, ascolto e comprensione. Un intero linguaggio è cambiato. Malgrado la prova durissima che stiamo vivendo in tanti Paesi del mondo (dalla Cina e dall’India all’Europa e agli Stati Uniti) si registra meno rabbia, disaffezione, apolitica, e maggior senso civico, solidarietà umana, interesse al futuro comune. La paura degli altri, della differenza, della globalizzazione è stata sostituita dalla speranza che l’aiuto può venire dall’altro, che insieme ce la possiamo fare a fronteggiare la pandemia, che forse è meglio vedere le cose in modo inclusivo condividendo le esperienze, le intuizioni e le soluzioni.
Ma tutto ciò non basta, perché la pandemia venga fermata o limitata. Certo lo sarà, ma con dei costi umani, sociali ed economici a tutt’oggi imponderabili. Tuttavia, un dato è chiaro fin da ora: la nostra esistenza e il nostro mondo non saranno più quelli di prima. Da qui la domanda che ci preoccupa: e dopo? Come sarà dopo? Come se questo tempo di virulenza terminasse tra qualche mese. Invece, dovremo convivere col virus e continuare ad usare mascherine, tenere distanze fisiche, utilizzare amuchina, misurarci la febbre … Le terapie intensive non saranno più affollate, ma continueranno a lavorare, forse useremo dei farmaci mirati e più efficaci finché non avremo un vaccino valido ed efficace.
Ecco il vaccino, la nuova attesa messianica! Si presenta l’ennesima illusione: col vaccino sarà tutto come prima! Non credo proprio. Per alcuni è arrivato il tempo dell’audacia perché – pur convivendo più o meno a lungo con il virus Covid-19, il nemico che ha depotenziato tutti gli altri presunti nemici (extracomunitari, rom, ebrei, musulmani cinesi, etc.) -, cominciamo a pensare e immaginare – appunto con audacia – le future relazioni umane e sociali. Per altri è il tempo della scelta perché siamo chiamati ad una opzione decisiva della nostra vita: senso e qualità dell’esistenza, etica, visione del mondo. Tuttavia, sappiamo bene che l’audacia e la scelta potranno veramente attivarsi solo quando prenderemo coscienza e liberemo la personale energia del nostro mondo interiore per abitare questo tempo non più normale. “Ciò che è certo – annota R. Repole – è che in un momento così anormale, non si può continuare a vivere come se tutto fosse semplicemente normale. Sarebbe insipiente e distruttivo”.
Cambiamenti evolutivi
Nel discorso che Papa Francesco ha tenuto il 27 marzo scorso davanti alla piazza vuota di S. Pietro, ma rivolto a milioni di persone che partecipavano alla preghiera attraverso la televisione, la radio e il web, egli ha proposto alcune riflessioni decisive:
1. La tempesta della pandemia ha fatto cadere il trucco degli stereotipi delle nostre maschere moderne “ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”;
2. “In questo nostro mondo siamo andati avanti a tutta velocità sentendoci forti e capaci di tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta … Non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”;
3. Siamo chiamati “a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta … il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. E’ il tempo di reimpostare la rotta della vita”.
Francesco ha rotto l’orizzonte tenebroso e nero della paura, dell’angoscia esistenziale dell’essere soli, e del pericolo della morte, e ha delineato un orizzonte umano universale costituito da luminosa fiducia, da fratellanza, e da una vita da riscoprire e inverare, lungo il quale possiamo già scorgere le realtà decisive che stanno evolvendo. Avendo il coraggio di stare da solo davanti a quella piazza vuota, si è posto simbolicamente di fronte al vuoto del male senza temerlo: al non-senso, alla morte e al nulla che minaccia l’intera umanità. E l’ha fatto senza indietreggiare, pregando: preghiera rivolta a Dio, ma rivolta anche agli uomini. Non basta richiamare la speranza – tema molto caro a noi cristiani – di un tempo futuro di rigenerazione, o il kairòs della scelta di ciò che conta sul serio e ciò che passa, e neppure l’audacia proposta da diversi laici (A. Baricco, M. Recalcati etc.) per delineare il dopo, perché così facendo in realtà facciamo un errore di sguardo e di visione. Non c’è il dopo, c’è l’oggi che già albeggia, appare presentando le sue forme, perché questo è il tempo di accogliere o meglio è l’ora di cogliere – proprio come si coglie un frutto maturo da un albero – la pulsione di vita presente dentro di noi. E lo facciamo – paradossalmente – provando “a trarre da questa impensata potenza negativa una forza nuova”, perché “la crisi più profonda può sempre rivelarsi come l’occasione straordinaria di una ripartenza” (M. Recalcati). Il cambiamento è già in atto e le scelte si stanno formando dentro ciascuno di noi. Certo arriverà il vaccino medicale per vincere definitivamente il virus. Ma dentro di noi si sta preparando un altro vaccino ed è già pronto all’uso.
