Iniziativa Caritas di domenica 16 febbraio 2020

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Gruppo Regionale di Educazione alla Pace e alla Mondialità (GREM)
Giornata formativa GREM Domenica 16 febbraio 2020 – Casa per esercizi spirituali “Pozzo di Sichar”
(Quartu Sant’Elena – via dei Ginepri, 32) [segue]
Seconda tavola rotonda.
Alla luce della 52ma Marcia della Pace, dal titolo “La pace come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione”, quali i percorsi concreti per promuovere la pace nel Mediterraneo.

APPUNTI di Franco Meloni
Premessa
Per costruire questa “comunicazione” che mi ha chiesto don Marco, ho messo insieme molti documenti, traendoli da internet, dove è facile perdersi, magari a inseguire più filoni di ricerca. Il punto di riferimento è stato ed è la parola di Papa Francesco, che scrive chiaro e quantunque arricchisca continuamente il suoi concetti, diversificandoli rispetto alla circostanza in cui interviene, non abbandona mai la strada maestra, con alcuni “chiodi fissi” (repetita iuvant, ripetere giova ed è necessario). Uno di questi “chiodi fissi” è il concetto di “ecologia integrale”.
Dice il Papa (Laudato si’, 137): ”Dal momento che tutto è intimamente relazionato e che gli attuali problemi richiedono uno sguardo che tenga conto di tutti gli aspetti della crisi mondiale, propongo di soffermarci adesso a riflettere sui diversi elementi di una ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali”. Dunque: l’ECOLOGIA AMBIENTALE, ECONOMICA E SOCIALE, l’ECOLOGIA CULTURALE, l’ECOLOGIA DELLA VITA QUOTIDIANA, IL PRINCIPIO DEL BENE COMUNE, LA GIUSTIZIA TRA LE GENERAZIONI, tutti ingredienti compresi nell’accezione “Ecologia integrale”, che vengono puntualmente ripresi nell’Agenda Onu 2030, forse senza un confortevole respiro religioso, ma tale è il valore aggiunto che caratterizza il sentire dei credenti e non solo.

Globalizzazione: gli aspetti negativi sopravanzano quelli positivi
I processi di globalizzazione sviluppatisi tra la fine del XX secolo e i successivi decenni, fino al tempo che attraversiamo, hanno comportato una serie di vantaggi (citiamo solo “la rapidità delle comunicazioni e della circolazione di informazioni, l’opportunità di crescita economica per nazioni a lungo rimaste ai margini dello sviluppo economico mondiale, la contrazione della distanza spazio-temporale e la riduzione dei costi per l’utente finale grazie all’incremento della concorrenza su scala planetaria”, etc.) e molti aspetti negativi (“il degrado ambientale, l’aumento delle disparità sociali, la perdita delle identità locali, la riduzione della sovranità nazionale e dell’autonomia delle economie locali”, etc.). Gli aspetti negativi danno conto della delusione per il mancato principale dato positivo che ci saremo aspettati: la crescita della consapevolezza per il genere umano di appartenere a un unico contesto, quello appunto dell’umanità, abitante il pianeta Terra. Ci saremo aspettati l’aumento dei “processi di unione” dei popoli all’interno dei diversi territori e tra gli stessi, con la particolare cura del “bene comune Terra”.
Così non è stato e non è, considerati i tanti “processi di divisione” presenti nel globo, di cui i più drammatici le guerre.
Questo è il quadro realistico che fa Andrea Riccardi: “Dopo un’innegabile diminuzione dei conflitti (dai 26 del 1992 ai 4 del 2007), oggi sono risaliti a 14, di cui 6 in Africa. Spesso guerre interne o a “bassa intensità”, ma gravi. Inoltre, c’è la violenza diffusa, come i narcos in Messico. Ci sono “Stati falliti”, come la Somalia. E poi il terrorismo destabilizza intere regioni, divide e contrappone le popolazioni, domina con la paura: 1.000 attentati nel 2001 e ben 11 mila nel 2015. Anche i governi sono tornati a parlare tra loro un linguaggio bellicoso, divisivo, facile alla contrapposizione. Siamo troppo abituati alla guerra: lasciare aperti i conflitti per anni appare normale e accettato. Se ne vedono le conseguenze in Libia. Del resto, il nazionalismo ha grande spazio in politica. La propaganda nazionalistica o sovranista stimola il vittimismo dei popoli: «Non facciamo i nostri interessi, ma quelli degli stranieri», si ripete. Le frontiere e talvolta persino i muri vengono esaltati. Scricchiolano le “comunità” o le alleanze tra gli Stati, come l`Unione europea o l`Unione africana o la Nato. Da pochi giorni abbiamo assistito al primo divorzio dall’Unione: quello della Gran Bretagna. Non si tratta solo di politica internazionale. I processi divisivi percorrono le società: pochi, molto ricchi, da una parte e sempre più poveri dall’altra. Le città si dividono a forbice: la gente dei quartieri ricchi non conosce le periferie. Le società si dividono. I processi unitivi, che portano alla pacificazione o alla cooperazione o alla solidarietà sociale, non vanno troppo di moda. Nel quotidiano si privilegia un approccio individuale, mentre scema l’impegno per le forme comunitarie dalla vita sociale a quella internazionale”.

