Monthly Archives: luglio 2023
Oggi lunedì 31 luglio 2023
Regionali. Due raccomandazioni al M5S e alle associazioni
31 Luglio 2023
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Fra le ipotesi sul tappeto nella formazione dello schieramento di centrosinistra certo c’è l’alleanza del PD col M5S. Il PD nel recente passato ha combattuto i pentastellati in tutti i modi fino a far vincere le destre alle ultime elezioni politiche. Sì perché la Meloni ha vinto a man bassa grazie a Letta, che ha […]
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Africa: L’Occidente non lasci sola l’Italia. Su formiche.net: https://formiche.net/2023/07/africa-occidente-dreosto-gombacci/
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Dibattito. Verso le elezioni sarde. Come voteranno i cattolici?
Una premessa.
Seguo con un certo interesse il dibattito pre-elettorale e, compatibilmente col poco tempo che ho per gli impegni sindacali di Segretario Naz.le della CSS, cerco di andare ad ascoltare i protagonisti principali nelle assemblee ed incontri pubblici. Ho capito che per ora scenderanno in campo vari schieramenti politici: il Centro Destra per ora unito, il PD con alcuni movimenti collaterali, i Progressisti con altri movimenti tra cui gli indipendentisti di Liberu con Giulia Lai e Devias e A Innantis di Franziscu Sedda.
Poi c’è la galassia dei Partiti e Movimenti Indipendentisti, che nelle assemblee di Serri e Parco S.Agostino di Abbasanta stanno tentando una via unitaria identitaria.
Il direttore Franco Meloni mi sollecita a dire la mia su ciò che in politica si muove nel mondo cattolico. E allora, ecco le mie riflessioni.
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Vorrei precisare che il mondo cattolico soprattutto oggi è molto diviso. Fermo restando che credo sia irripetibile l’esperienza del Partito Popolare e della DC e che personalmente non mi reputo certo un nostalgico, anche se penso che molte donne e uomini cattolici impegnati nella politica di quei periodi sono dei giganti rispetto alla maggioranza dei nani e ballerine di oggi.
Vorrei avvertire che i laici cattolici non sono tutti orientati a sinistra e/o al centrosinistra. Le precedenti elezioni hanno visto molti cattolici sostenere candidati di destra sia dentro le coalizioni di destra, sia all’interno degli schieramenti di centrosinistra indicando apertamente donne e uomini di “destra senza tessere”.
Esempi lampanti:
1. Elezione di Ugo Cappellacci (Forza Italia Centro DX) a presidente della Giunta Reg.le, sostenuto dal mondo cattolico in particolare dall’Associazionismo sportivo, rappresentato da Alessandra Zedda che diventò Assessora.
2. Elezione di Massimo Zedda (allora PD ed ora Gruppo Progressisti) a sindaco di Cagliari (Centro-sinistra e sardista per un periodo e poi solo centro-sinistra, dopo il ritiro delle deleghe all’assessore sardista Gianni Chessa), sostenuto dal mondo cattolico tramite la madre cattolicissima ed il forte legame coll’allora ed ora emerito Arcivescovo di Cagliari Mons.Giuseppe Mani (ex ordinario militare in pensione forse col grado di generale e per me “imprenditore”, vedi il forte flusso finanziario delle casse regionali per l’istituzione del Collegio S.Efisio nei locali dell’ex Seminario diocesano).
Massimo era sostenuto anche dai giovani universitari di sinistra. Ma tra i primi provvedimenti della sua Giunta ha chiuso i locali, dove si riunivano le associazioni giovanili nel Palazzo dell’ex Liceo Dettori (poi Siotto), dove studio’ Antonio Gramsci (a cui ha dedicato una targa a futura memoria, dimenticandosi dei giovani, che il nostro grande Gramsci incoraggiava a studiare ed entrare in politica).
3. Elezione di Christian Solinas a Presidente della Giunta Reg.le Sardegna (Centro Destra sardo-leghista), sostenuto dal mondo cattolico e da interessi forti del mondo imprenditoriale e dalla Massoneria.
Torniamo alla sfida di oggi.
Rocca n.16/17 è online
Rocca 16/17.
EDITORIALE. Amici che aiutano a camminare insieme
di Mariano Borgognoni
27 Luglio 2023
Tornando da una breve sosta dalle mie amiche e dai miei amici monaci, sosta quanto mai benefica in tempi surriscaldati dalla voracità di un’informazione pret a porter, ho portato un fiore a San Martino in Vignale vicino Lucca sulla tomba di fratel Arturo Paoli, uomo di fede, di speranza e di carità, meraviglioso cocktail di virtù teologali, profeta che vive nei cuori e nei pensieri dei lettori di Rocca, che su queste pagine lo hanno incontrato per decenni.
Oggi domenica 30 luglio 2023
Carbonia. I bambini di Carbonia, i bimbi di Gramsci. Nadia Spano, “Noi donne facevamo il nostro lavoro in mezzo all’ostilità e qualche volta al sabotaggio delle autorità, senza mezzi, senza esperienze precedenti, armate soltanto del nostro entusiasmo”
30 Luglio 2023
Gianna Lai su Democraziaoggi
Ultima domenica di Luglio, ultimo post dal 1°.9.2019, sulla storia di Carbonia prima della sospensione ad agosto.
E’ dopo il lungo sciopero del 1948, i 72 giorni, che dai […]
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Dibattito. Cattolici e Politica
Il centro moderato la collocazione giusta dei cattolici democratici?
29 Luglio 2023 by Fabio | su C3dem.
Nino Labate interviene nel dibattito per una riflessione sulla collocazione dell’ambito cattolico-democratico
Dibattito _ Può essere il centro moderato la collocazione giusta dei cattolici democratici_ – Il Domani d’Italia.
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Quale Italia? Sud, Sardegna: poveri noi!
Sud e Nord, la Costituzione vangelo di una fede laica
Massimo Villone su il manifesto
[Pubblicato 8 giorni fa - Edizione del 20 luglio 2023]
SVIMEZ 2023. Il divario territoriale non si riduce, ed anzi tende per molti profili ad allargarsi, sia pure meno e più lentamente rispetto alla caduta seguita alla crisi del 2008
Negli ultimi giorni due voci si sono segnalate con forza nella cacofonia della politica italiana. Una è lo Svimez, che ha presentato le Anticipazioni sul Rapporto 2023. L’altra è quella di don Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli, che ha rivolto una dura critica all’autonomia differenziata.
Tema principale in entrambi i casi la faglia tra il Sud e il resto del paese.Per la Svimez il divario territoriale non si riduce, ed anzi tende per molti profili ad allargarsi, sia pure meno e più lentamente rispetto alla caduta seguita alla crisi del 2008.
Dopo quell’anno il Sud non ha mai del tutto recuperato, rimanendo tuttora a -7 punti di PIL. Così, vediamo al Sud una inflazione più alta, una perdita di potere di acquisto dei salari maggiore, una più alta quota di lavoro precario e a termine, nonché di salari al di sotto dei 9€ all’ora tanto osteggiati dalla destra (25% al Sud, circa il 16% al Centro-Nord). Al Sud il termine lavoro povero non è un’espressione letteraria, ma la condizione di vita di milioni.
