Monthly Archives: marzo 2023

Commenti Opinioni Riflessioni Eventi

Presidente Giorgia Meloni, Gerusalemme non può essere la capitale di Israele
10-03-2023 – di Francesca Albanese su Volerelaluna.
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Autonomia differenziata: Solinas, Pais e Cossa calano le braghe e remano contro la Sardegna
11 Marzo 2023
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Gliela dareste a costui la gestione di un chioschetto? Presiede una commissione consiliare regionale e non conosce neanche il valore di una disposizione costituzionale rispetto alla legislazione ordinaria. Non sa cosa sono e che effetto dispiegano nell’ordinamento i principi costituzionali. Sentite cosa dice.[…]
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oggi venerdì 10 marzo 2023

Pessimismo cosmico? 60631162_2307495199296028_7207959857272455168_n
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Commenti Opinioni Riflessioni Eventi

sbilanciamoci-20È il momento di un’imposta sui grandi patrimoni
di Paolo Andruccioli
Sbilanciamoci 6 Marzo 2023 | Sezione: Apertura, Economia e finanza
Intervista a Giuseppe Pisauro, già ordinario di scienza delle finanze e primo presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, sulla necessità di tassazione dei grandi patrimoni e le riforme fiscali da fare in Italia.
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Soddu: “Col ddl Calderoli a rischio i diritti fondamentali dei sardi, serve mobilitazione”
23 FEBBRAIO 2023 su SardiniaPost
di Alessandra Carta
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Giorgia Meloni si vanta della retromarcia sulle auto elettriche e abbraccia il fossile
10 Marzo 2023
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
Giorgia Meloni ha rivendicato come un successo italiano avere ottenuto il blocco delle decisioni Europee in materia di costruzione di nuove auto con motori che usano carburanti fossili non oltre il 2035, agendo di conserva con la Polonia, con cui è in pieno sviluppo un asse politico, di impianto nettamente conservatore. In realtà non c’è nulla di cui vantarsi, […]
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Rifare il Pd? Leggere Francesco aiuta a capire come
9 Marzo 2023 Riccardo Cristiano su Articolo 21.
L’elezione di Elly Schlein alla guida del Pd ha avuto il merito di riaprire una discussione politica. Ma dove? Il mio problema comincia qui, nella definizione del luogo dove ciò è accaduto. Di solito si dice “nella sinistra”. Ma la sinistra non esiste. Esistono le sinistre. Ed esistono ambienti politici ad esse, o a parte di esse, collegati.
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dd201334-a0a4-4ed9-9086-29b8b5c55e2775 anni dello Statuto sardo: Aladinpensiero online se ne è occupato spesso. Ecco un’occasione recente: https://www.aladinpensiero.it/?p=121337 .
Eccone un’altra: https://www.aladinpensiero.it/?p=74999
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Costituente Terra

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Costituente Terra Newsletter n. 107 del 9 marzo 2023