Sul versante “salvaguardia e cura del Creato”, sappiamo quale sia la situazione. Ce lo ricorda in continuazione Papa Francesco.
Ecco un passaggio del suo messaggio per la Giornata mondiale della Pace del 1° gennaio 2020

(…)

4. La pace, cammino di conversione ecologica

«Se una cattiva comprensione dei nostri principi ci ha portato a volte a giustificare l’abuso della natura o il dominio dispotico dell’essere umano sul creato, o le guerre, l’ingiustizia e la violenza, come credenti possiamo riconoscere che in tal modo siamo stati infedeli al tesoro di sapienza che avremmo dovuto custodire».

Di fronte alle conseguenze della nostra ostilità verso gli altri, del mancato rispetto della casa comune e dello sfruttamento abusivo delle risorse naturali – viste come strumenti utili unicamente per il profitto di oggi, senza rispetto per le comunità locali, per il bene comune e per la natura – abbiamo bisogno di una conversione ecologica.

Il recente Sinodo sull’Amazzonia ci spinge a rivolgere, in modo rinnovato, l’appello per una relazione pacifica tra le comunità e la terra, tra il presente e la memoria, tra le esperienze e le speranze.

Questo cammino di riconciliazione è anche ascolto e contemplazione del mondo che ci è stato donato da Dio affinché ne facessimo la nostra casa comune. Infatti, le risorse naturali, le numerose forme di vita e la Terra stessa ci sono affidate per essere “coltivate e custodite” (cfr Gen 2,15) anche per le generazioni future, con la partecipazione responsabile e operosa di ognuno. Inoltre, abbiamo bisogno di un cambiamento nelle convinzioni e nello sguardo, che ci apra maggiormente all’incontro con l’altro e all’accoglienza del dono del creato, che riflette la bellezza e la sapienza del suo Artefice.

Da qui scaturiscono, in particolare, motivazioni profonde e un nuovo modo di abitare la casa comune, di essere presenti gli uni agli altri con le proprie diversità, di celebrare e rispettare la vita ricevuta e condivisa, di preoccuparci di condizioni e modelli di società che favoriscano la fioritura e la permanenza della vita nel futuro, di sviluppare il bene comune dell’intera famiglia umana.

La conversione ecologica alla quale facciamo appello ci conduce quindi a un nuovo sguardo sulla vita, considerando la generosità del Creatore che ci ha donato la Terra e che ci richiama alla gioiosa sobrietà della condivisione. Tale conversione va intesa in maniera integrale, come una trasformazione delle relazioni che intratteniamo con le nostre sorelle e i nostri fratelli, con gli altri esseri viventi, con il creato nella sua ricchissima varietà, con il Creatore che è origine di ogni vita. Per il cristiano, essa richiede di «lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo».

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Il Progetto Costituente della Terra e la sua Scuola
Il diritto internazionale è già dotato di una Costituzione embrionale del mondo, prodotta in quella straordinaria stagione costituente che fece seguito alla notte della seconda guerra mondiale e alla liberazione dal fascismo e dal nazismo: la Carta dell’Onu del 1945, la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, i due Patti internazionali del 1966 e le tante Carte regionali dei diritti, che promettono pace, sicurezza, garanzia delle libertà fondamentali e dei diritti sociali per tutti gli esseri umani. Ma non sono mai state introdotte le norme di attuazione di queste Carte, cioè le garanzie internazionali dei diritti proclamati. Non è stato affatto costituito il nuovo ordine mondiale da esse disegnato. È come se un ordinamento statale fosse dotato della sola Costituzione e non anche di leggi attuative, cioè di codici penali, di tribunali, di scuole e di ospedali che “di fatto” la realizzino. È chiaro che in queste condizioni i diritti proclamati sono rimasti sulla carta, come promesse non mantenute. Riprendere oggi il processo politico per una Costituzione della Terra vuol dire tornare a prendere sul serio il progetto costituzionale formulato settant’anni fa e i diritti in esso stabiliti. E poiché quei diritti appartengono al diritto internazionale vigente, la loro tutela e attuazione non è soltanto un’urgente opzione politica, ma anche un obbligo giuridico in capo alla comunità internazionale e a tutti noi che ne facciamo parte.
Qui c’è un’obiezione formulata a partire dalla tesi di vecchi giuristi secondo la quale una Costituzione è l’espressione dell’«unità politica di un popolo»; niente popolo, niente Costituzione. E giustamente si dice che un popolo della Terra non c’è; infatti non c’era ieri e fino ad ora non c’è. La novità è che adesso può esserci, può essere istituito; lo reclama la scena del mondo, dove lo stato di natura delle sovranità in lotta tra loro non solo toglie la «buona vita», ma non permette più neanche la nuda vita; lo reclama l’oceano di sofferenza in cui tutti siamo immersi; lo rende possibile oggi la vetta ermeneutica raggiunta da papa Francesco e da altre religioni con lui, grazie alla quale non può esserci più un dio a pretesto della divisione tra i popoli: “Dio non ha bisogno di essere difeso da nessuno” – hanno detto ad Abu Dhabi – non vuole essere causa di terrore per nessuno, mentre lo stesso “pluralismo e le diversità di religione sono una sapiente volontà divina con cui Dio ha creato gli esseri umani”; non c’è più un Dio geloso e la Terra stessa non è una sfera, ma un poliedro di differenze armoniose.
Per molti motivi perciò è realistico oggi porsi l’obiettivo di mettere in campo una Costituente della Terra, prima ideale e poi anche reale, di cui tutte le persone del pianeta siano i Padri e le Madri costituenti.