1. Ristrutturazione della psiche
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L’iniziale impatto traumatico del virus dovuto allo stravolgimento della esistenza precedente è stato senz’altro forte, ma meno doloroso sul piano personale di quanto pensiamo, in quanto condiviso da tutti. Eravamo dentro un vortice, vedevamo che tante cose non andavano bene e nel verso giusto, ma soprattutto non ci corrispondevano più. Ma non potevamo fermarci! Certo chiudersi in casa e fermarci tutti è stato un trauma collettivo. Lì per lì un trauma destabilizzante e angosciante, per cui i tempi e le modalità di risposta di ciascuno di noi sono stati diversi: da quelli che erano in ansia e si sentivano vulnerabili e indifesi, che dicevano a se stessi che non sarebbero riusciti a resistere; a quelli che ritenevano che stiamo pagando una colpa collettiva vedendo davanti a loro solo il paradigma sacrificale; da chi non riesce a costruire che strategie di ipercontrollo, e a chi si lascia andare all’impulsività e al caos. Tuttavia, la nostra psiche – nel silenzio, nella solitudine, nello stare chiusi in casa, ritrovando l’abitare con se stessi, tempi più lenti e spazi di diversa connettività – sa, cioè ha già intuito che non possiamo rimanere impietriti dalla paura della malattia o della nostra morte, dei nostri cari o dei nostri amici, ha preso atto che non possiamo tornare ai ritmi e ai codici di prima dentro una alienata estroversione esistenziale, che abbiamo bisogno di ripartire dalla nostra dimensione interna, dalla nostra pulsione di vita eliminando il superfluo, il falso, lo stereotipo, liberandoci dai pesi vuoti, cioè dalle pesantezze della vita vuote di senso, che limitano e frenano la nostra personale forza vitale.
Ognuno si è riposizionato secondo la propria età, la propria personalità, in base alla elaborazione dei propri sentimenti, emozioni, pensieri, ma lo stare a casa non è solo una posizione di difesa, ma di un profondo ripensamento di ciò che conta veramente nella vita. Si tratta del ritrovamento del proprio vitale centro personale. La nostra stessa psiche ci comunica che non si tratta solo di un ripensare il nostro ieri, cosa che stiamo già facendo dentro di noi attraverso il più significativo distanziamento, quello razionale, emotivo, intellettuale e soprattutto quello psichico. Nella nostra psiche c’è una positiva lievitazione in corso costituita da cura, attenzione, dono, desiderio di relazioni e rapporti umani, di impegni, di lavoro, di amore, cioè da una dimensione generativa di energia psichica e di vita costituita da un senso di fiducia e di gratitudine. E da parole più vere.
Ma la psiche si sta rimodellando anche nei famigliari dei malati, in quelli che hanno perso i loro cari, in coloro che hanno affrontato il virus a casa, nei malati che hanno subìto l’intubazione e hanno esperimentato di affogare per mancanza di aria e di ossigeno e che sono guariti, nei medici, negli infermieri, e nei paramedici (anche tra questi tanti ammalati e tanti morti). Abbiamo visto nei loro occhi e nei loro volti (in Cina, in Italia, in Spagna, negli USA e in altri Paesi) tanta stanchezza psichica, fisica ed esistenziale, paura di fronte al male, sconcerto nel non poter portare spesso la guarigione, e l’impotenza di fronte al morire. Come ha scritto bene Vittorio Lingiardi: “non sono eroi, come ci piace dipingerli … Sono umani vulnerabili che per essere forti devono far leva su risorse come la capacità di produrre momentanee dissociazioni mentali in modo da affrontare il dolore, la paura e la solitudine dei pazienti. E di loro stessi”.
