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Israele può cambiare: Un nuovo Israele è possibile?

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La proposta di Primo Levi
DISTINGUERE LO STATO DI ISRAELE DALLA DIASPORA EBRAICA
21 DICEMBRE 2023 / EDITORE / DICE LA STORIA /
Lo Stato d’Israele può cambiare la sua natura e diventare uno Stato democratico costituzionale e di più popoli (compresi i palestinesi), le cui tradizioni culturali e religiose siano salvaguardate senza essere ridotte ad affare privato come negli Stati atei dell’Occidente

Raniero La Valle su Costituente Terra e su Chiesadituttichiesadeipoveri.

Pubblichiamo l’intervento di Raniero La Valle al meeting romano “Non è una striscia. È Gaza” del 9 dicembre 2023.

Mi avete posto la domanda se Israele può cambiare: Un nuovo Israele è possibile? Prima di tutto vediamo perché è necessario.

Ciò che è oggi lo Stato di Israele è sancito dalla Legge fondamentale approvata dalla Knesset giovedì 19 luglio 2018, dalla quale lo Stato di Israele era definito come lo “Stato nazione del Popolo Ebraico”. Essa però impegna lo Stato come istituzione, non il popolo d’Israele come tale, tanto è vero che fu approvata da una ristrettissima maggioranza di 62 voti favorevoli e 55 contrari, con la contrarietà dell’allora presidente di Israele Reuven Rivlin, che in una lettera ai parlamentari aveva espresso il timore che essa potesse “recare danno al popolo ebraico, agli Ebrei nel mondo e allo Stato di Israele”, e con la contrarietà di una ampia corrente di ebrei secondo la fede.

Perché è necessario il cambiamento? Perché con questa identità dello Stato che esso viva in pace è impossibile, e il genocidio è inevitabile. La terra come diritto naturale, storico e religioso, quindi assoluto, non si può discutere nemmeno per una sua piccola parte, compresa Gaza e la Cisgiordania: i rabbini della corrente ortodossa si opposero al ritiro da Gaza deciso da Sharon e lo accusarono di essere un nazista. Gerusalemme è definita, senza alcun compromesso possibile, come una città indivisibile e capitale eterna di Israele. Il popolo ebreo esercita un diritto originario all’autodeterminazione, cioè alla sovranità e ai diritti politici, ed è l’unico a cui è riservato tale diritto all’autodeterminazione. Lo Stato di Israele estende la sua competenza anche agli Ebrei della diaspora, quando fossero in pericolo, in quanto ebrei, indipendentemente dalla loro cittadinanza.

Dunque per i palestinesi non c’è posto se non in quanto privati dei diritti e soggiogati, e siccome questo non è definitivamente possibile, devono essere espulsi o indotti o costretti ad andarsene. La guerra di Gaza è un momento della realizzazione politica, cioè effettiva, di questo modello giuridico.

Per questa ragione Liliana Segre ha espresso il suo disagio dicendo:

“L’eterno ritorno della guerra mi fa sentire prigioniera di una trappola mentale senza uscita, spettatrice impotente, in pena per Israele ma anche per tutti i palestinesi innocenti, entrambi intrappolati nella catena delle violenze e dei rancori”. “E non ho soluzioni. E non ho più parole. Ho solo pensieri tristi. Provo angoscia per gli ostaggi e per le loro famiglie – sottolinea – Provo pietà per tutti i bambini, che sono sacri senza distinzione di nazionalità o di fede, che soffrono e muoiono. Che pagano perché altri non hanno saputo trovare le vie della pace”.

Questo è perché è necessario.

Il secondo punto è se è possibile. Io credo di sì, ma non se si propone un cambiamento impossibile. Il cambiamento impossibile è quello proposto dalla cultura avanzata e laica dei palestinesi. Parlo dei palestinesi che si rifanno alla tradizione di Arafat e dell’OLP, e non della cultura di Hamas e degli estremisti islamici. Questa proposta è quella di uno Stato laico, democratico e pluralista in Palestina.

Questo è anche l’unico modello proposto dall’Occidente. Dato che ormai è stato reso impossibile dall’esercito, dai coloni e dal governo la soluzione dei due Stati; è rimasta solo l’opzione di un solo Stato democratico, non etnico, non confessionale, non mitico. Questa è la soluzione che corrisponde all’attuale cultura dell’Occidente, laica secolare post-teista, Di fatto, anche se non di nome, la concezione dello Stato in Occidente è una concezione atea, tanto che Berlinguer dovette differenziarne il PCI dicendo che esso era non teista, non ateista, non antiteista. Se non lo era il PCI tanto meno lo può essere Israele. Chiedere a Israele di non essere più uno Stato la cui ragione di essere è la fede religiosa dell’ebraismo, cioè il riferimento alla legge, alla Torah, e ai profeti, e che non sia più la patria d’elezione, sicura e riconosciuta, di tutti gli Ebrei che vi si vogliano insediare e vivere significa, questo sì, negare l’esistenza dello Stato d’Israele e buttare a mare tutte le decisioni dell’ONU a favore di Israele e tutta la storia di questi 75 anni.

Quindi la soluzione è la più difficile. Deve cambiare la concezione e la natura dello Stato, che non deve essere né lo Stato moloch né lo Stato leviatano che sta nell’ideologia bellicista e sovranista dell’Occidente, ma uno Stato in cui coesistano diversi ordinamenti giuridici che permettano e garantiscano a ognuno dei popoli che lo abitano di mantenere la propria cultura, le proprie tradizioni e la propria religione. Questo Stato non esiste in natura, e non esiste finché noi ci comportiamo come i nipotini di Thomas Hobbes e di Friedrich Nietzsche, ma che in qualche modo fu intuito dai Costituenti italiani che fecero la battaglia per una Costituzione laica e democratica, ma che includesse gli art. 7, 8 e 9 della Costituzione repubblicana (cioè convivenza Stato-Chiesa, religioni libere ma non affare privato, tutela del patrimonio storico della nazione in funzione delle generazioni future, dunque uno Stato in cui le religioni, le culture e la vita delle generazioni culture erano riconosciute non come fatti privati, ma come realtà e patrimoni pubblici e plurali.

Realizzare questo progetto di Stato è difficilissimo, e tanto più lo è oggi nelle condizioni attuali dell’ideologia politica e del patriarcato militarista e violento dello Stato di Israele, ma questo è possibile, come è stata possibile l’uscita dal regime di cristianità.

Tuttavia questo sicuramento non è possibile oggi, ma potrà esserlo attraverso un lungo e per noi imprevedibile percorso. Certo non basta, come tutti dicono, far fuori Netanhyau.