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DUE IMPORTANTI APPUNTAMENTI
1) BARI 19-23 FEBBRAIO 2020. Incontro di riflessione e spiritualità “Mediterraneo, frontiera di pace” (Bari, 19-23 febbraio 2020). L’evento, promosso dalla Chiesa italiana, vedrà riuniti nel capoluogo pugliese circa 60 vescovi provenienti da 20 Paesi bagnati dal Mare Nostrum. L’assemblea, unica nel suo genere, sarà conclusa domenica 23 febbraio con la celebrazione eucaristica presieduta dal Santo Padre.
[Card. Gualtiero Bassetti, presidente CEI] Non ho difficoltà a riconoscerlo: il progetto di un incontro di riflessione e di spiritualità, che coinvolga le Chiese presenti in tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, lo coltivo in cuore da diversi anni. L’intuizione ha davvero radici profonde: incarna, infatti, la visione profetica di Giorgio La Pira che, sin dalla fine degli anni ‘50, aveva ispirato i “Dialoghi mediterranei” e aveva anticipato lo spirito ecumenico che avrebbe soffiato con grande forza nel Concilio Vaticano II. Oggi abbiamo la possibilità di iniziare a mettere in pratica quella visione partendo proprio da quel mare che La Pira chiamava “il grande lago di Tiberiade” e che metteva in comune i popoli della “triplice famiglia di Abramo”.

2) The economy of Francesco: i giovani, un patto, il futuro
The Economy of Francesco
Dal 26 al 28 marzo 2020 la città di Assisi sarà protagonista dell’evento The Economy of Francesco, una tre giorni interamente dedicata ai giovani economisti e imprenditori provenienti da tutto il mondo, invitati direttamente da Papa Francesco per avviare un processo di cambiamento globale affinché l’economia di oggi e di domani sia più giusta, inclusiva e sostenibile.
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CHE FARE?
- Iniziative Caritas e di altre organizzazioni confessionali e laiche
- Investire maggiormente sulla scuola, l’università, la formazione delle persone

IDEE

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Per un efficace ruolo dei cattolici nella Politica. Una proposta per la Sardegna
di Franco Meloni

La Sardegna non sta bene. Ha molti problemi, alcuni dei quali si aggravano ogni giorno che passa. Non vogliamo qui farne ulteriore elenco. Chi lo volesse non ha che da sfogliare uno dei quotidiani locali o consultare una News online di un giorno qualunque. E neppure qui vogliamo parlare delle ricette per risolvere o perlomeno affrontare questi problemi. Anche queste le trovate ogni giorno esposte, più o meno bene, negli stessi media. Qui vogliamo semplicemente lanciare un messaggio e proporvi una riflessione su che cosa possono fare i cattolici insieme con tutte le persone di buona volontà disposte a fare un percorso di comune impegno. Il messaggio è il seguente: la Sardegna ha soprattutto bisogno di fiducia. Innanzitutto della fiducia dei sardi verso se stessi, che è la condizione perché gli altri abbiano fiducia nei sardi. Dobbiamo pertanto impegnarci tutti a creare quel clima di fiducia che ci consenta di affrontare i problemi e di impegnarci a risolverli mettendo a frutto le capacità personali e delle comunità di appartenenza. Tutto ciò sembra banale, ma non lo è affatto. Sicuramente è difficile. Pensate cosa significa creare fiducia nel mondo della politica. Significa praticare rapporti di scambio tra persone che nella ricerca del bene comune, anche nel confronto e nello scontro dialettico, arrivino a soluzioni ottimali. La condizione è che si pratichi l’ascolto reciproco e che si persegua l’obbiettivo della massima partecipazione. Cosa abbastanza diversa da quanto accade oggi, laddove la politica tende a selezionare le idee e le scelte sulla base degli interessi dei gruppi prevalenti e la partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica è sempre più ristretta. Allora, se si vuole invertire la rotta, occorre allargare gli spazi di partecipazione democratica sia per quanto riguarda l’accesso alle rappresentanze istituzionali (riforma delle leggi elettorali), sia per la promozione della cittadinanza attiva, sia per la valorizzazione delle competenze che devono prevalere sulle appartenenze. Ma qualcosa occorre fare subito, partendo da casa nostra, cioè da quanto possono fare di nuovo (o forse di antico) i cattolici al servizio della società. La situazione attuale della nostra società richiede un impegno politico che riesca a rendere più incisivo e produttivo il poderoso lavoro che sul piano dell’impegno sociale fanno i volontari nelle diverse organizzazioni cattoliche e laiche al servizio della gente, in modo particolare degli ultimi. Innanzitutto ai volontari è richiesto che diano un aiuto alla Politica, anche se la stessa non la chiede. Al riguardo condividiamo in toto un invito formulato da Walter Tocci in un recente convegno della Caritas romana*. Ma torniamo allo specifico dell’impegno dei cattolici in Politica. Nel vivace dibattito nazionale che si è sviluppato su questa questione emerge con chiarezza anche la proposta della costituzione di un (nuovo) partito esplicitamente ispirato ai valori cristiani.
cattolici-e-politica Proposta legittima, che ha tra i promotori intellettuali di grande spessore culturale e credibilità indiscussa, ma che ci vede del tutto contrari, per una serie di considerazioni che in altre circostanze abbiamo esposto, anche in pubblici dibattiti da noi promossi insieme ad altri. Ci convince invece un’altra proposta che per chiarezza espositiva riprendiamo integralmente da uno scritto di Enzo Bianchi (fondatore della Comunità di Bose). La stessa, che ha valenza generale, vogliamo qui riproporre nella dimensione della nostra regione. Si tratta di dare vita nelle chiese locali, diocesane e regionale, a “uno spazio al quale tutti i cattolici che si sentono responsabili nella vita ecclesiale e nella società possano essere convocati e quindi partecipare. Non un’assemblea dei soliti scelti o eletti in base all’appartenenza ad associazioni o istituti pastorali, ma un’assemblea realmente aperta a tutti, che sappia convocare uomini e donne muniti solo della vita di fede, della comunione ecclesiale, della consapevole collocazione nella compagnia degli uomini. Si tratta di chiamarli a esprimersi in merito a una lettura della vita sociale, delle urgenze che emergono e perciò in merito a un ascolto del Vangelo.
Questo sarebbe un confronto in cui si esaminano i problemi che si affacciano sempre nuovi nella vita del paese e si cerca di discernere insieme le ispirazioni provenienti dal primato del Vangelo. Da questo ascolto reciproco, da questo confronto, possono emergere convergenze pre-politiche, pre-economiche, pre-giuridiche che confermano l’unità della fede ma lasciano la libertà della loro realizzazione plurale insieme ad altri soggetti politici nella società. Un forum, dunque, uno spazio pubblico reale in cui pastori e popolo di Dio insieme, in una vera sinodalità, ascoltino ciò che lo Spirito dice alle chiese e facciano discernimento per trarre indicazioni e vie di testimonianza, di edificazione della polis e della convivenza buona nella giustizia e nella pace. È in questo spazio che si possono delineare le istanze evangeliche irrinunciabili, che poi i singoli cattolici con competenza e responsabilità tradurranno in impegni e azioni diverse a livello economico, politico e giuridico.
Così sarebbe assicurata l’unità dell’ispirazione evangelica, ne sarebbe garantita l’autenticità, senza tentazioni di integralismo, dando vita a “una polifonia ispirata a una stessa fede e costruita con molteplici suoni e strumenti” (papa Francesco, 4 marzo 2019, Udienza a un gruppo della Pontificia Commissione per l’America Latina)
. Da qui si parte per ulteriori indispensabili interlocuzioni con il “resto del mondo” per comuni percorsi nel perseguire il bene comune. Questa proposta ci sembra collimare con le posizioni di Matteo Truffelli, presidente dell’Azione Cattolica italiana, esaurientemente esposte nel suo ultimo libro, del quale riportiamo una recensione apparsa sul quotidiano Avvenire**. Che ne dite? Il dibattito prosegue…

