Monthly Archives: febbraio 2023

TERREMOTO

Terremoto in Turchia e Siria: Cri apre raccolta fondi per aiutare popolazioni colpite. Valastro, “serve l’aiuto di tutti”
7 Febbraio 2023 @ 15:15
[SEGUE]

Oggi martedì 7 febbraio 2023

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Eventi,Opinioni,Commenti e Riflessioni—-——————–—————————-
L’inchiesta Quatargate: molto fumo e nientè arrosto?
7 Febbraio 2023
Rosamaria Maggio su Democraziaoggi.
Qualche giorno fa, dopo 2 mesi di carcerazione, la procura di Bruxelles ha rimesso in libertà Nicolo’ Figa’ Talamanca. Responsabile Ong “No peace without justice”, una delle organizzazioni legate al mondo radicale, è stato liberato senza condizioni dall’autorità inquirente, che non ha spiegato il perché di questa liberazione dopo che per 2 mesi si […]
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L’insegnante che manca
La Repubblica – 06 Febbraio 2023
di Enzo Bianchi, sul suo blog.
[segue]

Oggi e fino a domenica il Festival di Sanremo

a6b16b65-e4b1-41ee-bcb3-0a23d22a57a2Al riguardo una bella riflessione di Domenico Gallo: non son solo canzonette https://www.aladinpensiero.it/?p=140478

Emergenza/Disastro Sanità

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di Fiorella Farinelli*
Coprono i buchi di organico, fanno turni notturni e festivi di 12 ore filate, operano in luoghi spesso difficili, cambiano frequentemente sede, non hanno contratti stabili, ferie e malattia sono a loro carico. Il ritratto perfetto dei «lavoratori poveri», quelli con retribuzioni insufficienti che a quel tipo di prestazione sono costretti in mancanza di meglio. Ma non è così per la maggioranza dei «gettonisti» della sanità, i tanti medici a cui da qualche tempo ricorrono le Asl e gli ospedali che non hanno abbastanza anestesisti per le sale operatorie e le terapie intensive, specialisti in medicina d’urgenza per i pronto soccorso, ostetrici, ginecologi, pediatri ed altri profili. A fornirli, a caro prezzo, sono cooperative che ingaggiano neolaureati, pensionati, professionisti privati che «arrotondano», e tanti altri che nel servizio sanitario pubblico non vogliono entrare o che lo abbandonano perché stremati dal troppo lavoro degli anni del Covid, dalle ferie non godute, dagli straordinari sottopagati, dai turni resi massacranti dai deficit di organici, da retribuzioni considerate troppo basse rispetto alle aspettative maturate in un percorso di formazione generale e specialistico di almeno undici anni. Dal punto di vista economico è in effetti un affare. Conti alla mano, e calcolando i 267 giorni annuali di lavoro con turni giornalieri di 6 ore e 20 minuti, un medico ospedaliero assunto da più di 15 anni guadagna 52 Euro lordi l’ora, un medico a gettone una media di 87. Se il primo arriva a una retribuzione annuale di 85.000 Euro, al secondo bastano 84 turni (di 12 ore) per arrivare a 87.000. Grazie alla flat tax introdotta dalla legge di bilancio 2023 che dà importanti vantaggi fiscali ai lavoratori autonomi, pagherà inoltre anche meno tasse, a parità di stipendio, dei colleghi che sono lavoratori dipendenti.

i rischi per i pazienti
Ci sono rischi per i pazienti. Manca infatti ancora una regolamentazione nazionale che assicuri buoni ed omogenei standard di efficienza e qualità. Quindi la lucidità, la prontezza, la capacità di adattarsi all’organizzazione, la competenza diagnostica e operativa del medico turnista dipendono dalla serietà delle cooperative. Di dubbi ce ne sono tanti. Una recente indagine dei Nas che tra novembre e dicembre scorso ha svolto verifiche a campione su più di 1500 medici delle cooperative in tutta Italia, ha trovato parecchie cose che non vanno, medici arruolati senza le giuste competenze, dipendenti di altri ospedali che fanno i doppi turni di nascosto per fare un po’ di soldi, medici ultrasettantenni, giovani inesperti. La medicina pubblica perde ogni giorno in umanità e attenzione alle persone, la discontinuità delle prestazioni minaccia la bontà delle diagnosi e delle cure. Secondo un’indagine di Report (corriere.it), il fenomeno è molto esteso. Nel 2022 solo i turni appaltati in quattro regioni del Nord (Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna) sono stati più di 100.000. Con costi altissimi per le casse regionali. Ciononostante, i prontosoccorso sono ingorgati e le liste di attesa lunghissime. Ogni giorno le cronache danno conto di pazienti esasperati e il personale più esposto chiede presidi delle forze dell’ordine, telecamere di sorveglianza, perfino corsi di autodifesa. E molti malati, sempre di più, devono ricorrere alla medicina privata, o rinunciare alle cure.

la carenza di specialisti ed infermieri
Le cause sono note, ma i rimedi sono una sfida ancora terribilmente incerta, di sicuro non rapida, difficilmente risolutiva. Perché la crisi è sistemica, e risolverla richiede una svolta insieme politica, finanziaria, organizzativa che ancora non si vede. A differenza di quello che spesso si dice, in Italia non ci sono meno medici rispetto ad altri Paesi europei (4,1 ogni 1000 abitanti, un tasso superiore a Francia, Germania, Regno Unito), mancano semmai i profili meno attrattivi delle postazioni più stressanti, come la medicina d’urgenza, gli anestesisti, gli specialisti in rianimazione, che non consentono la combinazione tra lavoro dipendente e autonomo e non prevedono agevoli percorsi di carriera, il personale medico si concentra inoltre nelle aree urbane lasciando sprovvisti i piccoli centri, le differenze territoriali sono molto consistenti. Le carenze numeriche più gravi riguardano il personale infermieristico, 5,4 su 1000 abitanti (in altri Paesi il tasso è di molto superiore, in Svizzera più del doppio). Ma il drammatico sottofinanziamento delle aziende sanitarie e il Patto di stabilità che nel 2009 ha bloccato la spesa pubblica sanitaria al livello del 2004 hanno fatto perdere al Servizio nazionale, tra il 2010 e il 2018, 45.000 unità di personale, solo parzialmente recuperato con le 17.000 assunzioni in deroga per l’emergenza Covid. Il tetto alle assunzioni è comunque ancora in vigore, le retribuzioni sono significativamente più basse che in altri Paesi europei, la contrattazione collettiva (sono tre i contratti per i 700.000 sanitari in forza al servizio pubblico) è sempre in grave ritardo, siamo nel 2023 e si sono appena stipulati accordi relativi al 2019-21. Il resto lo hanno fatto i pensionamenti anticipati, la «grande fuga» dal servizio pubblico del dopo Covid, l’incremento dei costi delle forniture e dell’energia spinto dall’inflazione e dalla guerra in Ucraina.

la scarsità delle risorse e la speranza del pnrr
Le risorse del Fondo Sanitario nazionale, tra quello che si è perso e quello che si è recuperato, sono state e restano insufficienti ad assicurare una crescita normale della spesa sanitaria, richiesta anche dall’invecchiamento della popolazione e relativo incremento del bisogno di cure specialistiche e terapie riabilitative lunghe e costose. Alcune Regioni corrono ai ripari, oltre che appaltando all’esterno parte dei servizi, anche introducendo indennità per il personale dipendente, lo fanno soprattutto quelle a statuto speciale come Val d’Aosta, Trento e Bolzano, Friuli che hanno più autonomia organizzativa e di spesa, ma anche in Veneto ci sono incentivi per frenare le fughe verso condizioni di lavoro e retributive migliori (ma intanto molti infermieri del Nord della Lombardia vanno a lavorare in Svizzera). La strategia più importante che è stata delineata, decisiva per allentare l’impatto sulle strutture ospedaliere, è quella, finanziata con i 20 miliardi del Pnrr, del potenziamento della medicina generale e della pediatria di base. La cosiddetta medicina di «prossimità» a più bassa intensità e complessità di diagnosi e di cura che passa attraverso la costituzione di 1430 «Case di comunità sanitaria», che si stanno in effetti costruendo, ristrutturando e anche inaugurando in tutta Italia. Ma per renderle tutte funzionanti H24 e sette giorni alla settimana, ci vorrà del tempo, e forti investimenti in attrezzature sanitarie e in personale. Perché al loro funzionamento dovranno concorrere anche i medici cosiddetti di famiglia che, come si è visto nelle fasi acute della pandemia, sono anch’essi un comparto in piena crisi, di numeri, efficienza, nuovi ingressi. Non solo perché i neolaureati accedono sempre meno a questi percorsi di specializzazione ma perché va radicalmente modificato il modello di impiego attualmente vigente, quello per cui il medico di base è un professionista in rapporto convenzionato con le Regioni, con un obbligo di presenza in studio limitato a sole 15 ore settimanali su cinque giorni che lascia i malati privi di assistenza di notte, nei giorni festivi e prefestivi. Un corpo professionale invecchiato che opera in sedi per lo più sprovviste dei più elementari strumenti diagnostici, che deve sbrigare una quantità enorme di richieste di prescrizione farmaci e di visite specialistiche, che può avere fino a 1.500 pazienti e qualche volta ne ha molti di più. Nelle «Case di comunità» dovranno esserci anche loro, oltre a specialisti di vario tipo, infermieri, tecnici di laboratorio, amministrativi. Occorrono quindi nuove modalità di impiego, nuove assunzioni, nuove forme di integrazione tra diversi servizi sanitari e di interazione tra questi e i servizi sociali. Un disegno non impossibile, che promette un importante rilancio e riqualificazione del servizio sanitario nazionale e della professione medica che potrebbe rimotivare molti giovani medici. Perché il livello di retribuzione è una cosa importante ma non è tutto, conta anche l’orgoglio del lavoro ben fatto, la soddisfazione di essere messi nelle condizioni di crescere professionalmente, di poter essere fedeli ai principi di un servizio essenziale e davvero universalistico, di contribuire a un bene comune su cui si fonda il sentimento stesso di appartenenza a una comunità di eguali.

il ritardo nella consapevolezza politica
A che punto siamo? Dopo la terribile stagione del Covid, che ha messo a durissima prova gli ospedali pubblici ma ha anche reso del tutto evidente alla pubblica opinione la straordinaria importanza di una sanità capace di misurarsi sia con l’emergenza che con la normalità, erano in molti ad aspettarsi che le sue criticità, già acute prima della pandemia, fossero messe finalmente al centro dell’azione politica. Non è andata così. La legge di bilancio per il 2023 presenta ancora una volta un finanziamento della sanità largamente inadeguato e, quel che è forse ancora peggio, una scarsa consapevolezza della gravità dei suoi problemi. Come tutti gli osservatori indipendenti hanno fatto osservare, mancano 1 miliardo e 200 milioni all’indiscutibile e preliminare obiettivo di preservare il suo potere d’acquisto dall’impatto dell’inflazione e dell’incremento dei costi energetici. Non solo. Non è stato rimosso il tetto di spesa che impedisce l’assunzione di nuovo personale, in primis infermieristico, non ci sono risorse per intervenire sul disagio dei settori più in difficoltà come la medicina d’urgenza, per asciugare le liste di attesa, per aggiornare l’elenco e gli standard delle prestazioni essenziali, per definire con le Regioni il nuovo Patto per la Salute 2022-24 che dovrebbe accompagnare e supportare l’attuazione della strategia del Pnrr sulla medicina territoriale. «Si poteva fare di più», ha riconosciuto la presidente del consiglio Meloni. Appunto. Ma come si spiegano, in questo quadro, gli investimenti a favore del calcio, i vantaggi fiscali a certe categorie, i pensionamenti anticipati che premiano alcuni gruppi e così via? La tempesta resta perfetta, e i rischi per la coesione sociale del Paese non possono che acuirsi. Almeno finché, anche in altri luoghi della politica, a partire da quelli territoriali, non ci si decida a cambiare passo, priorità, idee, linguaggio.

* Fiorella Farinelli su Rocca n.4 del 15 febbraio 2023.
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E in Sardegna?
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Sanremo: non sono solo canzonette
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Zelensky a Sanremo? No! Invece messaggi di Pace.
03-02-2023 – di: Domenico Gallo su Volerelaluna

Da tempo immemorabile il Festival di Sanremo rappresenta la più seguita manifestazione popolare italiana. Ogni anno milioni di persone seguono lo spettacolo trasmesso in mondovisione dalla Rai. Che piaccia o meno, il Festival esprime anche sul piano internazionale un aspetto della nostra identità culturale. Del resto l’Italia ha lanciato da Sanremo successi planetari che celebrano la vita, la felicità e l’amore. Non sono solo canzonette, il palcoscenico del festival è un’occasione ambita per messaggi di costume e di cultura varia che contribuiscono a delineare una sensibilità comune, uno specchio nel quale possono riconoscersi ampi strati della popolazione italiana. Entro certi limiti Sanremo svolge una funzione di educazione popolare, se noi pensiamo, per esempio, ai monologhi di Paola Cortellesi e Laura Pausini sulla violenza alle donne, di Pierfrancesco Savino con la poesia dei migranti, di Benigni o di altri artisti incentrati sui valori civili.
[segue]

Ricordando Paolo Fadda, grande uomo di cultura

paolo-fadda-trig Su L’Unione Sarda di lunedì 6 febbraio 2023

Rocca è online.

rocca-04-15-02-23aE’ viva la teologia
L’Editoriale di Mariano Borgognoni*
Ho visto con piacere nella lettura del Corriere della Sera (mica fischi!), un bell’articolo di Marinella Perroni e di Brunetto Salvarani, due teologi che appreziamo molto dalle parti di Rocca, il secondo peraltro è un nostro prezioso collaboratore. Il titolo dell’articolo ha perfin vellicato il nostro amor proprio «E viva la teologia», assai simile alla nostra rubrica «Viva la teologia» e appena un po’ diverso dal testo di Armando Matteo Evviva la teologia. Così ho pensato di scriverci sopra questo piccolo editoriale intitolandolo «è viva la teologia». [segue]

Ricorrenze popolari

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Oggi lunedì 6 febbraio 2023

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Eventi,Opinioni,Commenti e Riflessioni——————–————————
Appunti contro il presidenzialismo
6 Febbraio 2023
Mauro Volpi – Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
Su alcuni aspetti della minacciata riforma costituzionale presidenzialista si sono registrate significative convergenze.
La prima riguarda la necessità di avere una posizione di assoluta intransigenza contro la riforma senza accettare subordinate né la logica della “riduzione del danno” e quindi di rifiutare il presidenzialismo in tutte le varianti in cui possa essere […]
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Emergenza/Disastro Sanità

sanita
di Fiorella Farinelli*
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Oggi domenica 5 febbraio 2023

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Eventi,Opinioni,Commenti e Riflessioni——————–————————
Carbonia. Il senatore Terracini nel processo di Oristano, “ambiente pieno di malafede e di misera alla SMCS, così estraneo alle esperienze operaie e interessato esclusivamente alle ricchezze sarde”. Depongono i dirigenti politici e sindacali, Spano, Lay, Giovannetti e Cocco: 36 i lavoratori condannati
5 Febbraio 2023
Gianna Lai su Democraziaoggi
Come ogni domenica dal 1° settembre 2019, ecco un tassello della storia di Carbonia.
E, come se la contemporaneità dell’azione giudiziaria potesse imporre distanze dagli scioperi e dalle manifestazioni per un salario che renda meno […]
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W l’anarchismo contro uno stato torturatore e anticostituzionale
5 Febbraio 2023
A.P. su Democraziaoggi
L’anarchia, ad esempio nella tradizione italiana, professa nobili ideali: l’eguaglianza, la fine della sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la scomparsa dello stato borghese come strumento di coagulazione della forza per assicurare il comando e la prepotenza della classe dominante. La Costituzione, nata dalla Resistenza, ha capovolto questo schema, fondata sul lavoro, riconosce e promuove i diritti fondamentali dell’uomo, […]
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Domenica 5 febbraio 2023
Una bella luce
V domenica nell’anno
Mt 5,13-16 – Is 58,7-10
di Luciano Manicardi Monastero di Bose
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Oggi a La Collina con Los Quinchos del Nicaragua

3349eb3f-1de4-4fca-8d66-7d810cd8863eRiceviamo da Margherita Zaccagnini.
Carissimi,
dopo le proibizioni causa covid e grazie alla disponibilità di don Ettore Cannavera, finalmente riusciamo ad invitarvi a quest’evento conviviale, dove potrete assistere al documentario sui Quinchos di Valentina Bifulco, alla presenza di Zelinda che ci aggiornerà sul Progetto. [segue]

La guerra vicina, che già ci coinvolge

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Pagliarulo ANPI: “Siamo vicini a scenari catastrofici, dovremo essere in tanti alle nostre manifestazioni con Europe for Peace del 24/26 febbraio”
4 Febbraio 2023

Lettera del Presidente nazionale ANPI agli iscritti all’Associazione: “La pace, garantita in Europa per più di 70 anni, è stata il risultato di un lungo percorso politico, istituzionale e giuridico seguito alla devastazione di due guerre mondiali. Abbiamo bisogno di riprendere immediatamente quella visione e quel progetto, frutto della Resistenza al nazifascismo, e lascito dei nostri resistenti e dei nostri partigiani”

Care amiche e cari amici iscritti all’ANPI, care compagne e cari compagni,

vi invio questo messaggio che, mi rendo conto, è piuttosto inusuale, perché vorrei farvi partecipi di una preoccupazione, meglio, di un vero allarme per quello che sta succedendo e che può succedere in un prossimo futuro nel nostro Paese, in Europa, nel mondo.

Come avevamo previsto nel nostro Congresso nazionale nel marzo dell’anno scorso, stiamo assistendo all’impazzimento della guerra avviata dalla irresponsabile invasione russa dell’Ucraina. Da quel momento abbiamo assistito a una continua escalation con una tragica espansione di vittime e di distruzioni.

Ma ciò che sta avvenendo da qualche settimana avvicina ancora di più la possibilità di scenari catastrofici. Da un lato la Federazione russa aumenta costantemente il numero di militari e di armamenti in Ucraina intensificando gli attacchi e i bombardamenti; dall’altro crescono i rifornimenti militari occidentali al governo ucraino con armamenti sempre più offensivi. Dall’Europa e dall’America arriveranno vari tipi di carri armati; Zelensky chiede i cacciabombardieri F16 e i sommergibili; si riparla sempre più in modo irresponsabile dell’uso di armi nucleari “tattiche”. In questa situazione il ministro della Difesa Crosetto si è spinto a dire che se i russi arrivano a Kiev scoppia la terza guerra mondiale.

Dall’Iran ad Israele ai territori palestinesi alla Siria vengono notizie di un incendio che dilaga.

Le spese di riarmo crescono in modo osceno ovunque, come avvenne prima delle due guerre mondiali, mentre i governi europei – compreso il nostro – diventano sempre più autoritari verso chiunque si permetta di criticare questa mostruosa deriva bellicista, nonostante i sondaggi dicano che la maggioranza degli italiani (e anche degli europei) è contraria all’invio di armi e all’intervento della NATO. Nelle carceri russe sono reclusi centinaia e centinaia di dissidenti ed una durissima repressione è in corso in Russia ormai da molto tempo.

Intanto a causa del gioco fra sanzioni e controsanzioni è aumentata l’inflazione a livelli sconosciuti nel nuovo secolo, il costo dell’energia ha generato difficoltà enormi ad imprese e famiglie ed in generale sono peggiorate le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini europei e italiani.

Non basta: il presidente degli Stati Uniti e il segretario generale della NATO indicano nella Cina il prossimo e più potente nemico da affrontare, se necessario, anche sul piano militare.

Anche di questo discuteremo nell’assemblea nazionale dell’ANPI che svolgeremo fra pochi giorni a Cervia; ma ci tenevo ad anticiparvi un quadro drammatico a cui non si può rispondere né con la rassegnazione né col fatalismo. Occorre razionalmente prendere atto di questa realtà e di impegnarsi in ogni modo per contrastarla, per far andare indietro le lancette dell’ora X della guerra nucleare, che nei giorni scorsi gli scienziati del mondo hanno immaginato alla metaforica e ravvicinatissima distanza di 9 minuti.

C’è bisogno dell’impegno consapevole, piccolo o grande che sia, da parte di tutte e di tutti, per fermare il treno della follia e della morte che sta correndo a tutta velocità verso l’autodistruzione.

Per questo mi permetto di invitarvi a partecipare ad ogni iniziativa che abbia come obiettivo finale il ristabilimento della pace. L’impegno più immediato è per il 24 febbraio, primo anniversario dell’invasione russa, e per i due giorni successivi. Si svolgeranno manifestazioni in tante capitali europee. In queste tre giornate l’ANPI darà vita assieme a Europe for Peace a una rete di iniziative locali in tutta Italia. Ma non ci fermeremo qui. Cercheremo sempre la più larga unità con tutti coloro che, pur con opinioni diverse sulle responsabilità di questa guerra, sull’invio o meno di armi, sull’erogazione o meno di sanzioni, condividano il nostro allarme attuale: fermiamo la guerra.

L’ONU deve essere la sede istituzionale necessaria, il suo Consiglio di Sicurezza è lo spazio per tracciare la strada verso un trattato internazionale che ponga fine alla guerra e ristabilisca un pacifico ordine mondiale.

L’ANPI propone che il governo italiano e l’Unione Europea avanzino finalmente una seria proposta di avvio di negoziati, cosa mai avvenuta fino ad oggi, per trovare un realistico punto di incontro fra le parti e comunque per frenare la frenetica escalation in corso; propone una Conferenza internazionale per concordare la sicurezza di tutti i Paesi coinvolti; propone che si avvii la smilitarizzazione dei confini fra la Russia e gli altri Paesi europei con l’obiettivo di una progressiva diminuzione di tutti gli armamenti nucleari; propone, in sostanza, di ricostruire un clima di coesistenza pacifica e di collaborazione fra gli Stati e i popoli in Europa e nel mondo.

La pace, garantita in Europa per più di 70 anni, è stata il risultato di un lungo percorso politico, istituzionale e giuridico seguito alla devastazione di due guerre mondiali. Abbiamo bisogno di riprendere immediatamente quella visione e quel progetto, frutto della Resistenza al nazifascismo, e lascito dei nostri resistenti e dei nostri partigiani.

Lo ha detto Papa Francesco: “Questa guerra è una follia”. Aiutiamoci tutti, l’uno con l’altro, a fermarla. Ne va del futuro dell’umanità.

Un abbraccio,

Il Presidente nazionale dell’ANPI
Gianfranco Pagliarulo

1 febbraio 2023

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Non sono solo canzonette
03-02-2023 – di: Domenico Gallo su Volerelaluna

Da tempo immemorabile il Festival di Sanremo rappresenta la più seguita manifestazione popolare italiana. Ogni anno milioni di persone seguono lo spettacolo trasmesso in mondovisione dalla Rai. Che piaccia o meno, il Festival esprime anche sul piano internazionale un aspetto della nostra identità culturale. Del resto l’Italia ha lanciato da Sanremo successi planetari che celebrano la vita, la felicità e l’amore. Non sono solo canzonette, il palcoscenico del festival è un’occasione ambita per messaggi di costume e di cultura varia che contribuiscono a delineare una sensibilità comune, uno specchio nel quale possono riconoscersi ampi strati della popolazione italiana. Entro certi limiti Sanremo svolge una funzione di educazione popolare, se noi pensiamo, per esempio, ai monologhi di Paola Cortellesi e Laura Pausini sulla violenza alle donne, di Pierfrancesco Savino con la poesia dei migranti, di Benigni o di altri artisti incentrati sui valori civili.

Proprio per questa sua funzione mediatico-popolare, ci inquieta profondamente apprendere che, in una delle serate clou dell’evento, presumibilmente sabato 11 febbraio, interverrà Volodymyr Zelenskij, capo di Stato di uno dei due paesi che oggi si affrontano in una guerra sanguinosa e atroce. Da Zelensky, impegnato in una guerra senza quartiere contro la Russia per conto della NATO e degli USA, possiamo attenderci solo parole di esaltazione della guerra e di odio mortale contro il nemico. Un odio così profondo da fargli rifiutare ogni negoziato e accettare qualunque sacrificio della sua gente per prolungare la guerra, inseguendo il sogno di una vittoria impossibile contro una potenza nucleare. In questo modo in una manifestazione di cultura popolare verrebbe innestata una assurda apologia della guerra. Durante il fascismo si educavano le giovani generazioni con lo slogan “libro e moschetto”, adesso rischiamo di orientare la cultura popolare verso l’esaltazione della guerra. Dal 24 febbraio dell’anno scorso i principali mass media hanno indossato l’elmetto e ogni giorno hanno cercato di anestetizzare nella coscienza collettiva l’orrore dei massacri, riabilitando la guerra come cosa buona e giusta, con una campagna martellante per arruolare l’opinione pubblica nel conflitto attraverso l’identificazione manichea amico/nemico. Questa propaganda di guerra a reti unificate non ha avuto un effetto travolgente se il popolo italiano, a differenza di altri popoli europei, resta in maggioranza contrario all’invio di armi e all’incremento delle spese militari. Sanremo, evidentemente, è un’occasione ghiotta per accrescere l’influenza del pensiero unico sulla guerra nella coscienza popolare.

Da più parti si sono levate voci contrarie alla partecipazione di Zelensky a Sanremo, anche da parte di esponenti del partito della guerra. La motivazione prevalente è che non è accettabile mischiare la guerra con i cugini di campagna, che non si può accostare il sacro (l’orrore della guerra) con il profano (le canzonette). Ebbene, non è questo il problema. Sanremo e gli altri eventi musicali non sono solo canzonette. Da sempre attraverso la musica (e le parole) vengono trasmessi sentimenti profondi che albergano nell’animo umano, non solo l’amore in senso erotico, ma anche l’amore per l’umanità, la compassione per le sofferenze causate dalle guerre, la speranza collettiva per una società liberata dagli oltraggi della violenza e del potere, l’aspirazione profonda alla pace che unisce gli umani al di là delle bandiere. Possiamo forse dimenticare che la lotta dei giovani americani contro la guerra nel Vietnam è stata scandita sulle note di Where have all the flowers gone, cantata da Joan Baez e di Blowing in the wind, cantata da Bob Dylan? Temi e sentimenti ripresi anche da interpreti italiani, come Gianni Morandi, con C’era un ragazzo, che ha portato il ripudio della guerra anche nel mondo delle canzonette. Possiamo dimenticare l’insegnamento poetico di Fabrizio De André con motivi intramontabili come La guerra di Piero o Se verrà la guerra? (Girotondo)
Gli stessi sentimenti sono stati interpretati e resi popolari dal poeta e cantautore Vladimir Semënovič Vysockij, con la sua canzone Dal fronte non è più tornato, mirabilmente interpretata in italiano da Eugenio Finardi, che esprime lo sgomento per la vita dei giovani sacrificati in guerra. Infine l’aspirazione dell’umanità alla pace e il sogno di un mondo libero da ogni oppressione non poteva essere meglio espressa che da Imagine di John Lennon, un vero inno internazionale alla pace.

In questi tempi oscuri in cui si costruiscono nuovi cimiteri a ritmo forsennato e due popoli fratelli sono precipitati in un vortice di distruzione e morte, da un evento musicale importante come Sanremo ci saremmo aspettati non messaggi preregistrati di propaganda bellica, ma parole di speranza, come quelle di Fabrizio De André: «Lungo le sponde del mio torrente / voglio che scendano i lucci argentati / non più i cadaveri dei soldati / portati in braccio dalla corrente».

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CHE FARE?
Il tempo delle rivolte

23-01-2023 – di: Marco Sansoè su Volerelaluna.

Anche qui come altrove nel mondo occidentale la democrazia sembra assumere le forme di un sistema ambiguo e vuoto di prospettive. Pare che la società contemporanea non abbia più bisogno delle garanzie della democrazia, anzi una democrazia autoritaria e armata pare lo strumento più efficace per dare forza all’accumulazione capitalista. La precarizzazione del lavoro, la frammentazione della società, le piazze digitali dei social media, le piazze fittizie dei centri commerciali, la gentrificazione delle città, i sistemi di videosorveglianza, tracciamenti telematici e Big Data, il daspo e i divieti preventivi alle manifestazioni politiche sembrano le normali pratiche di gestione della vita quotidiana dei cittadini: strumenti per il controllo personale, politico e sociale. La politica appare lo strumento di gestione di piani economici globali internazionali oppure l’operatrice del controllo sociale ravvicinato. Esibizione autoreferenziale di un potere che risponde a interessi economici diversi e si riproduce attraverso un consenso elettorale sempre più ristretto ma garantito dalle alchimie istituzionali dei premi di maggioranza.

Da qualche tempo partecipa alle elezioni poco più della metà degli aventi diritto; governano coalizioni che non rappresentano la metà +1 degli elettori, perché le leggi elettorali attribuiscono ai vincitori più peso parlamentare di quello che gli è stato dato dai cittadini. La coalizione che governa oggi in Italia non ha ottenuto il 50%+1 dei consensi ma occupa 2/3 del Parlamento; il partito di maggioranza relativa ha ottenuto più o meno il 16% dei consensi degli aventi diritto al voto, ma occupa un terzo circa dei seggi parlamentari. Se questi sono “i trucchi” per tenere in vita la democrazia rappresentativa è evidente che c’è qualcosa che non va. Se poi al Parlamento vengono sistematicamente sottratte le proprie funzioni, impedendo che sia il luogo della discussione e del confronto sulle leggi, relegando la discussione alle Commissioni parlamentari e ricorrendo poi al voto di fiducia (come sta avvenendo da molto tempo), di quale democrazia rappresentativa stiamo parlando?

La politica si avvita su se stessa, si associa, si separa, si mescola, si traveste con il solo obbiettivo della governabilità. Ha perso l’orizzonte del progetto di trasformazione o anche solo di riforma, si addestra esclusivamente alla gestione del compito prestabilito, che passa uguale di governo in governo, dando vita a un’oligarchia, solo in superficie multiforme, presente a vari livelli nelle istituzioni politiche, economiche e giudiziarie. Così la tecnica sostituisce la politica perché il suo compito è solo quello di soddisfare le compatibilità del sistema: la libertà del mercato, la competizione, la meritocrazia, l’identità nazionale, la fedeltà atlantica; e di far rientrare nei ranghi ciò e chi sta fuori, per mantenere intatto il quadro generale. Non serve nemmeno più lo sforzo di produrre una ideologia che giustifichi tutto questo, ci pensa il mercato con la sua forza di persuasione e il potere pervasivo dei media digitali. La politica è morta, sostituita da un meccanismo di comando che discende direttamente da quelli che vengono considerati gli interessi del sistema. Il popolo non è più il fondamento della democrazia, è una variabile dipendente dalle scelte dominanti, espresse da una vasta oligarchia senza cultura, omologata e modulare.

La crisi dei partiti ha aperto la crisi della democrazia rappresentativa: un processo irreversibile che ha bisogno di risposte coraggiose. Ormai sono molti quelli che pensano che l’unico “voto utile” sia quello di non andare a votare. Una decisione sofferta, soprattutto per chi crede nella forza culturale e politica della nostra Carta costituzionale, ma necessaria. Un ultimo grido di dolore e di rivolta nei confronti della politica così come si manifesta nei palazzi diffusi nel paese, nei quali si esercita in vario modo il potere.

Si deve avere il coraggio di dichiarare che si è chiuso un ciclo storico, quello nato dalla Rivoluzione francese, che ha dato vita ai partiti, alle istituzioni democratiche, alla democrazia rappresentativa. La politica deve essere riscritta, non può più essere intesa come uno strumento o una pratica di gestione del potere. Bisogna ricercare, con rigore e fantasia nuove forme di democrazia e percorrere strade, anche inesplorate, che possano garantire la democrazia attraverso la partecipazione dei cittadini alla vita politica. Ma non ci sono tavoli intorno ai quali si possa ricomporre un nuovo disegno democratico o ricostruire coalizioni politiche. Solo la pratica dei conflitti, capace di tenere insieme persone, bisogni e territori, può aprire spazi alla costruzione di nuove pratiche democratiche partecipate e disarmate. Solo le rivolte possono mettere fine al declino della democrazia e dare spazio ad esperienze capaci di riscrivere i contorni della politica. Ma le rivolte non si programmano, non hanno luoghi in cui si decidono, non hanno “gruppi dirigenti” né “avanguardie” che le guidino. Le rivolte stanno dentro le classi, dentro i gruppi sociali che vivono una comune condizione, che hanno un desiderio e/o uno scopo. Si possono mettere insieme le persone, averne cura, comprendere le condizioni comuni, far crescere i desideri, condividere le esperienze, praticare la critica della società contemporanea, dare vita ai conflitti, aprire vertenze, lottare, dare corpo alle rivolte. Questo si può fare. I tempi della politica che cambia sono lunghi, non hanno scorciatoie, sono da inventare, saranno difficili.

In testa, proposto da Volerelaluna: Honoré Daumier, La rivolta, 1860, olio su tela, Phillips Collection, Washington

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4 febbraio 2023: a 4 anni dal Documento di Abu Dhabi.

ROCCA 1 FEBBRAIO 2023
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di Brunetto Salvarani 
Quattro anni fa, il 4 febbraio 2019, la firma del documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, oggi più noto semplicemente come Documento di Abu Dhabi. Protagonisti: papa Francesco, autodefinitosi nell’occasione «un credente assetato di pace», che giocava, in gergo sportivo, fuori casa, e il grande imam di al-Azhar, lo sheikh Ahmad Al-Tayyeb, filosofo e teologo, formatosi alla Sorbona e all’università di Friburgo, in Svizzera. Un evento, non c’è dubbio. Infatti, se documenti analoghi erano stati firmati in passato da leader cattolici e islamici, stavolta a sottoscrivere la comune dichiarazione erano delle delegazioni, sia pure di alto livello, ma il papa stesso e un esponente di punta islamico, che detiene un ruolo chiave unanimemente riconosciuto, nel quadro dell’islam sunnita. [Su aladinpensiero online].
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Oggi sabato 4 febbraio 2023

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Eventi,Opinioni,Commenti e Riflessioni——————–——————
Pagliarulo ANPI: “Siamo vicini a scenari catastrofici, dovremo essere in tanti alle nostre manifestazioni con Europe for Peace del 24/26 febbraio”
4 Febbraio 2023 su Democraziaoggi
Lettera del Presidente nazionale ANPI agli iscritti all’Associazione: “La pace, garantita in Europa per più di 70 anni, è stata il risultato di un lungo percorso politico, istituzionale e giuridico seguito alla devastazione di due guerre mondiali. Abbiamo bisogno di riprendere immediatamente quella visione e quel progetto, frutto della Resistenza al nazifascismo, e lascito dei nostri resistenti e dei nostri partigiani”[…]
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Divide et impera
di Lucio Garofalo
I lavoratori francesi si confermano una entità popolare estremamente combattiva, cosciente ed intelligente: essi si mobilitano in massa, con coesione, per salvaguardare i propri diritti ed i propri interessi sociali e materiali, di classe…
E gli italiani?
[segue]

Che succede?

c3dem_banner_04Il grido dell’Africa e la visita di papa Francesco
3 Febbraio 2023 su C3dem
Il grido dell’Africa e la visita di papa Francesco, Gian Guido Vecchi, Il Papa scosso dagli orrori del Congo «Ora basta! Fate tacere le armi» (Corriere della Sera). Fabrizio Floris, I tre giorni del Congo un papa tra canti e silenzi (il Manifesto). Fabrizio Floris, Il papa in Congo contro il veleno dell’avidità . «Milioni di morti e il mondo ricco chiude gli occhi» (il Manifesto)
Migranti: Laura Anello, Se a pagare sono gli ultimi della terra (La Stampa). Stefania Falasca, Basta soldi sporchi di sangue, basta arricchirsi sulla pelle, (Avvenire). Niccolò Zancan, Migranti la via crucis (La Stampa). Rosario Russo, Nella guerra in mare alle Ong stravolti il diritto e la morale (Avvenire). Nello Scavo, La Libia e il grande gioco dei migranti (il Fatto Quotidiano)
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RASSEGNA 02.02.2023 di C3dem
2 Febbraio 2023 su C3dem
Il papa in Congo contro il veleno dell’avidità. «Milioni di morti e il mondo ricco chiude gli occhi»
[segue]