Riflessioni e proposte per il “dopo emergenza Covid-19″ nelle nostre città. Gli orti urbani antidoto alla depressione.

orti-urbani-paolo-erasmoLa fine dell’emergenza potrebbe presentarci anche una società migliore. Saremo capaci di coglierne l’occasione?
di Paolo Erasmo
In questo momento drammatico, in attesa che si possano attenuare ed eliminare gli effetti della pandemia, i dibattiti sui media da parte di politici, economisti, sociologi, amministratori… spaziano su tutti gli aspetti della situazione, non solo quindi sulle misure di tipo economico messe in campo dal governo per venire incontro alle persone (e alle imprese) in difficoltà. Tra gli aspetti a mio parere non sufficientemente trattati vi è quello di tipo psicologico. Mi sembra invece importante, me lo hanno insegnato le mie esperienze professionali e di vita, in particolar modo di quella associativa, maturata negli ultimi anni. Anche il disagio sociale di chi ha perso il lavoro non può tradursi in un aiuto solamente economico, pur indispensabile. E allora che fare al riguardo? [segue] Il quadro non è del tutto chiaro anche perché nuovo, per dimensioni e complessità. Sicuramente non ne conosciamo esattamente l’evoluzione e la durata delle diverse fasi, dall’emergenza, al contenimento, all’agognata fine. Sappiamo di certo che, anche una volta terminata l’emergenza, continuerà, chissà per quanto tempo, la necessità di restrizioni della possibilità di relazionarci con gli altri, che dovremo mantenere le distanze di sicurezza ed indossare le mascherine protettive e così via. Naturalmente nessuno di noi ha ricette sicure per affrontare l’aspetto psicologico al di la di quello economico. Occorre avanzare proposte percorribili. Io ci provo nelle righe che seguono. Alcune esperienze di vita che ho maturato nel tempo mi portano a pensare che un possibile intervento per attenuare il disagio creato da questa emergenza sia la creazione degli Orti Sociali in tutta la città, in connessione con l’organizzazione dei G.A.S. (Gruppi di acquisto solidali), a cui possono aggiungersi i piccoli mercati di quartiere dove si possono mettere in vendita i prodotti ortofrutticoli, oltre che distribuire ai più bisognosi le eventuali donazioni fatte dai produttori delle eccedenze che non trovassero collocazione nel mercato, rischiando di essere sprecate. Si tratta di praticare un vero e proprio “patto sociale” tra Cittadini, Associazioni ed Istituzioni (in particolare i Comuni che dovrebbero attivare i Servizi sociali e del Verde pubblico). Gli spazi da dedicare a questo “patto sociale“ possono essere individuati nelle ex Servitù Militari sparse per la città ed oggi in abbandono, i cortili delle scuole di ogni ordine e grado, oltre al Parco Regionale di Molentargius, dove ci sono di grandi spazi privati oggi in abbandono. Nella mia esperienza di volontario presso il Dipartimento di Salute Mentale ho avuto l’opportunità di partecipare ad alcuni progetti che mi hanno insegnato che il rapporto tra l’uomo e la terra ha degli effetti molto positivi su chi soffre di depressione che rischia di acuirsi in questo momento di isolamento in cui un po’ tutti ci troviamo. Altra esperienza che mi sento di citare è il recupero dell’ex Cava di Monte Urpinu: un progetto che ha visto la trasformazione di una ex Cava diventata discarica, che con il lavoro di volontari senza esborso di risorse economiche pubbliche è diventato un orto condiviso, luogo di relazioni sociali. Progetto che poi purtroppo è stato abbandonato per la mancanza di una fonte idrica, ma che ancora oggi rappresenta un orto/giardino ricco di biodiversità. Che potrebbe essere ripreso e replicato in tutti i quartieri della Città.
E’ evidente come il cibo sia strettamente funzionale alla vita della città e delle persone. In realtà lo è sempre stato: non a caso in passato per conquistare una città la si isolava, affamandola. L’agricoltura urbana è stata vitale in periodi di crisi economica e sociale, dopo i disastri ambientali o durante i conflitti. Dopotutto è impossibile immaginare città del futuro senza immaginare le strategie e i canali che utilizzeranno per nutrirsi. Il problema dei trasporti “esploso” in questi giorni in Sardegna ci insegna che il problema della “sovranità alimentare“ lo si deve porre con soluzioni locali e durature nel tempo.
Nella città di Cagliari e nella sua area vasta gli spazi per realizzare “agricoltura sociale” non mancano; basta pensare agli ampi spazi del parco di Molentargius dove tra l’altro si potrebbe utilizzare l’acqua riciclata del depuratore di “is Arenas“ come peraltro prevede un progetto già finanziato del Comune di Cagliari. Osserviamo che nel parco di Molentargius dove si affacciano Cagliari, Quartu Sant’Elena, Selargius, Monserrato e Quartucciu si potrebbe realizzare un vero e proprio “Borgo Agricolo“ che realizzi orti urbani in un percorso di agricoltura naturale e sostenibile, anche come efficace strumento di inclusione sociale e inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, compresi i “migranti“ che oggi continuano a ciondolare tristemente per le vie della città.
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L’immagine dell’ex cava di Monte Urpinu è tratta dall’articolo di Federica Lai su Casteddu online del 16 dicembre 2013, che riporta un’intervista a Paolo Erasmo:
Gli “ortigiani” che cambiano volto all’ex cava di Monte Urpinu
La bella storia: gli orti urbani nascono ufficialmente a Cagliari a Monte Urpinu, proprio nell’ex cava che era stata abbandonata per tanti anni.

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