In questo tempo ritrovato del coronavirus tutti siamo stati costretti a confrontarci con il valore della vita e con il limite della morte, col fatto che “abbiamo tutti paura di morire. E’ come se il diritto alla salute (una fantastica conquista) si fosse irrigidito in un impossibile diritto a una vita perenne”. Per questo la nostra psiche si è aperta “a pensare la morte di nuovo, e accettarla, non con coraggio, con saggezza; non come un’offesa indicibile ma come un movimento del nostro respiro, una semplice inflessione del nostro andare” (A. Baricco). Dunque, la nostra psiche si trova a muoversi in spazi e tempi di riumanizzazione superando l’attuale spartiacque tra morte e vita, tra dolore e gioia, tra paura e fiducia affidandosi al suo centro. Come ha scritto con lucidità Marco Garzonio: “Individui e socialità cambiano se diventano mentalità, assetto psicologico strutturato, se la solidarietà di una stagione è modo di vedere la vita e comportarsi, se da gesto occasionale l’offerta in denaro si fa psicologia del dono … Il cuore trasformato è la sconfitta del Covid 19”.
2. La visione politica ed economica della realtà umana
Nell’intercettare cosa sta cambiando nella politica, lasciamoci guidare dalle convinzioni del sociologo e filosofo S. Zizek: “Un nuovo senso di comunità: ecco cosa vedo emergere da questa crisi … Stiamo scoprendo che per battere il virus servono coordinamento e cooperazione globale. Ci accorgiamo che abbiamo bisogno gli uni degli altri come non era mai accaduto prima. Persone e nazioni … La realtà è già cambiata … Non c’è momento più politico di questo … e costruire un nuovo modo di vivere sarà il nostro test. Ma dobbiamo riprendere le cose in mano adesso … (perché) questa situazione ha già messo in luce differenze sociali enormi che non so se saranno ancora accettate”.
Il coronavirus non sta solo rimodellando la nostra psiche, ma cambierà anche la visione della politica, perché da un lato sarà costretta ad affrontare la sua crisi narcisistica, di chiacchere vuote e di proposte inconcludenti, cioè a riconoscere la mancanza di progettualità e di visione, dall’altro – spostando l’attenzione da se stessa, dal palazzo, alla esistenza delle persone – dovrà farsi carico di trovare risposte convincenti alla presente minaccia esistenziale prodotta dalla prima crisi globale. I politici tradizionali sia di destra, sia di sinistra, hanno fatto di tutto per convincersi e convincerci che il coronavirus era un’influenza più pesante o un po’ più lunga del solito, ma poi si guariva e tutto procedeva come prima. Non è bastato fermare i voli da e per la Cina, rassicurare la popolazione con i controlli agli aeroporti, sminuire l’emergenza sanitaria, con tutte le illusioni di cui ho già detto sopra. Ricordiamo bene cosa affermavano sul coronavirus tra febbraio e marzo i nostri politici italiani, Boris Johnson in Inghilterra o Trump negli USA. Ora, il re è finalmente nudo, dovendosi constatare la diffusione della infezione, dovendosi chiudere le città, fermare gli aeroporti, affrontare l’emergenza degli ospedali e la chiusura delle imprese. E poi affrontare la fase della convivenza col virus. Il bla bla del politichese si è liquefatto d’incanto. Il linguaggio offensivo e razzista si è spento perché è venuto meno il nemico immaginato degli extracomunitari, dei musulmani, o dei rom … e la visione politica si è mostrata vuota di idee, inconsistente rispetto al reale e assurda perché lontana dalla vita e dalla salute delle persone. Alcuni potrebbero giustamente affermare: perché contro la vita e la salute degli uomini e delle donne di oggi, contro la stessa vita del pianeta terra. La crisi ecologica ha già messo in luce la fine del modello economico tardo capitalistico delle nostre società, che la politica dei G7 o dei G20 continua a perseguire e a sostenere.
