L’ITALIA È BELLA

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Newsletter n. 188 del 26 marzo 2020
di Raniero La Valle

Care Amiche ed Amici,

L’Italia è bella. Ce ne siamo resi conto al ricevere una lettera da un prete libanese, padre Abdo Raad, che non potendo far ritorno al suo Paese è rimasto bloccato in Italia , ma si dice “fiero” di esserci, e ne tesse le lodi perfino in modo eccessivo, mostrando in che modo si è realizzato il “prima gli Italiani”, nel fatto che contro tutto il pensiero dominante, e perciò evidentemente non “unico”, essi hanno scelto tra tutte le cose la vita, e la vita degli altri, e non per ideologia, come nelle campagne antiabortiste, ma per amore.

Questo infatti è ciò che l’Italia sta insegnando al mondo, non perché sale in cattedra, ma semplicemente con l’esserci.

E allora si vede come l’Italia è bella.

Le sue città non sono mai state così belle. Non solo perché i pesci, come dicono, sono tornati a nuotare nei canali di Venezia. Ma perché quelle piazze vuote, quelle strade deserte, quei monumenti che sembrano bastare a se stessi, anche se non più fruiti dai turisti, non mostrano un vuoto, ma un’attesa struggente di essere di nuovo vissuti, una maestà sconosciuta, un’eloquenza che in tutti i modi e con molti segni dichiara il dolore di tanto silenzio.

È bella l’Italia perché, pur nel cosiddetto “distanziamento sociale” (almeno un metro, un metro e mezzo!), mostra come siano forti i suoi legami sociali, autismo e individualismo non sono vincitori. Uno straordinario darsi degli uni agli altri si sperimenta nelle corsie, nelle sale di rianimazione, nelle “prime linee”, così come nei lavori necessari, nella comunicazione incessante, nel volontariato, nelle mille diaconie e negli incensibili e inopinati ministeri. Ha ricordato il vescovo di Bergamo che ogni cristiano, grazie al battesimo, può essere portatore di benedizione: un padre può benedire i figli, i nonni possono benedire i nipoti; ma allora anche medici e infermieri, fossero pure non credenti, “quando vedono morire gente da sola, ha detto il vescovo, se percepissero un desiderio, potrebbero con le loro mani offrire anche la benedizione di Dio”; e così avviene.

È bella l’Italia perché nel massimo del dominio della legge, del divieto, dei limiti imposti e accettati, manifesta un massimo di democrazia. Non è vero che la democrazia rappresentativa non può essere “governante”, che ha bisogno di correzioni autoritarie e presidenzialiste, di strette gerarchiche, di poteri usurpati (“i pieni poteri!”). La democrazia funziona, il consenso non è mai stato così alto. Certo l’esperienza di questo “stato d’eccezione” è nuova, nemmeno le Costituzioni l’avevano prevista e normata. Ma proprio in questo si rivela la superiorità di uno Stato costituzionale sui regimi senza Costituzione. Perfino in ciò che ancora non dice, la Costituzione ci tutela, ci fa figli della libertà, ci fa responsabili, solidali. Certo il sistema costituzionale andrà aggiornato, nuove norme dovranno garantirci per il futuro, e ancora di più dovremo batterci per una Costituzione mondiale; ma intanto la democrazia c’è e respira, le opposizioni danno di gomito per farsi vedere, dopo aver sbagliato su tutto, ma in realtà non hanno altro da dire, finché anch’esse non cambieranno.