COME CI SIAMO GIUNTI

Carissimi,
siamo entrati nel secondo anno di guerra, e ancora non si intravede alcuna soluzione. Mentre si riforniscono le retrovie di armi di ogni tipo e si ammassano le truppe, resta il rischio di un’escalation incontrollata in fondo alla quale c’è l’olocausto nucleare.
Come siamo giunti a tutto questo, com’è stato possibile che i sogni dell’89 si siano rovesciati nell’incubo che stiamo vivendo? In quell’epoca con la caduta del muro di Berlino il treno della Storia era stato messo su un binario che correva verso un avvenire luminoso. Purtroppo quell’avvenire promesso è tramontato nell’arco di una generazione.
Ciò è stato il frutto di scelte precise degli architetti dell’ordine mondiale. All’inizio degli anni 90 l’Unione sovietica ha restituito l’autodeterminazione ai popoli dell’est europeo, la Germania si è riunificata, il Patto di Varsavia è stato disciolto, gli euromissili sono stati smantellati, mentre vengono firmati storici accordi sul disarmo. Questo clima di pacificazione doveva durare ben poco. Verrà interrotto dalla guerra del Golfo nel 1991, prima prova muscolare dell’impero sopravvissuto alla guerra fredda. Ma le vere scelte che cambiano il clima geopolitico vengono effettuate nel corso del 1997 dall’amministrazione Clinton che, stracciando gli impegni assunti con Gorbaciov, decide di estendere la NATO ad est, cominciando ad inglobare Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Si tratta della scelta politicamente più impegnativa che sia stata fatta dall’Amministrazione USA, dopo quella del contenimento dell’URSS, che ha dato origine alla prima guerra fredda. Contro questa scelta insorsero proprio coloro che la guerra fredda l’avevano teorizzata e praticata. In un articolo sul New York Times del 7 febbraio 1997 il diplomatico americano George Kennan, uno dei teorici della guerra fredda, lanciò un grido d’allarme, osservando:
“La decisione di espandere la NATO sarebbe il più grave errore dell’epoca del dopo guerra fredda. Una simile decisione avrebbe l’effetto di infiammare le tendenze nazionalistiche antioccidentali e militariste nell’opinione pubblica russa, pregiudicherebbe lo sviluppo della democrazia in Russia, restaurerebbe l’atmosfera della guerra fredda nelle relazioni est ovest, spingerebbe la politica estera russa in direzioni a noi decisamente non favorevoli.”
Clinton non ascoltò le proteste dei protagonisti della guerra fredda, fra cui lo stesso Henry Kissinger e andò avanti nel suo progetto. Nel summit che si svolse a Madrid l’8 e il 9 luglio 1997, la NATO assunse la decisione di estendersi ad est, cominciando ad includere Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, che furono formalmente ammesse nel 1999.
Della gravità e dell’importanza geostrategica di questa scelta, nessuna forza politica si rese conto e nessuno si oppose. In verità il grido d’allarme sollevato da George Kennan fu raccolto in Italia, in un isolato articolo pubblicato dal Manifesto il 24 giugno 1998 (D. Gallo, M. Dinucci, La nuova cortina di ferro). L’articolo sottolineava che dall’allargamento ad est della NATO derivava il rischio di un’altra guerra fredda ed osservava: “E’ una decisione la cui portata è paragonabile, nella mutata situazione internazionale, a quella degli accordi di Yalta.”. (..) nessuno può dire quali saranno in futuro le reazioni ed eventuali contromisure della Russia di fronte all’espansione della Nato verso i suoi confini. Sul piano geopolitico, è di tutta evidenza che il fatto di far avanzare le basi della Nato, portandole ai confini della Russia, costituisce oggettivamente un incremento della minaccia in senso tecnico-militare. Anche della minaccia nucleare.” In conclusione sii osservava: “Si pongono in questo modo le premesse per riesumare il fantasma della guerra fredda, fondata questa volta non più sulla competizione politico-ideologica fra i due blocchi, ma su un confronto meramente nazionalistico, come tale meno razionale e più imprevedibile. Cresce, pertanto, la possibilità che la marcia ad Est della Nato crei un nuovo fronte di tensione tra Est e Ovest in cui l’Europa si troverebbe ancora una volta coinvolta. Insomma, di nuovo un fantasma si aggira per l’Europa.”
All’epoca non si poteva prevedere la guerra che sarebbe scoppiata 24 anni dopo, però non era difficile comprendere che la nuova guerra fredda che si stava impiantando sarebbe stata molto più pericolosa della prima perché avrebbe attizzato derive nazionalistiche molto più irrazionali del confronto ideologico che animava, ma frenava anche, la prima guerra fredda.
Il passo successivo è stato quello di cambiare la missione della NATO, che ha “superato” la sua natura di patto difensivo e si è trasformata in uno strumento militare del tutto svincolato dal rispetto della Carta dell’ONU. Questa nuova missione è stata sperimentata con l’aggressione alla Jugoslavia: settantotto giorni di bombardamenti ininterrotti, volti a smembrare l’integrità territoriale della Jugoslavia con la separazione del Kosovo. Nel summit per il cinquantenario della NATO a Washington il 23 e 24 aprile 1999, la NATO legittimava questo suo nuovo volto, dichiarandosi competente a compiere operazioni militari al di fuori dell’art. 5 del Patto Atlantico, cioè si riappropriava del diritto di guerra. Nel disinteresse generale è proseguita l’espansione della NATO ad est, che ha inglobato anche quelle Repubbliche che una volta facevano parte dell’Unione Sovietica (Estonia, Lettonia e Lituania). Con il vertice di Bucarest del 2 aprile 2008, la NATO ha lanciato un ulteriore guanto di sfida alla Russia, dichiarando la disponibilità ad inglobare anche Ucraina e Georgia. Dopo un lavoro di ri-costruzione del nemico durato oltre venti anni, alla fine il nemico si è materializzato e la parola è passata alle armi.
In realtà, con la scelta che gli USA hanno imposto alla NATO nel luglio del 1997, il treno della Storia è stato deviato su un altro binario, ed alla fine è arrivato il 24 febbraio del 2022, data che simbolicamente rappresenta l’evento opposto e contrario a quello del 9 novembre 1989.
Per uscire da questo disastro bisogna cambiare il capotreno e riportare il treno della Storia sul binario che stava percorrendo nel 1990.
Nel sito pubblichiamo un articolo di Raniero La Valle per un’autocritica dopo un anno di guerra [ripreso anche da Aladinpensiero], un altro di Boaventura de Sousa Santos sull’Occidente visto dai Paesi del Sud, e un articolo di Roberto Pizarro Hofer sul ritorno del protezionismo.
Cordiali Saluti,

www.costituenteterra.it (Domenico Gallo)

