Monthly Archives: febbraio 2024
Oggi lunedì 19 febbraio 2024
Regionali. Alcune riflessioni finali
19 Febbraio 2024
A.P. Su Democraziaoggi
Ormai siamo alle battute finali di una campagnia elettorale, che appariva compromessa da alcune scelte iniziali, ma che, tutto sommato, si è assestata in modo da consentire ancora un risultato aperto.
All’inizio la decisione di Soru di spaccare il centrosinistra sembrava aver dato a Truzzu la vittoria certa. Si pensava ad un risultato significativo di mister […]
Luca Attanasio, la sua scorta e tutte le vittime rimaste senza giustizia nel paese degli ignavi
19 Febbraio 2024
Rosamaria Maggio su Democraziaoggi
Avvicinandosi il terzo anniversario dell’assassinio dell’Ambasciatore Luca Attanasio, del Carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, non posso non rilevare che in questo paese di Patrioti si applicano due pesi e due misure.
La storia dell’ambasciatore straordinario e della sua scorta e che verrà ricordato su Ray Play sound dal 20 febbraio, torna spesso nei […]
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Quando si confondono i processi reali con i propri desideri
Tra i grandi sostenitori di Renato Soru vi è il suo ricuperato amico (in altre circostanze nemico) Paolo Maninchedda, il quale scrive molto di frequente, nel suo blog, in modo sferzante contro gli avversari dello stesso Soru. Nell’ultimo articolo di oggi, intitolato “Elezioni: inizia la settimana della pressa“ se la prende con tutta la stampa e televisioni locali colpevoli di aver ignorato il suo beniamino per dare spazio ai leader nazionali calati da Roma in appoggio delle coalizioni di csn e cdx. In particolare se la prende con l’Unione e con La Nuova. Ciò che mi interessa rilevare sono due passaggi semi occulti, nei quali lascia intendere che esistano sondaggi favorevoli a Soru e previsioni di una sua performance positiva. Ecco i due passaggi;
1) L’Unione segue i piazzisti italici con più prudenza, perché conosce i sondaggi;
2) [Soru] È la vittima designata, perché se continua a crescere, come sta crescendo, e magari vince …
Ma di quali sondaggi parla Maninchedda non è dato di sapere. La butta lì, aggiungendo un presunto dato di crescita dei consensi di Soru, “magari” fino ad ipotecare la vittoria.
Desiderata puri, senza riferimenti sostenibili.
Come ha osservato Vito Biolchini nel suo intervento odierno sul suo blog, emerge molto nervosismo da parte di Soru dei suoi supporter. Rivela un clima pesante nel quale sempre più emerge che comunque vada il piazzamento finale di Soru sarà al terzo posto. Sappiamo che secondo la pessima legge elettorale questo significa per lui un vero disastro. Tornando a Maninchedda, ho altre volte ricordato come di previsioni elettorali poco ha da vantare. Quando lui si presentò in solitaria nelle ultime elezioni regionali sosteneva che avrebbe preso almeno l‘8% facendo eleggere alcuni consiglieri. Prese invece il 3,35% rimanendo a bocca asciutta. Vorrei infine osservare come nel linguaggio di Maninchedda prevalga la supponenza che si esplica perfino nel dileggio nei confronti di Alessandra Todde, più di quanto faccia nei confronti di Truzzu. Questo non lo ammetto e mi autorizza a mandarlo al diavolo, brutto maleducato! Il cammino prosegue e il responso è vicino. Io ho buone ragioni di credere che Alessandra Todde ce la farà. Lo so, le mie “previsioni” sono frutto di ragionamenti e insieme di sentimenti che sgorgano dal cuore, avendo apprezzato in questa campagna elettorale le sue doti, proprio con una lettura opposta alla denigrazione dell’astioso Maninchedda.
Per la vittoria finale di Alessandra Todde ci sono tutte le condizioni
La massiccia partecipazione alle manifestazioni elettorali costituisce un segno positivo in relazione al voto, ma non è certo una garanzia. Nel nostro caso le manifestazioni di analoga numerosità si ripetono per le singole liste e per singoli candidati che fanno riferimento alla coalizione di centro sinistra. La riuscita delle diverse manifestazioni, unita alla cura delle relazioni personali e al sostegno al candidato presidente danno conforto verso un positivo esito elettorale. Senza dubbio la coalizione di centro sinistra si misurerà per la vittoria finale. Avanti dunque Alessandra Todde fino alla vittoria!