Iinvece c’è un altro cambiamento possibile e necessario oggi. È quello reclamato da Primo Levi nella intervista a Gad Lerner del 1984, ed è una distinzione, se non una presa di distanza, tra la Diaspora degli Ebrei sparsi nel mondo e lo Stato di Israele, e per noi la distinzione tra lo Stato di Israele e il popolo ebreo della diaspora, a cominciare dagli Ebrei di Roma e d’Italia. Il centro di irradizione dell’ebraismo, dice Primo Levi, non può essere oggi lo Stato di Israele, a cui noi ebrei della diaspora dobbiamo ricordare la tradizione ebraica di tolleranza. Diceva Levi che questo passaggio del baricentro dell’ebraismo dallo Stato di Israele agli ebrei della diaspora, riguardava l’attuale – e sottolineava l’attuale – Israele, cioè l’Israele di allora, figuriamoci che cosa si debba dire dello Stato di Israele di oggi. Solo se si riesce a separare il popolo ebreo dalla macelleria israeliana di Gaza e della Cisgiordania è possibile resistere all’antisemitismo risorgente, e per dirla in modo ancora più angosciato, solo se si distingue lo Stato apocalittico di Israele dal resto dell’ebraismo, si può salvare il popolo ebreo.

Ma in ogni caso proporre e promuovere questa soluzione che salva insieme il popolo d’Israele e il popolo palestinese, è il nostro compito politico, ed anche per questo vogliamo un soggetto politico che lotti per la pace, la Terra di tutti, e la dignità di tutte le persone ed i popoli.
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LA BUONA NOTIZIA: MILIONI DI EBREI SI OPPONGONO AL GENOCIDIO A GAZA
21 DICEMBRE 2023 / COSTITUENTE TERRA / L’UNITÀ UMANA /
L’abuso dell’Olocausto per giustificare le politiche dello Stato di Israele. La falsa tesi della debolezza delle vittime

Sig Giordano

La storia dei miei nonni sopravvissuti all’Olocausto mi ha insegnato cos’è un genocidio, ed è così che posso condannare ciò che Israele sta facendo a Gaza in questo momento. Come osa Israele sfruttare la sofferenza della mia famiglia per cercare di giustificare il suo genocidio a Gaza?
Se i miei nonni fossero ancora vivi, in questo ottobre si sarebbe celebrato l’ottantesimo anniversario del loro incontro. Nel 1943 i miei nonni, Isidor e Marianne, si incontrarono a Theresienstadt, un campo di concentramento nella Cecoslovacchia occupata dai nazisti. Ero molto legato a mio nonno Isi, che sopravvisse alla nonna. Tra le sue cose mi affidò la stella “ebraica” di stoffa gialla con sopra la parola “Jude” che gli avevano fatto indossare nel campo.
Durante un incontro alle Nazioni Unite (ONU) il 31 ottobre, Gilad Erdan, ambasciatore israeliano all’ONU, ha indossato una stella ebraica simile a quella di mio nonno. Rivolgendosi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha dichiarato che indossava la stella per denunciare il silenzio del Consiglio riguardo all’attacco del 7 ottobre contro Israele. Erdan ha paragonato questo silenzio al silenzio che permise che si verificasse l’Olocausto. In risposta Dani Dayan, il direttore dello Yad Vashem, il museo israeliano memoriale dell’Olocausto, ha subito denunciato quell’uso improprio della stella, sostenendo che Erdan stava “disonorando le vittime dell’Olocausto, così come lo Stato di Israele”.
Dayan aveva assolutamente ragione nel richiamare l’attenzione su quanto fosse offensivo che Erdan indossasse la stella gialla. Le ragioni di Dayan, tuttavia, sono completamente sbagliate. Per sostenere il suo argomento, Dayan ha sostenuto che la stella gialla simboleggia la debolezza del popolo ebraico durante l’Olocausto, ribadendo una narrazione storica inquietante e falsa.
I sionisti hanno a lungo cercato di raffigurare le vittime dell’Olocausto come deboli per sostenere la fondazione e poi il mantenimento dello Stato di Israele. Questa mossa iniziò anche prima dell’Olocausto, quando alcuni sionisti si allinearono con la scienza razziale eugenetica dell’epoca sostenendo che gli ebrei dovevano purificare la propria razza e creare una propria razza forte. Arthur Ruppin, eminente scienziato sociale e capo dell’ufficio palestinese dell’Organizzazione sionista mondiale all’inizio del XX secolo, promosse l’insediamento in Palestina come risposta ai pericolosi risultati della “mescolanza razziale” degli ebrei europei. Non era il solo, poiché molti intellettuali ebrei sostenevano che la formazione dello Stato sionista avrebbe consentito agli ebrei di “rigenerare i propri corpi” degenerati nelle condizioni di assimilazione nell’Europa occidentale e di oppressione in quella orientale.
Una volta fondato Israele, le vittime dell’Olocausto furono regolarmente trattate come deboli e come esempi all’opposto di ciò che rappresentava lo Stato sionista, il che portò al pessimo trattamento per i sopravvissuti che divennero cittadini israeliani. Come Dayan stesso ha ribadito, l’Olocausto rappresenterebbe un monito sul contrapporre la debolezza degli ebrei nella diaspora alla forza degli ebrei nello Stato di Israele.
Nonostante la distanza delle loro opinioni, leader israeliani come Erdan e Dayan fanno regolarmente uso dell’Olocausto per difendere la violenza di Stato contro i palestinesi. A differenza di Erdan e Dayan, conoscere il genocidio contro i miei antenati mi ha permesso di capire che ciò che sta accadendo oggi in Palestina è un genocidio. Sapere che si sta perpetrando un genocidio è doloroso di per sé. Sapere che un genocidio viene compiuto presumibilmente a mio nome (in quanto ebreo) è estremamente doloroso. Ma sapere che un genocidio viene giustificato con l’appropriazione della sofferenza della mia famiglia mi fa infuriare. Sono furioso. Come osa lo Stato di Israele insultare la storia della mia famiglia?
Gli orrori che la mia famiglia ha dovuto sopportare sono inimmaginabili per la maggior parte delle persone. Mia nonna e mio nonno, adolescenti quando si incontrarono al campo, sono gli unici membri sopravvissuti delle loro famiglie. Mio nonno faceva parte della resistenza nel campo, e nascondeva le persone che erano sulle liste per essere deportate ad Auschwitz. Mio nonno ha letteralmente salvato la vita a mia nonna. Questa non è una storia di debolezza. Tuttavia, è una storia dalla quale ho imparato molte lezioni sulle condizioni che consentono il genocidio.
Ricordo che avevo 8 o 9 anni e sedevo al tavolo di cucina a fare colazione mentre mia madre cucinava. La radio era accesa come ogni mattina e trasmetteva le notizie di 1010 WINS [radio privata di New York, ndt.]: “Dacci 22 minuti, ti daremo il mondo”. Nei titoli un gruppo di resistenza rivendicava la responsabilità di un attentato da qualche parte fuori dagli Stati Uniti. Ho chiesto a mia madre: “Cos’è un gruppo di resistenza?” Lei mi ha spiegato l’idea di resistenza parlando dell’Olocausto e della lotta di suo padre per reagire.
Anche se non tutte le persone che affermano di resistere sono automaticamente nel giusto, quando sono cresciuto mi sono reso conto che il modo in cui si vede la resistenza in una determinata situazione dipende dal proprio punto di vista. Ciò può sembrare ovvio, ma nei media occidentali, nella politica e nei contesti educativi vediamo regolarmente un’associazione tra gruppi di resistenza e terrorismo che crea un lato giusto e uno sbagliato dati per scontati.
Nei giorni successivi all’11 settembre 2001, come cittadino americano che vive negli Stati Uniti mi sono ricordato che quando mi opponevo all’idea di invadere l’Afghanistan ero “con noi” o “contro di noi”. Il nazionalismo forzato mi ha ricordato gli studi sull’Olocausto che avevo intrapreso durante il college. La creazione della mentalità “Noi contro loro” per proteggere la Germania era stata una parte fondamentale nel coinvolgere ampi segmenti di tedeschi non ebrei nella lotta contro il popolo ebraico.
La resistenza si muove contro coloro che detengono il potere. Inoltre essere oppressi, per definizione, significa essere dalla parte dei perdenti in una dinamica di potere. Allora, com’è possibile che Israele, un paese con uno degli eserciti più potenti del mondo, sostenuto dalla più potente potenza militare ed economica del mondo, gli Stati Uniti, abbia cercato di dipingersi come il campione di un popolo oppresso che deve lottare contro i movimenti di resistenza palestinesi?
Jonathan Greenblatt, direttore dell’Anti-Defamation League (ADL) [organizzazione non governativa ebraica internazionale con sede a New York in difesa dei diritti civili e contro l’antisemitismo, ndt.] ha pubblicato un articolo sulla rivista Time dopo l’attacco del 7 ottobre sostenendo che non c’è modo di interpretare l’attacco di Hamas se non come “odio” e “intolleranza tossica nella sua forma più pura”. E se invece di rendere eccezionale l’esperienza ebraica in modo che l’Olocausto diventi un esempio di migliaia di anni di odio per gli ebrei prestassimo attenzione alle reali lezioni che possiamo imparare dagli orrori dell’Olocausto? La lezione di cui abbiamo bisogno non è che gli ebrei sono sempre stati e sempre saranno odiati. La lezione dell’Olocausto è che coloro che detenevano il potere economico e politico usarono il nazionalismo e l’idea a giustificazione del genocidio che i tipi di persone cosidette inferiori costituissero una minaccia per lo Stato-nazione.
Molti ebrei e non ebrei resistettero per quanto poterono. Il problema non era una resistenza debole, il problema era la forza delle narrazioni nazionaliste ed eugenetiche.
La buona notizia è che milioni di persone e di ebrei stanno prendendo posizioni critiche della situazione e opponendosi ai messaggi che ci vengono porti dai più potenti leader israeliani e statunitensi. Siamo solidali con i palestinesi che lottano per il loro diritto all’esistenza e all’autodeterminazione. Vediamo cambiamenti nei sondaggi d’opinione pubblica, e il numero di azioni guidate e sostenute dagli ebrei contro l’attuale genocidio è più grande che mai. Molti parlano apertamente e dicono ad alta voce che “Mai più” significa “Mai più per nessuno”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)
18 dicembre 2023, da Mondoweiss
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Rocca e’ online