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UN MONDO DI LEVIATANI TUTTI IN LOTTA TRA LORO
9 MARZO 2023 / COSTITUENTE TERRA / DISIMPARARE L’ARTE DELLA GUERRA /
È stato il peccato dell’Occidente quello di pensare il mondo uniforme e a sua misura. L’obiettivo non è un unico diritto, ma un costituzionalismo che riconosca e accolga la mirabile varietà delle culture e delle storie

di Raniero La Valle

C’è la guerra e nessuno in Occidente ha mai fatto un’autocritica. Noi, che tre anni fa abbiamo dato vita all’iniziativa di “Costituente Terra”, amiamo tanto l’unità del mondo e la sua pace da aver compiuto l’azzardo ermeneutico di pensare che la Terra potesse darsi un’unica Costituzione e conformarsi a un unico diritto, quando per contro va riconosciuta e accolta la mirabile varietà delle culture e delle storie, fatti salvi i diritti e le garanzie universali umane. È stato questo invece il peccato dell’Occidente di pensare il mondo a sua misura. E ci troviamo ora invece con un mondo dilaniato tra Leviatani in lotta tra loro, questi “Dii mortali”che inseguono pensieri di distruzione e di vittoria.

Oggi, dopo un anno di guerra, a 9 anni dal tranello degli accordi di Minsk (secondo la Merkel), a 5 mesi dal sabotaggio americano del gasdotto russo-europeo del Baltico (secondo il Premio Pulitzer Seymour Hersh e una previsione dello stesso Biden), “Costituente Terra” prende e mantiene il lutto per la “fine della pace”, come subito la chiamò “Limes”, anche se le pace dagli albori della civiltà fino ad ora non c’è mai stata e ha sempre ceduto il posto alla guerra, mentre la guerra torna ora in gran forma a farsi accreditare in nome della ragione e del diritto, da cui dopo la “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII era stata espulsa per sempre.

Prendiamo il lutto per una guerra tornata ad essere mondiale, ma anche per un’informazione che la mistifica, dopo che l’ultima guerra era finita con decine di milioni di morti, a cominciare dai sovietici, centinaia di migliaia di giapponesi arsi vivi dalle atomiche, e una fanciulla ebrea, Liliana Segre, rimasta in vita per poterci ancora dire che dopo la guerra resta l’amore.

Prendiamo il lutto per l’umanità dismessa, l’informazione omologata, e la pietà perduta, fino al punto che al terremoto in Siria non si può dare soccorso per le sanzioni atlantiche ed europee che le sono inflitte.

Occorre peraltro ricordare che pur nella varietà dei giudizi è stata unanime la condanna della sciagurata risposta aggressiva di Putin a una minaccia sia pure percepita come mortale e finale; ma inaccettabile è stata altresì l’intenzione, fin dall’inizio dichiarata da Biden, di bandire la Russia dalla comunità delle nazioni, infliggendole una sconfitta senza precedenti e sanzioni genocide, convogliando da tutto il mondo dollari e armi contro di essa, per ridurla a “paria”, che nel sistema indiano delle caste significa gettare un popolo fuori della condizione umana e della storia.

E ora ci viene annunciata in documenti ufficiali del 12 e del 27 ottobre scorsi di Biden e del capo del Pentagono Lloyd Austin sulle strategie di “sicurezza” e “difesa” degli Stati Uniti, una “sfida culminante” con la Cina per decidere nel prossimo decennio il futuro del mondo; e ciò attraverso una “competizione strategica” con o senza conflitti armati in cui l’America peraltro è sicura di “prevalere”, la cui posta in gioco è lo stabilimento di un unico imperio e di una stessa società per tutto il mondo. Ma noi pensiamo che nemmeno la Cina si possa gettare fuori della storia, e che anzi le Nazioni della Terra dovrebbero accorrere al suo capezzale dopo che essa è stata stremata da un’epidemia devastante che si è abbattuta su di lei dopo essere uscita da una povertà che nel 1978 ancora gravava su 770 milioni di contadini, con un tasso di povertà del 97.5 per cento sulla popolazione totale (notizie ufficiali date in un libro di Zhang Yonge, “La Cina e lo sforzo propositivo per un XXI secolo dei diritti”, fatto distribuire dall’ambasciatore cinese in Italia). La Cina era tuttavia giunta oggi ad assicurare cibo e sussistenza a una popolazione di oltre 1,3 miliardi di persone, e non merita ora che il mondo invece di contribuire a soccorrerla, ne aspetti l’annichilimento allo scopo di non averla più come concorrente nel mercato mondiale.

