Monthly Archives: novembre 2022
Oggi domenica 13 novembre 2022
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Carbonia. Nei 72 giorni c’è anche un importante movimento di giovani. Sfruttamento in miniera, separatezza nella città, sinistre e sindacato ad accogliere i nuovi arrivati, per combatterne isolamento ed emarginazione
13 Novembre 2022
Gianna Lai su Democraziaoggi.
“Il bacino di Carbonia è grandissimo c’erano tanti pozzi sparpagliati per la valle fino al mare l’impressione più grande il primo giorno che sono arrivato lì era che della miniera non si vedeva niente si vedeva solo quell’affare la grande torre di ferro non si vedeva altro poi tutto sotto c’è la miniera ci […]
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RASSEGNA 13.11.2022.
13 Novembre 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem
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Oggi. Giornata mondiale dei poveri
No all’indifferenza verso gli ultimi
Oggi la Giornata mondiale dei poveri. Alla Messa del Papa in prima fila i bisognosi. Poi il pranzo per 1.300 indigenti nell’aula Paolo VI L’arcivescovo Redaelli, presidente di Caritas italiana: chiamati a fare posto nella nostra vita a chi è nel disagio. Più risposte dalla politica
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Che succede?
La tragicommedia dei porti semichiusi
Con un semplice tratto di penna sono stati evocati gli spettri della “selezione” fra “i sommersi ed i salvati”, ed è stata attuata una prima sperimentazione della cultura dello scarto, trasformando delle persone vive in materiale di scarto (carico residuo appunto) di cui sbarazzarsi, come si fa per i rifiuti tossici.
di Domenico Gallo (11.11.2022)
Un provvidenziale certificato medico ha consentito lo sbarco a Catania di tutto il “carico residuo” rimasto a bordo della navi umanitarie Humaniti 1 e Geo Barents, dopo la prima “selezione” che aveva consentito lo sbarco di donne e minori e soggetti fragili. In questo modo il nuovo esecutivo è stato salvato dall’umiliazione di doversi rimangiare i due fantastici decreti con i quali, dopo due settimane di attesa, aveva concesso alle due navi ONG il permesso di: “sostare nelle acque territoriali italiane..(non) oltre il termine necessario per assicurare le operazioni di soccorso ed assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali ed in precarie condizioni di salute”, con l’obbligo di allontanarsi dalle acque territoriali con il “carico residuo”.
Con un semplice tratto di penna sono stati evocati gli spettri della “selezione” fra i meritevoli di essere salvati e quelli destinati ad essere rigettati all’inferno, in pratica una nuova versione de “i sommersi ed i salvati”, ed è stata attuata una prima sperimentazione della cultura dello scarto, trasformando delle persone vive in materiale di scarto (carico residuo appunto) di cui sbarazzarsi, come si fa per i rifiuti tossici.
Quello che conta è il linguaggio che, in questo caso, serve a definire un’identità. In un certo senso il nuovo esecutivo, con il decreto Rave e con i decreti sui porti semichiusi, ha indossato la camicia nera, pur essendo consapevole che stava realizzando una sceneggiata.
L’importante è mandare il messaggio, che “la musica è cambiata”, che questo governo è intransigente nella difesa dei confini, che è capace di imporre a tutti “il rispetto delle regole”, e di tutelare “l’interesse nazionale”. Consacrare una nuova “postura” (di bullismo) nei rapporti interni e nei rapporti internazionali è un’ottima arma di distrazione di massa rispetto ai problemi reali di governo del paese, che non si possono risolvere spezzando le reni a chicchessia.
Ovviamente una cosa è la narrazione, altra cosa è la realtà. Il Governo italiano non poteva prolungare il braccio di ferro con la Commissione Europea che più volte ha richiamato l’Italia, invitandola a «minimizzare la permanenza delle persone a bordo delle navi» (da ultimo il 10 novembre con una nota ufficiale), come peraltro prescrivono il diritto internazionale del mare e il Regolamento europeo n.656 del 2014. Per questo è stato costretto ad assicurare un porto per lo sbarco. Né poteva impedire lo sbarco di tutti i naufraghi a bordo delle navi che hanno effettuato il salvataggio.
