Lettera da Orgosolo di Orgolesi
Questa lettera aperta è stata spedita ai vari quotidiani sardi, in seguito ai recenti fatti che hanno interessato Orgosolo e i suoi cittadini.
Non sappiamo se pubblicherete questa lettera, ma questo in realtà non ci preoccupa. La proporremo ad altri giornali, la diffonderemo online, sfruttando la visibilità di Facebook e dei tanti blog popolari della Sardegna e chiedendo ascolto a chiunque si ritrovi nelle nostre parole. Insomma, con un minimo di fatica raggiungeremo (e probabilmente supereremo) un numero ben più ampio dei vostri stessi lettori. Sarete consapevoli voi stessi del naturale declino della carta stampata, in un’epoca di incessante bombardamento mediatico, e sarete giunti anche voi alla conclusione che ciò che serve oggi è la qualità dell’informazione, la sua serietà, la sua onestà.
Seguendo queste definizioni, pensate che oggi la Sardegna abbia una produzione giornalistica superiore al livello del quotidiano di provincia?!
Siamo Orgolesi, nati e cresciuti a Orgosolo, questa terribile zona mai raggiunta dal mondo civilizzato e dove sembra ormai impossibile che questo possa arrivare. A sentire certe testimonianze infatti, sembrerebbe che un’infanzia nel nostro paese non possa essere stata troppo differente da quella di un bambino di Kabul: bombe a ogni ora del giorno e della notte, armi, spari, violenza (abbiamo pure tanti uomini barbuti, in pieno stile talebano, anche se non è chiaro chi abbia lanciato prima la moda tra loro e noi). Beh, dispiace deludervi ma la nostra infanzia è stata molto serena, diremmo felice: scuola, gruppi sportivi e parrocchiali, associazioni di altro genere, e poi bicicletta, pallone, girare per le campagne o per le vie del paese, scoppiare qualche petardo prima di Natale, sbucciarsi le ginocchia e ricevere “il resto” dai genitori per i pantaloni stracciati e la maglietta sudicia, suonare i campanelli e scappare.
E poi escursioni fuori paese a conoscere la nostra natura, i nostri siti archeologici, oppure ancora più all’esterno, a scoprire altre meraviglie della nostra isola, o ancora oltre, a vedere che c’è un altro po’ di mondo oltre il mare. Non sappiamo se questo ci rende gli ex bambini più fortunati del mondo, ma di certo non ci colloca tra quelli più sfortunati.
Crescendo ognuno di noi ha sviluppato una propria personalità; c’è chi ha preso strade sbagliate e poi ha raddrizzato il tiro, chi sembrava ben indirizzato e si è perso, chi stenta a trovare la sua via. A ben vedere, i nostri percorsi crediamo siano perfettamente in linea con quelli di qualunque altro nostro coetaneo.
Una differenza, è vero, l’abbiamo notata, crescendo e uscendo dal paese; non sempre, e neanche nella maggior parte dei casi, ma comunque con una certa costanza e continuità nel tempo: l’esserci imbattuti in qualcuno che ci indicava come originari del paese dei banditi, un posto pericoloso, forse eredi noi stessi di un terribile passato, che molti di noi non hanno nemmeno conosciuto.
Quando hai 14-15 anni ne ridi quasi orgoglioso e forse ti vanti di tanta fama (buona o cattiva, è sempre fama), tanto a quell’età la confondi e mescoli con le altre cose che rendono famosa Orgosolo: quella dei murales, quella della lotta di Pratobello (a proposito, conoscete quella storia?), quella dell’ospitalità e della sacralità de s’istranzu, o ancora dello splendido Supramonte, magari rifugio di banditi ma naturalisticamente vera e propria meraviglia della natura.
Arrivati ai 17-18 anni inizi invece a provare un certo fastidio per le stesse cose cui fino a poco prima non facevi troppo caso. Sai perfettamente che in paese ci sono tanti problemi e criminalità, non puoi e non devi nasconderlo, ma vedi che la maggior parte dei tuoi coetanei ancora studia con buoni risultati, alcuni hanno capito che si sentono più realizzati lasciando lo studio e lavorando, alcuni, ci sono anche quelli, non fanno né l’uno né l’altro. Di nuovo, è molto differente da altre realtà? Eppure inizi a sentirti un’etichetta che ti aderisce addosso, inizi a notare qualche battuta di troppo a cui ti abitui a non rispondere, perché quando rispondi sei un permaloso e così non fai che confermare la tua “orgolesità”.