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E’ Natale!

ccd17166-6827-4dce-890d-e7064bf084fdNatale: «La parola avvenne nella carne e pose la sua tenda in mezzo a noi» (Giovanni 1,14)

22-12-2023 – di: Andrea Bigalli su Volerelaluna*.

Una lettura storica sulle prospettive della chiesa cattolica non appare certo consolante. L’erosione del patrimonio culturale e sociale che portava a sentirsi parte di essa è evidente. Da un lato c’è la mancata trasmissione generazionale di un’identità sempre meno compresa; dall’altro il peso di vari scandali (in primis quello degli abusi del clero) ha creato una frattura di fiducia nei confronti di una istituzione che faceva proprio della formazione fiduciaria delle giovani generazioni uno dei suoi punti di forza. Neanche un pontificato ricco di aperture e intuizioni straordinarie sembra invertire una tendenza che non appare transitoria. È un’analisi sommaria che potrebbe elencare altro: in ultima analisi comprendendo l’ipotesi che il cristianesimo – il teismo in genere – abbia esaurito la sua spinta propulsiva nel rispondere alle esigenze dell’antropologia contemporanea. Se fino a qualche anno fa si poteva pensare che fosse il positivismo scientifico a minare i presupposti della fede, quanto constatato nella stretta contemporaneità (le contestazioni arbitrarie al pensiero medico scientifico in pandemia, per esempio) fa supporre che il pensiero religioso non sia stato sostituito da una costruzione del tutto logica delle convinzioni esistenziali. Ma ne occorrono davvero? Magari no. Non mi sembra però che rimuovere la questione della metafisica abbia prodotto serenità diffusa, fiducia nel futuro, gratificazione dalla buona qualità di vita. Se si pensa alla trascendenza solo su un piano religioso, si perde la prospettiva di un’evoluzione consapevole, che per gli esseri umani può passare solo per la dimensione della domanda difficile, della provocazione, della consapevolezza della finitudine, ma, al contempo, del valore dell’esperienza umana in quanto tale. Su tutto questo c’è molta poca analisi, la società in cui viviamo ci educa alle prospettive unidirezionali. Herbert Marcuse aveva ragione. Un altro Natale. Ancora più spoglio di significati che non siano quelli del mercato, della convenzione artificiosa riguardo alle relazioni affettive, di modelli di vita sicuramente usurati ed inadeguati. Prevale un crescente disagio, venato dalla preoccupazione riguardo al futuro e dal senso di colpa che ci portiamo dentro. Stiamo assistendo a conflitti sempre più pervasivi, da cui niente sembra poterci esentare: inclusi quelli rappresentati dalla violenza di genere e dalla guerra suicida all’ecosistema. In colpa perché la nostra impotenza diventa rassegnazione. Atterriti nel constatare che le vie di progresso si fanno involute. Lettrici e lettori penseranno che mi sto mettendo nei guai da solo. Da un lato enuncio una crisi, quella del cattolicesimo, dall’altro ne inserisco i termini in quella generale della contemporaneità. Quindi? Ciò che dovrebbe sostenere le Chiese cristiane, la Bibbia, scaturisce per lo più da contesti di crisi, personale e delle società, fino al punto di farmi sostenere che il concetto stesso di crisi ne sia una chiave di lettura basilare. I cattolici arrivano a celebrare Natale guidati da un profeta, Isaia, il cui libro è ossatura fondamentale delle liturgie di Avvento: questo testo, con almeno tre diversi livelli storici e composto a più mani, ruota intorno alla memoria storica e teologica dell’evento più devastante vissuto dal Regno di Israele. Annientati dall’impero babilonese, gli ebrei sono destinati alla deportazione e alla cattività. Nel prima, durante e dopo l’esilio, Isaia ammonisce, contesta, prospetta, consola, sostiene, illumina. Soprattutto presenta una visione: letto il presente con gli occhi di Dio, se ne possono proiettare gli elementi verso il futuro. Non troverete in ciò traccia alcuna di un ottimismo fine a sé stesso, un’ingenuità sul tempo vissuto, la prospettiva artificiosa del fideismo. La Scrittura è scabra, aspra, brutale nel dichiarare ciò che avviene e mettere ognuno davanti alle proprie responsabilità. Ma proprio per questo è veritiera anche quando ti espone il dato dell’imprevedibile, che non può essere solo foriero di negatività. Il Dio che si presenta così educa alla speranza: chiede l’onestà sugli errori, sostiene il cambiamento, condurrà ogni popolo al proprio Esodo, ad una pedagogia di liberazione. I Vangeli sono scritti con lo stile letterario profetico, Cristo è il compimento della profezia stessa: è un codice di comprensione importante, talvolta poco seguito dagli esegeti. Gesù di Nazareth nasce in un tempo difficilissimo: un tempo di dominazione imperiale, di difficile resistenza alle sue istanze culturali di idolatria della forza e del potere, di minorità e marginalità di popoli interi. La società era governata da un potere teocratico che aveva perso ogni autorità, ripetendo stancamente a favore del fariseismo la lettura di un Dio giudicante, divisivo, escludente. Il dio classista dei potenti e dei garantiti: sempre invocato per stroncare le dissidenze, spegnere le profezie, annichilire le speranze. Dio avviene nella carne in questo quadro. E avviene riducendosi a niente, nascendo povero, mite, coraggioso e veritiero in un tempo – quando mai no, però? – della menzogna eletta a sistema di comunicazione. Giovanni, nel primo capitolo, ci dice che il Logos, il senso più alto dell’intelletto, il genio comunicativo