L’Italia è bella perché al momento della prova si è fatta sorprendere con gli uomini giusti al posto giusto. Ed è come se i ruoli si fossero arricchiti, e addirittura rovesciati. Prendete il vescovo di Roma, il papa. Certo, non è solo per l’Italia; ma intanto è qui che soffre per il mondo. Ed è uno spettacolo straordinario vederlo profeta e guida dei “non messalizzanti”, come i sociologi erano abituati a chiamare i non credenti e non praticanti. Oggi i non messalizzanti sono tutti, o quasi tutti, e allora quella Messa quotidiana del papa dall’inedito eremo di Santa Marta è diventata la Messa sul mondo, e perfino la Televisione italiana la trasmette, compreso il lungo silenzio finale, e ne fornisce il segnale ad altre emittenti. Ma il papa non approfitta di una udienza così allargata per imporre la sua parola; mercoledì, infatti, nel giorno dell’annuncio a Maria, la sua omelia non è stata altro che rileggere una seconda volta quel passo del vangelo di Luca. Vi basti il Vangelo, “sine glossa”, diceva l’altro Francesco. Ma qui una “glossa”, folgorante, da parte del papa, c’è stata: ha detto che Luca di quell’ “annunciazione” non aveva potuto saperlo che dalla Vergine stessa; perciò quel Vangelo non è la cronaca di un evento che non ha avuto testimoni, ma è il racconto di Maria, la sua autobiografia più segreta, è la parola di una donna che rivela un mistero, ciò da cui ha avuto inizio la fede nell’incarnazione e ha preso avvio il cambiamento del mondo. Dunque tutto l’evento decisivo della storia è accaduto tra due testimonianze di donne: Maria, col concepimento, la Maddalena con la resurrezione. “Sulla tua parola…”. E le donne erano inaffidabili!

E prendete il presidente della Repubblica: il suo ruolo è di presiedere ai “cittadini”, ma si preoccupa di tutti. Chi sono più i cittadini dinanzi all’universalismo del virus, e alla comune risposta che bisogna dargli oltre ogni frontiera? Davvero la cittadinanza è l’ultima discriminazione che deve cadere. E Mattarella scrive al presidente tedesco augurandosi che l’esperienza italiana serva alla Germania e agli altri Paesi, perché ne sia alleviata la prova. E noi stessi riceviamo l’aiuto, non dall’Olanda, o dai più ricchi Paesi europei che sono troppo affezionati al denaro e al rigore, ma dalla Cina, da Cuba, dalla Russia, i nostri da noi dichiarati nemici di un tempo.

E guardate Conte: non lo volevano prendere sul serio, lo dileggiavano come un travicello in altre mani. Ma quando le altre mani sono venute meno, sono rimaste e si sono levate le sue, e governa con fermezza nella tempesta, ma anche con tenerezza ed equità; non ha una sua parte a cui badare, ma tutte le attraversa, come il samaritano, senza iattanza, formato com’è alla scuola del cardinale Silvestrini. Per questo i grandi poteri lo vogliono cambiare con Draghi, come se non si fosse già fatta l’esperienza di Monti.

E dei ministri prendete quello della forza più piccola, quel ministro della sanità che sembra essere nato per pensare alla salute di tutti.

È bella l’Italia perché mentre molti dicono che dopo saremo “migliori di prima”, è adesso che ci scopriamo migliori di quanto pensassimo. Sul futuro non ci potremmo giurare, altre volte dopo le tragedie ci sono state regressioni, cecità e odiose restaurazioni. Già adesso del resto si fa forte un mondo che è duro a morire. Basti pensare alla pretesa che mentre tutto chiude, resti attiva la filiera dell’aerospazio e della difesa: una bella caduta di credibilità e sensatezza di un governo altrimenti apprezzabile. È come se non si potesse decidere di smettere la produzione di armi per guerre non metaforiche, come quella del virus, ma guerre reali, presenti e future, al servizio delle quali si spendono oggi nel mondo 5 miliardi di dollari al giorno La verità è che il tempo di cambiare è questo, non quello futuro, e il futuro dipende dalle scelte che oggi facciamo. Non bisogna chiedersi che cosa faremo e come saremo “dopo Coronavirus”, ma che cosa facciamo e siamo “durante Coronavirus”. Il tempo è venuto ed è questo.