PREOCCUPANO, POI, le previsioni Svimez fondate su dati settoriali, come ad esempio l’industria che nel Sud contribuisce alla crescita assai meno che nel Centro-Nord (10% vs 25%), o i minori investimenti in macchine e attrezzature. Questi elementi suggeriscono che non si rafforza la capacità produttiva, in ipotesi essenziale per il rilancio del Sud come secondo motore del paese. Preoccupano, altresì, i dati sugli investimenti in materia di istruzione che non risultano mirati ai territori con maggiori carenze e bisogni. Uno scenario coronato dalla terribile cifra di 460000 laureati emigrati dal Sud verso il Centro-Nord nell’arco di venti anni.
NELLE ANTICIPAZIONI Svimez le parole autonomia differenziata non compaiono. Ma non sono invero necessarie, perché la posizione critica della Svimez sul tema è nota, è stata in molteplici occasioni manifestata dal presidente Adriano Giannola e dal direttore Luca Bianchi, ed è da ultimo ribadita nella memoria per l’audizione in Senato (che si legge sulla pagina web della I Commissione). Anche per la Chiesa potremmo dire che la critica all’autonomia differenziata non è una prima assoluta. Ma certo le parole dell’Arcivescovo Battaglia segnano un salto di qualità per chiarezza di posizione e forza argomentativa.
Don Battaglia non parla solo in termini di fede e carità. Critica duramente la scarsa tensione morale di una parte della politica, che ha indebolito le istituzioni e sprecato risorse pubbliche. Censura una voglia di separatezza che viene dall’idea di fare “tante piccole Italie”, attraverso riforme costituzionali rabberciate. Attacca direttamente l’autonomia differenziata. Parole – argomenta – che prese singolarmente recano un messaggio positivo. Ma in perversa sinergia spaccano il paese ed accrescono la povertà che già colpisce milioni. Contesta persino la tesi – cara ai fan – dell’autonomia differenziata come attuazione della Costituzione, che invece persegue l’eguaglianza, impegnando lo stato a realizzarla.
CONDIVIDIAMO. Se le parole di Don Battaglia indicano che la Chiesa come istituzione scende esplicitamente in campo contro l’autonomia differenziata siamo di fronte a una importante e positiva novità. Non sembra dubbio che questa dovrebbe essere la posizione della Chiesa di Papa Francesco. Ma esiste pur sempre una parte della Chiesa che potrebbe dissentire. Per questo sarebbero opportune iniziative utili a dimostrare che la posizione di Don Battaglia non è isolata.
Inoltre, è in atto una discussione sulla collocazione politica dei cattolici. Il contrasto all’autonomia differenziata meriterebbe un posto di onore in un manifesto o una carta di valori. Nell’esperienza quotidiana capita di incontrare qualcuno che frequenta con devozione formale i sacramenti mentre si nega alla mano che chiede aiuto. Don Battaglia ammonisce che non è “politicismo” se la Chiesa prende parte per gli ultimi e i bisognosi. E conclude che oggi “questo sostegno deve andare anche ai territori, affinché non siano lasciati soli. A quelli del Sud …”. È la stessa conclusione cui deve arrivare la politica, con le proprie ragioni.
CARO DON BATTAGLIA, un passaggio ci è molto piaciuto nella sua riflessione. Laddove racconta che ha scritto avendo per caso davanti uno accanto all’altro il Vangelo e la Costituzione, le cui parole “stanno bene insieme”. Non potrebbe essere diversamente. Cos’è infine la Costituzione se non il vangelo di una fede laica?
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Riforme. «Autonomia differenziata, da Vangelo e Costituzione i criteri per un giudizio»
Mimmo Battaglia su Avvenire sabato 15 luglio 2023*
L’arcivescovo di Napoli interviene nel dibattito sulla discussa riforma che incide sulla struttura dello Stato e, ancor più, sullo spirito e i valori che lo animano, sorretti dall’idea di persona
C’è un’aria strana che si muove nel cielo. Da troppo tempo, ormai. Non si comprende bene se è di vento, e di che vento. O di temporale che minaccia. È certa, però, la direzione in cui essa si muove. È quella della povera gente, resa ogni giorno più povera da una certa politica che non la considera, se non per la convenienza, magari elettorale. La gente, resa più distante dalle istituzioni, che si vorrebbero asservite al potere e questo a pochi uomini, e assai più poche donne, che lo detengono. La gente, trascurata anche dalla cultura che, smarrendo la sua vocazione originaria, si volta dall’altra parte e si ubriaca di parole che essa stessa ha consumato. La gente, che non riesce più a sentirsi popolo, perché le antiche bandiere sono ferme e gli inni gloriosi muti, davanti a una falsa idea di nazione che scambia la patria per un campo di battaglia, dove una parte si contrapponga a un’altra. E dove ciascuno è straniero se viene da lontano, da una terra che non li caccia, la propria. E da un’altra, di là dal mare, che non li vuole.
L’Italia, il nostro bel Paese, ricco di storia buona e di cultura bella, di paesaggi ineguagliabili e di ricchezze artistiche e culturali incommensurabili, è sotto quel cielo, a respirare quest’aria strana. E io, nell’umiltà della mia fatica pastorale, in una terra di confine sono preoccupato seppur non rassegnato. Terra di confine, è la mia Napoli. Territoriale, tra il Sud e il Nord, in tutte le accezioni considerabili. Di confine tra un Sud che non parte e un Nord che non viene. E dove Sud è l’arretratezza, con tutto il carico di dolori e di errori, e il Nord è lo sviluppo, con tutto il peso delle sue contraddizioni. Terra di confine, è la mia Napoli, tra un Meridione che si modernizza e cresce, come essa sta facendo da non pochi anni (pur con le ferite che le squarciano il petto e sanguinano nelle carni di tanti ragazzi) e la mia Calabria, la regione da cui provengo, che resta, nonostante i buoni sforzi di parti della politica e delle istituzioni, ferma al palo dell’antico abbandono e delle moderne speculazioni. Su cui, pesante come un macigno, grava la scarsa tensione morale di parte della politica che ha indebolito le istituzioni e sprecato in un tempo lungo ingenti risorse pubbliche.
E non è la sola a essere in queste situazioni. All’interno di questo quadro, il nostro Paese, che dalla grave pandemia è uscito impoverito e diviso, rischia di essere trascinato in un campo in cui l’egoismo che ci prende sempre di più si codifica in scelte politiche nette. Scelte che alimentano quel desiderio di separatezza di una parte del territorio da tutto il resto del Paese. Un desiderio, questo, che ha un’origine lontana. In quel tempo in cui si pensava a una diversa articolazione dello Stato, di fatto divisiva e separatista, mascherata da decentramento e partecipazione dal basso, quando invece altro non era che il tentativo di fare dell’Italia, nazione grande e prestigiosa, tante piccole italie, lontanissime dalla più grande e potente che si sarebbe agganciata all’Europa. Quel tentativo, di cui non è responsabile solo una parte della rappresentanza parlamentare, si confuse in modifiche costituzionali rabberciate, i cui danni si vedono a occhio nudo ancora adesso. Oggi quella cultura della divisione, quel sentimento di egoismo che si è progressivamente trasformato in una sorta di indifferenza collettiva nei confronti della sorte dell’altro, sta prendendo sempre più la forma di un’altra legge possente. Di un altro colpo, cioè, all’impalcatura democratica dello Stato fondato sulla partecipazione di tutti (territori e cittadini e istituzioni e culture, nessuno escluso) alla costruzione della ricchezza del Paese.
Lo chiamano in più modi, questo disegno di legge, che, varato dal Governo, ha già fatto un gran pezzo di strada parlamentare. Lo chiamano in tanti modi, ripeto, alcuni leggeri ed eleganti, per indorare la pillola sbagliata da ricetta ancora più sbagliata. La più nota denominazione é “Autonomia differenziata”. Ecco l’eleganza delle parole. Sono due sole. Prese autonomamente procurano una sensazione più piacevole di quella che pure si prova se lette insieme. Autonomia. Che bella questa parola! Cosa c’è in un qualsiasi consorzio umano di meglio che avere garantita l’autonomia. Autonomia si coniuga con libertà. È magnifico essere autonomi, magnifico essere liberi. Poter decidere del proprio futuro e della propria vita attraverso il pieno utilizzo dei propri mezzi è il sogno di tutti. Qui si potrebbe innestare un principio anch’esso affascinante, di chiara marca liberista o come meglio dir si voglia: a ciascuno secondo le proprie capacità. Fin qui potremmo essere quasi felici, se non intervenisse la fatica dell’essere autonomo e il rischio che la libertà applicata in quel contesto possa procurare voglia di fare senza gli altri. Ovvero, di non vedere altro interesse che il proprio. Del territorio e di quanti all’interno di esso vivono, specialmente. Forte crescerebbe qui il desiderio di costruire tutt’intorno a quella autonomia confini più rigidi e invalicabili.
L’altra parola, egualmente bella e affascinante, è “differenziata”. Essere differenti, cioè sé stessi diversi dagli altri per legge determinati, è interessante. Fare cose differenti, agire in maniera differente in un’area differenziata, è atto straordinario, che solletica vanità e senso di superiorità. Voglia di far da soli e per sé stessi e con le proprie risorse, senza, soprattutto, dover dar conto agli altri e fare i conti con gli altri, non è vantaggio da buttare, direbbero gli interessati se già non l’hanno pensato.
Dicono i sostenitori della nuova legge in itinere che è tutto previsto dalla Carta costituzionale, che da tempo attenderebbe che venisse attuata in quel principio più largamente affermato nelle cinque regioni autonome. Ed è forse davvero così. Costoro, però, dimenticano, che la Costituzione, prima, durante e dopo, quell’articolo narra dell’eguaglianza autentica fra tutti cittadini e prescrive che sia lo Stato a garantire l’effettiva parità, secondo modi e criteri che non sto qui a elencare. In tanti ancora dimenticano che la bellezza della nostra Costituzione è nella inscindibile unità tra autonomie e solidarietà, tra libertà individuale e azione sociale, tra ricchezza individuale e ricchezza complessiva, tra singoli territori e unità territoriale. Tra regioni e nazione. Tra comuni e Stato, tra pluralismo e compattezza. Dimenticano che al centro di ogni divenire sociale c’è la persona, non l’individuo singolo privo di tutto quel corredo umano che fa l’uomo l’essere speciale che è.
L’autonomia differenziata, per quanto la si voglia edulcorare con nuovi innesti terminologici che la gente non comprende, rompe questo concetto di unità, lacera il senso di solidarietà che è proprio della nostra gente, divide il Paese, accresce la povertà già troppo estesa ed estrema per milioni di italiani. Infine, cancella d’un colpo quel bagaglio ricchissimo di conquiste democratiche realizzato dalle lotte popolari dal Risorgimento a oggi. Abbiamo di recente visto che da soli non si va da nessuna parte, che anche le zone ricche subiscono il rischio di diventare povere e di incontrare la sofferenza e il dolore. Il terribile terremoto e la devastante alluvione che in due ravvicinate “sventure” ha subito la nobile e fiera Emilia Romagna, hanno visto ancora una volta la straordinaria grandezza del popolo italiano. La solidarietà è partita subito. Specialmente dal Sud il cuore della generosità è volato su quelle terre così duramente colpite. Nessuno ha fatto i conti della spesa. Qui al Sud si è pregato e tifato, e si è gioito quando il Governo ha elargito somme considerevoli, che anche qui sono considerate insufficienti per far tempestivamente rinascere quella parte della nostra Italia. Il territorio è la prima ricchezza che hanno i poveri, indebolirglielo è colpa grave, non solo politica. Le ferite ai territori, in qualsiasi modo inferte, sono ferite sulle carni già aperte dei poveri. Sfugge ai responsabili della cosa pubblica il significato della parola “gente”, della parola “popolo”. Della parola “comunità”. Essa ha valore se si comprende che gente, popolo, comunità è la Persona, con tutto il suo carico di diritti inalienabili.
Sono un prete, soltanto un prete, che ha toccato e tocca ogni giorno la sofferenza. Della persona che lotta e non vince mai. Che si affatica e non si riposa un minuto. Che sta sempre in fondo alla fila che non scorre mai. Che vorrebbe avere fiducia e non trova ascolto. Che vorrebbe parlare e non la si lascia esprimere. Il Santo Padre, che si batte strenuamente per difendere le persone da ogni guerra che si muove loro contro (quella della fame è la guerra che un miserabile mondo opulento e obeso muove prima di quelle guerreggiate), ci esorta a non abbandonare quella che si manifesta sempre di più come la più grande delle azioni umane, la solidarietà verso gli ultimi. La difesa della vita umana e della tutela della sua piena dignità. Dinanzi alle enormi sofferenze di famiglie intere che non riescono a fronteggiare il più piccolo dei bisogni nessuno osi tirarsi indietro. La Chiesa non può e non lo farà. Il prete non può e non lo farà. E non tema alcuno di essere accusato di politicismo: la Chiesa prende parte, sì, quella dei poveri, dei bisognosi. Si fa parte essa stessa degli ultimi e non perché li carezzi mentre li si vorrebbe ultimi ma per dar loro la forza di riscattarsi dalla povertà e dall’arretratezza. Oggi questo sostegno deve andare anche ai territori, affinché non siano lasciati soli. A quelli del Sud perché in essi splenda pienamente il sole. Il sole incontro al quale devono correre i nostri ragazzi, per costruire insieme la felicità. Di tutti.
Ho scritto questa riflessione di getto, lasciando parlare solo il mio cuore. Di prete e di uomo. L’ho fatto trovandomi sulla scrivania, l’uno accanto all’altro, così casualmente, il Vangelo e la Costituzione. Tenendo ben divisi questi due “libri”, trovo felicemente che la Parola e quelle parole stanno proprio bene insieme. Questa sensazione in me è bellissima. La dirò domattina ai miei amici più piccoli, che si chiamino Ciro, Concetta, Carmela, Gennaro, o altri nomi che ho conosciuto attraverso i loro volti bellissimi, affinché provino gioia e desiderio di camminare con questi valori e questi princìpi. Ma non da soli, però. Da soli no. Con gli altri. Sempre più numerosi. Perché la Bellezza vince sempre. E l’Amore pure.
Arcivescovo di Napoli
*Questo testo è pubblicato in contemporanea da Avvenire e www.chiesadinapoli.it. Una sintesi sull’edizione di Avvenire del 16 luglio.
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Se son rose fioriranno. Qualcuna è già fiorita!
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di Franco Meloni
Il dibattito politico sulle prossime elezioni sarde è in rapida crescita. Per quanto riguarda il centro destra tutto sembra ruotare sulla contrastata ricandidatura di Christian Solinas, che solo la Lega e la parte maggioritaria del PSdAz propongono. La destra rampante di Fratelli d’Italia e quella moderata di Forza Italia più cespugli vari vogliono un cambio di cavallo. E a parere di molti credibili osservatori ci riusciranno. E anch’io così penso. Basterà trovare un beatiful exit per l’ingombrate Christian: per lui si aprirebbe un dorato pensionamento al Parlamento europeo. La destra vincente punterebbe su un candidato di prestigio come l’attuale leader della Coldiretti Sardegna Luca Saba. Scelta intelligente che riunirebbe in una sola coalizione il centro destra. Sulla sponda opposta il centro sinistra stenta a trovare l’unità, nonostante una sola lista avrebbe ragionevoli previsioni di vittoria. Ma, si sa, come per primo disse il prof. Luigi Gessa: “il più grande avversario della sinistra è la stessa sinistra”.
Purtroppo le diverse formazioni della sinistra rischiano ancora una volta di perdere, perché incapaci di costruire un’alleanza intorno a un solo candidato presidente, con diverse liste che garantirebbero la diversità di posizioni. Viaggiano nell’ipotesi di una sola coalizione il Pd, il M5S, i Progressisti, Possibile, e altre importanti aggregazioni, tra le quali Demos con Insieme, queste ultime due rappresentanti un’area di Cattolici democratici, che in questa fase tentano, con qualche successo, di riportare molti Cattolici (o comunque persone che si ispirano ai valori cristiani) all’impegno politico. Significativo al riguardo un esplicito gradimento della conferenza dei vescovi italiani (CEI), che non manca di richiamare la entusiasmante stagione del grande compromesso costituzionale del dopoguerra. Il Vangelo e la Costituzione (Vangelo laico), sono i due fondamentali riferimenti; ma come non vedervi l’incitamento esplicito in dimensioni planetarie di Papa Francesco? Nel nostro piccolo, questa posizione è maggioritaria nell’ambito del Movimento Patto per la Sardegna, che si muove vivacemente nel nostro ambiente.
Ma torniamo al centro sinistra e dintorni. In direzione contraria alla grande coalizione si muovono, allo stato, l’arcipelago degli indipendentisti e, separatamente, la sinistra tout court. Sembrerebbe prevalere per ciascuna di queste aggregazioni la scelta di liste separate. Scelta sciagurata, soprattutto in caso di presentazione di coalizioni (anziché di liste singole), inesorabilmente punite dall’attuale pessima legge elettorale sarda. In sostanza: si può vincere e conquistare il governo della Regione solo con la presentazione di un’unica lista con un solo candidato presidente. Semplice a spiegarsi, duro a capirsi nonostante l’esperienza delle ultime tornate elettorali. Da segnalare l’incognita del neo movimento di “Sardegna chiama Sardegna”, che ha costruito un bellissimo programma per la Sardegna, ma che stenta a concretizzare la scelta sulla presentazione, attualmente affascinata da uno “splendido isolamento”. Noi di Aladinews siamo schierati senza alcuna reticenza per l’unica lista di coalizione del centro sinistra, guidata da un candidato (meglio da una candidata) scelta attraverso il meccanismo delle primarie. Si discuta apertamente senza preclusioni, badando al possibile e auspicabile risultato vittorioso. Il programma va costruito sulle bozze esistenti, trovando l’unità su una serie di punti, rispettando le diversità che devono essere esplicitate. Avanti nell’interesse dei sardi e dell’intera Sardegna!
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Quale Italia, quale Sud, quale Sardegna?
Sud e Nord, la Costituzione vangelo di una fede laica
Massimo Villone su il manifesto
[Pubblicato 8 giorni fa - Edizione del 20 luglio 2023]
SVIMEZ 2023. Il divario territoriale non si riduce, ed anzi tende per molti profili ad allargarsi, sia pure meno e più lentamente rispetto alla caduta seguita alla crisi del 2008
Negli ultimi giorni due voci si sono segnalate con forza nella cacofonia della politica italiana. Una è lo Svimez, che ha presentato le Anticipazioni sul Rapporto 2023. L’altra è quella di don Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli, che ha rivolto una dura critica all’autonomia differenziata.
Tema principale in entrambi i casi la faglia tra il Sud e il resto del paese.Per la Svimez il divario territoriale non si riduce, ed anzi tende per molti profili ad allargarsi, sia pure meno e più lentamente rispetto alla caduta seguita alla crisi del 2008.
Dopo quell’anno il Sud non ha mai del tutto recuperato, rimanendo tuttora a -7 punti di PIL. Così, vediamo al Sud una inflazione più alta, una perdita di potere di acquisto dei salari maggiore, una più alta quota di lavoro precario e a termine, nonché di salari al di sotto dei 9€ all’ora tanto osteggiati dalla destra (25% al Sud, circa il 16% al Centro-Nord). Al Sud il termine lavoro povero non è un’espressione letteraria, ma la condizione di vita di milioni.
PREOCCUPANO, POI, le previsioni Svimez fondate su dati settoriali, come ad esempio l’industria che nel Sud contribuisce alla crescita assai meno che nel Centro-Nord (10% vs 25%), o i minori investimenti in macchine e attrezzature. Questi elementi suggeriscono che non si rafforza la capacità produttiva, in ipotesi essenziale per il rilancio del Sud come secondo motore del paese. Preoccupano, altresì, i dati sugli investimenti in materia di istruzione che non risultano mirati ai territori con maggiori carenze e bisogni. Uno scenario coronato dalla terribile cifra di 460000 laureati emigrati dal Sud verso il Centro-Nord nell’arco di venti anni.
NELLE ANTICIPAZIONI Svimez le parole autonomia differenziata non compaiono. Ma non sono invero necessarie, perché la posizione critica della Svimez sul tema è nota, è stata in molteplici occasioni manifestata dal presidente Adriano Giannola e dal direttore Luca Bianchi, ed è da ultimo ribadita nella memoria per l’audizione in Senato (che si legge sulla pagina web della I Commissione). Anche per la Chiesa potremmo dire che la critica all’autonomia differenziata non è una prima assoluta. Ma certo le parole dell’Arcivescovo Battaglia segnano un salto di qualità per chiarezza di posizione e forza argomentativa.
Don Battaglia non parla solo in termini di fede e carità. Critica duramente la scarsa tensione morale di una parte della politica, che ha indebolito le istituzioni e sprecato risorse pubbliche. Censura una voglia di separatezza che viene dall’idea di fare “tante piccole Italie”, attraverso riforme costituzionali rabberciate. Attacca direttamente l’autonomia differenziata. Parole – argomenta – che prese singolarmente recano un messaggio positivo. Ma in perversa sinergia spaccano il paese ed accrescono la povertà che già colpisce milioni. Contesta persino la tesi – cara ai fan – dell’autonomia differenziata come attuazione della Costituzione, che invece persegue l’eguaglianza, impegnando lo stato a realizzarla.
CONDIVIDIAMO. Se le parole di Don Battaglia indicano che la Chiesa come istituzione scende esplicitamente in campo contro l’autonomia differenziata siamo di fronte a una importante e positiva novità. Non sembra dubbio che questa dovrebbe essere la posizione della Chiesa di Papa Francesco. Ma esiste pur sempre una parte della Chiesa che potrebbe dissentire. Per questo sarebbero opportune iniziative utili a dimostrare che la posizione di Don Battaglia non è isolata.
Inoltre, è in atto una discussione sulla collocazione politica dei cattolici. Il contrasto all’autonomia differenziata meriterebbe un posto di onore in un manifesto o una carta di valori. Nell’esperienza quotidiana capita di incontrare qualcuno che frequenta con devozione formale i sacramenti mentre si nega alla mano che chiede aiuto. Don Battaglia ammonisce che non è “politicismo” se la Chiesa prende parte per gli ultimi e i bisognosi. E conclude che oggi “questo sostegno deve andare anche ai territori, affinché non siano lasciati soli. A quelli del Sud …”. È la stessa conclusione cui deve arrivare la politica, con le proprie ragioni.
CARO DON BATTAGLIA, un passaggio ci è molto piaciuto nella sua riflessione. Laddove racconta che ha scritto avendo per caso davanti uno accanto all’altro il Vangelo e la Costituzione, le cui parole “stanno bene insieme”. Non potrebbe essere diversamente. Cos’è infine la Costituzione se non il vangelo di una fede laica?
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Riforme. «Autonomia differenziata, da Vangelo e Costituzione i criteri per un giudizio»
Mimmo Battaglia su Avvenire sabato 15 luglio 2023*
L’arcivescovo di Napoli interviene nel dibattito sulla discussa riforma che incide sulla struttura dello Stato e, ancor più, sullo spirito e i valori che lo animano, sorretti dall’idea di persona
C’è un’aria strana che si muove nel cielo. Da troppo tempo, ormai. Non si comprende bene se è di vento, e di che vento. O di temporale che minaccia. È certa, però, la direzione in cui essa si muove. È quella della povera gente, resa ogni giorno più povera da una certa politica che non la considera, se non per la convenienza, magari elettorale. La gente, resa più distante dalle istituzioni, che si vorrebbero asservite al potere e questo a pochi uomini, e assai più poche donne, che lo detengono. La gente, trascurata anche dalla cultura che, smarrendo la sua vocazione originaria, si volta dall’altra parte e si ubriaca di parole che essa stessa ha consumato. La gente, che non riesce più a sentirsi popolo, perché le antiche bandiere sono ferme e gli inni gloriosi muti, davanti a una falsa idea di nazione che scambia la patria per un campo di battaglia, dove una parte si contrapponga a un’altra. E dove ciascuno è straniero se viene da lontano, da una terra che non li caccia, la propria. E da un’altra, di là dal mare, che non li vuole.
L’Italia, il nostro bel Paese, ricco di storia buona e di cultura bella, di paesaggi ineguagliabili e di ricchezze artistiche e culturali incommensurabili, è sotto quel cielo, a respirare quest’aria strana. E io, nell’umiltà della mia fatica pastorale, in una terra di confine sono preoccupato seppur non rassegnato. Terra di confine, è la mia Napoli. Territoriale, tra il Sud e il Nord, in tutte le accezioni considerabili. Di confine tra un Sud che non parte e un Nord che non viene. E dove Sud è l’arretratezza, con tutto il carico di dolori e di errori, e il Nord è lo sviluppo, con tutto il peso delle sue contraddizioni. Terra di confine, è la mia Napoli, tra un Meridione che si modernizza e cresce, come essa sta facendo da non pochi anni (pur con le ferite che le squarciano il petto e sanguinano nelle carni di tanti ragazzi) e la mia Calabria, la regione da cui provengo, che resta, nonostante i buoni sforzi di parti della politica e delle istituzioni, ferma al palo dell’antico abbandono e delle moderne speculazioni. Su cui, pesante come un macigno, grava la scarsa tensione morale di parte della politica che ha indebolito le istituzioni e sprecato in un tempo lungo ingenti risorse pubbliche.
E non è la sola a essere in queste situazioni. All’interno di questo quadro, il nostro Paese, che dalla grave pandemia è uscito impoverito e diviso, rischia di essere trascinato in un campo in cui l’egoismo che ci prende sempre di più si codifica in scelte politiche nette. Scelte che alimentano quel desiderio di separatezza di una parte del territorio da tutto il resto del Paese. Un desiderio, questo, che ha un’origine lontana. In quel tempo in cui si pensava a una diversa articolazione dello Stato, di fatto divisiva e separatista, mascherata da decentramento e partecipazione dal basso, quando invece altro non era che il tentativo di fare dell’Italia, nazione grande e prestigiosa, tante piccole italie, lontanissime dalla più grande e potente che si sarebbe agganciata all’Europa. Quel tentativo, di cui non è responsabile solo una parte della rappresentanza parlamentare, si confuse in modifiche costituzionali rabberciate, i cui danni si vedono a occhio nudo ancora adesso. Oggi quella cultura della divisione, quel sentimento di egoismo che si è progressivamente trasformato in una sorta di indifferenza collettiva nei confronti della sorte dell’altro, sta prendendo sempre più la forma di un’altra legge possente. Di un altro colpo, cioè, all’impalcatura democratica dello Stato fondato sulla partecipazione di tutti (territori e cittadini e istituzioni e culture, nessuno escluso) alla costruzione della ricchezza del Paese.
Lo chiamano in più modi, questo disegno di legge, che, varato dal Governo, ha già fatto un gran pezzo di strada parlamentare. Lo chiamano in tanti modi, ripeto, alcuni leggeri ed eleganti, per indorare la pillola sbagliata da ricetta ancora più sbagliata. La più nota denominazione é “Autonomia differenziata”. Ecco l’eleganza delle parole. Sono due sole. Prese autonomamente procurano una sensazione più piacevole di quella che pure si prova se lette insieme. Autonomia. Che bella questa parola! Cosa c’è in un qualsiasi consorzio umano di meglio che avere garantita l’autonomia. Autonomia si coniuga con libertà. È magnifico essere autonomi, magnifico essere liberi. Poter decidere del proprio futuro e della propria vita attraverso il pieno utilizzo dei propri mezzi è il sogno di tutti. Qui si potrebbe innestare un principio anch’esso affascinante, di chiara marca liberista o come meglio dir si voglia: a ciascuno secondo le proprie capacità. Fin qui potremmo essere quasi felici, se non intervenisse la fatica dell’essere autonomo e il rischio che la libertà applicata in quel contesto possa procurare voglia di fare senza gli altri. Ovvero, di non vedere altro interesse che il proprio. Del territorio e di quanti all’interno di esso vivono, specialmente. Forte crescerebbe qui il desiderio di costruire tutt’intorno a quella autonomia confini più rigidi e invalicabili.
L’altra parola, egualmente bella e affascinante, è “differenziata”. Essere differenti, cioè sé stessi diversi dagli altri per legge determinati, è interessante. Fare cose differenti, agire in maniera differente in un’area differenziata, è atto straordinario, che solletica vanità e senso di superiorità. Voglia di far da soli e per sé stessi e con le proprie risorse, senza, soprattutto, dover dar conto agli altri e fare i conti con gli altri, non è vantaggio da buttare, direbbero gli interessati se già non l’hanno pensato.
Dicono i sostenitori della nuova legge in itinere che è tutto previsto dalla Carta costituzionale, che da tempo attenderebbe che venisse attuata in quel principio più largamente affermato nelle cinque regioni autonome. Ed è forse davvero così. Costoro, però, dimenticano, che la Costituzione, prima, durante e dopo, quell’articolo narra dell’eguaglianza autentica fra tutti cittadini e prescrive che sia lo Stato a garantire l’effettiva parità, secondo modi e criteri che non sto qui a elencare. In tanti ancora dimenticano che la bellezza della nostra Costituzione è nella inscindibile unità tra autonomie e solidarietà, tra libertà individuale e azione sociale, tra ricchezza individuale e ricchezza complessiva, tra singoli territori e unità territoriale. Tra regioni e nazione. Tra comuni e Stato, tra pluralismo e compattezza. Dimenticano che al centro di ogni divenire sociale c’è la persona, non l’individuo singolo privo di tutto quel corredo umano che fa l’uomo l’essere speciale che è.
L’autonomia differenziata, per quanto la si voglia edulcorare con nuovi innesti terminologici che la gente non comprende, rompe questo concetto di unità, lacera il senso di solidarietà che è proprio della nostra gente, divide il Paese, accresce la povertà già troppo estesa ed estrema per milioni di italiani. Infine, cancella d’un colpo quel bagaglio ricchissimo di conquiste democratiche realizzato dalle lotte popolari dal Risorgimento a oggi. Abbiamo di recente visto che da soli non si va da nessuna parte, che anche le zone ricche subiscono il rischio di diventare povere e di incontrare la sofferenza e il dolore. Il terribile terremoto e la devastante alluvione che in due ravvicinate “sventure” ha subito la nobile e fiera Emilia Romagna, hanno visto ancora una volta la straordinaria grandezza del popolo italiano. La solidarietà è partita subito. Specialmente dal Sud il cuore della generosità è volato su quelle terre così duramente colpite. Nessuno ha fatto i conti della spesa. Qui al Sud si è pregato e tifato, e si è gioito quando il Governo ha elargito somme considerevoli, che anche qui sono considerate insufficienti per far tempestivamente rinascere quella parte della nostra Italia. Il territorio è la prima ricchezza che hanno i poveri, indebolirglielo è colpa grave, non solo politica. Le ferite ai territori, in qualsiasi modo inferte, sono ferite sulle carni già aperte dei poveri. Sfugge ai responsabili della cosa pubblica il significato della parola “gente”, della parola “popolo”. Della parola “comunità”. Essa ha valore se si comprende che gente, popolo, comunità è la Persona, con tutto il suo carico di diritti inalienabili.
Sono un prete, soltanto un prete, che ha toccato e tocca ogni giorno la sofferenza. Della persona che lotta e non vince mai. Che si affatica e non si riposa un minuto. Che sta sempre in fondo alla fila che non scorre mai. Che vorrebbe avere fiducia e non trova ascolto. Che vorrebbe parlare e non la si lascia esprimere. Il Santo Padre, che si batte strenuamente per difendere le persone da ogni guerra che si muove loro contro (quella della fame è la guerra che un miserabile mondo opulento e obeso muove prima di quelle guerreggiate), ci esorta a non abbandonare quella che si manifesta sempre di più come la più grande delle azioni umane, la solidarietà verso gli ultimi. La difesa della vita umana e della tutela della sua piena dignità. Dinanzi alle enormi sofferenze di famiglie intere che non riescono a fronteggiare il più piccolo dei bisogni nessuno osi tirarsi indietro. La Chiesa non può e non lo farà. Il prete non può e non lo farà. E non tema alcuno di essere accusato di politicismo: la Chiesa prende parte, sì, quella dei poveri, dei bisognosi. Si fa parte essa stessa degli ultimi e non perché li carezzi mentre li si vorrebbe ultimi ma per dar loro la forza di riscattarsi dalla povertà e dall’arretratezza. Oggi questo sostegno deve andare anche ai territori, affinché non siano lasciati soli. A quelli del Sud perché in essi splenda pienamente il sole. Il sole incontro al quale devono correre i nostri ragazzi, per costruire insieme la felicità. Di tutti.
Ho scritto questa riflessione di getto, lasciando parlare solo il mio cuore. Di prete e di uomo. L’ho fatto trovandomi sulla scrivania, l’uno accanto all’altro, così casualmente, il Vangelo e la Costituzione. Tenendo ben divisi questi due “libri”, trovo felicemente che la Parola e quelle parole stanno proprio bene insieme. Questa sensazione in me è bellissima. La dirò domattina ai miei amici più piccoli, che si chiamino Ciro, Concetta, Carmela, Gennaro, o altri nomi che ho conosciuto attraverso i loro volti bellissimi, affinché provino gioia e desiderio di camminare con questi valori e questi princìpi. Ma non da soli, però. Da soli no. Con gli altri. Sempre più numerosi. Perché la Bellezza vince sempre. E l’Amore pure.
Arcivescovo di Napoli
*Questo testo è pubblicato in contemporanea da Avvenire e www.chiesadinapoli.it. Una sintesi sull’edizione di Avvenire del 16 luglio.
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Oggi sabato 29 luglio 2023
Regionali. Il PD non è legittimato a formare e guidare la coalizione contro le destre
29 Luglio 2023
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Si parla molto di tavoli, il più importante senbra quello che fa capo al PD e al M5S, ma il PD, fingendo apertura, pretende di decidere. La ragione è semplice, è il primo partito della coalizione. E dunque il metro è che chi ha più voti incide di più nelle decisioni. Come nelle società […]
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Se son rose fioriranno. Qualcuna è già fiorita!
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di Franco Meloni
Il dibattito politico sulle prossime elezioni sarde è in rapida crescita. Per quanto riguarda il centro destra tutto sembra ruotare sulla contrastata ricandidatura di Christian Solinas, che solo la Lega e la parte maggioritaria del PSdAz propongono. La destra rampante di Fratelli d’Italia e quella moderata di Forza Italia più cespugli vari vogliono un cambio di cavallo. E a parere di molti credibili osservatori ci riusciranno. E anch’io così penso. Basterà trovare un beatiful exit per l’ingombrate Christian: per lui si aprirebbe un dorato pensionamento al Parlamento europeo. La destra vincente punterebbe su un candidato di prestigio come l’attuale leader della Coldiretti Sardegna Luca Saba. Scelta intelligente che riunirebbe in una sola coalizione il centro destra. Sulla sponda opposta il centro sinistra stenta a trovare l’unità, nonostante una sola lista avrebbe ragionevoli previsioni di vittoria. Ma, si sa, come per primo disse il prof. Luigi Gessa: “il più grande avversario della sinistra è la stessa sinistra”.
Purtroppo le diverse formazioni della sinistra rischiano ancora una volta di perdere, perché incapaci di costruire un’alleanza intorno a un solo candidato presidente, con diverse liste che garantirebbero la diversità di posizioni. Viaggiano nell’ipotesi di una sola coalizione il Pd, il M5S, i Progressisti, Possibile, e altre importanti aggregazioni, tra le quali Demos con Insieme, queste ultime due rappresentanti un’area di Cattolici democratici, che in questa fase tentano, con qualche successo, di riportare molti Cattolici (o comunque persone che si ispirano ai valori cristiani) all’impegno politico. Significativo al riguardo un esplicito gradimento della conferenza dei vescovi italiani (CEI), che non manca di richiamare la entusiasmante stagione del grande compromesso costituzionale del dopoguerra. Il Vangelo e la Costituzione (Vangelo laico), sono i due fondamentali riferimenti; ma come non vedervi l’incitamento esplicito in dimensioni planetarie di Papa Francesco? Nel nostro piccolo, questa posizione è maggioritaria nell’ambito del Movimento Patto per la Sardegna, che si muove vivacemente nel nostro ambiente.
Ma torniamo al centro sinistra e dintorni. In direzione contraria alla grande coalizione si muovono, allo stato, l’arcipelago degli indipendentisti e, separatamente, la sinistra tout court. Sembrerebbe prevalere per ciascuna di queste aggregazioni la scelta di liste separate. Scelta sciagurata, soprattutto in caso di presentazione di coalizioni (anziché di liste singole), inesorabilmente punite dall’attuale pessima legge elettorale sarda. In sostanza: si può vincere e conquistare il governo della Regione solo con la presentazione di un’unica lista con un solo candidato presidente. Semplice a spiegarsi, duro a capirsi nonostante l’esperienza delle ultime tornate elettorali. Da segnalare l’incognita del neo movimento di “Sardegna chiama Sardegna”, che ha costruito un bellissimo programma per la Sardegna, ma che stenta a concretizzare la scelta sulla presentazione, attualmente affascinata da uno “splendido isolamento”. Noi di Aladinews siamo schierati senza alcuna reticenza per l’unica lista di coalizione del centro sinistra, guidata da un candidato (meglio da una candidata) scelta attraverso il meccanismo delle primarie. Si discuta apertamente senza preclusioni, badando al possibile e auspicabile risultato vittorioso. Il programma va costruito sulle bozze esistenti, trovando l’unità su una serie di punti, rispettando le diversità che devono essere esplicitate. Avanti nell’interesse dei sardi e dell’intera Sardegna!
Oggi 28 luglio 2023 venerdì
Sud e Nord, la Costituzione vangelo di una fede laica
28 Luglio 2023 su Democraziaoggi.
CARO DON BATTAGLIA, un passaggio ci è molto piaciuto nella sua riflessione. Laddove racconta che ha scritto avendo per caso davanti uno accanto all’altro il Vangelo e la Costituzione, le cui parole “stanno bene insieme”. Non potrebbe essere diversamente. Cos’è infine la Costituzione se non il vangelo di una fede laica?
Massimo Villone – Il Manifesto
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Che succede in Spagna e in Europa?
Le elezioni generali spagnole lasciano grandi incertezze sul futuro governo del paese.
SPIEGONE:
Il Partido Popular, partito di destra, vince le elezioni come previsto, in termini di seggi (136, 47 in più del 2019) e voti (33,05%), tuttavia la somma dei suoi seggi con quelli del suo partner politico di estrema destra Vox (33, 19 in meno che nel 2019) non gli permettono di formare un governo (occorrono 176 deputati per raggiungere la maggioranza). La loro campagna ed identità si basa su una visione unitaria e uniforme della Spagna, in pieno scontro con le forze indipendentiste e con un paese plurale: difficilmente raccoglieranno altri voti per formare una maggioranza (tranne quello dell’UPN, presumibilmente).
Il PSOE, partito socialista, raggiunge il 31,70% (122 deputati, 2 in più del 2019) e Sumar, nuova formazione che ri-organizza la sinistra il 12,31% (31 deputati). Lo fanno con una rimonta che sarebbe stata impensabile dopo le elezioni comunali e regionali di fine maggio: il PSOE cresce, Sanchez si afferma comunicativamente come il leader del centro-sinistra europea del decennio, e Sumar rinasce dalle ceneri di Podemos (per nulla scontato) con una proposta genuinamente plurale e di sinistra.
I partiti indipendentisti ed autonomisti si confermano in País Vasco (Euskal Herria) ma riducono notevolmente la loro rappresentanza in Catalunya e ottengono pochi seggi nel resto delle Comunità (come in Asturias). Hanno sicuramente pagato la polarizzazione, il forte richiamo al voto utile (per fermare il franquismo) ed una ridotta capacità di differenziazione.
I deputati di PSOE, Sumar e le altre forze regionaliste progressiste/di sinistra (anche con appoggio esterno) potrebbero ottenere i numeri per formare un governo ma solo con l’astensione di JxCAT (destra catalana indipendentista): non impossibile ma poco probabile e, in ogni caso, sarebbe un governo altamente precario.
Oggi giovedì 27 luglio 2023
Vincere la pace
27 Luglio 2023
Alfonso Gianni su Democraziaoggi.
Parafrasando un detto tratto dal mondo dello spettacolo possiamo purtroppo dire che “the war goes on”, la guerra continua con il suo carico crescente di morti, di distruzioni, di barbarie rendendo il pericolo di una guerra nucleare generalizzata sempre più prossimo. Le lancette del Doomsday Clock – l’orologio della apocalisse, l’orologio virtuale nato da una iniziativa […]
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La Regione e i dirigenti: non siete amministratori, siete comuni impudenti
Posted on 27 Luglio 2023 By Paolo Maninchedda
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Toni volgari, gratuiti ed offensivi contro un autentico testimone antimafia.
Dopo il volgare, gratuito ed offensivo attacco di Matteo Salvini a don Luigi Ciotti, don Giovanni Ricchiuti presidente di Pax Christi scrive, anche a nome del Consiglio nazionale e di tutto il movimento, una lettera di solidarietà a don Luigi, instancabile testimone antimafia:
Il presidente di Pax Christi scrive a don Ciotti…
https://www.paxchristi.it/?p=23169.