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*Da una lectio magistralis di Walter Tocci rivolta ai volontari della Caritas romana.

(…) La chiamata civica alla politica. Credetemi, il ceto politico non si sente bene, non ce la fa da solo, ha bisogno del vostro aiuto; si, proprio di voi volontari e cittadini attivi. Lo so che siete già molto impegnati, ma proprio voi più di altri sapete come fare. La malattia dei politici è una drammatica perdita del senso di realtà, un po’ come capita alle persone disorientate che arrivano nei vostri centri di accoglienza. Con lo stesso spirito potete aiutare la politica a ritrovare il proprio ruolo sociale.
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**MATTEO TRUFFELLI: CHIESA IN USCITA E IMPEGNO POLITICO DEI CATTOLICI
23 Gennaio 2020 by Forcesi | su C3dem.
Matteo Truffelli, presidente dell’Azione cattolica italiana dal 2014, docente di Storia delle dottrine politiche a Parma, nel suo nuovo libro “Una nuova frontiera. Sentieri per una Chiesa in uscita” (Ave, 130 pagine, 11 euro), sintetizza “in che modo i credenti possono contribuire concretamente a lasciare nel mondo l’impronta evangelica della fraternità”. L’Avvenire anticipa un brano del libro: “Le scelte politiche plurali, una ricchezza per i cattolici”.
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c0f9cbce-184c-47aa-af7a-1a48c9e8540aIN CONCLUSIONE
Una preghiera iniziale degli incontri promossi dal sito chiesadituttichiesadeipoveri.

Dio Vivente. Dio dai molti nomi.
Il tuo vero nome è superiore ad ogni conoscenza,
ma sei venuto a mostrarti a noi nell’uomo Gesù di Nazareth,
che è immagine visibile e trasparente dell’invisibile tuo volto.

Dio, nostro Padre e Madre,
che in molti modi, in molti tempi e luoghi,
hai parlato ai popoli tramite profeti,
manda il tuo Spirito in noi qui radunati.

Mandaci luce per vedere e intraprendere,
insieme ad ogni persona di buona volontà,
il cammino della grande necessaria impresa
che questo tempo richiede alle nostre coscienze,
con urgenza e insistenza:

un cammino per tornare umani e restare umani,
donne e uomini, vecchi e giovani, di ogni casa e paese,
e della casa comune, questo nostro pianeta;

un cammino per riunire i popoli frantumati all’interno
da un vivere feroce, come rivali e non come soci;
popoli divisi tra loro da visioni che immiseriscono
l’unica umanità, bella nella sua varietà,
immagine multipla dei tuoi molti nomi e luci;
- umanità offesa e deturpata
dal peccato di dominio, violenza e sfruttamento;
- umanità violata dalle guerre volute e progettate,
con armi studiate e vendute per erigere torri di denaro;
- umanità venduta, vittima per vittima,
sul mercato del dolore e della morte;
- umanità la cui casa comune, il pianeta,
è pericolante nel suolo e nell’aria;
- umanità divisa nella carne dell’uomo e della donna,
fatta merce e peccato, invece di onore, pace e gioia;
- umanità che nega ai giovani speranze e progetti
proponendo nichilismi e astuzie.