È bella l’Italia, perché proprio qui si è potuto vedere attraverso le dolenti statistiche di ogni giorno, che le donne resistono al virus molto più degli uomini, ne sono colpite due donne contro otto uomini. È una scienziata che ne ha fatto una notizia, la virologa Ilaria Capua. Non sanno spiegarsi il perché, e invece forse è chiaro: perché toccherà a loro ridare ricchezza alla vita, ripartire dal profondo, dire di sì al far dono alla terra dei “nati da donna”.

Sul sito www,chiesadituttichiesadepoveri” pubblichiamo la lettera di padre Abdo Raad, l’intervista al vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, un articolo di Giangiacomo Migone sulla scelta insensata di tenere aperte le fabbriche di armi, a cominciare dagli F 35 di Cameri, e uno di Francesco Capizzi su tutte le malattie che si potrebbero evitare, al netto del virus.

Con i più cordiali saluti

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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sbilanciamoci-20
Non serve un Piano Marshall, ma un Piano Delors/Draghi
Per contrastare la pandemia di coronavirus, con Bei e Fei, l’Europa potrebbe mobilitare 1.000 miliardi
di Alberto Quadrio Curzio
Economista, presidente emerito Accademia dei Lincei, su Sbilanciamoci.

[26 marzo 2020] Oggi si riunisce il Consiglio dei capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea a 27 per decidere come contrastare la crisi da pandemia anche per gli effetti sociali, economici e finanziari. Nove leader di Paesi dell’Eurozona hanno chiesto di emettere uno “strumento di debito comune “ ovvero i “Coronabond”. Questo per ora sembra impossibile data l’opposizione della Germania e altri Paesi. Dato il recente nulla di fatto dell’Eurogruppo un cambiamento di rotta avrebbe richiesto l’Eurosummit dei capi di Stato o di Governo a 19 dell’Eurozona e non quello odierno della Ue a 27. Si parla inoltre di un Piano Marshall per la ricostruzione, mentre si dovrebbe parlare di un Piano Delors/Draghi, almeno per chi conosce la storia della costruzione europea. Così per ora rimane fermo anche il potenziale della Banca centrale europea (Bce) che ha deciso un “Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp)” per 750 miliardi.

Sullo sfondo rimane anche l’uso del Mes (Meccanismo europeo di stabilità) per emettere “Coronabond” al fine di fronteggiare le urgenze di singoli Stati dell’area euro. Al proposito ho più volte segnalato possibili rischi rivenienti da uno Statuto molto rigido, sia per le condizioni prescritte ai fruitori del sostegno, sia perché prima di appellarsi a strumenti è bene sapere come funzionano, sia ancora perché le decisioni del Mes vengono prese alla unanimità degli Stati sottoscrittori. Quindi la Lettonia pesa come l’Italia e Malta come la Spagna!

La mia proposta è stata ed è quella di varare due tipi di Eurobond: quelli per contrastare le emergenze (EuroRescueBond), non solo nel breve periodo, attivando un nuovo Fondo (o modificando radicalmente il Mes); quelli per rilanciare gli investimenti puntando su infrastrutture e innovazione ovvero gli EuroUnionBond, sui quali rifletto da anni. I due EuroBond sono complementari e riguardano anzitutto l’Eurozona perché su questa incide la politica della Bce.

Tratto qui degli EuroUnionBond perché senza una immediata e forte attenzione all’economia reale (anche in relazione alle prospettive di “ri-continentalizzazione“) diventerà difficile evitare spaccature all’interno dell’Eurozona. In economia reale anche l’Italia potrebbe dare e avere molto laddove, muovendosi solo sul terreno della finanza pubblica, la sua debolezza sarà sempre marcata. La strategia degli EuroUnionBond non esonererebbe l’Italia da un miglior controllo dei suoi conti pubblici, ma se riuscissimo a far crescere di più il nostro Pil l’aggiustamento diverrebbe meno faticoso. E probabilmente gli altri Paesi dell’area euro capirebbero meglio che il peso del sistema produttivo italiano è essenziale all’economia europea. Basterebbe considerare al proposito che tra Francia, Germania e Italia arrivano al 64,2% del Pil dell’Eurozona..