e intessuto di razionalità pienamente umana – quindi affettiva, generativa, fantasiosa – avviene nella fragilità e nella contraddittorietà della carne. La prospettiva della condizione effimera, sia pur meravigliosa, della corporeità umana, deve far sintesi con il presupposto intellettivo mai così definito in positivo come nell’idea del Logos/Parola. Il Divino si immerge totalmente nella contraddizione, la crudeltà, la fatica, la sofferenza, la dignità e la bellezza di ciò che è nella dimensione concreta dell’esistere delle donne e degli uomini. Se il Natale lo leggo in questa prospettiva trovo la necessità di incarnarsi nel proprio vivere, nella stagione storica a cui siamo stati consegnati. La verità dei nostri limiti si definisce attraverso le fragilità del relazionarsi: il desiderio, il bisogno, la transitorietà di tutto. Al contempo possiamo capire che ciò che stiamo vivendo si iscrive nella potenzialità dell’altrove, di ciò che procede più in là da quanto definito e conosciuto. La crisi si può abitare in una dimensione profetica: imparando a decifrare i segni di quella che attanaglia l’istituzione che la produce, la governa, gode e profitta del suo essere. Certo, qui una componente fideista c’è e passa per pensare che le vittime e i violentati vedranno la crisi volgersi in crescita perché è l’Impero, racconta l’Apocalisse, il libro che è la summa delle intuizioni profetiche di tutta la Scrittura, che dovrà rassegnarsi al proprio crollo. L’Impero è il simbolo di tutto quel male che ha preteso di governare la storia umana: è stato fondato sul disumanesimo, sussiste in virtù di esso, non può che sprofondare nelle sue stesse logiche di morte. Chi ha conservato una logica di vita, di tenerezza e di solidarietà, sopravviverà. Quando parlo di fede ne intendo una vasta, non necessariamente teista, anzi: sostenuta da quell’umanesimo distillato dalle grandezze e dai fallimenti delle prassi storiche, è la fiducia che gli esseri umani – come sosteneva il mio maestro Ernesto Balducci – hanno in sé potenzialità inedite ancora nascoste, in lento travaglio verso la piena espressione. L’umano della pace non si è del tutto svelato, ma è già presente. Talvolta soccombe, ma la sua piena e feconda espressione è irriducibile, avverrà comunque. Nel 2024 celebreremo i cento anni dalla nascita di Franco Basaglia, la cui azione ha espresso un umanesimo totale e radicale, che si genera e si comprende a partire dalla ragione dei sofferenti, dei malati, di quelli e quelle ascritte alle varie categorie dell’esclusione. Per capire che siamo comunque ai margini, dato che tutti chiediamo salvezza, soffriamo il male di vivere. Essere consapevoli del nostro male, per questo solidali e dediti alla cura, è l’unico modo per acquisire lucidità riguardo alla propria crisi, la comprensione di come essa si tramuti nella pace. Può sembrare mera retorica ma bisogna assumere tutto il peso dello scandalo folle del Vangelo che dichiara beati i poveri, chiedendoci di ragionare secondo la logica della vera povertà, liberi dal troppo, gioiosi nell’essenziale. Un conto è la tutela del necessario e di quel di più che garantisce autentica contentezza, un conto è farsi soffocare dal bisogno indotto, che snatura il senso bello dell’avere senza possedere, di esistere per l’abbondanza del condiviso. «Para todos, todo. Para nosotros, nada» affermano gli zapatisti dell’Ezln (continuano a resistere all’Impero, anche se non si parla di loro). Il senso di questa povertà è pienezza dell’avere, perché è avere insieme. Il Vangelo non esalta la povertà in sé, avversa semmai radicalmente la miseria, perché sa che l’avere non è male: dominare senza condividere, quello è il peccato alla radice della condizione umana. Avere senza cuore, pensiero, fantasia, com/passione. È un bambino, nasce ai margini, non nei luoghi garantiti, privilegiati e sicuri. Accolto tra i primi dai pastori. I membri della mia comunità sono rimasti molto colpiti quando abbiamo studiato insieme che erano parte di una categoria disprezzata, guardata con sospetto per la promiscuità con il mondo animale, randagia, nomade, talora irregolare e violenta, per reazione al disamore. Eppure sono i primi ad ascoltare, andare, vedere, gioire. Cosa? Il tempo nuovo di un umanesimo che non si fa dominare, spengere, addomesticare, irregimentare. Libero, intelligente, felice. Spinto da una creatività invincibile. Impastato con le sante essenze della sororità e della fraternità. In transito, eppure nella stabilità in equilibrio non definitivo di chi ha una tenda e non la prigionia dei palazzi.
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* Andrea Bigalli, fiorentino, è stato ordinato sacerdote nel 1990. Dal 1999 è parroco a Sant’Andrea in Percussina (San Casciano Val di Pesa). Vice direttore della “Caritas” toscana dal 1998 al 2005 è attualmente referente di Libera per la Toscana e membro del direttivo della rivista “Testimonianze”. Insegna religione nelle scuole superiori di Firenze.
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Gli Auguri del nostro Editore
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Illustrazione in testa
Stupendo! La Natività è un dipinto, olio su tavola (124,4×122,6 cm), dell’ultima fase artistica di Piero della Francesca, databile al 1470-1475 (o secondo alcuni fino al 1485) e oggi conservato nella National Gallery di Londra (oggetto di un restauro molto discusso nel 2022) Da wikipedia.
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Editoriale