La pretesa di effettuare la “selezione” fra i salvati e i sommersi non avrebbe potuto trovare attuazione pratica perché inevitabilmente sarebbe stata stroncata dalla giurisdizione amministrativa e da quella ordinaria, se non dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Vi è un catalogo di norme e principi di carattere nazionale, costituzionale e sovranazionale che non possono essere stracciati impunemente, neanche da un governo “forte”. A cominciare dallo stesso testo unico sull’immigrazione (art. 10 ter) che prevede che le persone salvate in mare devono essere condotte nei centri di prima accoglienza e devono essere informate del diritto di chiedere la protezione internazionale, essendo il diritto d’asilo un diritto fondamentale garantito dall’art. 10, comma 3 della Costituzione. Per non parlare dell’impossibilità di reinviare in acque internazionali il “carico residuo”, poiché l’espulsione collettiva di stranieri è vietata dall’art. 4 del Protocollo n. 4 della CEDU e dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Insomma il certificato medico è stato una manna dal cielo che ha tolto le castagne dal fuoco al Governo salvandolo da una imbarazzante retromarcia. A questo proposito la reazione stizzita del Presidente del Consiglio non si comprende se sia frutto più di inesperienza o di supponenza.
Resta il fatto che ostacolare l’attività di soccorso in mare effettuata dalle navi umanitarie, che intervengono in una zona di mare dove sono stati ritirati tutti gli assetti navali di Frontex, non è una forma di contrasto all’immigrazione illegale, né di “protezione” dei confini. Le navi ONG intercettano, infatti, solo una minoranza dei profughi che arrivano dal mare: poco più di 10.000 su 87.000 sbarcati negli ultimi 10 mesi, l’11,5% del totale. La maggior parte dei c.d. “migranti illegali” arriva su mezzi propri che non possono essere bloccati, né respinti in alto mare.
L’intervento delle navi ONG fa la differenza perché consente l’arrivo in Italia di quelle persone che con i mezzi propri non ce l’avrebbero fatta. In pratica c’è una selezione naturale fatta dal mare dove, secondo l’OIM, sono almeno 2.836 i morti e dispersi registrati nel Mediterraneo centrale dal 2021 al 24 ottobre 2022. Le navi delle ONG si intromettono in questa selezione naturale mitigandola, portando in salvo quel flusso di persone che non ce l’avrebbero fatta: o sarebbero annegati, o sarebbero stati catturati dalle motovedette libiche e riportate nell’inferno dei lager.
Impedire quest’attività di soccorso significa pianificare la morte per annegamento di migliaia di persone come strumento ordinario della politica di gestione dell’immigrazione. Evidentemente nei suoi primi vagiti il governo ha riesumato il motto dei franchisti: Viva la muerte!
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Tante piazze per la pace perché non possiamo stare a guardare
di Alfiero Grandi
(11 Novembre 2022)
La manifestazione per la pace di Roma è andata molto bene, partecipata, multiforme e questo è un pregio non un difetto. Diversi orientamenti si sono uniti nella richiesta alta e forte di puntare con decisione ad una tregua e ad una trattativa che ponga fine alla guerra in Ucraina. Guerra che continua a diffondere germi pericolosi che possono spingere ad un conflitto mondiale, perfino nucleare.
Resta la grave responsabilità di Putin di avere scatenato l’aggressione all’Ucraina e di avere innescato un rilancio del riarmo a livelli mai visti dalla seconda guerra mondiale. Un solo esempio: la richiesta Nato di spendere per la cosiddetta difesa (parte degli armamenti vanno in Ucraina) almeno il 2 % dei bilanci pubblici dei suoi membri è praticamente un dato acquisito negli orientamenti dei vari governi, resta al massimo il problema dei tempi per arrivarci. La Germania ha addirittura messo in bilancio 100 miliardi di euro per armamenti.
La guerra ha travolto le relazioni tra gli Stati
Il cambiamento nei rapporti internazionali tra gli Stati è ben descritto dalla differenza (allarmante) tra il vertice di Glasgow (Cop26), avvenuto solo un anno fa per concertare a livello mondiale le iniziative contro il cambiamento climatico (con l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura del pianeta entro 1,5 gradi) e il vertice mondiale in Egitto (Cop27) che ha registrato assenze importanti (India, Cina, Russia), con difficoltà enormi nel gestire perfino gli impegni già presi e finora non realizzati, come il sostegno finanziario.