Noti anche che un fatto negativo a Orgosolo nei mezzi d’informazione occupa più spazio e ha più attenzione di quando capita altrove (il discorso vale per il nuorese in generale, ma anche per Sant’Elia o san Michele a Cagliari, ad esempio, tanto perché non ci si accusi di vittimismo barbaricino).
Sai di essere ben lontano dal vivere in una comunità perfetta, e ci sono dei momenti di alti e bassi nel vivere la comunità stessa. Esiste un’alta dispersione scolastica e spesso nelle stesse famiglie non si trova un modello di riferimento da seguire; nei comportamenti si vede la tendenza ad adeguarsi alla massa per non essere esclusi; si abusa con facilità e da giovanissimi con l’alcool.
Non elencheremo tutti i nostri problemi, sono ben noti e ancora una volta non peculiari di Orgosolo, siamo certi però che la chiusura che c’è in molti di noi giovani sia anche figlia di tutto questo. Sarebbe difficile altrimenti non appassionarsi alla storia e alla cultura del nostro paese, del nostro territorio, difendendo e rispettando la gente che lo abita e lo visita.
C’è da dire che è stato scarso lo sforzo di definire in modo chiaro e duraturo un sistema per condividere e portare avanti le nostre conoscenze, se si escludono i singoli sforzi di persone volenterose. Le stesse istituzioni e la scuola spesso non promuovono la cultura o non lo fanno in maniera efficace. Ne sono esempio alcune manifestazioni non portate avanti negli anni e che a volte hanno quasi subito un’attività di boicottaggio da parte delle istituzioni stesse. Pensiamo che da questa chiusura vengano il prevalere del pregiudizio e della paura di essere giudicati, chiudendosi alle possibilità di nuovi stimoli ed evitando le attività associazionistiche e l’impegno sociale.
Insomma ci sono i giorni in cui ti lamenti e scuoti la testa, altri in cui non puoi contenere l’orgoglio di essere nato in un posto così straordinario. Ma col passare del tempo e il susseguirsi di certi avvenimenti arrivi a porti la domanda più critica: perché questo succede? Ad Orgosolo c’è più criminalità che altrove? Bene, perché?
La prima risposta che ti viene è: il DNA, siamo gente predisposta a delinquere. Ma poi ti scappa da ridere. “Ma andiamo”, dici, “questa è la teoria di uno studioso razzista del XX secolo che collegava la criminalità alla forma del cranio dei soggetti che studiava. E poi sarebbe alla base di credenze e ideologie superate (tragicamente) oltre 60 anni fa. Possibile ci sia ancora qualcuno in giro che creda alla storia dell’indole umana che dipende dalle razze?”. Difficile crederlo, no?
Crescendo, leggendo (anche tra le righe), imparando a ragionare e discriminare concetti e nozioni, si cerca di cogliere quale e dove sia questo nostro problema. Alcune analisi lette qua e là ti portano al Piano di Rinascita e al suo fallimento, ogni tanto si va oltre e si legge qualcosa della “Caccia Grossa” savoiarda nei nostri monti a fine ‘800 (conoscete quell’altra storia?), e quando si è proprio audaci ci si spinge fino a quell’atto di “ammodernamento” (sic) che è stata la legge Savoia nota come “Editto delle chiudende”, 1820, e alla abolizione della Carta de Logu, in vigore da circa quattro secoli, seppellita nel 1827. Ma non siamo degli storici, non abbiamo (ancora) le competenze per un’analisi così approfondita e prolungata nel tempo, faremmo solo figuracce e lasciamo questo compito ai volenterosi studiosi isolani, limitandoci nel nostro piccolo ad esporvi ciò che vediamo.