di Franco Meloni

Sono un semplice elettore, anzi un elettore semplice, e dichiaro di non capire cosa sta succedendo nella politica sarda. I protagonisti da tutte le parti se la cantano e se la suonano, senza preoccuparsi che la gente capisca. L’agone politico è roba loro e non hanno da dare spiegazioni a nessuno. Ma così gli elettori sono sempre più disorientati. Sicuramente aumenteranno coloro che diserteranno le urne. Alcuni esperti valutano che l’astensionismo supererà il 50% dell’elettorato. Ma, che importa. Anzi per i nostri politici, almeno per la maggior parte di essi, vale lo slogan “meno siamo meglio stiamo”, che riferito all’elettorato si traduce in “meno sono [gli elettori] meglio stiamo noi, a meno gente dobbiamo rendere conto: lasciate fare a noi…”. La “partecipazione popolare” è un bel concetto che nessun politico rinnegherà, a parole, nei fatti “una grande rottura di c.”. Gli astensionisti avrebbero tutte le ragioni di questo mondo: perché scomodarsi a votare se la propria opinione è ininfluente rispetto alle decisioni da prendere per l’amministrazione della Regione? C’è poi il sospetto che gli stessi politici alla guida della Regione contino ben poco rispetto alle grandi scelte dell’economia, appannaggio di livelli superiori (bene che vada) o delle potenti multinazionali. Tale e’ la sensazione di impotenza, che ci si chiede se ha senso mantenere in piedi diverse Istituzioni. Se per ipotesi si potesse fare un referendum per abrogare l’Istituzione regionale, il risultato sarebbe probabilmente maggioritariamente favorevole.

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Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri.
Antonio Gramsci

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Mario Arca, leader sardo di Demos* , chiudendo la bella serata presso la Collina, il 6 dicembre u.s., promossa da diverse formazioni politiche di ispirazione cristiana, ha fatto una citazione a me molto cara: quella

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Per cominciare: Shomèr ma mi llailah? Un verso di Isaia (21,11- 12), Shomèr ma mi-lailah è alla base di una delle canzoni più famose di Francesco Guccini. Il verso è misterioso. Tradotto, vuol dire: Sentinella, a quanto della notte, a che punto è la notte? Isaia, uno di quei profeti che minacciano in continuazione e lanciano fuoco e fiamme, all’improvviso si lascia andare, in questo verso bellissimo e altamente poetico, ad una grande speranza.
La sentinella risponde: La notte sta per finire ma l’alba non è ancora arrivata. Tornate, domandate, insistete.
http://www.specchiomagazine.it/2019/06/shomer-ma-mi-lailah-sentinella-a-quanto-della-notte/?fbclid=IwAR29kHJnQi5hq0ixBZdeutd-OtG4tJxY9lO4sENYSbqIGKp7WyikzHf3nLU
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La canzone di Guccini: https://youtu.be/gyTqIV7otos

Oggi lunedì 25 dicembre 2023 E’ Natale

img_3099 Auguri di buon Natale a tutti voi, pensando alla pace
Gianni Rodari ci mostra con semplicità quanto la guerra sia triste e quanto sia, invece, auspicabile la pace. Leggiamo di seguito “Dopo la pioggia”. Su Democraziaoggi.
Dopo la pioggia

Dopo la pioggia viene il sereno
brilla in cielo l’arcobaleno.
È come un ponte imbandierato
e il sole ci passa festeggiato.

È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede, questo è male
soltanto dopo il temporale.

Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa sì che sarebbe una festa.

Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.

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Esperienze di …sanità

disperazione Aladin[Dal nostro agente in missione speciale] Ho fatto una piccola esperienza al prontosoccorso del SS Trinità di via Ismirrionis. Ieri sera dopo un impegno politico cittadino mi sono recato presso questo presidio. Avevo i sintomi da infarto (così io credevo). Sono stati scrupolosi e professionali. Tutto quello che c’era da accertare lo hanno accertato. Piccolo particolare il mio ingresso è stato alle 20,30 di ieri e le dimissioni alle ore 12,00 odierne. Ho avuto più volte la sensazione di essere stato scordato e abbandonato. Letti e barelle lungo il corridoio in quanto le camere per i degenti erano stracolme. La cosa per me più triste è incomprensibile vedere che l’ottanta per cento dei degenti erano anziani e in prevalenza ultraottantenni (probabilmente in attesa di essere accolti in geriatria). Un girone dantesco.
Ps: Io sto bene. [gm]
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Oggi domenica 24 dicembre 2023 Vigilia di Natale 2023

img_5616img_5605img_3099 Note sulla guerra a Gaza. Ci vuole la pace
24 Dicembre 2023
Biagio Di Grazia su Democraziaoggi

In questi giorni natalizi non possiamo pensare che ad una cosa sola: la pace. Cessare il fuoco in Ucraina, cessare il fuoco a Gaza per porre fine al massacro e alle devastazioni. L’Ucraina non può vincere la guerra contro la Russia, Israele non può avere sicurezza e tranquillità senza riconoscere la statualità al […]
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Auguri anche al Sindaco, agli assessori, ai consiglieri comunali

Amarcord. La prima pagina di un numero (dicembre 1989) di Cittàquartiere disegnata da Licia Lisei.
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Dedicato alla Politica e alla politica

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Oggi sabato 23 dicembre 2023

img_3099 com-rwmRWM. Il Tribunale ha assolto tutti gli imputati
23 Dicembre 2023 su Democraziaoggi.
Arnaldo Scarpa – Cinzia Guaita – Comitato riconversione RWM

Il Tribunale di Cagliari ha assolto tutti gli imputati coinvolti nel rilascio dell’autorizzazione all’ampliamento dell’impianto RWM, che il Consiglio di Stato ha annullato, ritenendolo illegittimo, con sentenza passata in giudicato. La decisione è appellabile, per cui occorrerà attendere, per l’esito finale, i successivi gradi del giudizio.
Sulla vicenda […]
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Costituente Terra – Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri

b8d4f079-0a9d-4306-b131-9b630a570a4ecostituente-terra-logo Costituente Terra Newsletter n. 142 del 21 dicembre 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n.323 del 21 dicembre 2023