Nella foto la manifestazione elettorale in appoggio di Alessandra Todde organizzata dal Movimento 5 Stelle alla Fiera di Cagliari sabato 17 febbraio 2024.
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A rapidi passi verso il 25 febbraio
Conte e Todde a Cagliari, assemblea fresca ed entusiasmante
18 Febbraio 2024
A.P. Su Democraziaoggi
Bell’assemblea, fresca, entusiasta. Questo è stato l’incontro di ieri alla fiera col popolo cagliaritano di Conte e Todde. Partecipazione imponente, 1500 presenti, molti rimasti fuori dalla sala strapiena.
Niente parata di dirigenti. Aprono tre giovanti, una ragazza di Scienze politiche, e i due più giovani candidati, due studenti di diciotto anni, ancora frequentanti le superiori. Non […]
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Oggi domenica 18 febbraio 2024
Carbonia. Sanna Dario, 46 anni, e Vacca Attilio, 32 anni, muoiono a giugno nella miniera di Serbariu. Proseguono le visite dei tecnici americani alla Carbosarda, verso la chiusura dei cantieri. La guerra di Corea
18 Febbraio 2024
Gianna Lai su Democraziaoggi
Nuovo post sulla storia di Carbonia, come ogni domenica dal 1° settembre 2019.
Sanna Dario, 46 anni, e Vacca Attilio, 32 anni, muoiono a giugno nella miniera di Serbariu, per caduta di falso tetto e per distacco di roccia, solo pochi giorni dopo il Congresso di maggio, durante il quale non si era mancato di […]
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Si avvicina il 25 febbraio
Fa piacere che in questi giorni numerosi intellettuali di sinistra, senza appartenenze, abbiano espresso un’intenzione di voto per la coalizione di centro sinistra. Nessuno più di loro è in grado di fare mille distinguo e trovare argomentazioni per scelte diverse, compresa l’ipotesi dell’astensione. E invece in questa occasione la scelta è netta. Il voto va dato a una delle liste della coalizione di centro sinistra e alla candidata presidente Alessandra Todde. Colgo tutto ciò come un buon segno verso la vittoria!
Giulia Andreozzi: il mio voto
I miei voti per le regionali non sono un segreto, li sto urlando da settimane e continuerò a farlo per i prossimi 10 giorni.
Andranno a due amici di cui ho grandissima stima e che sono accomunati da una dote rara: sono due sognatori concreti, di quelli che quando hanno un’idea stanno già pensando a come realizzarla, con quali strumenti e in quanto tempo.
E’ facile sostenere due persone come Maria Laura Orrù e Marco Meloni e vi invito a farlo: il 25 febbraio scrivete anche voi il loro nome dopo aver barrato il simbolo della lista Alleanza Verdi Sinistra, a sostegno di Alessandra Todde candidata alla presidenza.
Tonino Dessì. Chi voto.
di Tonino Dessì. Sosterrò col mio voto, alle imminenti elezioni regionali, la coalizione “Sardegna è ora”.
È la coalizione che può, vincendo, conseguire il più urgente obiettivo “di salute pubblica”: quello di liberare il governo della Regione dalla destra sarda e italiana e dai suoi alleati.
Il centrodestra ha pessimamente governato la trascorsa legislatura regionale sotto la guida sardoleghista e non è proprio auspicabile che riprenda la gestione dell’istituzione autonomistica proponendosi stavolta sotto la guida di un esponente ultraconservatore di Fratelli d’Italia.
Considero che per tutte le componenti democratiche e popolari della società sarda e per tutti i sardi portatori di interessi economici, sociali, civili di vitale valore collettivo generale, una compagine di maggioranza e di governo progressista possa costituire un interlocutore istituzionale e politico assai più permeabile, aperto e sensibile di quanto abbia dimostrato di essere questa destra, che ha invece rappresentato e rappresenta poteri oligarchici, corporativi, lobbistici e affaristici, interni ed esterni all’Isola.