Dunque tuttt’altro che una guerra e un Impero ci sono da fare, Né questa è una guerra dell’Italia; essa non ha più guerre né nemici da vincere. E nemmeno se ne può uscire dicendo “negoziato, negoziato”, quando l’Ucraina, che ne ha bisogno più della vita, è l’unico Paese al mondo che ha proibito il negoziato per legge. Non è la nostra guerra, e nemmeno dovrebbe essere la guerra personale di Giorgia Meloni e dei suoi alleati riluttanti. Proprio perché sovrani non si ha licenza di uccidere, non di aggredire grandi e piccini, non di espellere dal mondo la Russia e di sgominare la Cina. Il bene di esistere è per tutti, se Giorgia Meloni fosse russa oggi starebbe sotto il castello di Varsavia a manifestare contro Biden per la sua patria e contro l’idea di ridurre il mondo a un’unica misura.

In una guerra come ci sono due nemici, ci sono sempre due verità. Chi è sicuro della sua? E si possono tacciare da “azzeccagarbugli” le opinioni dissenzienti? Abbiamo giudici che giudicano dei diritti, non abbiamo quaggiù giudici della verità. O vogliamo dire, come Hobbes, come fece Bush per legittimare dopo la guerra fredda il ripristino della guerra nel Golfo: “auctoritas, non veritas facit legem”? E allora, la democrazia? In che cosa differirebbe dalle “autocrazie”?

Il pensiero d’ordinanza non mi persuade. Io insisto a metterci il naso.

Raniero La Valle
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Oggi giovedì 9 marzo 2023

Vediamoci chiaro. 20230309

Archivio Editoriali

62219e6c-b9fb-40f4-a444-a4ecac13bf51EDITORIALI di Aladinpensiero online
Rocca: Europa: altro che radici cristiane. Domani: Anche in nome della civiltà, la guerra è una barbarie. Aggiornamento al 9 marzo 2023.
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Eventi Opinioni Commenti Riflessioni

La crisi della sanità in Sardegna supera le più pessimistiche previsioni
Francesco Carta su il manifesto sardo 4 Marzo 2023.
Esiste in Sardegna e in Italia un allarme per la crisi del Servizio Sanitario Nazionale. Tanti operatori sanitari, comitati di cittadini, Consigli comunali lanciano un SOS, per chiedere l’adozione di misure urgenti e programmatiche che permettano di dare risposte concrete all’emergenza del SSN [...]
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Breaking Italy dell’8 marzo 2023
Quindi chi è stato a danneggiare il Nord Stream 2?
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Perché l’Autonomia differenziata fa male al Sud e alla Sardegna
di Graziano Pintori su il manifesto sardo
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No all’autonomia differenziata, per l’estensione delle competenze delle regioni a statuto speciale
9 Marzo 2023
Fernando Codonesu su Democraziaoggi.
In numerose parti del paese il dibattito sul no all’autonomia differenziata codificata dal ministro Calderoli, e fatta propria dal governo Meloni qualche giorno prima delle elezioni nel Lazio e in Lombardia, si arricchisce sempre di più dalla costituzione di […]
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blog-enzo-bianchiLa difficoltà di restare credenti, oggi
di Simona Segoloni*
[segue]

mercoledì 8 marzo 2023

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8 marzo 2023

50ee1f07-1130-46ba-a88d-8f37e86af43eNon ci stanno chiedendo di capire tutto, di sentire ciò che sentono, di comprendere il peso di discriminazioni che noi possiamo identificare solo in parte. Sanno che non è possibile, nemmeno per i compagni più sensibili. Ci stanno invece chiedendo di allearci alla loro lotta, senza prevaricare, senza appropriarcene; o quantomeno di non ostacolarla. A volte significa agire, spesso fare un passo indietro.
Un mondo femminista sarà un mondo migliore per tutte e tutti, non sarà merito “nostro” ed è giusto così.
#8marzo #internationalwomensday
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Eventi Opinioni Commenti Riflessioni