DURANTE GAZA
LA VIOLENZA DI DIO

Cari amici,

AuguriAuguriAuguriAuguri

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Oggi venerdì 22 dicembre 2023

img_3099 Premier eletto dal popolo e democrazia rappresentativa, un quasi ossimoro
22 Dicembre 2023 su Democraziaoggi.
Continuiamo il dibattito sul Premierato, avviato a Cagliari dalla Scuola di cultura politica “F. Cocco”, con questo articolo di
Antonio Caputo
Il Consiglio dei Ministri ha appena licenziato un progetto di legge costituzionale che modifica la forma di governo della vigente costituzione. Una riforma che, come dichiarato da Giorgia Meloni, introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio […]
img_3442Ci scrive Anonimo Turritano: “Ma perché nessuno parla degli affari di Tiscali?” di Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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Oggi giovedì 21 dicembre 2023

img_3099 GIÙ LE MANI DAL DIRITTO DI SCIOPERO
21 Dicembre 2023 su Democraziaoggi
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI
Comunicato stampa sulle gravi affermazioni del Ministro Salvini
L’art. 40 della Costituzione garantisce “il diritto di sciopero … che si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. E la legge che l’Italia si è data, cioè la n. 146/1990, è tra le più restrittive d’Europa. Al suo interno, la disciplina dettata sul traporto pubblico […]
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Su Dossier Caritas 2023. COP28: Dubai e oltre Dubai

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Lunedì 18 dicembre la Caritas di Cagliari ha presentato il XIII Dossier Caritas 2023. Il volume è ricco di informazioni sulla vasta attività dell’istituzione durante il corrente anno, nonché di riflessioni su quanto accade nel nostro tempo. Avremo occasioni per riproporre almeno una parte di tali contenuti nella nostra news, dando ad essi adeguato spazio e rilievo. Nel presente spazio-editoriale riportiamo l’articolo del direttore sull’esortazione apostolica Laudate Deum di Papa Francesco, pubblicata il 4 ottobre u.s., dedicata alle questioni ambientali, un vero e proprio aggiornamento dell’enciclica Laudato si’, in previsione della COP28 tenutasi come previsto a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre (prolungatasi per alcuni giorni). Lo stesso pontefice avrebbe dovuto parteciparvi nei gg. 1-3 dicembre, ma ha dovuto rinunciare per ragioni di salute. L’articolo è andato in stampa ben prima dell’evento di Dubai, riporta pertanto previsioni e auspici, da confrontare oggi con quanto effettivamente accaduto e deciso nei documenti finali. Per completezza di informazione, aggiornata ad oggi, riportiamo di seguito all’articolo del direttore, tre pezzi di valutazione a conclusione della COP28 di Dubai, che crediamo ne mostrino luci ed ombre, obbiettivi raggiunti (pochi), obbiettivi parzialmente soddisfacenti, obbiettivi totalmente mancati (tanto che alcuni parlano di fallimento). Ai lettori un giudizio motivato, sulla base della documentazione fornita o comunque di altra disponibile in rete.
papamondo-copia-di-schermata-2023-11-13-alle-13-13-04Aspettando Dubai, oltre Dubai
L’Esortazione apostolica di Papa Francesco Laudate Deum
di Franco Meloni

Premessa: con Papa Francesco, Giovanni XXIII, Paolo VI

Papa Francesco tiene molto nelle sue encicliche ed esortazioni e, in generale, nelle sue dichiarazioni a ricollegarsi ai suoi predecessori, soprattutto a quelli più vicini, nella linea della “continuità nel rinnovamento” del magistero della Chiesa. Ma sono specialmente due i Pontefici a cui fa riferimento, quelli più legati al Concilio Vaticano II: Giovanni XXIII, che lo ha indetto e iniziato; Paolo VI, che lo ha ripreso e portato a compimento [1]. E sappiamo quanto Papa Francesco ami e consideri il Concilio: «evento di grazia per la Chiesa e per il mondo», «i cui frutti non si sono esauriti» e che «non è stato ancora interamente compreso, vissuto e applicato (…) Dal Concilio Ecumenico Vaticano II abbiamo ricevuto molto. Abbiamo approfondito, ad esempio, l’importanza del popolo di Dio, categoria centrale nei testi conciliari, richiamata ben centottantaquattro volte, che ci aiuta a comprendere il fatto che la Chiesa non è un’élite di sacerdoti e consacrati e che ciascun battezzato è un soggetto attivo di evangelizzazione”. E continua: “dobbiamo riscoprire l’ispirazione del Concilio e come passo dopo passo questo evento abbia trasformato la vita della Chiesa, è l’occasione per affrontare meglio il percorso sinodale, che è fatto innanzitutto di ascolto, di coinvolgimento, di capacità di far spazio al soffio dello Spirito, lasciando a Lui la possibilità di guidarci”.[2]
Anch’io in premessa delle mie considerazioni sull’Esortazione apostolica di Papa Francesco Laudate Deum (LD) [3] faccio riferimento ai medesimi due Pontefici.
- A Giovanni XXIII, laddove mi soffermo sui destinatari del messaggio pontificio che appare nel titolo stesso della LD: “…a tutte le persone di buona volontà”.
Si tratta di un’ulteriore innovazione che va oltre quanto Papa Francesco già sottolineava nella Laudato sì’ sotto l’intitolazione “Niente di questo mondo ci risulta indifferente”, Papa Francesco ricordava: “Più di cinquant’anni fa, mentre il mondo vacillava sull’orlo di una crisi nucleare, il santo Papa Giovanni XXIII scrisse un’Enciclica con la quale non si limitò solamente a respingere la guerra, bensì volle trasmettere una proposta di pace. Diresse il suo messaggio Pacem in terris a tutto il “mondo cattolico”, ma aggiungeva «nonché a tutti gli uomini di buona volontà». Adesso, di fronte al deterioramento globale dell’ambiente, voglio rivolgermi a ogni persona che abita questo pianeta (…)”. E ribadisce: “In questa Enciclica (LS), mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune” (LS 3). La novità della Laudate Deum consiste, nel rivolgersi “a primo acchito” all’intera umanità, almeno a quella pensante, di buona volontà, (formata da “persone”, non “uomini”, al fine di superare la tradizionale prevalenza del maschile), prima ancora che ai “fedeli cattolici”, a cui dedica gli ultimi paragrafi dell’Esortazione (LD 61-73).
- A Paolo VI [4], precisamente alla sua prima Enciclica, Ecclesiam Suam (ES) [4bis], laddove individua “le posizioni concrete, in cui l’umanità si trova rispetto alla Chiesa cattolica (…) a guisa di tre cerchi concentrici” che la circondano [5] In questa trattazione ci interessa il primo.

Dall’Enciclica di Paolo VI Ecclesiam suam alla Costituzione conciliare Gaudium et Spes

Paolo VI lo descrive come “(…) un immenso cerchio, di cui non riusciamo a vedere i confini; essi si confondono con l’orizzonte; cioè riguardano l’umanità in quanto tale, il mondo. Noi misuriamo la distanza che da noi lo tiene lontano; ma non lo sentiamo estraneo. Tutto ciò ch’è umano ci riguarda. Noi abbiamo in comune con tutta l’umanità la natura, cioè la vita, con tutti i suoi doni, con tutti i suoi problemi. Siamo pronti a condividere questa prima universalità; ad accogliere le istanze profonde dei suoi fondamentali bisogni, ad applaudire alle affermazioni nuove e talora sublimi del suo genio. E abbiamo verità morali, vitali, da mettere in evidenza e da corroborare nella coscienza umana, per tutti benefiche. Dovunque è l’uomo in cerca di comprendere se stesso e il mondo, noi possiamo comunicare con lui; dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire i diritti e i doveri dell’uomo, noi siamo onorati, quando ce lo consentono, di assiderci fra loro. Se esiste nell’uomo un’anima naturalmente cristiana, noi vogliamo onorarla della nostra stima e del nostro colloquio”. E prosegue: “Noi potremmo ricordare a noi stessi e a tutti gli altri come il nostro atteggiamento sia, da un lato, totalmente disinteressato; non abbiamo alcuna mira politica o temporale; dall’altro, sia rivolto ad assumere, cioè ad elevare a livello soprannaturale e cristiano, ogni onesto valore umano e terreno; non siamo la civiltà, ma fautori di essa. (…)” (ES 101-102).
È un’anticipazione della costituzione conciliare “Gaudium et Spes” [6] di cui cito lo splendido incipit: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti”.