Del Piano di Rinascita, ad esempio, noi vediamo soltanto il disastro, ci siamo persi la parte divertente. Solo di quello abbiamo avuto esperienza nel corso della nostra vita. È vero, molti hanno avuto di che mangiare da questi impianti allestiti tra i ’60 e i ’70, e l’operaio ha potuto permettere al proprio figlio di andare all’Università. Sta nascendo però in questi anni la generazione dei nipoti di quegli operai. Cosa si lascia a loro, a noi? Non solo la stessa disoccupazione di prima, ma in aggiunta un territorio snaturato, devastato, sporco, inquinato (la prima regione in Italia per estensione del territorio contaminato, ecco cosa siamo, fuori dalle cartoline). Quando recuperabile, sempre che lo sia realmente, quel territorio avrà bisogno di bonifiche anche decennali, ma già oggi si paga il duro conto delle strane malattie, deformazioni, tumori, pesci al sapore di gasolio e quant’altro vogliamo elencare.
Se facciamo un bilancio complessivo di questa Rinascita, davvero avremo la faccia tosta di darle un giudizio positivo? Vale la pena vivere 20-30 anni di miraggio del benessere per ritrovarsi poi ad essere distrutti e privi di altra potenzialità, schiavi dell’aiuto statale? E, magari, è possibile che il disagio, l’alcolismo, la dispersione scolastica, la dipendenza dal gioco, la stessa criminalità siano fortemente legati anche a questo disastro?
È qui che nasce il nostro grande dubbio che altri, al di fuori di noi, possano risolvere i nostri stessi problemi. È con le nostre stesse forze che dobbiamo dimostrare di non avere nessun “difetto genetico” e che molto di quanto di negativo o positivo accade (da noi come ovunque nel mondo) è frutto di un ambiente, dei soggetti che lo animano ma anche delle politiche che più o meno creano le condizioni per il sorgere del disagio.
È naturale che ci discostiamo dalle azioni negative che troppo spesso compaiono sui quotidiani e le condanniamo. Tanti già si espongono in prima persona (non senza correre rischi spesso, solo che loro non vanno in prima pagina) per far capire che non ha senso buttare giù un lampione, rovesciare un cassonetto o bloccare un pullman. E non per la paura della cattiva fama che ricadrebbe sul paese per via dei quotidiani, tantomeno per apparire eroici sulle vostre testate, ma per una questione di principio e di buon senso. Ma a fianco all’opporsi ai piccoli fatti bisogna scoprire cosa c’è sotto, cosa provoca queste situazioni, se sono più diffuse che altrove. Ha senso strappare l’erbaccia filo per filo o è meglio passare l’aratro e seminare?
Da qui torniamo a rivolgerci a voi, cari giornalisti. Non vi chiediamo di non parlare delle malefatte di Orgosolo, non ci vogliamo nascondere, tutto il contrario, fate il vostro lavoro in modo onesto e dignitoso. Vi chiediamo però di avere la decenza di non sparare titoloni in prima pagina per mendicare la vendita di due copie in più; vi chiediamo di dare a ogni notizia il peso che ragionevolmente merita; vi chiediamo, e sappiamo che richiede un po’ più di impegno e costanza, di diventare dei veri giornalisti: vi chiediamo cioè di andare oltre i singoli fatti, di superare la cronaca spicciola di provincia, e di iniziare (est tempus!) a unire i tasselli.
Se volete continuare ad essere degli scribacchini annoiati è vostro diritto farlo, ma per quanto ci riguarda (a noi passerà la Sardegna che ci stanno lasciando), non ci serve gente che elenca sommariamente i problemi e si lamenta del mondo che va a rotoli. Ci servono persone oneste che dei problemi cercano di capire le cause e cerchino di stimolare, anche attraverso la stampa e l’opinione pubblica, il dibattito per trovarne le soluzioni.
Noi cerchiamo e cercheremo di seguire questo approccio, e in questo siamo già, per il momento, migliori di voi. Nonostante Orgolesi.