Oggi ti ringraziamo perché,
in questo nostro tempo profondamente turbato e pericoloso,
riconosciamo che non ci fai mancare luci sul cammino,
come è stato in modo speciale il Concilio di mezzo secolo fa,
e la sua ripresa oggi nella Chiesa
che vuole essere sinodale, fraterna,
ecumenica, operatrice di pace, assetata di giustizia e misericordia,
in cordiale solidarietà con tutta l’umanità,
in dialogo e collaborazione con tutte le religioni
e spiritualità umane.

Riconosciamo con gratitudine
che, tra le angosce e del momento presente,
Gesù Cristo ci ripete: “Ma viene un tempo ed è questo…”
in cui “adorarti in Spirito e verità” (Gv 4,23),
cioè intimamente, sinceramente e fattivamente.
Oggi ci siamo riuniti a lavorare sui
nostri compiti attuali,
aiutaci a vedere, volere e fare
ciò che è giusto e buono per amore del mondo.

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MATERIALI

La globalizzazione (di rado anche mondializzazione) è il fenomeno causato dall’intensificazione degli scambi e degli investimenti internazionali su scala mondiale che, nei decenni tra XX e XXI secolo, sono cresciuti più rapidamente dell’economia mondiale nel suo complesso, con la conseguenza di una tendenzialmente sempre maggiore interdipendenza delle economie nazionali, che ha portato anche a interdipendenze sociali, culturali, politiche e tecnologiche i cui effetti positivi e negativi hanno una rilevanza planetaria, unendo il commercio, le culture, i costumi, il pensiero e beni culturali.

Tra gli aspetti positivi della globalizzazione vanno annoverati la velocità delle comunicazioni e della circolazione di informazioni, l’opportunità di crescita economica per nazioni a lungo rimaste ai margini dello sviluppo economico mondiale, la contrazione della distanza spazio-temporale e la riduzione dei costi per l’utente finale grazie all’incremento della concorrenza su scala planetaria.

Gli aspetti negativi sono il degrado ambientale, il rischio dell’aumento delle disparità sociali, la perdita delle identità locali, la riduzione della sovranità nazionale e dell’autonomia delle economie locali, la diminuzione della privacy.

Politologi, filosofi, economisti e storici di varia nazionalità hanno espresso i loro pareri sul globalismo, che può essere considerato un processo economico, sociale e politico simile alla globalizzazione nonché su mondialismo e mondializzazione, che sono altri fenomeni paralleli e conseguenti alla globalizzazione.
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“Io appartengo all’unica razza che conosco, quella umana”.
Questa frase viene attribuita ad Albert Einstein, il grande scienziato, che la pronunciò nel momento in cui entrò negli Stati Uniti. Era il 1933 e in Germania, la nazione in cui egli era nato e viveva, erano iniziate le persecuzioni razziali contro gli i tedeschi di origine ebrea. Per questo motivo Einstein aveva deciso di andare a vivere negli Stati Uniti.
Con questa frase egli demolì le fondamenta del razzismo che si basa sulla diversità.
Il razzista basa la sua posizione sulla diversità di razza e afferma: ” Io e te non siamo uguali per razza, siamo diversi e io sono superiore a te”.
Dal momento che la nostra razza è quella umana, che è unica, non esistono differenze e diversità di razza.
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PERCHÈ LA STORIA CONTINUI
APPELLO-PROPOSTA PER UNA COSTITUZIONE DELLA TERRA

Istituzione di una Scuola della Terra per suscitare il pensiero politico dell’unità del popolo della Terra, disimparare l’arte della guerra e promuovere un costituzionalismo mondiale. Lo reclama la scena del mondo che soffre, lo rende possibile l’annuncio di un Dio non più geloso

Nel pieno della crisi globale, nel 72° anniversario della promulgazione della Costituzione italiana, Raniero La Valle, Luigi Ferrajoli, Valerio Onida, Adolfo Perez Esquivel, il vescovo Nogaro, Mariarosa Guglielmi, Paolo Maddalena, Riccardo Petrella, Anna Falcone, Domenico Gallo, Grazia Tuzi, Giacomo Pollastri, Norma Lupi e molti altri hanno lanciato il progetto politico di una Costituzione per la Terra e promosso una Scuola, «Costituente Terra», che ne elabori il pensiero e prefiguri una nuova soggettività politica del popolo della Terra, «perché la storia continui». La proposta è espressa in questo documento.
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Perché un incontro sul Mediterraneo? Card. Bassetti: “Costruire la pace in Europa e nel bacino del Mare Nostrum”

Con questa iniziativa, quindi, la Chiesa italiana ha deciso di non unirsi al coro dei profeti di sventura, per riconoscere invece che qualcosa di nuovo può e deve nascere anche nell’area mediterranea. Un segno fin troppo eloquente è dato dalla testimonianza dei tanti martiri mediterranei di ieri e di oggi: costituiscono il trionfo dell’amore sull’odio, del dialogo sul fondamentalismo, della giustizia sull’iniquità.