Dall’Enciclica Laudato sì’ all’Esortazione Laudate Deum

Nell’intervista fattagli di recente dalla Rai [7], Papa Francesco ricorda un suo viaggio a Strasburgo: “Non dimentico quando il 25 novembre 2014, invitato dal Parlamento europeo, incontrai la ministra francese dell’Ambiente, Ségolène Royal, con cui parlai di quello che stavo scrivendo sull’ambiente e del progetto di un lavoro comune con scienziati e teologi. «Per favore, lo pubblichi prima della Conferenza sul clima di Parigi [8]»: furono queste le parole della ministra. Ed in effetti il 24 maggio 2015 fu emanata l’enciclica Laudato si’” (LS). Il Papa dunque giocò d’anticipo, riuscendo in certa misura a far pesare, con l’autorevolezza di un’Enciclica, le sue argomentazioni, che non sono dogma, ma rappresentano l’aggiornamento della dottrina sociale della Chiesa cattolica in materia di ambiente, cambiamento climatico, ecologia integrale… in sostanza quanto si compendia nella “cura del Creato”. La capacità di Papa Francesco di “cogliere i segni dei tempi” [9] fino ad anticipare gli eventi è un suo carisma che si è appalesato non solo rispetto alla COP21 di Parigi, ma, come rilevo sul Dossier Caritas 2019 [10], anche rispetto alla risoluzione dell’Onu con cui il 25 settembre 2015 fu approvata l’Agenda Onu 2030 [11], anticipata di quattro mesi dalla Laudato sì’. Ma su questo argomento rinvio ad altri approfondimenti.

Con l’Esortazione Laudate Deum, ad oltre otto anni dalla LS, il Papa si comporta in modo analogo rispetto alla imminente scadenza della COP28 a Dubai [12], non certo per il gusto dell’arrivare primo, quanto piuttosto per enfatizzarne l’importanza, dando la sveglia a tutti… .
Dice il Papa in una delle sue esternazioni “Dopo Parigi purtroppo le cose non sono andate come speravo, e questo continua a preoccuparmi”. Il perché lo spiega nell’Esortazione: “(…) con il passare del tempo, mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura. Al di là di questa possibilità, non c’è dubbio che l’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie. Ne sentiremo gli effetti in termini di salute, lavoro, accesso alle risorse, abitazioni, migrazioni forzate e in altri ambiti” (LD 2) . Le conseguenze della crisi climatica globale sono sotto gli occhi di tutti: “Negli ultimi anni abbiamo assistito a fenomeni estremi, frequenti periodi di caldo anomalo, siccità e altri lamenti della terra che sono solo alcune espressioni tangibili di una malattia silenziosa che colpisce tutti noi (…) È verificabile che alcuni cambiamenti climatici indotti dall’uomo aumentano in modo significativo la probabilità di eventi estremi più frequenti e più intensi. Sappiamo quindi che ogni volta che la temperatura globale aumenta di 0,5 gradi centigradi, aumenta anche l’intensità e la frequenza di forti piogge e inondazioni in alcune aree, di grave siccità in altre, di caldo estremo in alcune regioni e di forti nevicate in altre ancora. Se fino a ora potevamo avere ondate di calore alcune volte all’anno, cosa accadrebbe con un aumento della temperatura globale di 1,5 gradi centigradi, a cui siamo vicini? Tali onde di calore saranno molto più frequenti e più intense. Se si superano i 2 gradi, le calotte glaciali della Groenlandia e di gran parte dell’Antartide si scioglieranno completamente, con conseguenze enormi e molto gravi per tutti” (LD 5).

Dalla Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro del 1992 alla COP 28 di Dubai

Dopo aver passato in rassegna le COP che hanno preceduto e seguito quella di Parigi e che dopo quest’ultima hanno prodotto risultati deludenti [13], il Papa s’interroga: “Cosa ci si aspetta dalla COP28 di Dubai?” [13] Si mostra speranzoso: “Se abbiamo fiducia nella capacità dell’essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la COP28 porti a una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente. Questa Conferenza può essere un punto di svolta, comprovando che tutto quanto si è fatto dal 1992 [14] era serio e opportuno, altrimenti sarà una grande delusione e metterà a rischio quanto di buono si è potuto fin qui raggiungere”. E ancora: “Nonostante i numerosi negoziati e accordi, le emissioni globali hanno continuato a crescere. È vero che si può sostenere che senza questi accordi sarebbero cresciute ancora di più. Ma su altre questioni ambientali, dove c’è stata la volontà, sono stati raggiunti risultati molto significativi, come nel caso della protezione dello strato di ozono. Invece la necessaria transizione verso energie pulite, come quella eolica, quella solare, abbandonando i combustibili fossili, non sta procedendo abbastanza velocemente. Di conseguenza, ciò che si sta facendo rischia di essere interpretato solo come un gioco per distrarre (…) Se c’è un sincero interesse a far sì che la COP28 diventi storica, che ci onori e ci nobiliti come esseri umani, allora possiamo solo aspettarci delle forme vincolanti di transizione energetica che abbiano tre caratteristiche: che siano efficienti, che siano vincolanti e facilmente monitorabili. Questo al fine di avviare un nuovo processo che sia drastico, intenso e possa contare sull’impegno di tutti. Ciò non è accaduto nel cammino percorso finora, ma solo con un tale processo si potrebbe ripristinare la credibilità della politica internazionale, perché solo in questo modo concreto sarà possibile ridurre notevolmente l’anidride carbonica ed evitare in tempo i mali peggiori. (…) Speriamo che quanti interverranno siano strateghi capaci di pensare al bene comune e al futuro dei loro figli, piuttosto che agli interessi di circostanza di qualche Paese o azienda. Possano così mostrare la nobiltà della politica e non la sua vergogna. Ai potenti oso ripetere questa domanda: «Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?». [15] (…) Sappiamo che, di questo passo, in pochi anni supereremo il limite massimo auspicabile di 1,5 gradi centigradi e a breve potremmo arrivare a 3 gradi, con un alto rischio di raggiungere un punto critico. Anche se questo punto di non ritorno non venisse raggiunto, gli effetti sarebbero disastrosi e bisognerebbe prendere misure in maniera precipitosa, con costi enormi e con conseguenze economiche e sociali estremamente gravi e intollerabili. Se le misure che adotteremo ora hanno dei costi, essi saranno tanto più pesanti quanto più aspetteremo.