Mercoledì 8 marzo 2023
8 Marzo Festa delle donne
8 Marzo 2023
SCIOPERIAMO OVUNQUE
Cagliari Ore 11 Piazza Yenne
Microfoni aperti – Contributi artistici – Musica e Convivialità
Ore 13 Piazzetta Maria Lai
Musica – Pranzo al sacco
Ore 16 – Piazza Garibaldi
Microfoni aperti – Contributi artistici
NONUNADIMENO CAGLIARI

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diocesi-8-03-23 Diocesi di Cagliari
Ufficio stampa
8 MARZO – CON LE DONNE IRANIANE E AFGHANE – PAROLE E MUSICA
[Conunicato stampa] Una serata di sensibilizzazione sui diritti e sulla situazione delle donne afghane e iraniane: è l’iniziativa promossa il prossimo 8 marzo, in occasione della Giornata internazionale della Donna, da “Umanità nuova” espressione sociale del Movimento dei focolari Sardegna, con la sua referente regionale Maria Bernadetta Aloi e la segreteria, nell’ambito della rete “Economy of Francesco”, che in quella stessa giornata propone una maratona di lettura in tutto il mondo.
eof-events-17-800x450 [dalle ore 10.00
Istituto Professionale Statale per i Servizi Sociali “Sandro Pertini” – con la collaborazione del Progetto Policoro della Diocesi di Cagliari
via Vesalio, Cagliari
] – La serata che si svolgerà al Lazzaretto di Cagliari, dalle 17 alle 19, vedrà il coinvolgimento di diverse associazioni attente ai diritti delle donne: tra esse, il Coordinamento 3 Donne di Sardegna, la Fidapa di Sestu e Cagliari, La Carovana, La Carovana SMI, Associazione Corno d’Africa, Anolf Sardegna e Donne al Traguardo.
- Dopo i saluti di apertura di Maria Bernadetta Aloi, è previsto l’intervento di presentazione della serata di Nicoletta Sciarrone, Umanità Nuova Sardegna, a cui seguirà la proiezione del video “Vita, Donna, Libertà (ottobre 2022)”; i lavori, coordinati da Carmína Conte, giornalista e presidente di Coordinamento3, proseguiranno con una serie di letture, intervallate da intermezzi musicali eseguiti dalle allieve del Conservatorio di Cagliari P.L. da Palestrina, Valentina Spada, Esmeralda Tola, Letizia Castronovo, in un ensemble di fiati, per sensibilizzare soprattutto le giovani generazioni sulla drammatica condizione di queste donne private dei loro diritti fondamentali, a iniziare da quello allo studio: storie di chi in questi Paesi vive una situazione di sofferenza e libertà negate, ma al tempo stesso trova il coraggio e la determinazione per cercare di reagire in modo non violento e costruire un futuro migliore.
A leggere saranno studentesse dei licei cittadini ed è prevista la testimonianza di donne Afghane, ospiti della Caritas Diocesana.
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Ricordate Doddore Meloni? Cospito rischia la stessa fine
8 Marzo 2023
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Ricordate Doddore Meloni? Il 6 luglio 2017 è morto dopo uno sciopero della fame. Personaggio di spicco dell’indipendentismo sardo, leader del movimento ‘Meris in domu nostra’ (Padroni in casa nostra) e Paris (Partidu indipendentista sardu), Meloni era stato arrestato il 28 aprile per cumulo di pene, era stato portato nel carcere di Oristano-Massama, e […]
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Non ci stanno chiedendo di capire tutto, di sentire ciò che sentono, di comprendere il peso di discriminazioni che noi possiamo identificare solo in parte. Sanno che non è possibile, nemmeno per i compagni più sensibili. Ci stanno invece chiedendo di allearci alla loro lotta, senza prevaricare, senza appropriarcene; o quantomeno di non ostacolarla. A volte significa agire, spesso fare un passo indietro.
Un mondo femminista sarà un mondo migliore per tutte e tutti, non sarà merito “nostro” ed è giusto così.
#8marzo #internationalwomensday
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oggi martedì 7 marzo 2023

Contribuenti 20230307

Eventi Commenti Riflessioni

Elly, una buona notizia e una no
7 Marzo 2023
A.P. su Democraziaoggi
La faccia sorridente di Schlein, insieme a Conte e Landini, alla manifestazione antifascista di Firenze è una bella novità. Certo non avremmo visto uno scatto così con il volto smorto di Letta jr. nè con quello più sveglio di Bonaccini, che al più si sarebbe posizionato altrove, a sottolineare la sua distinzione rispetto a Conte […]
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Rocca: Europa: altro che radici cristiane. Domani: Anche in nome della civiltà, la guerra è una barbarie

62219e6c-b9fb-40f4-a444-a4ecac13bf51Europa: altro che radici cristiane
di Mariano Borgognoni*