Nicola Vedele
Gianfranco Lovicu
Antonio Floris
Alessandro Gaddone
Federica Mereu
Enzo Meloni
Annamaria Congiu
Candida Corria
Antonella Pira
Pasquale Mereu
Maria Corraine
Andrea Rana
Michela Corrias
Pietro Succu
Pina Corraine
Angelo Corda
Francesco Mereu
Antonio Garippa
Francesca Mesina
Gian Mauro Davoli
Matteo Sorighe
Maria Giovanna Bassu
Caterina Rana
Maria Francesca Faedda
Agostina Fistrale
Barbara Boscia
Raffaela Mereu
Vincenzo Rana
Giovanni Rana
Francesca Meloni
Antonella Bassu
Serafino Piras
Jolanda Corria
Maria Luisa Mereu
Pina Puddighinu
Giovanna Corraine
Elisa Buesca
Kekkeddu Corraine
Barnaba Pala
Francesco Moledda
Veronica Dettori
Gianfranca Rubanu
Gianluigi Muscau
Elisa Manca
Antonio Luppu
Claudia Manca
Francesca Vedele
Francesca Cuccu
Giovanna Corraine
Giovanna MereuFrancesco Corria
Teresa Corda
Pier Giuseppe Buffa
Tottoni Rana
Giovanna Corraine
Gianfranco Mura
Antonio Biancu
Laura Pinna
Marialberta Buesca
Maria Rosa Goddi
Giovanni Corraine
Antonella Floris
Francesca Cossu
Pasquale Succu
Simone Castangia
Giampietro Pinna
Francesca Garippa
Mariantonia Greco
Nicoletta Corraine
Nicola Floris
Arianna Piredda
Antonello Pira
Tonina Zoppeddu
Valentino Dettori
Gianluca Castangia
Anna Carta
Giovanna Corda
Antonella Mesina
Piera Rubanu
Antoni Conzu
Antoni Corraine
Antonella Fronteddu
Francesca Elias
Marco Musina
Nicola Mereu
Carlo Succu
Piermarco Bassu
Antonella Piredda
Alessandra Muscau
Antonella Muscau
Ilenia Floris
Maria Menneas
Francesca Bassu
Saverio Moro
Andrea Muscau
Luisa Podda
Naniu Mereu
Anna Crissantu
Mariangela Valurta
Francesca Patteri
Carmen Vedele
Irene Corrias
Antonella Valurta
Luisa Biancu
Caterina Paddeu
Angela Pinna
Elisa Carta
Italo Sorighe
Defensa Muggianu
Antonella Muscau
Gian Mario Vedele
Zizzu Musina
Gabriele Corraine
Franca Luppu
Francesco Catgiu
Dino Biancu
Tania Puddighinu
Enrico Mascia
Associazione Culturale Murales
Supramonte Volley
Supramonte Softball
INFO
Da La Nuova Sardegna, SABATO, 18 MAGGIO 2013
i«La nostra Orgosolo non è Kabul»
Un gruppo di 112 giovani scrive a giornali e tv: «Non siamo come ci dipingete»
il caso
ORGOSOLO Signori giornalisti, per favore basta con gli stereotipi su Orgosolo e i suoi abitanti, sul paese dei banditi, sulle cronache che nascondono un malcelato atteggiamento razzista verso un’intera comunità. Lo scrivono oltre cento giovani orgolesi in una lettera indirizzata ai giornali, con richiesta di pubblicazione ma con la consapevolezza che alcune testate avrebbero potuto ignorarla. Ma che comunque il suo contenuto avrebbe avuto una vasta diffusione grazie ai social network e al passaparola. L’iniziativa si deve ai promotori della pagina Orgolesos su Facebook ed è stata sottoscritta da 112 persone e dall’associazione culturale Murales. Prende spunto dai recenti fatti di cronaca, in particolare episodi di teppismo e piccoli furti, e critica il modo in cui sono stati raccontati da giornali e tv (non si dice quali). Ecco i passi principali della lettera, che per ragioni di spazio è impossibile pubblicare per intero. «Siamo Orgolesi, nati e cresciuti a Orgosolo, questa terribile zona mai raggiunta dal mondo civilizzato e dove sembra ormai impossibile che questo possa arrivare. A sentire certe testimonianze infatti, sembrerebbe che un’infanzia nel nostro paese non possa essere stata troppo differente da quella di un bambino di Kabul:bombe a ogni ora del giorno e della notte, armi, spari, violenza (abbiamo pure tanti uomini barbuti, in pieno stile talebano, anche se non è chiaro chi abbia lanciato prima la moda tra loro e noi). Beh, dispiace deludervi ma la nostra infanzia è stata molto serena, diremmo felice: scuola, gruppi sportivi e parrocchiali, associazioni di altro