D’un tratto la comparsa del coronavirus ci ha svelato che la nostra politica non solo è vecchia nel linguaggio e nell’immaginario, ma è troppo malata di potere e tutta presa dalla sua conservazione, compromessa nella tutela degli interessi economici di pochi, miope nell’affrontare i nuovi problemi, e fortemente presbite nell’elaborazione di una visione convincente della società umana. Perché in politica avere una visione è una virtù ed è anche il compito primario. Dunque, una politica in ritardo e diffidente su questioni di pubblica rilevanza quali appunto la salute, le fonti di energia, il clima, la difesa del creato, lo sviluppo della tecnologia, della robotica e dell’intelligenza artificiale. Diffidenza e ritardo che hanno creato uno iato con la scienza e con la cultura. Si pensi alla 25esima Conferenza sul cambiamento climatico, detta Cop25, che si è conclusa con un nulla di fatto, un fallimento totale perché i governanti e i politici di diversi Paesi hanno girato le spalle agli esperti scientifici, che avvertono ormai da anni della crisi di sostenibilità del nostro pianeta.
Il coronavirus sorprendentemente ha dato ancora più valore alla politica, a quella delle persone attive negli ospedali, nel terzo settore, nei comuni e nei territori, che chiedono unità, solidarietà, e una collaborazione reale tra politica scienza e cultura. I giovani vogliono fare politica ma non più nella maniera ideologica dei nostri padri, e non vogliono avere niente a che fare con la razionalità politica del ‘900. La politica si fa tramite i social dove partecipano le diverse competenze, dove tutto è veloce, anche l’errore o l’intuizione giusta, dove si elaborano progressivamente la visione politica ecologica del mondo e le possibili risposte socio-economiche partendo dalla realtà umana dei bisogni e delle necessità delle persone, perseguendo una democrazia della collaborazione e della condivisione. Fareed Zakaria, analista della Cnn e massimo esperto di geopolitica nell’età della globalizzazione, sintetizza così la sua analisi dell’attuale crisi globale:
1. “Quella del coronavirus è la prima di una serie di crisi a cascata che si alimentano a vicenda e toccheranno tutti i quadranti del pianeta”;
2. “Non ci rendiamo conto della grandezza dei prezzi che il mondo intero rischia di pagare. Non torneremo neppure a una parvenza di vita normale, a meno che le grandi potenze non trovino un modo di cooperare e di affrontarle insieme”;
3. La crisi sanitaria ha già innescato quella economica: “Gli Stati Uniti nei due anni della recessione 2008-2010 persero 8,8 milioni di posti di lavoro. Solo nelle scorse due settimane, ne hanno persi già 10 milioni. Quella economica porta a sua volta una crisi politica e avvicina il pericolo del default di molti Paesi … Non vedo ancora una risposta comune adeguata …Se l’Europa non ne prende coscienza agendo insieme su vasta scala e con strumenti nuovi, rischia di avvitarsi in una spirale da cui non sarà possibile uscire”;
4. “Non sappiamo molto cosa succeda veramente in India, Brasile, Nigeria, Indonesia … Il virus colpirà anche lì e potremo arrivare a centinaia di migliaia, di milioni, di casi … i tassi di mortalità sarebbero inauditi. E anche lì lo scenario economico è l’equivalente di una grande depressione, con la differenza che questi Paesi non possono stampare moneta … Dovrebbero indebitarsi sui mercati internazionali. Il Fondo Monetario dice che le economie emergenti avrebbero bisogno di 2.500 miliardi di dollari di aiuto. In questo clima, chi può mobilitarli? E’ una bomba a orologeria”;
5. Infine, la crisi degli Stati petroliferi. Si prevede che il prezzo del petrolio calerà dai 30 ai 10 dollari per barile. “Sa cosa vuol dire per i Paesi come Libia, Nigeria, Iran, Iraq o Venezuela, dove il 90% degli introiti pubblici viene dal petrolio? … Parliamo di Paesi ad alta instabilità: guerra civile, violenza, carestia, crisi sociale, terrorismo. A cui si aggiunge la pandemia. Senza assistenza e sforzi coordinati esploderanno producendo ondate di rifugiati, diffusione del virus, terroristi ben oltre i loro confini”.