Oggi 17 febbraio 2024
Regionali. Una settimana decisiva
17 Febbraio 2024
A. P. Su Democraziaoggi
Questa, compagni/e ed amici/e, lo dico senza enfasi ma con convinzione, è un tempo breve e decisivo per la nostra Sardegna. Domenica si vota per il Presidente e il Consiglio regionale in una situazione di grave crisi economica, culturale e morale con implicazioni politiche non solo locali ma nazionali. Una vittoria della destra confermerebbe e […]
Comune e Regione, un referendum sull’Autonomia
17 Febbraio 2024
Massimo Villone su Democraziaoggi
L’articolo è riferito al caso di Napoli, da cui prende spunto, ma contiene indicazioni utili per tutti.
Sia lo Statuto comunale che quello regionale prevedono forme di consultazione popolare. Iniziative a Napoli e in Campania potrebbero avere un effetto di trascinamento su altre regioni e città.
E’ in agenda il 21 febbraio nel Consiglio comunale […]
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Navalny e gli altri
17 Febbraio 2024
A.P. Su Democraziaoggi
Poco importa come sia morto Navalny. Certo è che la reclusione in un luogo invivibile non ha giovato alla sua salute e ha accelerato il decesso. Nessun democratico può non provare orrore. La persona – come dice la nostra Costituzione – è inviolabile sempre e tanto più quando è custodita dallo Stato. Per questo ci […]
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Regionali, restano in campo due schieramenti Truzzu-Soru vs. Todde
Regionali, in campo due schieramenti Truzzu-Soru vs. Todde
16 Febbraio 2024
A.P. Su Democraziaoggi
Se si bada agli schieramenti regionali senza fantasie, analizzando, senza infingimenti, le dinamiche obiettive dall’inizio, si deve ammettere che si sono formati non tŕe, ma due schieramenti.
Considerando la Chessa una provocazione positiva certo, ma pur sempre solo uno stimolo senza chances vincenti, rimangono in campo Todde e Truzzu con funzione servente di Soru. Questa posizione di mister Tiscali risulta confermata dalle adesioni alla sua lista di Calenda e Renzi, alleanze assorbenti che mettono in ombra e rendono irrilevante il sostegno di Rifondazione e Liberu. Non è un caso che queste sigle siano scomparse dai radars e nessuno le ritenga decisive. Non si capisce ormai neppure la loro presenza in uno schieramento con Azione e IV. Quindi Soru con questa virata si configura come forza di centro sia a livello locale che nazionale, dove peraltro non conta nulla.
Proiettando questa dinamica obiettiva e incontestabile sul piano suo proprio, quello sardo, Soru diviente l’alleato più prezioso di Truzzu; poco o molto che raccolga, dà alla destra e al modesto e inadeguato Truzzu la vittoria o ne accresce enormememte la probabilità. Questo punto è così manifesto da essere incontestabile. Certo i soriani, nelle loro ingenue fantasie, pensano a scenari diversi, esaltanti, sognano un trascinante successo del loro capo, ma in politica non funziona cosi, non contano le fantasticherie, pesano i precedenti e i movimenti dell’elettorato. E qui, poche chiacchiere, Soru è già stato sanzionato dai sardi nel 2009 quando lo hanno disarcionato, preferendogli il modesto Cappellacci. Quanto alle dinamiche elettorali Soru spacca in due lo schieramento di centrosinistra, privandolo di voti preziosi, indispensabili a prevalere e condannando se stesso ad una assoluta impossibilità reale di successo. Una funzione servente nei riguardi della destra. Un disastro, un harakiri, frutto di egocentrismo dispettoso e masochista. A questo punto, poche balle, obiettivamente, ogni voto a Soru è direttamente un voto a Truzzu.