Vi ricordate? Una ventina di anni fa, fu istituita una commissione, presieduta da Giuliano Amato, per provare a definire una Costituzione europea. Si fece un gran parlare delle radici cristiane da scolpire alla base della nuova Carta. Alla fine non se ne fece nulla né delle radici, né della Costituzione. E meno male, se no l’ipocrisia avrebbe trionfato. Mi vado convincendo della necessità di una moratoria sull’uso delle grandi parole. Solo la muta pratica di buone virtù può ridarle un senso, oltre l’abuso linguistico. Come solo la pratica della giustizia può rendere autentica la preghiera. Rosari, presepi e crocefissi possono andare anche di traverso. Proprio in questi giorni abbiamo assistito all’ennesima tragedia del mare e alla successiva commedia fatta di dichiarazioni di buona volontà da parte dei vertici europei, insieme a quelle, per la verità più ignobili, del ministro degli interni italiano. Le storie di quei bambini, di quelle donne, di quei giovani uomini ci raccontano le ingiustizie del mondo: le guerre, i fondamentalismi, le depredazioni economiche, la schiavitù femminile, i bagordi di governi fantocci che succhiano il sangue dei popoli e dividono i profitti con i ricchi dei Paesi ricchi. E sempre più fortemente ci fanno avvertire l’assenza, o la marginalità, di forze e ideali che rendano praticabile un’alternativa all’economia che uccide, alla geopolitica cinica ed imperialistica, alla crescente anestesia della coscienza collettiva. Nulla si muove, di serio e concreto, rispetto  all’accoglienza di chi fugge da guerre e violazione dei diritti umani e  alle politiche migratorie, mentre si abbassa la guardia rispetto al dovere di salvare i disperati che attraversano il cimitero mediterraneo. Analogamente anche sulla guerra di aggressione russa in Ucraina, mentre la Nato assurge a vero e proprio soggetto politico, l’Europa non osa essere protagonista, neppure sul proprio territorio, di una realistica proposta di tregua e di una lungimirante politica di pace, che faccia avanzare l’idea di un mondo multipolare. Unico modo di coesistere pacificamente in una realtà internazionale profondamente cambiata. Molti interventi in questo numero di Rocca mettono a fuoco tali grandi questioni, schivando le quali, o strumentalizzandole, si fischietta o si soffia accanto ad un incendio che rischia di andare fuori controllo. E i cristiani? E le Chiese? Qualche tempo fa mi capitò tra le mani un bel testo di
Gerard Lohfink dal titolo: «Per chi vale il discorso della montagna?» Il teologo tedesco rispondeva: per tutti i cristiani, non per una specifica categoria di asceti o di martiri. Vedere ancora benedire le armi dal patriarca ortodosso Kirill ma anche da vescovi cattolici ucraini, ci pone plasticamente di fronte l’essiccarsi delle radici cristiane dell’Europa. Ma quale ut unum sint affinché il mondo creda! Anzi, al di là delle posizioni espresse da Papa Francesco, sembra di assistere nelle Chiese, anche in quella cattolica, ad un pernicioso rinculo nazionalista. Ma il cristianesimo è per vocazione e natura  «catholico», universale. Se perde questa connotazione si perde. Perde l’anima, che fa sì che in esso non ci sia né maschio né femmina, né ebreo né greco, né russo né ucraino come identità blindate e incomunicanti, ma sorelle e fratelli ricchi delle reciproche diversità, chiamati alla convivialità delle differenze. Ci sono momenti, e l’attuale è uno di quelli, nei quali ci si può sentire chiamati ad una maggiore fedeltà alla propria coscienza e alla propria fede. Dove possiamo incontrare Gesù? Non ci viene il dubbio che fosse in quella barca? La copertina di Giovanni Berti, con cui apriamo questo numero, ce lo dice in modo commovente ed efficace. Solo dopo la denuncia e l’impegno i cristiani possono e devono annunciare la speranza che sono chiamati a custodire. Prima di tutto per le vittime e gli afflitti, perché non potrà esserci vera giustizia senza la loro redenzione. Di fronte alle tragedie del presente un nostro grande amico, il Pastore Paolo Ricca, ha parlato di un drammatico fallimento del cristianesimo e delle Chiese. Altro che radici cristiane! Eppure esperienze di solidarietà e di impegno civile ci sono. Un piccolo resto tiene ancora accesa la lampada della speranza. Nel segno di una alternativa radicale alla violenza, al riarmo, all’economia che «mata» e che scarta. Siamo forse giunti ad un punto nel quale solo la profezia può dare alla buona politica quel supplemento d’anima di cui ha bisogno. ❑
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*Editoriale su ROCCA 15 Marzo 2023
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Su Domani
Anche in nome della civiltà, la guerra è una barbarie
di Roberta De Monticelli**

Pforzenheim, febbraio 1945. La Germania è già vinta. Ma la Royal Air Force, con un raid di 367 bombardieri, non rinuncia a radere al suolo questa cittadina tedesca, causando la morte di 17mila civili. Comincia così il piccolo straordinario libro di Edgar Morin, Di guerra in guerra – Dal 1940 all’Ucraina invasa, uscito in contemporanea a Parigi e a Milano (Cortina) in questi giorni.