genere, e poi bicicletta, pallone, girare per le campagne o per le vie del paese, scoppiare qualche petardo prima di Natale, sbucciarsi le ginocchia e ricevere “il resto” dai genitori per i pantaloni stracciati e la maglietta sudicia, suonare i campanelli e scappare (…)Non sappiamo se questo ci rende gli ex bambini più fortunati del mondo, ma di certo non ci colloca tra quelli più sfortunati». I firmatari della lettera lamentano come ogni episodio di criminalità o teppismo venga enfatizzato dai media perché fa notizia, al contrario di realtà, anche in Sardegna, dove avvengono episodi più gravi anche più frequentemente. «Sai di essere ben lontano dal vivere in una comunità perfetta – è scritto nella lettera – , e ci sono dei momenti di alti e bassi nel vivere la comunità stessa. Esiste un’alta dispersione scolastica e spesso nelle stesse famiglie non si trova un modello di riferimento da seguire; nei comportamenti si vede la tendenza ad adeguarsi alla massa per non essere esclusi; si abusa con facilità e da giovanissimi con l’alcool. Non elencheremo tutti i nostri problemi, sono ben noti e ancora una volta non peculiari di Orgosolo, siamo certi però che la chiusura che c’è in molti di noi giovani sia anche figlia di tutto questo. Sarebbe difficile altrimenti non appassionarsi alla storia e alla cultura del nostro paese, del nostro territorio, difendendo e rispettando la gente che lo abita e lo visita». «È naturale – continua la lettera – che ci discostiamo dalle azioni negative che troppo spesso compaiono sui quotidiani e le condanniamo. Tanti già si espongono in prima persona (non senza correre rischi spesso, solo che loro non vanno in prima pagina) per far capire che non ha senso buttare giù un lampione, rovesciare un cassonetto o bloccare un pullman. E non per la paura della cattiva fama che ricadrebbe sul paese per via dei quotidiani, tantomeno per apparire eroici sulle vostre testate, ma per una questione di principio e di buon senso. Ma a fianco all’opporsi ai piccoli fatti bisogna scoprire cosa c’è sotto, cosa provoca queste situazioni, se sono più diffuse che altrove». «Da qui – conclude la lettera – torniamo a rivolgerci a voi, cari giornalisti. Non vi chiediamo di non parlare delle malefatte di Orgosolo, non ci vogliamo nascondere, tutto il contrario, fate il vostro lavoro in modo onesto e dignitoso (…) Vi chiediamo cioè di andare oltre i singoli fatti, di superare la cronaca spicciola di provincia, e di iniziare (est tempus!) a unire i tasselli».
Da La Nuova Sardegna on line del 26 maggio 2013
Orgosolo, la rivolta dei ventenni sul web
Circa 400 giovani hanno partecipato alla stesura della lettera ai giornali. L’appello: basta stereotipi, questo non è il paese del malessere: “I violenti rappresentano una minoranza”
di Paolo Merlini
ORGOSOLO. È stata letta da almeno ventimila persone, in cinquecento l’hanno condivisa nella propria bacheca su Facebook. E ha fatto molto discutere: a Orgosolo prima di tutto, dove il consiglio comunale si è riunito con l’«esame della situazione giovanile» all’ordine del giorno, poi un po’ in tutta la Sardegna, raccogliendo consensi e apprezzamenti. È accaduto in poco più di una settimana, e ha permesso di accendere i riflettori sulla parte più vitale di questo paese come di qualsiasi altro, i giovani. Mostrandone riflessioni e aspettative, ciò che ritengono pregi e difetti dell’appartenenza a una comunità che i media, agendo secondo consuetudini talvolta dettate dalla fretta, indicano come paese dei banditi o del malessere, quando si dà conto di episodi di criminalità, o paese dei murales quando le notizie esulano dalla cronaca nera. Ragionando per stereotipi, insomma, se non per pregiudizi.