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Il commento del direttore
Condivido totalmente l’analisi di Andrea Pubusa e le conclusioni: ogni voto dato a Soru è direttamente dato a Truzzu. Testimonio come i suoi fan nei loro interventi su fb sembrano consapevoli del cul de sac in cui si è cacciato il loro leader inesorabilmente destinato a piazzarsi al terzo posto. E ben sapendo che sorte diversa è prevista esclusivamente per le prime due coalizioni si lanciano a prevedere che Soru vincerà le elezioni. Cosa possibile solo se si avverasse un miracolo. Alquanto difficile in politica. A questo punto lo strumento principe per incrementare i voti e’ visto nel voto disgiunto: votate chi volete delle liste, ma votate Soru come candidato presidente! Una follia: se voto disgiunto sarà praticato nell’ambito di questa coalizione sarà da parte dei candidati delle relative liste, che proporranno a tutti gli elettori: votateci nelle liste e per quanto riguarda il presidente fate quello che volete! Tanto, posso supporre aggiungano: il voto a Soru è ininfluente. A meno che non si creda ai miracoli come già detto.
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Oggi venerdì 16 febbraio 2024
Regionali, in campo due schieramenti Truzzu-Soru vs. Todde
16 Febbraio 2024
A.P. su Democraziaoggi
Se si bada agli schieramenti regionali senza fantasie, analizzando, senza infingimenti, le dinamiche obiettive dall’inizio, si deve ammettere che si sono formati non tŕe, ma due schieramenti.
Considerando la Chessa una provocazione positiva certo, ma pur sempre solo uno stimolo senza chances vincenti, rimangono in campo Todde e Truzzu con funzione servente di Soru. Questa posizione […]
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Voto d’opinione
Quale candidato presidente se ne avvantaggerà in maggior misura?
- Renato Soru tra il voto di tanti che lo conoscono e il rifiuto di tanti che lo conoscono;
- Paolo Truzzu, idem
- Alessandra Todde, sarà premiata dall’essere la vera novità?
- Lucia Chessa, sarà premiata e scelta da un elettorato che ama le testimonianze piuttosto che i risultati
Oggi Giovedi 15 febbraio 2024
GOVERNO E POTERE: CORTE DEI CONTI E ABUSO D’UFFICIO
15 Febbraio 2024
Franco Astengo su Democraziaoggi
1) “La proroga dello scudo erariale non solo non è necessaria ma rischia di disincentivare gli amministratori virtuosi”.
Così all’apertura dell’anno giudiziario il presidente della Corte dei Conti Guido Carlino ha ribadito la contrarietà della Corte verso l’intenzione del Governo che, attraverso il milleproroghe, intende prolungare il salvacondotto al giugno 2025 o al 2026 (scadenza […]
A Gaza la guerra ha cambiato natura divenendo un genocidio
INTERVENTO ALLA BIBLIOTECA DEL SENATO
6 febbraio 2024
Raniero La Valle
Giusta è la vostra proposta che ci ha qui riunito, e tutte vere le cose che sono state dette fin qui, però io credo che noi dobbiamo alzare il livello di coscienza riguardo alla tragedia in atto. Che cosa aspettiamo a prendere atto della catastrofe di cui siamo nello stesso tempo responsabili e autori? Noi non stiamo parlando infatti della guerra di Gaza, come meritoriamente ci avete invitato a fare. La guerra di Gaza è di fatto una radiografia della situazione mondiale, una radiografia fatta con mezzo di contrasto e ad alta definizione. È una confessione sullo stato del mondo. Non è un pezzo di una guerra mondiale a pezzi, come ormai da tempo la chiama papa Francesco, ma è l’anticipazione di una guerra globale ripristinata e sponsorizzata come sostenibile anche “in questa età che si gloria della potenza atomica” (Pacem in terris), un’età dunque nella quale la guerra è stata pienamente recuperata e posta come fonte e culmine della politica
La valutazione che ci avete chiamato a fare della tragedia in corso a Gaza consta di due fattori. Il primo è l’interpretazione di ciò che sta avvenendo, il secondo è l’indicazione delle soluzioni possibili. La soluzione che qui viene proposta è quella di affidare a un mandato dell’ONU la gestione della cosiddetta Striscia di Gaza dopo la fine della guerra, sottraendo questo territorio e la sua popolazione al controllo di Israele. È una soluzione di per sé plausibile, ma è di fatto oggi impossibile per l’avversione che Israele ha concepito verso l’Onu accusata di aver mancato di solidarietà con Israele dopo gli attentati del 7 ottobre, e perché Netanyahu vuole il risultato opposto, il controllo di Gaza per portare a termine l’impresa e farla finita con la questione palestinese.