Non ho difficoltà a riconoscerlo: il progetto di un incontro di riflessione e di spiritualità, che coinvolga le Chiese presenti in tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, lo coltivo in cuore da diversi anni. L’intuizione ha davvero radici profonde: incarna, infatti, la visione profetica di Giorgio La Pira che, sin dalla fine degli anni ‘50, aveva ispirato i “Dialoghi mediterranei” e aveva anticipato lo spirito ecumenico che avrebbe soffiato con grande forza nel Concilio Vaticano II. Oggi abbiamo la possibilità di iniziare a mettere in pratica quella visione partendo proprio da quel mare che La Pira chiamava “il grande lago di Tiberiade” e che metteva in comune i popoli della “triplice famiglia di Abramo”. L’appuntamento a cui stiamo lavorando, rivolto ai Vescovi cattolici del bacino del Mediterraneo, si svolgerà a Bari dal 19 al 23 febbraio 2020 e si concluderà con una celebrazione eucaristica presieduta dal Santo Padre.

Si tratta di un’assise unica nel suo genere, promossa dalla Chiesa italiana; un incontro basato sull’ascolto e sul discernimento comunitario; soprattutto, un incontro che, valorizzando il metodo sinodale, si prefigge di compiere un piccolo passo verso la promozione di una cultura del dialogo e verso la costruzione della pace in Europa e in tutto il bacino del Mare Nostrum.

In ballo, dunque, non c’è un convegno accademico e nemmeno un evento mediatico, anche se si tratta certamente di una esperienza da comunicare bene all’esterno (per cui sono grato a Vita Pastorale dell’attenzione con cui ci accompagna). Nella volontà di noi promotori, è un incontro fraterno di Vescovi del Mediterraneo, chiamati a riflettere e discernere i segni dei tempi, alla luce del fatto che la Chiesa mediterranea è presente e operante, ricca di molteplici tradizioni liturgiche, spirituali, ecclesiologiche, pur nel bisogno di rafforzare le strutture di comunione e forse di inventarne di nuove. Lo ripeto: non un sogno di Mediterraneo, ma un incontro di pastori del Mediterraneo, che hanno a cuore il Mediterraneo concreto e i popoli che lo abitano.

Peraltro, la gravità delle crisi che attraversa il bacino del Mare Nostrum è sotto gli occhi di tutti; come Chiesa abbiamo il dovere non solo di non chiudere gli occhi, ma di comprenderla e denunciarla con forza. La crisi del Mediterraneo è una crisi internazionale, estremamente grave e pericolosa per l’Europa e il mondo intero: la mancanza di stabilità nella sponda sud del Mediterraneo significa, infatti, anche una mancanza di stabilità nella sponda nord. La crisi del Mediterraneo è, poi, una crisi di squilibrio economico, causato da un sistema economico che troppo spesso moltiplica le diseguaglianze. La crisi del Mediterraneo, inoltre, è una crisi dei diritti umani: in particolar modo nei campi e nelle prigioni, in Libia, nei campi profughi di Turchia, nelle isole greche come Lesbo. La crisi del Mediterraneo, infine, è una crisi demografica perché è la faglia fra due realtà opposte, una di decrescita e l’altra di crescita. Anche per questo la situazione migratoria non può essere letta solo alla luce della mancanza di sviluppo e della instabilità, ma deve essere inserita, invece, in un processo epocale che va governato con carità e responsabilità. Sui poveri non ci è dato di dividerci, né di agire per approssimazione: la stessa posizione geografica del nostro Paese e, ancor più, la nostra storia e la nostra cultura, ci affidano una precisa responsabilità nel Mediterraneo come in Europa.

Con questa iniziativa, quindi, la Chiesa italiana ha deciso di non unirsi al coro dei profeti di sventura, per riconoscere invece che qualcosa di nuovo può e deve nascere anche nell’area mediterranea. Un segno fin troppo eloquente è dato dalla testimonianza dei tanti martiri mediterranei di ieri e di oggi: costituiscono il trionfo dell’amore sull’odio, del dialogo sul fondamentalismo, della giustizia sull’iniquità.

Ci stringiamo, anche con questa iniziativa, attorno a Papa Francesco, grati per il suo magistero profetico e per il suo ecumenismo dei fatti. In particolare, l’incontro che nel luglio dello scorso anno ha avuto con i Capi delle Chiese e delle Comunità cristiane del Medio Oriente a Bari, fino al più recente appuntamento vissuto a giugno a Napoli, costituiscono un’eredità preziosa che, per la nostra parte, intendiamo assumere con grande responsabilità. Intendiamo farci portatori di un impegno di pace, animati da una “volontà reale di ascolto e di dialogo”, consapevoli che essa è “segno che l’incontro e l’unità vanno cercati sempre, senza paura delle diversità”.

Ritrovarci insieme diventa così la via per arricchirci vicendevolmente, attraverso un discernimento ecclesiale sui problemi e il futuro dell’area mediterranea. Non esito a dire che può essere l’occasione per rafforzare un processo organico di scambio e aiuto tra le Chiese, quindi per rinnovare un impegno di feconda cooperazione missionaria.

Mi pare – lo scrivo con umiltà – una scelta davvero provvidenziale perché una maggiore fraternità fra le Chiese mediterranee può sviluppare quello sguardo complessivo e organico che ancora manca circa il contesto mediterraneo. Sul versante spirituale ed ecclesiale, in particolare, può donare – grazie alla pluralità delle tradizioni liturgiche, spirituali ed ecclesiologiche – una testimonianza sinodale davvero unica e preziosa. Riunirsi a Bari come responsabili della comunione di Chiese che vivono nella regione, ci aiuterà a capire cosa il Signore chiede alle Chiese oggi.