La “Lettera aperta ai giornali” sottoscritta da un centinaio di giovani orgolesi ha colpito nel segno. È stata pubblicata da tutte le testate isolane, ma gli autori erano consapevoli che in caso contrario avrebbe avuto ugualmente diffusione grazie al web. E così è stato. Ma chi sono i ragazzi di Orgosolo che hanno chiesto alla categoria dei giornalisti un’informazione meno “strillata” quando si parla del loro paese, pur senza minare la ragione d’essere del mestiere, cioè dare la notizie? Nell’impossibilità di radunare gli oltre cento giovani che hanno sottoscritto la lettera, e ancor più le altre centinaia che l’hanno fatta propria rilanciandola attraverso i social network, l’incontro all’Internet Caffè, all’ingresso del paese, si limita a tre persone, studenti universitari a Cagliari: Nicola Vedele, 25 anni, che sta per laurearsi in economia, Annamaria Congiu, di 23, iscritta alla facoltà di lingue straniere e comunicazione, e Gian Nicola Taras, di 25, studente del corso di laurea in scienze infermieristiche.
Nicola è il primo firmatario del documento che oggi ha raggiunto oltre 400 sottoscrizioni, ed è in sostanza l’ispiratore della protesta insieme con un gruppo di giovani molto ristretto che si è via via allargato, dando vita al testo conclusivo. Un procedimento open source, in sostanza, come vengono definiti i programmi per computer che, partendo da un nucleo originario, si avvalgono del contributo dei vari sviluppatori sino a ottenere la versione definitiva. «L’idea di una presa di posizione che richiamasse i giornalisti a un atteggiamento responsabile verso i fatti che riguardano Orgosolo – dice – è nata all’indomani dell’ennesimo titolo strillato per un episodio di teppismo. Un episodio grave, ma raccontato come se le responsabilità di quanto accaduto fossero dell’intero paese e non dei singoli coinvolti. Abbiamo creato su Facebook un gruppo ristretto, Sos Orgolesos, limitato in un primo tempo a poche persone che ha buttato giù una prima stesura. La notizia dell’iniziativa si è sparsa rapidamente, e nel giro di una settimana circa quattrocento giovani, che vivono a Orgosolo o studiano e lavorano altrove, hanno dato un contributo. Chi proponeva correzioni o nuovi spunti di riflessione li evidenziava in rosso. Un lavoro a più mani, che è stato laborioso ma meno complicato del previsto, nel senso che c’era una sostanziale identità di vedute sul messaggio da lanciare all’esterno. A quel punto abbiamo aperto il gruppo a chiunque e diffuso il testo».
«Ci siamo mossi nella convinzione che l’informazione debba svolgere un ruolo di stimolo verso la società – dice Annamaria – dare un contributo reale alla soluzione dei problemi. Non chiediamo di nascondere le notizie, al contrario, ma solo di valutare enfasi e titolazioni strillate che potranno far vendere qualche copia in più, ma inducono a pregiudizi nei confronti di un’intera comunità, se non ad atteggiamenti razzisti veri e propri. Orgosolo può vantare primati nell’associazionismo, dal volontariato allo sport, la maggioranza dei giovani vuole costruirsi un futuro qui, tanto è l’attaccamento alle radici. Un futuro basato sulla cultura e sull’ambiente, uniti al turismo. Ogni anno Orgosolo viene visitato da almeno centomila persone. Certo, molti vengono qui perché attratti dal paese dei murales o, peggio, dei banditi, e limitano la propria presenza a meno di una giornata. Vanno create le condizioni per un mutamento di questa tendenza che, alla fine dei conti, penalizza il paese e la maggioranza degli abitanti».
«Con la nostra presa di posizione – dice Gian Nicola – non vogliamo affatto negare che a Orgosolo esista, come altrove, il problema di una minoranza violenta. L’obiettivo della lettera non è scavare un solco ancora più profondo, ma la speranza di un cambio di rotta. E sollecitare politiche efficaci contro il disagio, capire dove nasce. Credo che negli ultimi anni si sia investito poco in termini culturali e anche di questo si paghino le conseguenze. Sono stati istituiti tre nuovi musei, ma sono ancora chiusi». Il Parco del Gennargentu potrebbe essere una soluzione? «Personalmente non lo credo, almeno così come era concepito dalla legge istitutiva, la 394 del 1991. Andrebbe ripensato, affidando una gestione più diretta a chi vive in questi territori e li ha preservati sino a oggi. Cioè agli orgolesi».