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Oggi mercoledì 26 luglio 2023
Un confronto di massa sui programmi per formare schieramenti, liste e decidere sul nome del presidente
26 Luglio 2023
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Il Tavolo della sinistra, iniziato lunedì a Cagliari, si concluderà probabilmente, nella sua prima parte, lunedì prossimo. Tuttavia dall’intervento di ieri di Enrico Lai, segr. reg. PRC su questo blog, si comprende che l’orientamento di questo schieramento è indirizzato verso la presentazione di una lista autonoma, scartando l’idea di un accordo anche solo tecnico […]
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Gustare il silenzio
La Repubblica – 24 Luglio 2023
di Enzo Bianchi sul suo blog.
Abbiamo già sottolineato altre volte come le vacanze che in questi giorni molti vivono potrebbero essere una grazia, una buona occasione, per “dare tempo al tempo”, per “fare niente” e, preciserei, anche per praticare il silenzio.
Oggi martedì 25 luglio 2023
ANPI. Oggi a Giorgino Pastasciutta antifascista
25 Luglio 2023 su Democraziaoggi
Oggi, su iniziativa dell’ANPI Cagliari, a Giorgino si mangia la Pastasciutta antifascista dopo le 20,30 in ricordo di quanto si fece in Casa Cervi nel 1943.
L’origine della Pastasciutta Antifascista
Il 25 luglio del 1943, a seguito della riunione del Gran Consiglio del Fascismo, Mussolini viene destituito e arrestato. Dopo 21 anni terminava il governo […]
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Che succede in Spagna e in Europa
Costituente Terra Newsletter n. 127 del 24 luglio 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n. 308 del 24 luglio 2023
Newsletter n.308 del 24 luglio 2023
LA DESTRA NON SFONDA
Cari amici,
Si potrà dire quello che si vuole sui risultati delle elezioni politiche in Spagna, cercando di dipanare l’intricata matassa della geografia politica spagnola, ma una cosa è certa, che la destra non ha sfondato, e non ha sfondato perché la destra non ha futuro; sua non è la pace, né essa ha per sua patria la Terra che geme, e se ha una dignità, non rispetta la dignità delle persone, a cominciare dai migranti, dagli stranieri, dai nemici, dai “diversi”.
Si sono offesi perché Patrik Zaki uscito dal carcere egiziano dove era ingiustamente detenuto, ha preso un aereo di linea per tornare in Italia invece dell’aereo di Stato, ma la vera notizia è un’altra: mentre l’Europa, a cominciare da Ursula von der Leyen, tresca con la Tunisia, per ottenere che non faccia passare i migranti in cambio di soldi, la tragedia dei disperati che sprofondano nel mare di sabbia del Sahara prima di poter raggiungere il mare per un altro naufragio, ha la sua foto-choc, come la chiama l’”Avvenire”. Ha fatto il giro del mondo infatti l’immagine simbolo del dramma che stanno vivendo i migranti subsahariani cacciati dalla Tunisia e deportati nel deserto, al confine con la Libia: la foto di una donna trovata con la faccia in giù sulla sabbia ardente insieme alla sua bambina, entrambe morte di caldo e di sete nel vano cammino verso un altro futuro: “Abbraccia la bimba, sua figlia, scrive l’Avvenire: un ultimo gesto di protezione, forse per ripararla dal sole a picco, dal caldo o per consolarla. Hanno fame e sete, non hanno nulla. La foto riflette e testimonia l’orrore delle violenze e delle deportazioni che stanno subendo i migranti subsahariani, gli africani con la pelle nera, in Tunisia. Rintracciati per strada, caricati sui pullman e abbandonati nel deserto al confine con la Libia. Qui, senza acqua né cibo, sono in pochi a sopravvivere e a essere messi in salvo da chi li trova, sfiniti”. È una prova di quanto già scriveva Franco Valenti nell’articolo pubblicato nel nostro sito, “La Meloni a Tunisi, Farli morire non solo in mare ma nel deserto”.
Ha parlato di loro papa Francesco nell’ “Angelus” di domenica scorsa, proprio mentre a Roma si teneva una conferenza sui migranti (e una controconferenza promossa dalle ONG) : “Desidero attirare l’attenzione sul dramma che continua a consumarsi per i migranti nella parte settentrionale dell’Africa. Migliaia di essi, tra indicibili sofferenze, da settimane sono intrappolati e abbandonati in aree desertiche. Rivolgo il mio appello, in particolare ai capi di Stato e di Governo europei e africani, affinché si presti urgente soccorso e assistenza a questi fratelli e sorelle. Il Mediterraneo non sia mai più teatro di morte e di disumanità. Il Signore illumini le menti e i cuori di tutti, suscitando sentimenti di fraternità, solidarietà e accoglienza”.
C’è un precedente di questo appello: come ha raccontato venerdì scorso l’Avvenire il Papa ha voluto ricevere Bentolo, un giovane camerunense che era stato catturato dai trafficanti in Libia e venduto ai guardiani di Stato che lo avevano portato in diversi luoghi di detenzione. Da uno di questi egli era riuscito a contattare con un telefonino don Mattia Ferrari, il giovane sacerdote modenese che opera con la organizzazione umanitaria Mediterranea Saving Humans, così che si venne a sapere di molti migranti che dopo maltrattamenti, abusi, torture, erano in fin di vita. Poi di lui si persero le tracce, quando un giorno la nave di soccorso dell’organizzazione umanitaria tedesca Sea Watch salvò nel Mediterraneo decine di profughi caduti in acqua da un barcone, tra cui c’era proprio Bentolo. Quando papa Francesco ha saputo del suo arrivo in Italia ha chiesto di poterlo incontrare, ciò che è avvenuto a Santa Marta con una delegazione di Mediterranea tra cui lo stesso don Ferrari; il papa ha rivolto molte domande a Bentolo e chiesto ai presenti quali notizie giungessero dalle coste maghrebine. Nel corso del colloquio il Papa ha parlato della situazione dei migranti spinti e abbandonati nel deserto tra Tunisia e Libia mentre gli sono state fatte vedere alcune immagini eloquenti delle violenze in atto. Nel fare un resoconto di questo incontro, don Mattia Ferrari ha poi scritto domenica : «Quello che sta avvenendo è gravissimo. Le milizie tunisine stanno catturando i migranti subsahariani e li stanno deportando nelle zone desertiche, dove stanno morendo di sete. Alcune persone sono intrappolate lì da quasi due settimane. Nei contatti che si riescono ad avere con loro dicono: “Stiamo morendo uno alla volta, aiutateci”. In un audio una giovane donna supplica tutti: “Aiutateci, non ci abbandonate qui”. In sottofondo si sentono bambini che piangono. Tutto questo avviene mentre l’Italia e l’Europa siglano l’accordo con la Tunisia con cui l’Europa le dà soldi in cambio del blocco dei migranti. Oggi il presidente tunisino Saied è a Roma alla Conferenza promossa dal governo italiano per la gestione dei flussi. Insomma, l’Italia e l’Europa anziché chiedere alla Tunisia di smettere di intrappolare i migranti nel deserto e di farli morire di sete le danno soldi perché continui a farlo. Tutto questo è di gravità inaudita e se non ci opponiamo non saremo più umani e nemmeno cristiani».
Con i più cordiali saluti,
Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri
Costituente Terra