Più in generale si può dire che questa soluzione è oggi impossibile perché si basa su un errore nella comprensione degli eventi. La questione principale è come debba interpretarsi e definirsi lo scontro militare senza esclusione di colpi che è in corso a Gaza. Questa interpretazione e tanto più necessaria perché come abbiamo detto gli eventi di Gaza non si presentano come una delle tante crisi oggi aperte nel mondo ma rappresentano il punto di caduta, l’evento rivelatore e il codice interpretativo del sistema di guerra in cui si compendia oggi l’intera situazione internazionale.
L’evento di Gaza non è una guerra – la guerra stessa si offenderebbe se quella di Gaza fosse chiamata così – ma è un genocidio. A Gaza la guerra ha cambiato natura divenendo un genocidio. Ancora più esatto è dire che oggi ogni guerra è un genocidio. Come tale la guerra non è più un evento regolato da uno ius in bello in cui si possono commettere dei crimini di guerra, ma è essa stessa un crimine di diritto pubblico, un crimen organizzato compiuto con armi pubbliche invece che con armi private. È come se avessimo perduto la lezione non solo della Shoà, ma di tutta la seconda guerra mondiale con i suoi 60 o 70 milioni di morti. Se a Gaza su una popolazione di 2 milioni e duecentomila abitanti siamo arrivati a decine di migliaia di morti e feriti e un’intera compagine etnica estirpata e distrutta, che cosa sarà mai quando si giungerà a colpire l’obiettivo finale, come il Corriere della Sera chiama il nemico ucciso, rappresentato da un miliardo e 400 milioni di cinesi?
Questo mutato scenario dipende dalla nuova concezione della guerra che è stata adottata a partire dalle scelte strategiche sulla sicurezza compiute degli Stati Uniti dopo gli attentati alle Torri gemelle dell’undici settembre 2001. Quello fu un errore che. come ha detto lo stesso Biden, mai più si dovrà ripetere, e invece oggi ci siamo. Il documento della Casa Bianca sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti del settembre 2002 impostava tutta la concezione della vita internazionale e la tutela della sicurezza degli Stati Uniti sulla lotta al terrorismo che avrebbe dovuto procurare al mondo la realizzazione di una società pacifica a guida americana improntata alla democrazia alla libera impresa e al libero scambio. In questo passaggio veniva teorizzata la nuova concezione della guerra secondo la quale non era più sufficiente la dissuasione dall’aggressione affidata alla potenza militare pronta all’uso e fornita di armi di distruzione di massa: no, non bastava più questo perché questo, anche se ci aveva salvato con l’equilibrio del terrore per tutto il Novecento, non poteva salvarci più, una tale strategia veniva considerata ormai insufficiente a garantire la sicurezza. Essa poteva andare bene durante la guerra fredda quando “la deterrenza era una difesa effettiva” mentre oggi, si affermava, una “deterrenza basata solo sull’ attesa di una risposta non funzionerebbe”. Pertanto veniva adottata la dottrina della prevenzione basata sul fatto che “la migliore difesa e l’offesa”, che “non si poteva permettere agli avversari di sparare per primi” e che tale difesa preventiva per quanto esercitata con prudenza non poteva essere condizionata da limiti di luoghi e di circostanze. Sappiamo dalla storia, diceva la Casa Bianca, che i deterrenti possono fallire e sappiamo dall’esperienza che contro certi nemici non esistono deterrenti. Gli Stati Uniti possono e vogliono mantenere la capacità di sconfiggere ogni tentativo fatto da un nemico, sia uno Stato che un non Stato, di imporre la propria volontà agli Stati Uniti, ai nostri alleati, o ai nostri amici. “Le nostre forze saranno abbastanza forti da dissuadere gli avversari potenziali dal perseguire una campagna militare nella speranza di superare o eguagliare il potere degli Stati Uniti. Quanto maggiore è la minaccia tanto maggiore è il rischio di mancanza di capacità di reazione e più impellente la necessità di intraprendere un’azione anticipatoria in difesa di noi stessi, persino nell’incertezza del luogo e dell’ora dell’attacco da parte dei nemici”.