La guerra ha travolto nel mondo le relazioni tra stati e relegato la questione clima in secondo piano. La crisi climatica oggi non è più il centro, malgrado le sue conseguenze gravissime si susseguano sotto i nostri occhi, non ultime quelle economiche, in particolare sulla transizione dall’energia fossile a quelle rinnovabili, che era un punto centrale della discussione a Glasgow.
Non è il clima che è migliorato, è il consesso degli stati che ha relegato questo obiettivo vitale per il futuro dell’umanità in secondo piano. Non possiamo rassegnarci.
La risposta alla guerra non può essere proseguire nel riarmo, bruciando risorse e vite umane. E’ un errore mettere al centro la scelta tra Putin e l’Ucraina, come se si trattasse di una partita, perché è evidente che questo disgraziato paese sta subendo distruzioni e perdite di vite umane ma che la sua tragedia non troverà soluzione per via militare, con la guerra.
La guerra infinita non è una soluzione ma una crisi senza via d’uscita, per questo occorre invertire il precorso e creare nel mondo il clima e le iniziative che possono portare a tregua e trattative di pace. La conferenza di Helsinky del 1975 resta un riferimento importante.
Finora si è parlato molto e solo di guerra, ben pochi hanno parlato di pace, che anzi viene descritta come impossibile perché i diretti interessati – si dice – vorrebbero continuare la guerra e puntano a risolvere per via militare il conflitto.
La differenza è anzitutto qui. Può essere che Russia ed Ucraina non siano in grado di trovare da sole il modo per avviare una trattativa diretta. Per ora è stata mediata dalla Turchia la soluzione di singoli aspetti. Proprio per questo è il resto del mondo che deve trovare la forza e il coraggio per aiutare, convincere, costringere i contendenti ad affrontare le difficoltà di una trattativa per la pace.
Il resto del mondo non può ridursi a spettatore o a fornitore di armi ai contendenti, perché questo è un dramma umano e politico che riguarda tutta l’umanità e che potrebbe portare il pianeta, tutti noi, al disastro.
Essere per la pace non impedisce di avere chiare le responsabilità, ma vuol dire concentrarsi su questo obiettivo che è l’unico modo per non rimanere prigionieri delle difficoltà, per cercare una soluzione futura stabile ad una situazione che oggi è di guerra.
L’invio di armi non è l’unica via
Non sarà sufficiente la manifestazione del 5 novembre, che anzi ha bisogno di continuità, mettendo in campo altre e più ampie iniziative, come del resto hanno detto gli oratori nei discorsi in piazza San Giovanni: allargare alle altre capitali nel mondo le manifestazioni, diffonderle in modo sempre più ampio in Italia, convincere che le trattative non hanno alternative.
Allargare, estendere, intensificare, sono i compiti che la manifestazione di sabato ha affidato a tutti noi.
Non a caso contro questa manifestazione è iniziato preventivamente (e prevedibilmente) un tentativo di sminuirne la portata, proseguendo a raccontarla in modo strumentale. La critica di chi sostiene che l’invio delle armi è l’unica via per arrivare alla pace è semplicemente una coazione a ripetere, per di più fingendo di dimenticare che la Russia è una potenza nucleare. In altre parole questo vuol dire puntare a vincere la guerra costi quel che costi per umiliare l’avversario.
Questo è un dramma anzitutto per l’Ucraina, ormai diventata campo di sperimentazione di tutte le nuove diavolerie per uccidere, inventate e costruite per la guerra.
La foglia di fico dietro cui ci si è nascosti finora è stata avanti con le forniture di armi perché è l’Ucraina che deve decidere se ci sono le condizioni per la pace. L’Ucraina ha diritto a decidere per sé stessa, ma non può decidere di creare una situazione che può portare ad un conflitto mondiale e peggio ancora al conflitto nucleare. Sappiamo bene che questo è solo un alibi per giustificare la continuazione delle forniture di armi e la guerra.
Non si possono dipingere come filo Putin tutti quelli che parlano di pace, facendo risorgere un nuovo maccartismo, senza avere il coraggio e la forza di dire che per arrivare alla pace occorre pensare alla pace. Per di più con una sudditanza europea preoccupante e alla lunga pericoloso per il suo ruolo nel mondo e il suo futuro.