L’analisi è senz’altro realistica (il rischio della più grande depressione economica della storia contemporanea), ma manca di proposte innovative. Tutto sembra dipendere – per quanto riguarda la politica – dalla cooperazione tra le grandi potenze. E in definitiva sul piano economico la ricetta consiste nel tenere alto il prezzo del petrolio e trovare 2.500 miliardi di dollari per le economie emergenti. Servirebbe ben altro per uno scenario economico che – mentre scrivo – prevede la perdita del lavoro per 195.000.000 di persone nel mondo (fonte Ilo). E si parla per il 2020 di 35.000.000 di working poor, di quei “lavoratori” o nuovi schiavi che ricevono un salario inferiore ai 2.90€ al giorno. Alla luce di ciò, condivido totalmente la proposta di un Giubileo dell’umanità, proposto da fr. Michael Davide Semeraro: “Pensando al ‘dopo’, senza perdere l’occasione di pensare ‘attraverso’ quello che stiamo soffrendo in questo tempo, sarebbe magnifico immaginare un Giubileo dell’umanità … Come prescrive la Torah, il Giubileo non è che l’estensione dello shabbat … Sarebbe bello che papa Francesco suonasse lo shophar per chiamare a raccolta tutti gli uomini e le donne di buona volontà per proclamare un anno di Giubileo universale, per profetizzare insieme, giovani e anziani (Gl 3,1), discepoli di tutte le Chiese, credenti e non credenti … Un primo passo per una conversione universale, attraverso la proposizione di un Giubileo di tutti e per tutti, è quello di ristabilire un giusto rapporto con il tempo e con lo spazio, con il fare e il contemplare, con il diritto dei poveri di riposare e il dovere dei ricchi di non trasformare la vita in una continua vacanza da preparare, o da cui riprendersi. Il Giubileo come amplificazione del mistero umanizzante dello shabbat sarebbe da riscoprire in modo quasi terapeutico per la nostra generazione malata in umanità”. Senz’altro la proposta è lodevole e condivisibile. Magari se il papa indicesse il Giubileo dell’umanità. Sarebbe un evento religioso straordinario perché le vere “guide spirituali dell’umanità, come nei tempi d’oro delle grandi civiltà, invece di sostituirsi alle autorità civili sono chiamati a invitarle a riconoscere il ‘segno’ che questa pandemia offre a tutti” (Michael-Davide Semeraro). Aprirebbe il cammino politico alla prassi della democrazia della collaborazione di ideali, di idee, di diritti e di doveri, di responsabilità per il bene comune in senso planetario, per arrivare a pensare e vivere l’economia democratica della condivisione, perché il capitale trovi la sua missione sociale e culturale. Abbiamo bisogno di passi decisi perché il Giubileo dell’umanità sia credibile, e di scelte innovative che devono essere formulate dagli Stati attraverso specifiche legislazioni:
1. sconfiggere ed eliminare la schiavitù di ciascun essere umano;
2. garantire un reddito universale di dignità umana a cominciare dai working poors;
3. garantire il diritto alla salute e alla formazione;
4. rivedere gli investimenti per l’industria militare;
4. cancellare i debiti dei Paesi poveri del mondo ;
5. promuovere la green-economy e la bio-economy;
6. proibire l’allevamento intensivo degli animali o zootecnia chimico-industriale;
7. eliminare la plastica.
Si dirà: è un’utopia. Non credo, perché sarà la realtà della storia umana a portarci a queste scelte decisive per il nostro futuro.