Così nel settembre 2002. Dopo qualche anno la dottrina totalizzante della lotta al terrorismo veniva considerata superata e veniva sostituita dalla visione del rapporto internazionale come di una competizione strategica la cui posta in gioco è il predominio di una grande Potenza su tutti gli altri. La competizione consisteva appunto nella lotta per vedere chi dovesse essere questo unico soggetto, questo sovrano universale che dovesse imporsi su tutti. “La competizione strategica fra Stati, non il terrorismo, è ora la prima preoccupazione per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, diceva il documento sulla sicurezza nazionale firmato dal segretario alla difesa di Trump, Jim Mattis, nel 2018. Andate a vedere su Internet, c’è scritto tutto, l’Intelligenza artificiale lo sa benissimo, siamo noi che non lo sappiamo. Tale documento varato nel corso del 2018 dalla Presidenza Trump presentava la Cina come l’antagonista finale degli Stati Uniti avendo essa come obiettivo di medio termine quello di diventare la potenza egemone dello scacchiere Indo Pacifico e nel lungo termine scalzare gli Stati Uniti dal ruolo di prima potenza mondiale. Questa impostazione è ribadita nei documenti del 12 ottobre 2022 firmati da Biden e Loyd Austin, che ne prevedono la realizzazione entro il decennio o al massimo entro i due prossimi decenni.
Ebbene, la strage in corso a Gaza dimostra che con tale impostazione ogni guerra diventa un genocidio. Se infatti nella discrezionale percezione della minaccia l’imperativo nazionale della sicurezza nazionale è quello della prevenzione, la certezza del raggiungimento dell’obiettivo sta solo nella distruzione o comunque nella riduzione all’impotenza, nella riduzione a niente dell’avversario. Nella guerra della Russia contro l’Ucraina, intentata come azione preventiva per fronteggiare la minaccia della NATO, questo esito non si era ancora reso evidente grazie all’uso controllato della forza da parte della Russia, non dimentica dell’ecatombe della seconda guerra mondiale, mentre si è pienamente manifestato a Gaza dove la estirpazione della popolazione palestinese è stata esplicitamente assunta come obiettivo della guerra, e la prevenzione è giunta fino alle operazioni contro gli ospedali e all’uccisione dei bambini nelle incubatrici e nel ventre delle madri. Se la migliore difesa sta nell’abolizione violenta del nemico, il suo adempimento è inevitabilmente il genocidio. Perciò le guerre di cui una volta si pensava che dovessero essere concluse con una vittoria, non possono più essere concluse se non col genocidio di uno dei due contendenti, o di tutti e due. Questo vuol dire che i mezzi tradizionali per porre termine alle guerre e per evitarne di nuove non funzionano più e che anche le tregue o le garanzie giuridiche offerte da terzi non bastano.
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ORMAI C’È UNA SOLA USCITA dal sistema di guerra, è la riconciliazione. Questa è la vera risposta all’erompere della crisi di Gaza: la riconciliazione tra ebrei e palestinesi, non solo tra palestinesi ed israeliani ma anche di palestinesi ed arabi con i fratelli semiti del popolo ebreo della diaspora. Come si fa? Non lo so. Non con le armi, ma ormai nemmeno solo col diritto. C’è una grandezza e miseria del diritto, come diceva la tesi di laurea di Giuseppe Dossetti, grandezza e miseria che in questa occasione sono più che mai manifeste. Ci vuole la pace, ma non una pace assoluta come sono accusati di volere i pacifisti, ci vuole una pace anche imperfetta, relativa, non una giusta pace, ma ci vuole una ingiusta pace. Perché è chiaro che oggi una pace fatta in queste condizioni sarebbe una pace ingiusta per i palestinesi, ma anche per i coloni, che ce l’hanno messa tutta per fare i loro kibbutz e i loro insediamenti, sarebbe una pace ingiusta perché ancora non in condizioni di costituire i due Stati per i due popoli, sarebbe ingiusta perché ancora non in condizione di garantire contro ogni rischio possibile la sicurezza dello Stato di Israele, perché non sarebbe in grado di garantire contro il dr. Stranamore di turno l’astensione dall’uso dell’atomica, la pace nel mondo. Eppure questa pace ingiusta è l’unica che oggi può salvarci, come ci ha salvato durante la guerra fredda, che ora è diventata calda. Una riconciliazione tra palestinesi e israeliani che renda possibile la loro convivenza in un’unica terra non è oggi una iperbole umanitaria nè una opzione del buon cuore ma è una soluzione politica, l’unica soluzione politica che finalmente dopo una notte durata più di settant’anni possa porre termine alla tragedia palestinese e anche nostra.