Lo slittamento verso una guerra senza fine e un suo potenziale allargamento al mondo rischia di diventare l’unica strada effettivamente percorribile. Durante la guerra fredda, ad esempio negli anni 60, si arrivò diverse volte vicini al dramma nucleare ma poi ci si fermò sulla base della convinzione che una guerra mondiale avrebbe portato l’umanità ad un disastro e che la coesistenza doveva per forza di cose riguardare regimi diversi tra loro. Altrimenti se le relazioni fossero solo con paesi più o meno simili si dovrebbe parlare di alleanze non di coesistenza.
Oggi va ricostruita questa semplice ma decisiva verità. Paesi diversi, con regimi diversi, che possono non piacerci e che abbiamo diritto di criticare, non possono essere l’obiettivo di un cambiamento politico dall’esterno, occorre evitare che la competizione tra sistemi diventi ragione di guerra, in particolare se dovesse coinvolgere paesi con armi atomiche, perché gli incubi peggiori potrebbero diventare una spaventosa realtà.
Quindi occorre che le sedi internazionali, a partire dall’ONU, svolgano a pieno il loro ruolo, coinvolgendo le potenze fondamentali che hanno una responsabilità nel governare le relazioni internazionali, partendo da una tregua nella guerra in Ucraina e insieme avviando una trattativa per la pace, difficile fin che si vuole ma che è l’unica via per uscire da questo cul de sac.
Chi con sicumera insiste sulla guerra senza fine dovrebbe ricordare che in Afghanistan gli Usa sono rimasti 20 anni, spendendo cifre incredibili e con una presenza militare diretta enorme, con perdite umane importanti, eppure ad un certo punto, senza neppure avvertire gli alleati, gli Usa hanno deciso che la guerra andava conclusa e sappiamo che è finita con l’abbandono delle speranze (e delle persone) al loro destino.
Nessun organo di informazione importante ha fatto la diretta della manifestazione di Roma, altri si sono dilettati in derisioni, critiche, insistendo sulle differenze, senza comprendere che la convergenza di diversi su una piattaforma é una forza non una debolezza. Tutto previsto e puntualmente arrivato.
Passare dal sostegno alla guerra, senza chiedersi quale possa esserne lo sbocco, alla iniziativa per la pace non è uno scherzo, richiede un cambio radicale di priorità e di atteggiamento verso i soggetti in campo.
Chi chiede solo armi deve sapere che non può continuare così. Chi continua la distruzione sistematica e provoca vittime deve sapere che non può continuare così. La coazione a ripetere è durata anche troppo. Ora basta, parliamo di pace come obiettivo principale.
Altra eredità decisiva della manifestazione sta nella testimonianza di chi ha contribuito come Sant Egidio a superare condizioni di guerra terribili nel mondo e oggi è di nuovo testimone della volontà di pace.
Mettere insieme le tante voci diverse
Ora occorre non solo estendere le manifestazioni ma iniziare concretamente a individuare le sedi, i percorsi e le soggettività che possono contribuire a creare un clima di fiducia sufficiente per avviare le trattative di pace. Sappiamo da tempo che l’autorità morale di papa Francesco può aiutare (anche se le sue divisioni militari non esistono) ma non è l’unica autorità che può contribuire. Sono diversi i pulpiti importanti che fanno capire di essere per la pace, malgrado questo la trattativa non si avvia, non scatta ancora il meccanismo positivo.
Estendere le manifestazioni ovunque e fare maturare più in fretta possibile la trattativa sono le due sfide che la manifestazione di Roma consegna a tutti noi.
Inoltre va detto che al di là dello sbracciarsi per attribuirsi primazie sulla manifestazione resta il fatto che i protagonisti che hanno organizzato e riempito il corteo e la piazza sono esponenti della società, sono associazioni e persone che sono determinate alla pace.
Se questa manifestazione fosse stata convocata da settori politici non avrebbe avuto lo stesso risultato, mentre la convocazione da parte di 600 associazioni grandi e piccole ha dato all’appello di convocazione la credibilità necessaria per mobilitare tanti, diversi tra loro, e questa è una forza non una debolezza.
Questo debbono ricordarlo tutti, sia quelli che hanno partecipato per non perdere il contatto con questo mondo, sia altri che si sono messi in evidenza per intestarsi il risultato.
Non ci sono ancora né iniziative, né credibilità della politica sufficienti per recuperare un rapporto di rappresentanza con la parte maggioritaria delle italiane e degli italiani che vogliono che questa guerra finisca prima possibile, senza umiliazioni e creando un clima giusto di convivenza tra diversi.