EuroUnionBond: Bei e Fei

Per l’economia reale una realtà potente è la Bei (Banca Europea degli Investimenti) e il Fei (Fondo europeo per gli investimenti). Sono enti solo marginalmente considerati nell’attuale emergenza, eppure si tratta di “due giganti” che possono e devono essere più utilizzati adesso che Ue ed Eurozona rischiano una crisi strutturale delle loro economie.

La Bei, fondata nel 1958 in concomitanza alla firma dei Trattati di Roma, ha come azionisti gli Stati della Ue con Francia, Germania e Italia che arrivano al 48,3% del capitale sottoscritto e versato, pari a 233 miliardi di euro. Ha assets per 550 miliardi e annualmente concede crediti per circa 60 miliardi finalizzati a progetti di investimento specie nei campi della transizione energetica e dello sviluppo infrastrutturale sempre più in una ottica di ecocompatibilità.

Il Fei, di cui la Bei detiene il 59,1%, completa l’azione della Bei a supporto del sistema delle piccole e medie imprese europee, provvedendo a fornire agevolazioni di accesso al credito che integrano e facilitano l’accesso al mercato dei capitali. Le deliberazioni della Bei e del Fei sono prese tutte a maggioranza, più o meno qualificata, e questo dà agli Stati più grandi maggiore peso.

Data la loro dimensione e la loro flessibilità la Bei e il Fei potrebbero espandere il campo di operatività, fruendo anche della liquidità del Pandemic Emergency Purchase Programme della Bce, che potrebbe acquistare i loro titoli. La Bei e il Fei sono interconnesse sia ai sistemi delle imprese e delle banche dei Paesi dell’Eurozona e dell’Ue, sia alle National Promotional Banks (tipo Cassa depositi e prestiti), sia ancora a molti soggetti pubblici e privati fruitori di crediti. In vari modi Bei e Fei contribuiscono anche alla tecnoscienza, alla scienza e alla innovazione, avendo anche finanziato piattaforme europee come per esempio il Cern. Infine il Fei ha già in portafoglio partecipazioni che con adeguate modifiche di Statuto potrebbero crescere per favorire aggregazioni industriali europee sul modello Airbus.

Un impegno di questo tipo della Bei e del Fei avrebbe anche il merito di scaricare i bilanci pubblici dall’onere di ricorrere al deficit per finanziare la totalità degli interventi di sostegno, pur necessari e ineludibili, al tessuto produttivo, consentendo agli Stati di realizzare deficit primariamente per gli interventi pubblici necessari adesso nei campi della salute e della protezione sociale.

Per una conclusione: solidarismo liberale

Per gli EuroUnionBond ci vuole una notevole collaborazione tra pubblico e privato per attuare quel solidarismo liberale o liberalismo sociale che è una componente essenziale della costruzione europea. Ed ancor più dell’Eurozona che con l’euro e la Bce ha fatto un grande passo in avanti, rimanendo tuttavia un sistema ibrido confederalista e funzionalista. Draghi lo ha fatto capire in vari modi sempre restando però dentro i limiti del suo ruolo di presidente della Bce, sia nel fare che nel dire. È evidente che molti ne hanno nostalgia per la sua esperienza nella soluzione di problemi monetari-finanziari complessi con forti interdipendenze socio-economici ed occupazionali. Ho iniziato dicendo che oggi l’Europa non ha bisogno di un “Piano Marshall”, ma di un “Piano Delors/Draghi”, rispettivamente Presidente della Commissione Ue (1985-1995) e della Bce (2011-2019). Le Istituzioni europee ne avrebbero urgente bisogno per unire pragmatismo e visione nella complementarietà sia di pubblico-privato sia di economia reale-monetaria.
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2 Responses to L’ITALIA È BELLA

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