Ha ragione A. Baricco: “Se c’è un momento in cui sarà possibile redistribuire la ricchezza e riportare le diseguaglianze sociali a un livello sopportabile e degno, quel momento sta arrivando. Ai livelli di diseguaglianza sociale su cui siamo attualmente attestati, nessuna comunità è una comunità: fa finta di esserlo, ma non lo è … La difficoltà è che certe cose non si riformano, non si ottengono con un graduale, farmaceutico miglioramento … Certe cose cambiano con un movimento di torsione violento, che fa male, e che non pensavi di poter fare. Certe cose cambiano per uno choc gestito bene, per una qualche crisi convertita in rinascita, per un terremoto vissuto senza tremare. Lo choc è arrivato …”.
3. Chi è l’uomo? Chi è Dio?
C’è un altro cambiamento in atto. Le domande forti ritornano e interpellano la fede e la teologia: perché il male?, perché il dolore e la morte?, che senso ha la nostra vita?, chi siamo? Dove sei, o Dio? Temo che non siamo solo impreparati a fronteggiare il coronavirus. Non siamo pronti davanti alle domande basilari e ai quesiti cruciali. Il nostro stile di vita precedente, le convinzioni e le posture esistenziali di prima ci avevano distolto dagli interrogativi fondamentali, e soprattutto abbiamo rimosso e dimenticato le risposte provenienti dalla letteratura, dalla filosofia e dalla teologia. Ovvero dai grandi scrittori, pensatori e testimoni della grande tradizione occidentale ebraico-cristiana. Negli ultimi vent’anni anche le fedi e le religioni sono state piegate a rispondere al benessere consumistico dell’individuo post-moderno. Dio come una risposta facile all’esistenza non più cercato nella sua alterità divina, ma oggettivizzato dai propri bisogni. Si è trattato di una religiosità secolare attraverso la quale il singolo si è creato la propria copertura religiosa, cioè decideva in proprio del suo orientamento religioso. O con le parole di U. Beck: si costruiva la propria sacra volta. Ora, questo io post-secolare come soggetto inquieto alla continua ricerca di se stesso, attratto anche da temi spirituali ma senza pervenire veramente al suo io spirituale, rimasto spesso imbrigliato in esperienze religiose autocentrate, e caratterizzato da un io molteplice dalle molte identità, si è trovato di colpo di fronte al limite della propria esistenza: il virus, la paura del contagio e della morte; e ad interrogarsi su se stesso e su Dio.
Sul piano antropologico, il coronavirus ci ha dischiuso una consapevolezza nuova, che in questa ora di malattia, di precarietà e di dolore possiamo sintetizzare in queste parole: ho una vita sola. Lo sapevamo anche prima, sia a livello inconscio, sia a quello conscio, ma eravamo tentati a dare più volti alla nostra esistenza, le cui esperienze – non sempre felici – nascondevano la bontà intrinseca della vita stessa. Come ha descritto Ch. Theobald, l’esistenza di una persona è accompagnata da crisi di passaggio o di maturazione, spesso coincidenti con momenti di successo o di fallimento. Il virus è arrivato come un fatto inedito e imprevisto che ha rivelato paradossalmente una situazione di apertura. “E’ come se si aprisse una finestra sulla totalità unica dell’esistenza, al tempo stesso donata e assente nei suoi contorni unici. Il soggetto è ‘chiamato’ a ridare senso alla propria vita”, perché rimesso “di fronte alla bontà originaria della vita e alla promessa che essa racchiude, si posiziona o in maniera rassegnata, evocando a volte il ‘destino’, o in maniera prospettica e con una certa gratitudine, cercando talora di esprimersi sull’origine della vita ricevuta una volta per sempre”.
A livello teologico, non dobbiamo stupirci che nell’attuale contesto si stia delineando una inversione di prospettiva sul piano della fede, della preghiera, e della stessa Chiesa. Si dà una fede elementare che – senza chiudere gli occhi davanti all’esistenza del male – conduce tante persone a pensare a Dio; ad ascoltare il Vangelo, come parola di speranza e di vita; a credere percependo Dio in termini nuovi; e a rivolgersi a lui nella preghiera per essere accolti nella sua intimità . E tutto ciò accade, nonostante che in questi mesi le chiese siano chiuse . Perché “Gesù – come scrive Ch. Theobald – non ci mette soltanto davanti a Dio come hanno fatto i profeti … ci fa entrare nella sua intimità, nella sua interiorità abissale, poiché vi è già lui stesso. Ecco la ‘differenza’ cristiana!”.
La riflessione di Theobald su Dio mi sembra veramente cruciale per gli uomini e le donne di oggi, perché ha colto in senso analogico nel termine intimità un tema essenziale della rivelazione e dell’esperienza della fede cristiana, e un versante sperimentale della stessa esistenza umana. Egli con intimità rende ben concreto e comprensibile quella sensibile realtà del divino, in Dio e nello stesso essere umano, in quanto creato a sua immagine e somiglianza. Richiamo in sintesi alcuni punti di questa proposta teologica non solo per farne percepire l’intelligenza/bellezza, ma ancora di più per dare ragione al sentire teologico che si sta delineando in tanti credenti e in tanti ricercatori di Dio:
1. “Dio solo può dirci chi egli è”, e lo ha fatto attraverso la persona di suo Figlio affinché abitasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio (intima Dei) (cfr. Dei Verbum 4);
2. “la profondità di questa intimità divina è abissale”;
3. “accedendovi (con la relazione della fede e con la preghiera) intravediamo progressivamente il posto unico che ogni essere umano occupa in essa e quale rispetto infinito lì ci viene comunicato dallo Spirito di Dio per ciascuno”;
4. “questa intimità di Dio che contiene tutto e supera tutto è infinitamente aperta, poiché la storia umana e cosmica che sta ‘dietro’ a noi è una traccia di questo misterioso ‘spazio’ in Dio”;
5. “l’esistenza comporta dei momenti di ‘passaggio’ o di prova che portano a mettersi in cammino, a compiere un pellegrinaggio o a cercare attivamente la guarigione”;
6. “i cristiani corrono il rischio di restare davanti a un Dio esteriore a loro e di dissociare il comandamento dell’amore di Dio e quello dell’amore del prossimo …; un’entrata nell’intimità di Dio con Cristo sarebbe illusoria se non divenisse al tempo stesso ‘apertura’ all’interiorità di Dio in ogni uomo e in ogni donna”.
Da un altro punto di vista teologico, V. Mancuso riflettendo sulla preghiera, ripresa da molte persone riscoprendo il silenzio e la solitudine, si rifà ad una citazione di Wittgenstein (“Pregare è pensare al senso della vita”, 11 giugno 1916), e spiega che “pregare viene dal verbo latino precari da cui anche l’aggettivo ‘precario’. Ovvero: chi non ha problemi non prega. Chi è nella precarietà prega. Le parole non mentono. A sua volta l’etimologia del verbo pensare viene da pesare: chi pensa pesa, soppesa, pondera, dà un peso alla realtà. Che peso ha la realtà? … Chi prega è un partigiano della realtà: del suo senso e della sua carica positiva. Se la mente di chi pensa è una bilancia che pesa in perfetto equilibrio, la mente di chi pensando prega è una bilancia sbilanciata a favore del bene rispetto al male, della vita rispetto alla morte, del senso rispetto all’assurdo. Per questo la preghiera è al congiuntivo. Questi sono i giorni del congiuntivo”. E noi abbiamo il desiderio di essere congiunti in noi stessi, con gli altri ed a Dio. Non certo a un Dio ex machina, o al Dio dell’ira e del giudizio, al Dio del sacrifico o dell’immolazione, oppure ad un Dio metafisico. E’ ancora Ch. Theobald che pone la domanda in modo diretto: “Chi è dunque Dio? … La formula paolina che evoca ‘colui che dà vita ai morti’ potrebbe indurci a pensare al Dio di un futuro che non dipende da alcun programma. Ma Paolo prosegue facendo immediatamente appello a ‘ colui che chiama all’esistenza le cose che non esistono’ … Essendo creato ‘dal nulla’ o, che è la stessa cosa, ‘per nulla’ o gratuitamente, il mondo è interamente fondato su questo dono gratuito che attende i suoi eredi”. Intimità alla vita divina, gratuità dell’amore, eredità del mondo, umanità filiale, sono alcuni dei componenti del vaccino che si sta attivando dentro di noi.