Card. Gualtiero Bassetti
Arcivescovo di Perugia – Città della Pieve
Presidente della CEI
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Senza pace nel Mediterraneo non ci potrà mai essere un’Europa stabilmente in pace
Prolusione del Cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, al convegno “Il Mediterraneo, frontiera di pace” (Campobasso, 8 gennaio 2020)

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA CELEBRAZIONE DELLA LIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2020
LA PACE COME CAMMINO DI SPERANZA:
DIALOGO, RICONCILIAZIONE E CONVERSIONE ECOLOGICA

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La nuova teologia dell’Ecocene
di Leonard Boff su Corriere della sera online
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Tensioni, conflitti, sovranismi: un pianeta sempre più lacerato. Il Papa fa sua la lezione di Giovanni XXIII
di Andrea Riccardi, editoriale su Famiglia cristiana del 9 febbraio 2020
La globalizzazione ha creato un vasto mercato e comunicazioni rapide e intense. Ma non un mondo unito. Oggi il mondo sembra abitato da tanti processi di divisione. Quella più drammatica è la guerra. Dopo un’innegabile diminuzione dei conflitti (dai 26 del 1992 ai 4 del 2007), oggi sono risaliti a 14, di cui 6 in Africa. Spesso guerre interne o a “bassa intensità”, ma gravi. Inoltre, c’è la violenza diffusa, come i narcos in Messico. Ci sono “Stati falliti”, come la Somalia. E poi il terrorismo destabilizza intere regioni, divide e contrappone le popolazioni, domina con la paura: 1.000 attentati nel 2001 e ben 11 mila nel 2015.
Anche i governi sono tornati a parlare tra loro un linguaggio bellicoso, divisivo, facile alla contrapposizione. Siamo troppo abituati alla guerra: lasciare aperti i conflitti per anni appare normale e accettato. Se ne vedono le conseguenze in Libia. Del resto, il nazionalismo ha grande spazio in politica. La propaganda nazionalistica o sovranista stimola il vittimismo dei popoli: «Non facciamo i nostri interessi, ma quelli degli stranieri», si ripete. Le frontiere e talvolta persino i muri vengono esaltati.
Scricchiolano le “comunità” o le alleanze tra gli Stati, come l`Unione europea o l`Unione africana o la Nato. Da pochi giorni abbiamo assistito al primo divorzio dall’Unione: quello della Gran Bretagna. Non si tratta solo di politica internazionale. I processi divisivi percorrono le società: pochi, molto ricchi, da una parte e sempre più poveri dall’altra. Le città si dividono a forbice: la gente dei quartieri ricchi non conosce le periferie. Le società si dividono. I processi unitivi, che portano alla pacificazione o alla cooperazione o alla solidarietà sociale, non vanno troppo di moda. Nel quotidiano si privilegia un approccio individuale, mentre scema l’impegno per le forme comunitarie dalla vita sociale a quella internazionale.
In un mondo globale, ma diviso, la Chiesa cattolica parla un altro linguaggio, vive in comunità e riunisce la gente. Testimonia – come può – soprattutto l`unità del genere umano. Crede al valore della famiglia, educa al senso del bene comune, è convinta del destino comune dei popoli. Lo fa perché sa – per fede ed esperienza di umanità come nessuno si salvi da solo. La Chiesa stessa però è percorsa da processi di divisione, che talvolta toccano papa Francesco, primo servitore dell’unità del popolo cristiano e grande testimone di pace nel mondo.
La Chiesa crede che la divisione e i conflitti non manifestino la positiva diversità di persone, culture o nazioni, ma calpestino le differenze. Sa che un linguaggio bellicoso o di odio può avere conseguenze gravi, oltre la volontà degli attori. Le Scritture in greco parlano del signore del male come diábolos, che vuol dire “colui che divide” e non solo il “calunniatore”. La divisione non è mai un bene.
Un grande papa, Giovanni XXIII, all’origine del dialogo tra cristiani divisi, insegnava a «cercare quello che unisce e mettere da parte quello che divide». È un’arte da riprendere a praticare oggi, perché “ricuce” – dal livello interpersonale a quello internazionale – un mondo che è troppo diviso.
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BARI 19-23 FEBBRAIO 2020. Incontro tra i vescovi del Mediterraneo, il cardinale Omella: è necessario rafforzare la comunione tra tutti noi cattolici
Nell’intervista all’arcivescovo di Barcellona i temi intra-eccelsiali ed extra-ecclesiali da affrontare a Bari

Il cardinale Omella
a cura di CRISTINA UGUCCIONI
PUBBLICATO il 10 Febbraio 2020
BARCELLONA. «L’incontro di riflessione e spiritualità “Mediterraneo frontiera di pace” promosso dalla Cei, su iniziativa del presidente, il cardinale Gualtiero Bassetti, è un’iniziativa molto lodevole. Noi vescovi avremo modo di condividere problemi, riflessioni, esperienze, preoccupazioni. Lo scopo principale, a mio giudizio, dovrebbe essere ascoltarci gli uni gli altri e lavorare insieme, con spirito sinodale, per individuare criteri di valutazione e modelli di intervento condivisi poiché la casa nella quale viviamo è comune». Sono parole del cardinale spagnolo Juan José Omella, 73 anni, arcivescovo di Barcellona (Spagna): dal 19 al 23 febbraio parteciperà a Bari all’incontro che vedrà riuniti poco più di cinquanta vescovi in rappresentanza delle Conferenze episcopali dei 19 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. In questa conversazione con Vatican Insider il cardinale riflette sui temi da affrontare.