Perché questa soluzione politica possa prodursi bisogna fare appello non solo al diritto, alla politica, ma anche all’etica, alle religioni, alle fedi. Gli incontri tra ebraismo islam e cristianesimo possono offrire una prospettiva di conversione dalle teologie di guerra alle tradizioni di misericordia e di pace. Perché non PENSARE A UN INCONTRO DELLE TRE RELIGIONI SULLA COLLINA di Sion, uno spazio extra territoriale incluso nello Stato israelo-palestinese con capitale Gerusalemme?
“Non c’è nulla che vada oltre le nostre capacità. Possiamo farcela, per il nostro futuro e per il mondo”, hanno scritto, nero su bianco, gli americani a conclusione della loro ultima strategia, 12 ottobre 2022, firmato Joe Biden. Se ce la possono fare loro, ce la possiamo fare tutti.
Ditelo al papa, ditelo a Netanyahu, ditelo a Putin, ditelo alle persone serie, fosse anche il folle di Nietzsche che va gridando Dio è morto.
E non so quale documento consegnarvi alla fine, a quali parole, del presente o del passato, si possa fare appello. Mi è venuto in mente il primo canto della letteratura italiana, il suo autore è Francesco d’Assisi che l’ha composto nel 1226. … “Laudato sii, o mio Signore, per tutte le creature… “ con la preghiera che lo ha accompagnato : “fa di me uno strumento della tua pace: dove è odio, fa ch’io porti amore, dove è offesa, ch’io porti il perdono, dove è la disperazione, ch’io porti la speranza… “
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Newsletter n.329 del 16 febbraio 2024
IL GENOCIDIO E I SUOI CONTI
Cari Amici,
mercoledì 14 febbraio nella nuova sede della Federazione della Stampa in via delle Botteghe Oscure a Roma, Raniero La Valle e Michele Santoro hanno presentato in una conferenza stampa il nuovo soggetto politico “Pace Terra Dignità” e detto del suo disperato grido all’Europa in vista delle prossime elezioni europee, alle quali esso intende partecipare. Questo soggetto politico, nato da un appello firmato da La Valle e Santoro nel settembre scorso per “dare una rappresentanza a tre soggetti ideali che ancora non l’hanno o l’hanno perduta, a tre beni comuni: la PACE, la TERRA e la DIGNITÀ”, vede ufficialmente la luce nel momento in cui nell’ecatombe di Gaza la guerra, quale è stata finora pensata e istituzionalizzata a cominciare dall’Occidente, è giunta al punto di caduta finale oltre il quale c’è solo o il rovesciamento delle politiche in atto o la catastrofe. Il link alla registrazione della conferenza stampa e all’esposizione di Michele Santoro è questo: mentre il testo della introduzione ai giornalisti di Raniero La Valle è pubblicato in questo sito.