Comincia con il moto d’orrore che il 24enne tenente Edgar Nahoum, già entrato nella resistenza a ventun anni (col nome clandestino, che gli resterà come nom de plume, di Edgar Morin) reprimerà rapidamente, ci racconta, dicendosi: «È la guerra». Nello stesso mese 1.300 bombardieri angloamericani annientano la città d’arte demilitarizzata di Dresda, facendo più di 300mila morti.

E dovevano ancora venire le centinaia di migliaia di morti civili dell’atomica, a Hiroshima e Nagasaki, nell’agosto. Il 60 per cento dei civili normanni morti durante lo sbarco in Normandia fu dovuto ai bombardamenti dei liberatori. Questa breve sequenza iniziale dà il tema di tutto il piccolo libro, che è una cura-choc contro la rimozione della barbarie che accettammo fosse scatenata in nome e per conto della civiltà e della democrazia, come di nuovo facciamo oggi. Tanto più indicibile ed estrema fu la barbarie rimossa dalla luce accecante della giusta causa.

Uno spiraglio d’aria pura

Pur di aprire uno spiraglio d’aria pura nel chiuso delle nostre coscienze inchiavardate, Morin si accusa, facendo torto a se stesso: «È molto più tardi, dopo l’invasione dell’Ucraina, che è riemersa in me la coscienza della barbarie dei bombardamenti compiuti in nome della civiltà contro la barbarie nazista». Non è vero, lo sentì fin d’allora. Ma ci voleva un uomo di 102 anni a dirci che siamo ancora in tempo a svegliarci.

Un uomo di cent’anni può parlare con la voce di un bambino. Fu un regime che era tessuto di menzogne, di gulag e di assassinii, che contribuì in modo essenziale a liberare l’Europa dal nazismo. Furono la prima disfatta tedesca davanti a Mosca e l’entrata in guerra degli Stati Uniti, l’una e l’altra nel dicembre del 1941, a indurre Hitler nel gennaio del 1942 alla decisione di sterminare tutti gli ebrei del continente. Fu un paese il cui solo nome evoca in noi le idee di libertà, eguaglianza e fraternità, a reprimere nel sangue di uno dei più grandi massacri della storia l’aspirazione alla libertà del popolo algerino. È come se, guardando al nostro passato, potessimo verificare da ogni punto di vista la verità di ciò che Vassilij Grossmann disse di Stalingrado: che fu «la più grande vittoria e la più grande sconfitta dell’umanità».

La voce del centenario e del bambino è la voce della fenomenologia: capace di far rivivere ogni cosa passata nella pienezza sensibile in cui fu vissuta, e insieme dotata della vista lunga, che afferra l’insieme e il disegno del tempo, le sue figure invarianti. Questa fenomenologia delle figure della guerra – della sua allucinata eppure apodittica coscienza – è tanto evidente quanto disarmante, come se il bambino che è in noi, in cui già Platone salutava il filosofo, sciogliesse finalmente la paura nelle parole più semplici, che mostrano il re nudo, e la sua vergogna, e la nostra. L’isteria di guerra, anzitutto. Questa «conversione di un sintomo immaginario in sintomo della realtà».

È quella che produce la totale demonizzazione del nemico, versando sul fuoco tanta benzina d’odio da bruciare le relazioni future di intere generazioni, censurare scrittori, musicisti, sportivi solo per la loro nazionalità, e infine rompere amicizie che sembravano profonde, e si ritraggono di fronte all’incomprensibile strepito delle fanfare. La menzogna di guerra, peggiore ancora se fabbricata per giustificare le guerre. La “spionite”, ovvero la credenza che il nostro campo sia infestato da spie al soldo del nemico – e ne sappiamo qualcosa dopo aver lasciato che fosse arruolato fra i putiniani chiunque abbia osato alzare il sopracciglio di un dubbio. La criminalizzazione, che è il modo in cui il fanatismo uccide la politica trasformandola in guerra, o prolungando la guerra in raffiche di menzogna e cimiteri di silenzio omertoso, come sappiamo dalla guerra fredda.