La società ha oggi una responsabilità enorme ed è l’unica che può mobilitare le persone e uscire dagli schemi fin qui percorsi, che hanno dimostrato di non essere in grado di indicare una via di uscita dal clima di guerra verso una difficile ma indispensabile pace.
Chi ha ascoltato i discorsi durante la manifestazione sa che la piattaforma di convocazione e le posizioni espresse dagli oratori, in particolare da don Ciotti, Riccardi e Landini hanno una valenza politica che gli esponenti politici non riescono ad avere perché la maggioranza dell’opinione pubblica del nostro paese sta con i protagonisti del 5 novembre.
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Montiferru: dae su fogu a s’isperu
Custu liberu
Custu liberu, fatu cun su contributu de sa Regione Sarda, Imprentas 2021-22, cherede faghere connoschere mezzus a sos pizzinnos sos logos de su Montiferru attraessados dae su fogu in su mese de triulas de su 2021. Deo appo iscrittu sa primma parte de su liberu e soe su coordinadore, sa sigunda parte l’ana fatta sas mastras e sos pizzinnos de sas sette biddas de su Montiferru.
Su liberu cuminzada cun unu contu, Su Betzu Mannu, milli annos de istoria contados a sos pizzinnos dae su patriarca vegetale, s’ozzastru de Tanca Manna. (Sighi)
Oggi venerdì 11 novembre 2022
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Le donne vinceranno. Oggi dibattito alla Scuola F. Cocco
11 Novembre 2022
A.P. su Democraziaoggi
Oggi al Caffè politico della Scuola di cultura politica Francesco Cocco, alle ore 18 in via Piceno n. 5 – Cagliari, si parlerà di “Femminismo e femminismi”, in vista della giornata delle donne del 25 novembre. Ecco sul tema una sommaria riflessione.
Ho sempre pensato che un bel giorno la parità uomo/donna sarà effettiva non solo […]
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È urgente una nuova legge elettorale. Appello
Le elezioni del 25 settembre hanno reso non più rinviabile un radicale cambiamento delle regole elettorali
La nuova legge elettorale deve essere di tipo proporzionale, garantendo che elettrici e elettori possano scegliere direttamente i parlamentari, senza liste bloccate, togliendo ai capipartito la decisione su chi debba essere eletto, come è accaduto finora.
La crescita dell’astensione dal voto (+ 9%) ha raggiunto il livello più alto in elezioni politiche e sottolinea la crisi di questo sistema elettorale. [segue]
Che succede nel/al Pianeta?
Costituente Terra Newsletter n. 100 del 9 novembre 2022
LESSICO FAMILIARE
Cari Amici,
dice il Vangelo: “in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via e l’altro lasciato; due donne staranno nello stesso luogo: l’una verrà portata via e l’altra lasciata”. Così fa il governo che dice di essere umanitario con quelli che prende, di usare la fermezza con gli altri. Solo che il Vangelo lo dice riguardo alla fine del mondo, il governo lo dice riguardo alla fine che vuol far fare ai naufraghi che salvati dal mare arrivano ai nostri porti. Non capisce che queste – le selezioni, gli scarti, i raduni permessi e vietati, le serate negate ai giovani che non sono in regola con Iva, Siae, Irpef e Tari – sono politiche della fine, ma anche della fine di un governo ragionevole. E quanto alla fermezza contro i migranti, è una parola che nel nostro lessico evoca quella di un altro governo che per la fermezza (non si tratta con le BR) mandò a morte l’on. Aldo Moro, o quella dell’irredento Zelensky che per fermezza non tratta con Putin e manda a morte l’Ucraina.
Nel sito pubblichiamo un articolo di Riccardo Petrella sulla “guerra infinita”.
Cordiali saluti,
www.costituenteterra.it
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Informazioni
Dal 6 al 18 novembre si terrà la 27a Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP 27) durante la quale i cattolici avranno una nuova opportunità di occuparci della cura del creato e raggiungere un accordo per il mondo.
Ma cos’è la COP27? qual è la sua storia? E perché è così importante?
L’acronimo COP sta per Conferenza delle Parti. Le “parti” sono i firmatari della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), un trattato del 1994, composto da 197 parti (196 paesi e Unione Europea). Un anno dopo, nel marzo 1995, si tenne la prima COP a Berlino, in Germania.
La conferenza del 2022 sarà il 27° incontro delle Parti. Quest’anno si tiene nel continente africano, più precisamente nella città di Sharm El-Sheikh in Egitto.
Le Conferenze delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici sono tra gli incontri internazionali più importanti al mondo. I negoziati tra i governi sono complessi e coinvolgono funzionari di tutti i paesi, nonché rappresentanti della società civile e dei media.
Cosa accadrà in Egitto?
Ora è necessario e urgente agire immediatamente per la cura del creato e alzare la voce per attuare un’azione immediata.
Dopo la COP26 di Glasgow e i suoi “accordi insufficienti”, quest’anno stiamo cercando di accelerare l’azione verso gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Una delegazione del Movimento Laudato Si’ sarà presente a Sharm el Sheikh sostenendo in particolare gli sforzi dei suoi membri e partner, concentrandosi su NDC (Nationally Determined Contributions) e mitigandoli. Inoltre presenteranno il film La Lettera per far conoscere l’enciclica Laudato Si’ e gli sforzi dei cattolici per prendersi cura della nostra casa comune.
La nostra casa comune e la nostra famiglia comune stanno soffrendo. L’emergenza climatica sta causando l’innalzamento dei mari, un pianeta più caldo e un clima più estremo.
Sta devastando la vita dei nostri fratelli e delle nostre sorelle più poveri. Allo stesso tempo, i biologi stimano che stiamo portando le specie all’estinzione a un ritmo compreso tra 100 e le 1.000 volte superiore al normale. “Non ne abbiamo il diritto” (LS 33).
Questo novembre, i paesi annunceranno i loro piani per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi.
Considerando i vari rischi derivati dalla crisi climatica, l’obiettivo di questa conferenza è che i paesi presentino obiettivi forti di riduzione delle emissioni per il 2030 (NDC) e mantengano l’aumento della temperatura a 1,5 gradi per raggiungere lo zero entro la metà del secolo .
È nostra responsabilità come cattolici alzare la voce dei più vulnerabili e difenderli. È necessario e urgente lavorare insieme per raggiungere questi obiettivi e trasformare le ambizioni in azioni, accelerando la collaborazione tra governi, imprese e società civile. Ecco perché come cattolici dobbiamo alzare la voce per prenderci cura della nostra casa comune.
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COP27: combattere i ricchi per salvare il pianeta
09.11.22 – Marco Bersani – Attac Italia – su Pressenza.
“We won’t pay your greed” (“Non pagheremo per la vostra avidità”)
Privatizzare i profitti e socializzare gli oneri è sempre stata la regola base del modello capitalistico, che nelle fasi di prosperità decanta il merito dell’iniziativa privata dei pochi e nelle fasi di crisi distribuisce colpe e sacrifici sulla vita dei molti.
Lo abbiamo ampiamente visto – e presto lo rivedremo – in merito alla crisi finanziaria e del debito: dopo aver esaltato per decenni il ‘self made man’, l’imprenditore di sé stesso, l’artefice del proprio destino, allo scoppio della bolla la responsabilità è diventata improvvisamente collettiva e il debito è stato narrato come conseguenza dell’aver vissuto per anni al di sopra delle nostre possibilità e dell’aver sperperato senza alcuna considerazione per le future generazioni.
É la stessa ideologia con cui viene oggi raccontata la crisi climatica: colpa di tutte e di tutti, responsabilità dell’umanità in quanto tale, al punto che si è mutuato il linguaggio dalla geologia per definire quest’epoca come ‘Antropocene’, esplicitando una visione che rimanda ad una generica e astratta relazione uomo-natura come causa dell’attuale crisi eco-climatica, in cui sono l’esistenza stessa e l’attività di una umanità del tutto indifferenziata a generare impatti negativi sull’ambiente naturale.
Sappiamo che non è così. Come ha da tempo dimostrato lo studio “Climate change & the global inequality of carbon emissions, 1990-2020” , realizzato dal “Laboratoire sur les Inégalités Mondiales dell’École d’économie de Paris”, anche sulle emissioni di gas serra regna la stessa diseguaglianza che attraversa la società.
Secondo questo studio, a livello globale, il 10% più ricco della popolazione mondiale (771 milioni di individui) emette in media 31 tonnellate di CO2 per persona all’anno ed è responsabile di circa il 48% delle emissioni globali. Dentro questa fascia, l’1% dei ricchissimi emette in media 110 tonnellate ed è responsabile del 17% delle emissioni. Per contro, il 50% più povero (3,8 miliardi di individui) emette 1,6 tonnellate per persona all’anno, raggiungendo solo il 12% delle emissioni globali.
É una polarizzazione dovuta a diseguaglianze geopolitiche e storiche, ma che diviene ancora più marcata se si guarda alle condizioni sociali interne a ciascun Paese. Nelle nazioni più ricche, le emissioni pro capite della metà più povera della popolazione sono addirittura diminuite dal 1990 ad oggi, mentre si sono moltiplicate esponenzialmente quelle della popolazione abbiente e soprattutto quelle dei super-ricchi.
I ricchi inquinano e lo fanno con il loro stile di vita, basato su un iper-consumo insostenibile. Ma il recentissimo rapporto “Carbon billionaires” presentato da Oxfam in occasione della Cop27 attualmente in corso in Egitto, dimostra come i super-ricchi inquinano anche con i propri investimenti finanziari.
Secondo il rapporto, le emissioni di CO2 in un anno associate agli investimenti in imprese inquinanti da parte dei 125 miliardari del pianeta “equivalgono a quelle prodotte nello stesso arco temporale da un paese come la Francia”.
Dallo studio emerge che la scala delle emissioni degli investimenti di questi super-ricchi equivale a 393 milioni di tonnellate di CO2 complessive. “In media, in un anno gli investimenti finanziari di ciascuno di questi super-ricchi in settori economici inquinanti “producono” una quantità di emissioni 1 milione di volte superiore a quella di una qualunque persona collocata nel 90% più povero della popolazione mondiale”. Facendo un ulteriore paragone “Ci vorrebbero 1,8 milioni di mucche per emettere gli stessi livelli di CO2 di ciascuno dei 125 miliardari”
Come si vede, siamo ben lungi dall’essere tutti ‘sulla stessa barca’, come la narrazione dominante vorrebbe farci credere. Siamo invece dentro un modello nel quale la ricchezza di pochi è direttamente responsabile tanto dell’ingiustizia sociale, quanto della crisi climatica in cui siamo drammaticamente immersi.
E, per uscirne, basti l’indicazione data, nel novembre 2021, ai delegati della COP26 riuniti a Glasgow dal direttore dell’Istituto di Potsdam (PIK), Johan Rockström: per mantenere il riscaldamento al di sotto di 1,5°C e nel rispetto della giustizia climatica, l’1% più ricco della popolazione mondiale dovrà dividere per trenta le sue emissioni entro il 2030; il 50% più povero, invece, potrà moltiplicarle per tre.
Quale governo applicherà un principio tanto drastico quanto elementare? Quale governo sarò capace, oltre che di chiudere gli allevamenti intensivi di bovini e suini, di chiudere con politiche economiche, sociali ed ecologiche anche l’allevamento intensivo dei super-ricchi?
L’articolo originale può essere letto qui
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OSSERVATORIO SULLA TRANSIZIONE ECOLOGICA – PNRR
Promosso da
Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Laudato Si’, Nostra
Una delle tante nefaste conseguenza del riarmo e della guerra è il rilancio dell’energia fossile, occorre una svolta radicale verso le rinnovabili. In proposito, ecco una chiara presa di posizione.
La transizione ecologica non è una scelta, è un obbligo che deriva dall’aggravarsi della crisi climatica- che provoca disastri ambientali e danni enormi alla vita delle persone – con costi economici inaccettabili. Per questo occorre accelerare il passaggio da un’economia e una vita sociale fondata sulle fonti fossili e sullo spreco delle risorse naturali verso una basata sulle fonti da energie rinnovabili e sulla circolarità del ciclo produzione/rifiuti.
Una transizione epocale, richiesta anche dall’accelerazione dell’esaurimento delle risorse naturali, conseguente alle aberranti logiche di spoliazione e sfruttamento, quale riportano i dati impressionanti dei rapporti UNEP. Sfruttamento e logiche dominate da interessi di parte, che, in concorso con aridità e siccità che investono aree sempre più estese del pianeta riguardano anche il drammatico ridursi dell’acqua, irrinunciabile bene comune dell’umanità. Questa transizione deve vedere il nostro Paese tra i protagonisti, con politiche mirate ed efficaci, con capacità tecnologica innovativa e con significative realizzazioni, come finora è accaduto purtroppo in modo parziale e inadeguato.