Una parola chiarificatrice si deve dire sull’uso del termine genocidio che è diventato motivo di scandalo nella politica italiana e nelle prese di posizione di Israele, quando la vera questione non è quella di regolare l’uso di questa parola, ma di porre termine al crimine che essa significa, come ha chiesto avanzandone la massima urgenza la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja. Le migliaia di morti, i milioni di persone braccate, in fuga e ammassate nell’ultimo lembo della striscia di Gaza e gli stessi ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas sono indifferenti al modo in cui viene chiamato il loro olocausto, ne sono vittime e basta. Tanto più che nella insensata diatriba sul nome da dare alla carneficina di Gaza e allo scempio del 7 ottobre che l’ha provocata, dopo “56 anni di soffocante occupazione”, come aveva ricordato il segretario generale dell’ONU Guterres, si è giunti a sostenere che il criterio in base al quale decidere se si deve parlare di genocidio o no sarebbe la “proporzione” tra l’entità dell’offesa e l’entità della rappresaglia o vendetta. Da un certo momento in poi perfino Biden, Macron e Tajani hanno cominciato a dire che non c’è proporzione tra il terrorismo del 7 ottobre e il terrore delle 19 settimane che vi hanno fatto seguito fin qui, anche se non è stato precisato a quale punto di questa singolare contabilità di costi e ricavi si doveva fissare l’asticella: giusta la proporzione tra le 1400 vittime tra uccisi ed ostaggi del 7 ottobre e i due milioni e duecentomila persone dell’intera popolazione di Gaza perseguita come colpevole, 1500 per uno? Giusto il prezzo di 28.000 morti palestinesi in cambio dei 105 ostaggi rilasciati grazie al primo negoziato, 267 palestinesi morti per ogni israeliano vivo? Appropriato radere al suolo un gran pezzo di Rafah e almeno 70 morti accertati in cambio della liberazione di due ostaggi? E ha ragione Netaniahu quando dice che non si fermerà finché non avrà finito il lavoro e liberato i 103 ostaggi residui, uno per uno, contro il milione di persone che ha fatto concentrate e fatto bersaglio a Rafah, rendendole per ciò stesso ultimi “scudi umani” di Hamas? Anche il cardinale Parolin ha definito “certamente non proporzionato, con 30 mila morti, il diritto alla difesa invocato da Israele per giustificare questa operazione”, e l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede ha bollato come “deplorevole” questa dichiarazione; ma lui stesso ne ha fatto una questione di proporzione, rivendicando come giusta la percentuale delle vittime di Gaza, che sarebbe di “tre civili per ogni militante di Hamas ucciso”, quando “nelle guerre e nelle operazioni passate delle forze Nato o delle forze occidentali in Siria, Iraq o Afghanistan, la proporzione era di 9 o 10 civili per ogni terrorista”, perciò di tre volte superiore “alla percentuale dell’esercito di Israele”.
Quando si arriva a questa contabilità, vuol dire che l’anima del mondo è perduta, e se ingrandiamo il campo della crisi, fino a comprendervi e a vedervi le altre guerre e l’intera crisi mondiale, scopriamo che l’intera realtà umana e fisica del mondo, e la sua stessa dignità è oggi al punto da poter essere perduta. E giustamente l’”Osservatore Romano” ha replicato che “nessuno può definire quanto sta accadendo nella Striscia un ‘danno collaterale’ della lotta al terrorismo. Il diritto alla difesa, il diritto di Israele di assicurare alla giustizia i responsabili del massacro di ottobre, non può giustificare questa carneficina”.
Si può tornare così all’uso della parola “genocidio”. È una parola nuova che non esisteva anche se popoli interi erano stati sterminati, dagli Indiani d’America agli Armeni in Turchia. Essa è stata coniata dal giurista ebreo polacco Raphael Lemkin, prima ancora che venisse a definire l’olocausto del popolo ebreo, ciò per cui fu adottata nella Convenzione dell’ONU per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio, perché questo non avesse a ripetersi mai più nella forma di “distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale”. Genocidio è perciò una parola comune, mentre Shoà è la parola di specie che definisce quello perpetrato contro gli Ebrei. Esso è stato tale da essere considerato non paragonabile con qualunque altro, e per gli Ebrei stessi è diventata una parola sacra che non può riferirsi ad altro che al loro olocausto. Questa è la ragione per cui si può capire la ferita profonda che questa parola apre nella coscienza del mondo, e il rischio che sia confusa con l’antisemitismo, anche se purtroppo essa è atta a nominare altre realtà. Ma è anche la ragione per cui, per amore degli Ebrei e della fraterna amicizia che si desidera mantenere con loro, si può benissimo fare a meno di usarla, non per questo chiudendo gli occhi su altre tragedie. Ma per la stessa avvedutezza occorrerebbe che lo Stato di Israele non fornisse un’autorappresentazione di sé, avanzata come espressione autentica dell’intero Israele, che facesse apparire un popolo vittima di un genocidio come legittimato a infliggerlo ad altri.
Nel sito pubblichiamo un articolo di “Avvenire” che riferisce della controversia tra la Santa Sede e l’ambasciatore israeliano e un articolo tratto dal sito “Gariwo” su Lemkin e il neologismo “genocidio”.
Con i più cordiali saluti,
Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri