Monthly Archives: marzo 2024
Dal paradiso dei giusti
La sala della Fondazione di Sardegna strapiena. Grande successo di partecipanti all’incontro in ricordo di Franco Oliverio.
Credenti o non credenti siamo tutti certi che Franco Oliverio dal paradiso dei giusti abbia gradito la giornata di venerdì a lui dedicata. Certo ci avrebbe apostrofato, ridendo a singhiozzo: “le vostre mamme sono sante donne, ma voi siete figli di bagassa; lo sapete bene che io non ho mai amato le celebrazioni, tantomeno quelle funebri dove tutti a prescindere da cosa hanno combinato in vita diventano buoni”. Ma lui in vita di cose buone ne ha fatto davvero tante!
Noi, gli organizzatori dell’evento, in stretto raccordo con la famiglia di Franco, la moglie Francesca De Magistris, i figli Stefano e Andrea, abbiamo seguito quelle che crediamo potessero essere le volontà di Franco. Ma, lo ammettiamo, assumendocene tutta la responsabilità, di avere per certa parte trasgredito, soprattutto rivelando il grande “peccato” di Franco, quello di aver amato tutte le persone – poveri o ricchi, rifiuti umani o figli di papà – che ha curato, assistito, a cui ha dato conforto, più di quanto abbia amato Dio e i suoi comandamenti. Si, proprio come don Lorenzo Milani, che qualcosa di analogo confessò nel suo testamento. Franco purtroppo non ha potuto scriverlo il suo testamento perché non credeva proprio di morire a 62 anni, all’improvviso, lasciando la sua bella famiglia einsieme tante persone private della sua preziosa amicizia, anche semplicemente della sicurezza che comunque lui c’era. Nella toccante narrazione introduttiva, a tratti colma di ironia (quella di Franco), scritta da Gianni Loy e con la magistrale nonché deliziosa interpretazione dell’attrice Cristina Maccioni, noi, gli organizzatori, abbiamo ricordato il “nostro” Franco Oliverio, dall’”abbandono collettivo” (con Mariano Girau e altri) della Congregazione mariana del gesuita padre Maurizio Cravero – che ne aveva forgiato il carattere, con la severità del metodo educativo di Sant’Ignazio da Loyola – fino all’immersione nella problematica vita della periferia più periferica della città, in quel quartiere di Sant’Elia, considerato all’epoca il Bronx cagliaritano. Con pazienza e dedizione infinite a Sant’Elia lui fece il medico, il confessore, l’amico, guadagnandosi il rispetto e l’affetto di tutti, soprattutto dei ragazzi sbandati, quelli a cui quasi nessuno concedeva fiducia. Lui si, anche quando non la meritassero. Noi, gli organizzatori, abbiamo conosciuto Franco Oliverio il politico, quello che senza mai accettare incasellamenti di nessun tipo, portava avanti gli interessi del popolo, da cui non escludeva nessuno. Fu così che quel quartiere anche per l’opera di Franco riuscì ad acquisire una coscienza della propria forza, nel momento in cui trovò la capacità di ribellarsi alle decisioni della borghesia immobiliaristica che voleva impadronirsi di quell’angolo di paradiso, per farne residenze dei ricchi, deportando gli abitanti in altri quartieri.
Oggi 25 marzo 2024 lunedì
Allegria! Soru non si ritira, forma un partito
25 Marzo 2024
A.P. Su Democraziaoggi
Ma chi l’avrebbe immaginato? Soru non si ritira. Anzi annuncia che proseguirà, formerà un nuovo partito. La batosta elettorale non gli ha insegnato niente. Quando ha presentato la sua coalizione alle elezioni regionali fantasticava di grandi percentuali, di una corsa spalla a spalla con Truzzu, irride la Todde come perdente. Non si accorge che i […]
Elogio della mitezza
L’articolo si incentra principalmente sul saggio di Norberto Bobbio “Elogio della mitezza”. In un momento in cui la mitezza pare lontanissima dalla contemporaneità, Bobbio la rivaluta mostrandone, in modo quasi preveggente per l’oggi, il suo aspetto potente e rivoluzionario. L’articolo è sviluppato sotto forma di dialogo.
Elogio della mitezza
di Roberto Paracchini
- …, già e come si fa? Come si fa a parlare del futuro…?
- Si cerca di immaginarlo partendo da elementi del presente.
- Così però si rischia di pensare un futuro cupo, troppo cupo.
- E chi lo dice?
- Beh, il presente non è certo bello: guerre, distruzioni e cattiverie gratuite, violenza, razzismo, discriminazioni, povertà, crisi climatica e tanto tanto altro ancora. Greta Thunberg e i tantissimi giovani che vedono in lei un punto di riferimento, hanno perfettamente ragione a protestare.