Il paradigma tecnocratico
Papa Francesco non manca l’occasione di rammentare, come già affermato nella Laudato si’, che alla base della degradazione dell’ambiente, vi è quello che lui chiama il paradigma tecnocratico [15] , «un modo di comprendere la vita e l’azione umana che è deviato e che contraddice la realtà fino al punto di rovinarla; come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia. Da qui si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia» (LD 20; LS 101-106).

Ricorda che «un ambiente sano è anche il prodotto dell’interazione dell’uomo con l’ambiente, come avviene nelle culture indigene e come è avvenuto per secoli in diverse regioni della Terra. I gruppi umani hanno spesso “creato” l’ambiente, rimodellandolo in qualche modo senza distruggerlo o metterlo in pericolo. Il grande problema di oggi è che il paradigma tecnocratico ha distrutto questo rapporto sano e armonioso» (LD 28). E’ dunque un imperativo fermare il degrado del nostro ecosistema, invertire la rotta e promuovere azioni concrete, forti e senza perdere tempo prezioso, per mitigare il più possibile il cambiamento climatico e, nello stesso tempo, per adattarci alle condizioni climatiche che si vanno determinando. Al riguardo sono importanti sia gli accordi tra i governi delle nazioni in un’ottica di un nuovo multilateralismo che nasce dal basso, sia la condotta individuale e collettiva delle persone, adottando stili di vita sostenibili con l’ambiente e solidali con la gran parte dell’umanità che soffre drammaticamente le violenze esercitate dall’uomo sulla terra. (LD 37-38). Giova rammentare che il Papa a sostegno delle sue posizioni sul clima si appoggia alla stragrande maggioranza degli studiosi in materia [16] e non ha alcuna timidezza nel condannare i negazionismi e a richiamare alla ragione quanti se ne fanno portatori, anche all’interno della Chiesa cattolica (LD 14). Certo è che non bisogna illudersi che l’attuale economia che egemonizza il mondo, basata sulla “logica del massimo profitto al minimo costo, mascherata da razionalità, progresso e promesse illusorie” possa avere la priorità del bene comune, della difesa della casa comune, della “promozione degli scartati della società” (LD 31). Occorre la ricerca e la pratica di una diversa economia che non sia disgiunta dall’etica e che pertanto metta al centro la persona e il suo benessere. Dice il Papa che “dobbiamo tutti ripensare alla questione del potere umano”, per difendere “la nostra stessa sopravvivenza”. E’ efficace al riguardo la citazione ironica di Solov’ëv: “Un secolo così progredito che perfino gli era toccato in sorte essere l’ultimo” (LD 28) [17]. Il Papa coglie l’occasione per richiamare la necessità di quello che chiama “il pungiglione etico”, richiamando il valore dell’impegno, della crescita delle capacità, del lodevole spirito di iniziativa, della ricerca e pratica della reale uguaglianza di opportunità, contro le “idee sbagliate sulla cosiddetta ‘meritocrazia’” (LD 29-33).

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Armato di queste convinzioni, come detto, Papa Francesco si recherà a Dubai nei gg. 1, 2 e 3 dicembre 2023 per implorare tutti i governanti del mondo affinché facciano qualcosa di molto preciso per salvare la Terra, la nostra casa comune. E’ una “chiamata a responsabilità” che si aggiunge ai numerosi altri appelli che il Papa fa quotidianamente per la Pace del mondo, sconvolto da innumerevoli guerre e conflitti, portatori di morte e distruzioni e anch’essi gravemente colpevoli dei disastri ambientali. Ci consola che Papa Francesco non sia solo tra i grandi leader religiosi. Non sappiamo quanti altri fisicamente parteciperanno alla Conferenza, ma è di buon auspicio il documento firmato da 28 leader religiosi il 6 novembre 2023 ad Abu Dhabi, con il quale i religiosi chiedono ai delegati mondiali un’azione decisiva per frenare il cambiamento climatico [18].

Aspettando Dubai, oltre Dubai

Altrimenti? Quanto potrà ancora accadere non è forse attendibilmente prevedibile, come continuamente afferma la stragrande maggioranza degli studiosi? Lo confermano una serie di simulazioni che sono oggi già in grado di farci vedere drammaticamente come sarà la Terra se non si interverrà con la massima urgenza, subito. Gli artisti con la loro capacità immaginifica sono in grado di farci vedere anticipatamente tutto quello che potrà accadere. Tra i tanti, il cantautore-poeta Francesco Guccini ce lo mostra in una sua bellissima e struggente canzone [19].

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Il vecchio e il bambino, di Francesco Guccini.

Un vecchio e un bambino si preser per mano
E andarono insieme incontro alla sera
La polvere rossa si alzava lontano
Il sole brillava di luce non vera
Immensa pianura sembrava arrivare
Fin dove l’occhio di un uomo poteva guardare
E tutto di intorno, non c’era nessuno
Solo il tetro contorno di torri di fumo
I due camminavano e il giorno cadeva
Il vecchio parlava, e piano piangeva
Con l’anima assente, con gli occhi bagnati
Seguiva il ricordo di miti passati
I vecchi subiscon le ingiuria degli anni
Non sanno distinguere il vero dai sogni
I vecchi non sanno nel loro pensiero
Distinguer nei sogni il falso dal vero
Il vecchio diceva guardando lontano
“Immagina questo coperto di grano
Immagina i frutti, immagina i fiori
E pensa alle voci e pensa ai colori”
E in questa pianura, fin dove si perde
Crescevano gli alberi e tutto era verde
Cadeva la pioggia, segnavano i soli
Il ritmo dell’uomo e delle stagioni
Il bimbo ristette, lo sguardo era triste
Gli occhi guardavano cose mai viste
E poi disse al vecchio con voce sognante
“Mi piaccion le fiabe, raccontane altre” [19]
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Note
(Segue)

Oggi mercoledì 20 dicembre 2023

img_3099 Premierato inammissibile ed eversivo perché contro la sovrantà popolare
20 Dicembre 2023
A.P. Su Democraziaoggi

Da quando sono scomparse le maggiori forze costituenti (DC, PCI, PSI) ha avuto inizio un sistematico attacco alla Carta, volto a modificarne l’impianto fondamentale. Non solo la destra, anche il PD di Renzi ha fatto la sua parte in questa vicenda. Ma quale il punto centrale dell’attacco? La sovranità popolare e il continuum che assicura […]
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img_3442L’ultimo valzer di Renato Soru
19/12/2023 alle 21:56 di Vito Biolchini su vitobiolchini.it

C’è qualcosa di tragico, di comico e di tragicomico in questa campagna elettorale per le elezioni regionali che il prossimo 25 febbraio vedrà i sardi chiamati alle urne per decidere del loro futuro.