Intervista a Andrea Pubusa e Tonino Dessì su Nuovo Cammino
Intervista con due esperti di cose sarde: Andrea Pubusa e Tonino Dessì
Andrea Pubusa, ordinario di diritto amministrativo dell’Università di Cagliari, da sempre impegnato in politica – nel corso degli anni compresi fra il 1984 e il 1994, è stato Consigliere regionale della Sardegna. Insieme con lui Tonino Dessì, giurista, dirigente regionale, già assessore regionale della Giunta Soru. Ambedue sono tra i maggiori competenti sulle tematiche costituzionali e statutarie ed autorevoli esponenti del CoStat (Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria).
Iniziamo con il prof. Pubusa
Professore, se ne parla da parecchio tempo, ma da alcuni mesi è scoppiata la polemica sull’autonomia differenziata. Le regioni più ricche del Nord sempre più ricche? Il Sud sempre più povero? Questa è la preoccupazione. Molti giuristi democratici e il Comitato nazionale per la democrazia costituzionale hanno aperto un fuoco di sbarramento contro le intese con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, fra l’altro secretate e senza la discussione e l’approvazione del parlamento. Lei in ricorrenti interventi sulla News Democraziaoggi ha assunto una posizione meno barricadiera, più ragionata. Ce la vuole spiegare?
Sì è vero. Io anche come esponente del CoStat di Cagliari ho sempre detto che un NO, pur sacrosanto, non è sufficiente. Occorre una proposta in positivo, che favorisca l’iniziativa di tutte le regioni. Solo in questo modo si può evitare la crescita del divario fra regioni e aree del Paese.
Abbiamo avuto un cambio di governo. In argomento registra qualche novità?
E’ recente una notizia interessante: sulle autonomie una legge quadro entro fine anno e nel 2020 il suo varo. Lo ha annunciato il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Francesco Boccia. Che vuol fare? Anziché tre sole intese, quelle delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, favorire l’iniziativa delle altre Regioni in modo che si possano “sottoporre da gennaio all’attenzione del Parlamento tutte le intese che potranno essere pronte“.
Le sembra una proposta convincente?
L’aspetto importante della proposta di Boccia è la centralità del Parlamento, chiamato a dibattere e ad approvare il nuovo assetto, dopo una seria interlocuzione con le regioni e le parti sociali. In tre parole: confronto con regioni e società, sintesi del governo e approvazione del parlamento. Vengono così superate molte delle critiche dei mesi scorsi al modo di procedere, anche se il merito delle intese è tutto da valutare. Tuttavia teniamo conto di alcune critiche, di cui si è fatto interprete l’autorevole costituzionalista Massimo Villone: “La legge quadro è una legge ordinaria e qualsiasi futura legge può derogarla o abrogarla. La garanzia dunque è debole. Poi c’è il vincolo di maggioranza che blinda le intese. Le regioni forti del Nord avranno un potere enorme nella contrattazione col governo, difficile bloccare le loro richieste”.
Si tratta di vigilare perché questo non accada. Ma ha ragione Villone quando afferma che il discorso si sposta interamente sul piano politico. Al riguardo cita il recente rapporto Svimez 2019, che dando conto del perdurante devastante divario Nord-Sud, “smentisce il mantra del Sud sprecone e male amministrato, quando non malavitoso, volto a succhiare il sangue del virtuoso e operoso Nord. Senza voler fare sconto alcuno alla lotta a corruzione, clientelismo, mala amministrazione, tali studi provano la vacuità del progetto politico di quanti con l’autonomia differenziata vorrebbe staccare la parte più efficiente del paese per agganciarla all’Europa dei forti. Emerge invece la tesi che l’unica vera scommessa vincente per l’Italia è contrastare il divario Nord-Sud. Se affonda il Sud, in prospettiva affonda l’Italia. Nel Mezzogiorno – presto o tardi che sia – si deciderà chi vince e chi perde nel paese”. E’ tutto ciò ci riguarda come Sardegna.
Ecco appunto: e in Sardegna? Su questa specificità sentiamo il dott. Dessì.
Pare che il consenso sull’accordo raggiunto [il 7 novembre u.s.] fra la Regione sarda e il Governo sulla “vertenza entrate” trovi il plauso di tutte le forze politiche dell’Isola, governative sarde e filogovernative italiane. Quale è il suo punto di vista?
Ancora una volta si parla di “storica chiusura della vertenza entrate”. Se n’è parlato, a dire il vero, ogni volta che si è raggiunto un qualche accordo, ma sono stati sempre accordi temporanei. Più del fatto che si tratti di una restituzione per il pregresso, da parte dello Stato, consistentemente inferiore a quanto, a termini di sentenze costituzionali, sarebbe spettato alla Sardegna e che per di più si tratti di una restituzione a rate, preoccupa il fatto che da un lato l’accordo confermi l’ordinarietà di una quota fissa di accantonamenti di risorse di spettanza regionale come contributo ai fini del risanamento della finanza pubblica generale, dall’altro introietti come ordinaria la possibilità che lo Stato incrementi, in caso di nuove necessità della finanza pubblica, la quota futura di questi accantonamenti, mentre gli orientamenti della Corte costituzionale avevano confermato l’eccezionalità e la temporaneità dei provvedimenti statali in materia relativi alle Regioni speciali e la necessità dell’intesa, nel rispetto, per la Regione sarda, dell’articolo 8 dello Statuto. Un accordo che quindi non chiude gran che e che anzi mantiene una certa aleatorietà di prospettiva sulla certezza delle entrate regionali ordinarie. Detto questo, può anche darsi che di più non si potesse spuntare, contingentemente, visto che la Regione all’integrità della propria provvista finanziaria ha rinunciato da tempo. Entreranno risorse nuove, comunque, che speriamo non vengano disperse allegramente. Farei notare che l’entità delle risorse concordate a titolo di ripristino parziale delle entrate ordinarie è giusto pari a quanto si è verificato mancare, a seguito dell’accordo del 2006, per l’integrale finanziamento della spesa sanitaria regionale.
Il dibattito comunque è partito, almeno sulla grande stampa isolana. La richiesta dell’inserimento del principio di insularità nella Costituzione può essere risolutiva per la Sardegna?
Guardi, quel dibattito riprende più o meno gli stessi temi che si ripetono da oltre trent’anni e già questo segnala un difetto strutturale di innovazione, fatta eccezione per il poco convincente e poco avvincente argomento del re-inserimento dell’insularità in Costituzione. Il guaio è che è destinato a esser letto e, appunto, dibattuto pressoché esclusivamente fra chi vi interviene. La politica se ne fregherà completamente e nessuno si incaricherà di tirar le somme e di rilanciare in termini di iniziativa coinvolgente: questa mi pare la previsione più realistica. Personalmente non vedo grandi prospettive per la vicenda sarda contemporanea, perché quello che ci vorrebbe forse sarebbe un movimento politico-culturale sardo di vera e propria rottura democratica e di liberazione dall’attuale asfittico quadro. Ma non è cosa alle viste.
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Chiudiamo sottolineando come pur venato da un malcelato pessimismo la proposta concreta di Pubusa e Dessì verte sul rilancio dell’art. 13 dello Statuto sardo. Ma su questa questione torneremo in una prossima occasione.
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