Il Comitato scientifico organizzatore dell’incontro, invitando le Conferenze episcopali, ha chiesto ai vescovi quali problemi e questioni intra-ecclesiali ed extra-ecclesiali considerano più importanti e urgenti. Lei quali temi intra-ecclesiali ha presentato?

«Ne menziono alcuni: anzitutto, a mio giudizio, occorre ridare protagonismo alla famiglia: essa, come afferma papa Francesco, è “il nodo d’oro” di quella “alleanza dell’uomo e della donna” alla quale, secondo la parola biblica della creazione, Dio ha affidato la cura del mondo e la regia della storia. Inoltre è necessario mostrare con maggior convinzione e letizia la bellezza del messaggio cristiano: abbiamo un tesoro prezioso per ogni essere umano: Cristo. È parimenti necessario sostenere e incoraggiare la formazione dei laici (che considero fondamentale), e impegnarci per far conoscere, specie in un’Europa sempre più triste e ripiegata su se stessa, le testimonianze offerte dai fedeli, da quella moltitudine di uomini e donne che ogni giorno, tenacemente, annunciano la Buona Novella con la loro vita diffondendo il buon profumo del Vangelo».

Vi è una questione che lei considera decisiva?

«Sì: in questo nostro tempo è necessario rafforzare la comunione tra tutti noi cattolici: le divisioni oscurano il messaggio evangelico, avviliscono le comunità, danneggiano la Chiesa. La comunione potrà diventare più profonda non grazie a particolari iniziative, ma soltanto se tutti rafforzeremo la nostra personale comunione con Cristo».

Su quali temi extra-ecclesiali pensa sia necessario riflettere durante l’incontro?

«Ne cito alcuni: anzitutto il rispetto da accordare alla vita, dal concepimento alla morte naturale: ad esempio, quali sono le migliori forme di assistenza da assicurare alle persone sole e malate che, prostrate dalla sofferenza, sentendosi scartate dalla società sono tentate dall’eutanasia? Come diffondere la pratica delle cure palliative? Un secondo tema è quello delle migrazioni: con quali modalità declinare nei diversi contesti sociali i quattro verbi indicati da papa Francesco ossia “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”? Come favorire politiche di solidarietà verso i migranti e progetti di cooperazione e sviluppo che li aiutino a restare nei loro Paesi? Altri temi che reputo importanti e sui quali, secondo me, dovremo ascoltarci e ragionare insieme sono la promozione della pace, della concordia e della solidarietà tra i popoli, la diffusione della cultura del dialogo, la cura della casa comune».

In ordine a questi argomenti vi è qualche esperienza che desidera condividere con i suoi confratelli o iniziativa che vorrebbe proporre?

«Non ho pensato a iniziative da proporre mentre sarò lieto di condividere alcune felici esperienze fra le molte che sono state avviate in Spagna: penso, ad esempio, al lavoro di accoglienza dei migranti svolto dalla Caritas e da altre associazioni nelle diocesi del Sud del Paese, all’articolato progetto sulla valorizzazione della famiglia avviato dalla Conferenza episcopale spagnola, all’opera di evangelizzazione e di primo annuncio compiuta anche grazie al generoso impegno di alcuni gruppi. Ma a Bari, per me – e tengo a sottolinearlo – sarà soprattutto importante ascoltare i miei confratelli: sono molto interessato a capire quali questioni giudicano maggiormente rilevanti, come interpretano il passaggio storico che stiamo vivendo, quali riflessioni hanno maturato in questi anni».

Si augura che l’iniziativa promossa dalla Cei diventi un appuntamento periodico?

«Sì. Penso non debba restare un unicum: sarei contento se diventasse un appuntamento periodico per continuare a condividere problemi, esperienze, ricerca di soluzioni, in obbedienza a papa Francesco che invita la Chiesa a una maggiore sinodalità».

Quali frutti auspica possa portare l’incontro?

«Spero possa contribuire a rafforzare la comunione tra noi e tra le nostre Chiese, che debbono diventare più aperte e solidali le une con le altre, a edificare comunità sempre più premurose verso chi vive in povertà, ad accrescere tra i fedeli la felicità di annunciare Gesù e l’orgoglio di essere cristiani. Riguardo al futuro sono fiducioso, e per un motivo preciso».

Quale?
«Mentre in Europa avanza la secolarizzazione la Chiesa continua tenacemente a seminare: stanno spuntando, anche tra le giovani generazioni, nuovi germogli: sono 823960fb-e24b-45a8-8ec4-8e00c6446a8c
la mia speranza. Bisogna volgere lì il nostro sguardo. Dice il Signore: “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19)».

SU LA STAMPA. VATICAN INSIDER
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The economy of Francesco: i giovani, un patto, il futuro
The Economy of Francesco
Dal 26 al 28 marzo 2020 la città di Assisi sarà protagonista dell’evento The Economy of Francesco, una tre giorni interamente dedicata ai giovani economisti e imprenditori provenienti da tutto il mondo, invitati direttamente da Papa Francesco per avviare un processo di cambiamento globale affinché l’economia di oggi e di domani sia più giusta, inclusiva e sostenibile.
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Sulla distinzione tra credenti e non credenti mi piace riportare un concetto che condividevano il card. Carlo Maria Martini e il filosofo Luigi Bobbio. «La differenza più importante non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa ai grandi interrogativi dell’esistenza».
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Laudato sì’ e Agenda Onu 2030: importante documento Caritas italiana.

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