La radicalizzazione, che nel piccolo diventa distruzione dei tessuti familiari e affettivi – come avvenne con la guerra di Jugoslavia nel 1991, come avviene anche oggi ai confini fra Russia e Ucraina – e nel grande diventa escalation, come quella che nel 1945, con la rivelazione del potere di autodistruzione ormai in mano all’uomo, mutò radicalmente e una volta per tutte gli antichi argomenti in difesa della guerra giusta. Com’è strano che tante brillanti intelligenze non se ne siano accorte. E che tanti gazzettieri abbiano dimenticato quell’evidenza del male maggiore – la distruzione della civiltà umana sulla terra – che aveva portato finalmente nel secolo scorso a due conquiste morali che potevamo credere irreversibili.

Una, è l’architrave normativa della cosiddetta comunità internazionale, incarnata in numerose istituzioni eppure tanto brutalmente disattesa nella realtà: la Dichiarazione Universale dei diritti umani. L’altra è quella che Aldo Capitini, il nostro grande teorico della nonviolenza, chiamò la dismissione dei nazionalismi. Entrambe le conquiste riducono enormemente la legittimità della guerra come metodo di risoluzione delle controversie internazionali, prospettando quelle cessioni di sovranità a vantaggio di ampie democrazie sovranazionali che in parte l’Unione europea ha realizzato.

Le responsabilità di Ue e Usa

All’Unione europea del resto Morin non risparmia l’accusa di non aver voluto impedire il disastro della guerra civile jugoslava, come non risparmia a Israele quella di aver spazzato via, proclamandosi Stato ebraico, la soluzione di uno stato democratico binazionale, mentre distruggeva quella di due stati attraverso la continua espansione degli insediamenti coloniali.

E non è tenero, il gran vecchio, con «i nostri media», concentrati sull’imperialismo della Grande Russia e «muti sull’altro imperialismo che interviene ovunque sul globo contravvenendo spesso, come la Russia in Ucraina, alle convenzioni internazionali». Non stupisce che Morin lasci troneggiare sulla fine del libro la figura di Mikhail Gorbaciov, «eroe dell’umanità che fece cessare la Guerra fredda in nome di quella ‘casa comune’ che è la terra per tutti gli umani».

Infine, dopo aver distinto tre guerre in una (la continuazione della guerra interna fra potere ucraino e provincia separatista, la guerra russo-ucraina, e «una guerra politico-economica internazionalizzata antirussa dell’occidente animata dagli Stati Uniti»), Morin si sorprende che «si levino così poche voci in favore della pace nelle nazioni più esposte. È sorprendente vedere così poca coscienza e così poca volontà in Europa…. nel promuovere una politica di pace».

Tutta la vita umana è prendere posizione, aveva scritto Edmund Husserl introducendo la distinzione fra prendere partito, o schierarsi, e consentire a ciò che si ha ragione di credere vero, fino a prova contraria e indipendentemente da quello che ne pensano i sodali. Morin non porta in dote al lettore la sterminata bibliografia che pure ha alle spalle (un’ottantina di libri tradotti in una trentina di lingue), ma solo un secolo di vita vissuta prendendo posizioni che il tempo ha provato giuste e ben fondate, tutte. Vita d’azione nella sua giovinezza partigiana e nella sua maturità di pubblico intellettuale, certo, ma soprattutto vita di ricerca, infinita.

In fondo il pensiero della complessità, nonostante i sei volumi de Il metodo, in cui si dispiega a partire dalla natura fino all’etica, si distingue per la più umanistica delle aspirazioni: se cerchi il vero, cercalo tutto, anche se sai che ne conoscerai, se va bene, una piccola parte. Nella storia politica del mondo, che è “planetaria” fin dai primordi del XX secolo, questo vuol dire: non ignorare mai le ragioni di nessuna parte, e soprattutto non ignorare mai la parte di male che le tue scelte possono comportare. E il messaggio è chiaro: «Più la guerra si aggrava, più la pace è difficile e più è urgente».

** In “Domani” del 1 marzo 2023
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Rocca.

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Rievocando la metafora che Carl Gustav Jung applica alle dinamiche della vita individuale tra il mattino, il mezzogiorno, il pomeriggio, si potrebbe dire che anche la Chiesa cattolica conosce ora la crisi del mezzogiorno rappresentata dalla modernità con i suoi effetti di secolarizzazione, laicità e pluralismo che ne trasformano le fondamenta tradizionali. Tra queste anche la pratica ai riti. [segue]

C3dem. Rassegna stampa al 5 marzo 2023

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