Alessandro Barban O.S.B.
priore generale dei monaci eremiti camaldolesi
Su msn notizie: https://www.msn.com/it-it/notizie/other/ilaria-capua-le-stime-sul-coronavirus-tutte-sbagliate-ecco-che-cosa-ci-aspetta/ar-BB12ug9Y?ocid=ob-fb-itit-69&fbclid=IwAR2_NR0f9o9Egwzp6i7ANuNfFtkoOwB-PQLmxp4odcPuMCANfb_KCzqfSt4
del 13 aprile 2020
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I tempi della scienza
Noi questo virus lo conosciamo da poco, in Italia da metà febbraio quindi sì e no da due mesi. Sono tante, tantissime le cose che non sappiamo e su cui molti si interrogano e purtroppo la scienza ha tempi lunghi, lunghissimi per arrivare alle sue certezze relative. Un mare di incertezza ci avvolge e ci disorienta. Non sappiamo neanche quanto l’infezione abbia circolato e si sia diffusa in Italia perché i campionamenti non sono rappresentativi e le procedure non armonizzate. Quindi ogni stima è soltanto una stima e come tale intrinsecamente sbagliata — bisogna solo capire di quanto.
Il ripopolamento
Ma c’è qualcosa che sappiamo. Sappiamo che il distanziamento fisico e le misure di igiene personale e pubblica aiutano ad appiattire la curva quindi a ridurre la velocità del contagio. Ma una curva più piatta non significa blocco della diffusione virale, significa riduzione della circolazione virale. Quindi è chiaro che il virus continuerà a circolare in maniera «visibile» — ovvero provocando i casi clinici fino a quando non si stabilirà l’immunità di gregge, naturale o da vaccinazione. Sappiamo che le persone anziane e con altre comorbidità sono più a rischio di sviluppare una forma grave e morire. Sappiamo anche che nella stragrande maggior parte dei bambini il passaggio virale è asintomatico e che si ammalano solo i bimbi con altre comorbidità. Non sappiamo ancora se le donne hanno realmente un rischio inferiore ai coetanei maschi di sviluppare una forma grave della malattia. Da alcuni dati sembrerebbe eclatante da altri meno, ma io mi azzardo a dire che le donne hanno probabilmente un rischio uguale o inferiore di morire o di sviluppare una malattia grave rispetto agli uomini. Quindi il ripopolamento basato almeno sulla parità di genere avrebbe senso. Sappiamo che ci sono diversi farmaci e protocolli terapeutici innovativi che ci permettono di affinare la cura, ma non credo proprio che si arriverà in tempi brevi a una commercializzazione nelle farmacie ma piuttosto verranno usati per i pazienti ricoverati.
La riflessione
Eppoi, la panacea, il vaccino che di certo non sarà disponibile almeno fino alla fine dell’anno. Non sappiamo né quanto ce ne sarà né se poi gli italiani lo utilizzeranno, visti i precedenti. Incertezza sull’incertezza.
Cosa ci aspetta?
Insomma, cosa ci aspetta? Ci aspetta una riflessione personale, di famiglia e di team di lavoro o di gruppo di svago. Ormai qui non è questione di goccioline o mascherine. È questione di adattare quello che sappiamo sulla prevenzione del Covid-19 alla nostra vita quotidiana per evitare di finire in ospedale noi stessi e fare in modo che non ci finiscano i nostri cari. Perché l’obiettivo prioritario del Paese deve essere quello di far tornare gli ospedali a regimi gestibili, e di recuperare l’arretrato. Non possiamo permetterci un’altra catastrofe con le bare nelle palestre e i morti che non si riescono più a contare. Per forza di cose dovremo ripensare ai nostri regimi organizzativi ed intrattenitivi. Arriveranno grandi cambiamenti sul fronte lavoro che dobbiamo essere pronti ad accogliere con una mentalità nuova, diversa. Il vuoto delle strade e delle piazze che ci separa dalle nostre abitudini del passato fiorirà di nuove sfide e opportunità che dovremo cogliere nella assoluta certezza che saremo noi che dovremo adattarci al coronavirus e non il contrario