- Sì: sembra proprio che stiate facendo di tutto per preparare loro un bruttissimo futuro.
- Ma chi parla, chi entra nei miei pensieri?
- Calma, stai solo riflettendo.
- Già con una voce che non sono io e che risponde a quello che penso…
- Innanzi tutto io non sono una voce ma Qfwfq. Quindi tranquillizzati.
- O, cielo!, chi parla!
- Te lo detto, sono Qfwfq.
- Chi?
- Potrei offendermi, sono il prodotto della fantasia di un grande scrittore, Italo Calvino.
- Ah…, davvero?
- Sì, “Le cosmicomiche”.
- Ma che faccio, dialogo con Qfwfq?
- E che c’è di strano, secondo il mio autore esisto da tempo immemorabile.
- Ma sei un prodotto della fantasia!
- Appunto ed è di questo che hai bisogno, ti trovi di fronte a un’impasse…
- ?
- Col terrore del foglio bianco.
- Beh, forse la questione è complessa.
- Ovvio, è difficile orientarsi in questo mondo, tanto meno scriverne. Ne so qualcosa io, prodotto dalla fantasia e dalle ossessioni di chi mi ha dato i natali.
- Va beh, finalmente un sogno letterario. Peccato che poi finisca.
- E chi l’ha detto, deciderai tu.
- Forse forse resterei nel sogno…
- D’accordo, la consapevolezza delle brutture del vostro presente fa male, ma le avete prodotte voi.
- Lo so…, lo so ma non ti ci mettere anche tu; credimi, c’è da impazzire.
- E per che cosa credi che sia qui. Però non incolpare altri della tua incapacità di capire.
- Vedi tu? Ormai tutto è fuori registro, abnorme e sempre più incomprensibile e tu pure, cara/o Qfwfq, forse fuggita/o da un libro e che ora dialoghi con me.
- Io non fuggo, semmai tu, che vigliaccamente rinunci a capire.
- Non offendere, ho solo un momento di sconforto.
- “Sapere aude!”, scriveva un vostro grande filosofo, l’illuminista Immanuel Kant: sapere aude, abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. Ma tu questo coraggio non sembri averlo.
- Già, la fai facile tu che vivi in un mondo di fantasia…
- Ma è proprio questa che ti manca. La fantasia.
- Sarebbe?
- Che cosa credi che sia l’intelligenza? Se non quel qualcosa che ti permette di immaginare mondi altri, forse inusitati ma non per questo meno possibili?
- Quindi?
- Non devi scoraggiarti.
- Però, se ci si guarda attorno…
- Non farti ingabbiare dal qui ed ora. Te lo ridico: abbi il coraggio di usare la tua intelligenza, quindi di immaginare altro non rifiutando la potenza della fantasia. E ricorda: la realtà è fatta da tutte le determinazioni del possibile, anche da quelle che ora non ci sono ma che potrebbero esserci.
- Semplice da dirsi, per te che vivi in un racconto.
- Non è esatto, io vivo in tutti coloro che mi leggono, o mi hanno letto, o mi leggeranno. Io non sono di nessuno ma per tutti.
- Ovvero?
- La fantasia è patrimonio comune.
- Allora spiegami, come si fa ad affrontare questo mondo fatto di guerre, distruzioni e cattiverie impensabili?… Come si fa a viverci? Come si fa a non venire schiacciati dalla sua pesantezza? Come si fa a costruire o inventare un pur piccolo granello di sabbia che contribuisca a renderlo almeno un po’ meno ingiusto?
- Mi ripeto: sapere aude, abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. Lo scrittore che mi ha dato i natali, Italo Calvino, pur parlando di letteratura, ha insegnato anche a me, suo prodotto di penna, molte cose.
- Allora, Qfwfq, visto che ormai, meticciando realtà e fantasia, mi hai avviluppato nel tuo mondo, sii generoso e spiega pure a me.
- Il mio Calvino nel libro Sei lezioni americane, alla voce leggerezza, racconta che la pesantezza del mondo si supera non con fughe nel sogno o nell’irrazionale, ma cambiando approccio, quindi avendo più fantasia e guardando il mondo “con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza”.
- Bene, e come fare?
- Forse cominciando a riflettere sul fatto che siete tutti imprigionati da un’idea fissa: che in ogni momento della vostra vita c’è chi vince e chi perde, chi arriva primo e chi no, e chi irrimediabilmente si smarrisce per strada. E che siete tutti ingabbiati in questa bizzarra e crudele gara, tanto che sembra normale, se non scontato, anche l‘uso della forza, della furbizia e della spregiudicatezza…
- Seppure malinconicamente, mi vien da dire che questa logica del vincere o del perdere sembra proprio la più diffusa nella realtà in cui viviamo.
- Già, vincere… Sai l’etimologia di questo verbo richiama la radice weik che implica un combattere continuo e infine, appunto, un vincitore, da cui la configurazione di uno spazio di dominio in cui uno soggioga l’altro e dove c’è chi lega e chi viene legato. E’ questo il mondo a cui aspiri?
- Certo che no! E non sono il solo a non volerlo. Ma sempre più persone stanno perdendo la fiducia e la speranza in un possibile cambiamento.
- Allora muovetevi, seguite l’esempio dei giovani.
- Facile a dirsi, però…
- Niente è fattibile se non si inizia. Un primo passo è cambiare linguaggio: non più vincere, né convincere, ma persuadere. La più timida persuasione che nella sua etimologia indica, sì, anche un’azione, ma verso un qualcosa di dolce e delicato supportato, direi io, da argomentazioni non apodittiche.
- Scusa Qfwfq ma per battere e sconfiggere la sfiducia e l’indifferenza non pensi occorra invece usare un linguaggio che “buchi” l’attenzione: forte e deciso?
- No, penso sarebbe un atteggiamento sbagliato. Sai, basta accendere la tv o collegarsi a un qualsiasi social per essere subito investiti e travolti da tanti linguaggi barricadieri che bucano, sì, l’attenzione come dici tu, ma che quasi subito svaniscono lasciando ben poco, se non un sapore amaro e un bel po’ di fastidio quando va bene; confusione, rabbia e astio più spesso.
- E tu che proponi?
- Festina lente, affrettati lentamente: agisci, sì, ma dopo aver riflettuto. Nessun assalto all’arma bianca, sia pure solo verbale.
- Quindi?
- Come afferma il mio Calvino, occorre “guardare il mondo con un’altra ottica”. In pratica bisogna cambiare paradigma, abbandonare il linguaggio bellicoso e avere il coraggio di guardare altrove. E potete farlo prendendo esempio da un altro gigante della cultura italiana e mondiale, il filosofo Norberto Bobbio; e scommettere con lui sulla mitezza.
- Caspita, Qfwfq, la mitezza? È come se proponessi una rivoluzione copernicana.
- Esatto.
- Spiega.
- In un mondo di sopraffazioni continue va precisato che “la mitezza è il contrario dell’arroganza, intesa come opinione esagerata dei propri meriti, che giustifica la sopraffazione”, come sottolinea Bobbio nel saggio Elogio della mitezza.
- D’accordo, la mitezza, però sembra un qualcosa di molto, direi troppo lontano dal mondo dell’oggi.
- Non credo, le cose che sembrano più inaccessibili, sono spesso quelle con cui viviamo nella nostra quotidianità, pur non vedendole.
- Non capisco, ogni tanto mi perdo…
- Se vai a prendere un caffè gradisci che chi te lo serve, faccia un sorriso, che tu ricambi perché un sorriso è contagioso come una piccola coccola. Oppure ti viene spontaneo aiutare il tuo vicino di casa se lo vedi in difficoltà con la spesa o aiutare una persona incerta ad attraversare la strada e tante altre piccole grandi cose. Uso volutamente “piccole grandi” perché sono le (apparentemente) piccole cose che ci fanno grandi. Ed è proprio in queste che si forgia la mitezza, una postura del comportamento meno aggressiva e più riflessiva. Sai, come specifica Bobbio, la mitezza è “una disposizione d’animo che rifulge solo alla presenza dell’altro: il mite è l’uomo di cui l’altro ha bisogno per vincere il male dentro di sé”. In altre parole: il mite aiuta a limitare l’arroganza dell’altro, in quanto esempio vivente che i rapporti interpersonali possono essere meno spigolosi e trasformarci in persone che ascoltano.
- E pensi che questo possa aiutare a superare la sfiducia e a formare un ambiente meno indifferente?
- Molto probabile. Sai l’indifferenza ha spesso come base la difficoltà nei rapporti interpersonali. Quando affermo che dovremmo usare il termine persuadere e non con-vincere, penso che si debba iniziare dalla nostra quotidianità dove in continuazione facciamo scelte che ci relazionano agli altri…
- Non ti seguo.
- Non ti capita mai di avere qualche problema e di sentirti come adirato col mondo?
- Beh, sì.
- In genere questo vuol dire che dentro di te c’è qualche “nodo” irrisolto, forse un eco di quell’inquietante “zona grigia” di cui parla Primo Levi.
- Non capisco che vuoi dire.
- Quel che forse sai anche tu: se riesci a relazionarti con qualcuno senza aggressività, quel “nodo” diventa più leggero, non che lo risolvi, ma ti si attenua, soprattutto se nella relazione con l’altro non entri in un quadro competitivo in cui ognuno vuole convincere l’altro di qualcosa. In altre parole, il mite è colei o colui che non vuole convincere nessuno, semmai persuadere.
- Mi stai dicendo che la persuasione si sposa con la mitezza e non con la vittoria…
- Certo. Sai, grazie al mio Calvino sono un testimone senza tempo dell’evoluzione dell’universo e di vittorie e catastrofi ne ho visto tante, dai buchi neri alla formazione di nuove stelle. Ma ho anche osservato che per quella strana “cosa”, che chiamate homo sapiens, più che i grandi eventi che hanno creato l’universo, contano le carezze.
- Che è, Qfwfq, mi stai diventando sentimentale…
- La fantasia è anche sentimento, parola che va accostata al verbo sentire, che significa avere consapevolezza di sé e dell’altro; e che è spesso anche il prodotto di una carezza. Gesto che, a sua volta, richiama una postura mite verso l’altro, che deriva da caro, amato. Tutti significati ben lontani dal vincere-soggiogare-fare prigioniero.
- Perdonami, Qfwfq, ma se vuoi cambiare qualcosa, così facendo non rischi di assumere un atteggiamento, sì, carezzevole, ma poco efficace?
- Per niente, semmai il contrario: la vittoria sottomettendo, blocca, ferma e cristallizza la realtà, soggiogando chi non la pensa come te e bloccandone le possibili scelte; e inibendo così la realizzazione di nuovi percorsi. Non credi invece che le nostre azioni, come spiega il fisico e filosofo Heinz von Foester, dovrebbero sempre essere volte ad agire “in modo di accrescere il numero totale delle possibilità di scelta”?
- Ammettiamo che sia d’accordo, ma come agire in questo senso?
- Con la mitezza, su cui punta Bobbio. Usando le parole di Carlo Mazzantini, un suo amico filosofo, Bobbio sottolinea che “la mitezza è l’unica suprema potenza (…) che consiste nel lasciare l’altro quello che è”. Quindi con tutta la sua libertà di scelta.
- Perdonami, Qfwfq, però per Norberto Bobbio “la mitezza non è una virtù politica”.
- Ed è per questo che è molto importante. Per lui, “la politica non è tutto. L’idea che tutto sia politica è semplicemente mostruosa”. Ma proprio qui sta per Bobbio la potenza della mitezza che, appunto, non è una virtù politica.
- Forse mi sono perso qualcosa, ho difficoltà a seguirti. Ti rigiro il moto Festina lente…
- Giusto, diamo un po’ di contesto. In Elogio della mitezza, quando Bobbio parla di politica, pensa soprattutto al Principe di Macchiavelli in cui gli “animali simbolo dell’uomo politico sono (…) il leone e la volpe”; e pensa a Hobbes e al suo homo homini lupus (l’uomo è lupo per l’altro l’uomo), che “nello stato di natura è l’inizio della politica”. Tutti esempi in cui “non c’è posto tra loro per i miti”.
- Perdonami l’ingenuità e la banalità, ma come fa il mite a competere con questa “muscolosa” politica, soprattutto se vuole cambiarla? Non verrebbe spazzato via come un fuscello?
- Il problema è mal posto. Il mite, spiega Bobbio, “non entra nel rapporto con gli altri con il proposito di gareggiare, di sconfiggere, e alla fine, di vincere. È completamente al di fuori dello spirito della gara, della concorrenza, della rivalità e quindi anche della vittoria”.
- Continuo a non capire.
- Bobbio non nasconde affatto la prosaicità della storia e, quindi, della politica, piena di arroganza, protervia e prepotenza. Così come non nasconde, citando il filosofo Friedrich Hegel, che ai “fondatori di stati”, agli “eroi”, è stato permesso tutto, “anche l’uso della violenza”.
- Quindi?
- Bobbio cerca una via d’uscita coerente, una via d’uscita per il nuovo millennio direi, e la trova nella mitezza…
- Una virtù, però, che considera “non politica”.
- Sì, ed è proprio in questo suo (della mitezza) essere fuori dalla politica intesa come lotta e competizione, che sta la sua forza e la sua potenza. Come già accennato, la vita per Bobbio non si riduce alla politica ed è in questo spazio non politico, in cui i rapporti interpersonali non puntano a prevaricare e dominare l’altro, che può fiorire la mitezza in tutta la sua potenza.
- E che cos’è questo “spazio non politico”?
- In Elogio della mitezza, l’autore non lo precisa in modo esplicito, ma afferma di considerare molto importante “quello che c’è al di là della politica” dove si trova, appunto, la virtù della mitezza. Direi che per Bobbio si tratta di uno spazio che non è della politica tradizionale e nemmeno del privato dato che la mitezza “rifulge solo alla presenza dell’altro”; e che, quindi, può essere considerato uno luogo intermedio tra i due. Uno spazio determinante nella vita nelle persone perché in esso vivono i rapporti interpersonali, di cui la mitezza si nutre per definizione. Direi che questo spazio assomiglia a quello infra teorizzato dalla filosofa Hanna Arendt e per lei indispensabile per lo sviluppo democratico. E quale humus migliore della mitezza per stimolare la riflessione e la crescita delle persone?
- Oggi, però, sembra che più della riflessione domini la velocità e che tutto il resto (basta dare un’occhiata ai social) diventi subito obsolescente.
- Certo, ma quel che più conta credo sia riuscire a innescare cambiamenti virtuosi e contagiosi. A noi tutti e mi ci metto anch’io con l’illuminismo del mio Calvino, oggi non serve un qualcosa che faccia rumore e che appaia e scompaia come la voglia di immediatezza prodotta dai clic reiterati. Occorre invece un qualcosa che abbia potenza potente nel senso etimologico di capace di effetti, di autorità, ricco e nobile, autorevole insomma.
- Rieccoci, spiega meglio: potenza e mitezza a me sembrano due concetti agli antipodi.
- Per spiegarlo Bobbio si rifà alle parole del suo amico filosofo Mazzantini che come abbiamo già visto diceva che la mitezza “è l’unica suprema ‘potenza’ (…) che consiste nel lasciare l’altro quello che è”. E in più aggiungeva: “Il violento non ha impero perchè toglie a coloro ai quali fa violenza il potere di donarsi”. Chiaro?
- Non proprio.
- Allora seguimi ancora un attimo: chi comanda e domina fa fare agli altri solo quello che lui vuole, come se il dominato fosse diventato un suo terminale. In questo modo, però, la forza del suo comando resta, appunto, solo forza che piega con la violenza colui che viene dominato. Così il violento conquista, soggioga e trasforma il corpo del dominato ma, si potrebbe dire con un linguaggio forse improprio, non la sua anima: la sua vera volontà e la sua personalità restano inviolate.
- Prima hai accennato al tema del” donarsi”, chiarisci per cortesia.
- Dietro questa affermazione penso ci sia il discorso sul dono e sulla gratuità. In sintesi il donare, in questo caso, implica il fare qualcosa senza avere alcuna contropartita: un’azione svincolata da un qualsiasi vantaggio. A ben guardare si tratta di un comportamento che noi facciamo molto più spesso di quel che sembri durante la nostra quotidianità, come atto di attenzione verso gli altri con una telefonata affettuosa o un messaggio delicato che mandiamo o che ci arriva inaspettato, o una gentilezza inusuale o mille altre piccole cose. Ed è proprio la gratuità di questi gesti che li rende doni e, direi, doni contagiosi nel senso che spingono i destinatari a comportarsi nello stesso modo…
- Ma hai appena detto che non c’è contropartita.
- Infatti, perché i destinatari della contagiosità del dono non sono coloro che hanno fatto il dono, ma altri. Se poi lo diventano anche loro, è perché pure loro fanno parte del mondo “altri”.
- E un atteggiamento mite li stimola, i doni?
- Sì, ne è un propulsore: per Bobbio la mitezza “è una donazione”, e si tratta “di una disposizione verso gli altri che non ha bisogno di essere corrisposta per rivelarsi in tutta la sua portata”.
- Bene, torniamo un attimo sulla potenza della mitezza.
- Chi fa violenza toglie al dominato il potere di donarsi dimostrando così di non avere impero, nel senso di autorità e autorevolezza, su colui che soggioga; e questo perchè non controlla la sua libertà più grande, quella di potersi donare, appunto.
- Insomma, in questo quadro concettuale, è il mite il vero potente?
- Esatto, ma si tratta di una potenza fatta di autorevolezza, senza dominio e soprattutto, come spiega Bobbio, che sviluppa socialità. “Dunque – continua il filosofo riprendendo le parole di Mazzantini – ‘lasciare essere l’altro quello che è’ è virtù sociale nel senso proprio, originario, della parola”, che crea alleanza, base e trampolino per una nuova politica.
(Roberto Paracchini)
———————————————————————
Norberto Bobbio.
——————————————————————-
Carbonia
Carbonia. La legge stralcio e l’annoso fronte antagonista del monopolio Ses, Società elettrica sarda, in Sardegna
24 Marzo 2024
Gianna Lai su Democraziaoggi
Come ogni domenica, dal 1° settembre 2019, un articolo sulla storia di Carbonia.
Nuovi fronti si aprono, a chiusura del 1950, nuove minacce in particolare con “l’emergenza Ses”, proprio ora, alla vigilia della costruzione di una Centrale termoelettrica Smcs, nuova possibile concorrente del monopolio isolano: il sindacato pronto a denunciare, pur limitate le sue possibilità […]
————-
Oggi sabato 23 marzo 2024
La democrazia, dove sta? E’ morta? Che fare in Sardegna?
23 Marzo 2024
A. P. Su Democraziaoggi
Assistiamo a frequenti prove elettorali. Alcune vengono giudicate positivamente, altre no. Quelle russe il peggio del peggio. Putin, che tiene elezìoni (per quanto discutibili), un autocrate, Zelensky, che non ne tiene, un campione di democrazia. C’è in questi giudizi qualcosa che non torna. Sono democratici gli stati amici, non lo sono gli altri. […]
———————
La famiglia Oliverio, la Fondazione Anna Ruggiu, Aladinpensiero News ringraziano
Per Franco Oliverio
ADORAVAMO LO STESSO DIO
Ricordando Franco Oliverio
Adoravamo lo stesso Dio, ma il suo, quello dei Gesuiti – un Dio blasonato – abitava in via Ospedale; il nostro Dio – quello di una classe di artigiani, di arregatteris, di modesti impiegati, si trovava qualche traversa più in basso, in via Fara. Insomma, con i congregati non avevamo niente da spartire, se non reciproca diffidenza.
Per questo, mai avrei potuto immaginare un incontro ravvicinato, di qualunque tipo, con qualcuno di loro.
Era la Cagliari degli anni ’60. Il nostro era un vicinato povero, ma ordinato. Il nostro quotidiano era la bacheca della Chiesa di S. Anna, ci informava, puntualmente, di quali “cinema” fossero permessi a tutti, quali riservati agli adulti, quali proibiti a pena di peccato mortale. E ci ricordava che chi votava comunista e leggeva la sua stampa non poteva neppure accostarsi ai i sacramenti. …
Insomma. Era tutto chiaro. Chiaro e prevedibile. Fatto salvo l’imprevisto…
Po Franco Oliverio
PO FRANCO OLIVERIO
Canzoni a curba
Po tottu Casteddu – narant unu contu:
nara si ses prontu, – potzu incumentzai.
Si bollu contai – un bell’istoria
de un amigu caru – chi nos hat lassau,
oi forti in su coru – stugiaus sa memoria
de cussu cumpangiu – chi si nd’est andau;
chi nos hat lassau – tristis e affligìus
mannus e pippius – du prangeus ancora
oi che lompia s’ora – de d’arregodai
cica ‘e m’ascurtai – si du nau in seriu
chi Franco Oliveriu – fut ispeciàli.
Su l’Unione Sarda poche righe sull’evento
Franco Oliverio
Sono passati 20 anni da quando se ne andato. A volte, immagino ancora di incontrarlo all’incrocio tra il Corso Vittorio Emanuele e la via Tigellio, smanioso di raccontare l’ultima crastulata.
Franco non ha mai tirato quattro calci al pallone, era medico. Cosa avrà fatto di così eccezionale, in vita, per essere ricordato con tanto affetto, con tanta commozione, da così tante persone?
Niente! Assolutamente niente. Franco Oliverio è famoso, perché di fama si tratta, solo per aver fatto il proprio dovere di medico, e per aver amato il prossimo suo.
Il medico, voglio dire, di quando si pensava che per farlo occorresse anche un po’ di vocazione, come per fare il prete o la maestra, per non dire d’altro. Una vocazione che lo ha portato a guardare solo alla salvezza delle persone, non arrestandosi davanti a niente, a partire sempre dai più bisognosi, da Sant’Elia, dai ghetti, dalle periferie, dai drogati, scontrandosi, non di rado, con lo stesso ambiente cattolico e borghese che l’aveva cresciuto, rischiando il carcere, egli stesso, perseguitato dagli emuli del commissario Javert perché frequentava i bassifondi e non faceva la spia. A non essere carogna glielo avevano insegnato i suoi amici di Sant’Elia. Erano i tempi di Villasanta …
Franco, semplicemente, dispensava amicizia, a chi la meritasse, ed a meritarla erano spesso i più diseredati, ma non solo. Voleva bene senza enfasi, in punta di piedi: quando proprio non ne poteva fare a meno nascondeva le emozioni dietro occhiali grandi e rotondi, dietro incisivi sporgenti che gli conferivano un’aria da castoro: il suo cuore era protetto da un loden perenne, con tasche tanto ampie da poterci nascondere i ferri del mestiere, e la commozione. Amava e si faceva amare, perché per tutti era un baluardo, a volte l’ultima risorsa, il confidente fedele. Era anche quello che ti raccontava l’ultima barzelletta. Chi non sapeva più dove sbattere la testa, in ultimo, si rivolgeva a lui, per la cura dell’anima e del corpo: perché Franco era anche una specie di stregone, era il nostro eroe, continua ad esserlo.
Tutto è cominciato quando pensavamo che avremmo conosciuto un mondo migliore, quando non immaginavamo gli orrori che il tempo ci avrebbe riservato. Passo dopo passo.
Sino a quando Maria Paola, vent’anni fa, messaggera della cattiva nuova, non mi ha inchiodato sul marciapiede di una città lontana.
Il ricordo di lui, talvolta, mi costringe a sporgermi all’indietro, sulla storia e la geografia dell’ultimo mezzo secolo, per scoprire che il passato altro non è che ciò che ci accingiamo a vivere. Ora che Franco, una delle cose belle che la vita mi ha regalato, continua a frequentare miei, i nostri, pensieri.
Gianni Loy
———————————————————
————————————————————-
La Storia siamo noi
Facendoci carico delle sollecitazioni di alcuni amici, abbiamo deciso di impegnarci a ricordare degnamente diverse persone che purtroppo ci hanno lasciati e che abbiamo conosciuto nella nostra esperienza politico-culturale-sociale, con i quali abbiamo anche percorso tratti comuni di strada. Lo facciamo non solo come doveroso tributo alla loro opera, quanto soprattutto per socializzarne i contenuti per quanto possono essere utili per l’oggi, per affrontare tanti problemi che si ripropongono, spesso in misura drammaticamente più pesante rispetto ai tempi passati. Parliamo quindi fondamentalmente di persone che con la loro vita, il loro impegno sociale-culturale-politico, costituiscono ancora oggi importanti esempi/riferimenti, di cui abbiamo necessità. Almeno così crediamo. Ci riferiamo a persone in gran parte ignorate dalla pubblicistica prevalente, maggiormente presenti in quella che viene definita “letteratura grigia”. Non ne facciamo volutamente elenco, almeno per ora. In questa circostanza presentiamo il primo, a noi particolarmente caro, un nostro amato amico: Franco Oliverio (Cagliari, 17/09/1941 – Cagliari, 22/03/2004). A lui abbiamo già dedicato diversi spazi su Aladinpensiero, che in certa parte costituiscono una base documentale per il convegno di venerdì 22 marzo. Del quale peraltro pubblicheremo tutti i materiali presentati e prodotti nell’occasione.
Franco merita questo nostro impegno, che si tradurrà anche in altre diverse iniziative che vogliamo coinvolgano quante più persone possibili, a partire dai cagliaritani, perché proprio i cagliaritani spesso dimenticano i loro concittadini che hanno fatto grande la città. E, per quanto ci riguarda, lo ripetiamo, ci riferiamo a persone comuni, quelle spesso sconosciute alle Istituzioni che attribuiscono riconoscimenti e cavalierati. Insomma, ci prendiamo con piacere la briga di praticare il bellissimo concetto, cantato da Francesco De Gregori: “La storia siamo noi”. La città di Cagliari sembra abbia dimenticato Franco Oliverio, salvo un’eccezione che è giusto enfatizzare: la intitolazione della piazza di fronte alla chiesa parrocchiale di Sant’Elia. L’iniziativa è stata promossa da un gruppo di cittadini amici di Franco con in testa il Sindaco Emilio Floris, che il 16 aprile 2010, a sei anni dalla morte di Franco, ha inaugurato la piazza, con una sobria cerimonia, che avrebbe meritato più pubblicità e partecipazione.
Come abbiamo documentato in diverse occasioni, e insieme con noi la consigliera comunale Rita Polo, senza essere stati ascoltati, la piazza versa oggi in condizioni eufemisticamente non buone. Addiritura è sparita la targa di intitolazione, come documenta la foto sotto riportata.
Chiediamo allora al Comune di Cagliari di provvedere al ripristino del decoro della bella piazza, danneggiata in diverse parti, e oltraggiata con varie scritte, presenti nell’anfiteatro che la chiude a semicerchio.
La struttura così riportata all’originario assetto dovrebbe essere riconsegnata agli stessi abitanti che sapranno come custodirla e preservarla da atti vandalici.
Vogliamo infine ribadire che non intendiamo essere solitari nel portare avanti iniziative di ricordo delle persone che meritano di essere iscritte in un ipotetico albo dei cittadini illustri di Cagliari e non solo. Siamo aperti a tutte le possibili collaborazioni e non dimentichiamo quanto di buono si è già fatto. Nel caso di Franco Oliverio ci riferiamo per esempio agli scritti di Gianfranco Murtas e alle iniziative dallo stesso promosse. Al riguardo riportiamo i link da utilizzare per accedere agli interventi audio-video di un Convegno sul disagio giovanile promosso da diverse associazioni culturali e coordinato dal citato giornalista-scrittore Gianfranco Murtas, che si tenne a Cagliari il 7 luglio 1997, nel quale intervenne, tra gli altri, proprio Franco Oliverio.
Qui le riprese audio-video degli interventi, tra cui quello di Franco.
Fondazione Anna Ruggiu onlus
Aladinpensiero News online
———————————————————————————
PO FRANCO OLIVERIO
Canzoni a curba
Po tottu Casteddu – narant unu contu:
nara si ses prontu, – potzu incumentzai.
Si bollu contai – un bell’istoria
de un amigu caru – chi nos hat lassau,
oi forti in su coru – stugiaus sa memoria
de cussu cumpangiu – chi si nd’est andau;
chi nos hat lassau – tristis e affligìus
mannus e pippius – du prangeus ancora
oi che lompia s’ora – de d’arregodai
cica ‘e m’ascurtai – si du nau in seriu
chi Franco Oliveriu – fut ispeciàli.
Fut ispeciàli,- nci d’hant imbuccau
cun Padre Cravero – in sa Congregazioni
e a pagu a pagu – luegu hat imparau
tottus is precettus – de sa religioni.
Teneis arrexioni – non fut s’ambienti miu
ca giai de pippiu, – tenia un atru Deus
cun is amigus meus, – gioghendi in sa murialla
femus burumballa – femus allegronis.
Femus allegronis – issu prus assusu
nosu gent’e bottu – issus burghesia;
ma impariaus tottus – sa vid’ e Gesusu
is cumandamentus – e sa liturgia.
Che una litania – imparat sa dottrina
fut de menti fina – beni intentzionau,
d’hanti scioberau – po fai su prefettu
ma po pagu trettu – dis ha postu menti.
No dis hat postu menti – e s’est arrennegau
hat lassau is crais – po una vocatzioni
de cicai a Deus – hat iscioberau
in mes’a sa genti – de atra condizioni.
Ta bella letzioni – chi nos hat donau
ca s’est ispollau – de fai su signoriccu
poita s’arriccu – du narat su vangelu
de intrai in celu – no est meda seguru.
ma est prus seguru – chi unu camellu
in su stampu ‘e s’agu – possada passai.
Franco cuss’idea, – sempr’ a bell’ a bellu,
hat incumentzau – a si da pentzai.
E a da praticai – propriu a Sant’Elia
una periferia – de pobera genti
s’esti postu in menti – de porta’ agitoriu
cun s’ambulatoriu – e sa siringa in manu.
Sa siringa in manu – e su cor’ alluttu;
però sa faina – de cussu dottori
no est po is meixinas – chi hat portau fruttu
ma po sa mirada – prena de amori.
In mesu a su dolori – portau hat amistadi
coment’e una fradi – un’amigu fidau
prudent’e riservau – pero s’est postu in giogu,
accanta de su fogu – ma no s’est abbruxiau.
No s’est abbruxiau – eppuru nd’hat connottu
de dogna colori – de dogna zenia
ca in sa vida sua – ha bistu de tottu
in tottu Casteddu, – no feti a Sant’Elia.
Cun grandi maestria – in dogna momentu
s’hat donau letzioni – e bon’insegnamentu
e su testamentu – chi non hat lassau
bolit onorau – de dogna manera.
De dogna manera – funti giai bint’annus
ch’in tottu Casteddu – no s’attobiat prusu.
Immoi est prus in susu – in su giardin‘e is mannus:
si stari spassiendi – in celu cun Gesusu.
Artziau est prus a susu – e sighit a brullai,
nos si mandat a nai – ca issu su doveri
cun pena o cun praxeri – d’hadi giai cumpriu
est a chin’ancor’est biu – chi toccat a baddai.
(Gianni Loy)
Oggi venerdì 22 marzo 2024 / Evento per ricordare Franco Oliverio
————————————————————————————
Sardegna. Chiusa la prima fase, ora inizia la seconda
22 Marzo 2024
A.P. su Democraziaoggi
—————————————————————————-
Cattolici: Mario Girau e Lucia Baire ai vertici del MEIC
Congratulazioni e Auguri di buon lavoro a Mario e Lucia.Non possiamo nascondere la soddisfazione per le nomine, ma lasciateci esprimere un supplemento di plauso per Mario Girau, giornalista di lungo corso, ora direttore della Voce serafica della Sardegna, autore di numerose pubblicazioni, e tanto altro, per noi soprattutto nostro amico. Un cattolico impegnato, devoto e rispettoso della gerarchia ecclesiale e insieme autonomo e libero nel suo pensiero e nella sua attività culturale, politica, professionale.