La guerra ha spinto in secondo piano l’impegno corale – faticosamente conquistato solo un anno fa – degli Stati del pianeta a convergere nello sforzo per limitare la crescita dell’aumento della temperatura entro 1,5 gradi, condizione indispensabile per contenere l’alterazione climatica in corso, pena prospettive disastrose.
Occorre che ogni Paese riprenda con determinazione e forza quel percorso, altrimenti sarebbe inevitabile l’estendersi di povertà e fame, in contrasto con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, fino a livelli di inabitabilità di intere aree del pianeta. La stessa reazione alle conseguenze della guerra e della crisi energetica deve cambiare in profondità.
Il tragico conflitto scatenato dalle decisioni scellerate di Putin ha evidenziato, anche nel discorso pubblico, la necessità di sostituire le fonti energetiche gas e petrolio, e non solo limitatamente alle importazioni dalla Russia.Tuttavia fino ad ora deboli e perfino regressivi sono stati l’attenzione e gli interventi verso le fonti energetiche rinnovabili: le uniche in grado di garantire l’autonomia energetica del nostro Paese, disponibili e già oggi tecnologicamente mature, economicamente più convenienti e, socialmente, di uso sempre più esteso.
Al contrario, proprio su questo passaggio verso le rinnovabili, si registra il punto più debole delle scelte fatte (o non fatte) negli ultimi 20 mesi dal precedente governo e che non sembrano essere finora considerate dal nuovo.
Infatti, il 2022 si chiuderà con un aumento delle energie rinnovabili assolutamente al di sotto del necessario rispetto all’obiettivo 2030, cioè i nuovi 70 GW più volte confermati dal precedente Ministro della Transizione Ecologica. Peggio, con una preoccupante lontananza dalla richiesta di Next Generation EU di realizzare il 40% degli obiettivi energia-clima 2030 entro il 2025, che comporta 30 GW in più di rinnovabili entro quella data. Il nuovo Governo dovrà, allora,essere in grado di assicurare l’allaccio alla rete di almeno metà dei 60 GW di rinnovabili, che le industrie del settore si dichiarano pronte a realizzare entro i prossimi tre anni. Dai primi passi emerge, purtroppo, la scelta di investire ancora nella filiera del gas, procrastinando così il modello fossile e pagando, inoltre, un caro prezzo economico, ambientale e climatico anche alle difficoltà di approvvigionamento, costruzione di rigassificatori, acquisto di navi metaniere, nuove trivellazioni per quantitativi irrisori ma significativi rispetto al danno ambientale, che ipotecano per almeno un ulteriore decennio il modello che infrange i limiti di temperatura cui stiamo già pericolosamente vicini.
Sui risultati omogenei con Next generation EU e gli obiettivi al 2030, difficili ma non impossibili, si valuterà la credibilità del nuovo Governo nella battaglia contro la crisi climatica. E si metteranno al riparo le ulteriori destinazioni previste per l’Italia dal Recovery Fund, che non è affatto scontato siano erogate in assenza di fatti significativi, non surrogabili con promesse che, come quella sul ventilato ricorso all’energia nucleare, andrebbero ampiamente al di là del 2030.
A questo Governo chiediamo, come avevamo già fatto col precedente, di convocare rapidamente una conferenza nazionale per preparare un nuovo piano energetico nazionale con l’obiettivo di uscire dal giorno per giorno, dalla affannosa rincorsa alle emergenze. Giriamo la proposta al nuovo Ministro e al nuovo Governo: dimostrino di comprendere l’esigenza di una svolta epocale nella direzione delle energie rinnovabili.
Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, Jacopo Ricci
Massimo Scalia coordinatore scientifico
Novembre 2022
Oggi giovedì 10 novembre 2022
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Basta inseguire la crisi dell’energia fossile, occorre una svolta radicale verso le rinnovabili
10 Novembre 2022 su Democraziaoggi.
OSSERVATORIO SULLA TRANSIZIONE ECOLOGICA – PNRR
Promosso da
Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Laudato Si’, Nostra
Una delle tante nefaste conseguenza del riarmo e della guerra è il rilancio dell’energia fossile, occorre una svolta radicale verso le rinnovabili. In proposito, ecco una chiara presa di posizione.
La transizione ecologica non è una scelta, è un obbligo che deriva […]
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Oggi mercoledì 9 novembre 2022
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Autonomia differenziata: la trattativa privatistica di Calderoli tra ministero e le regioni capofila
9 Novembre 2022 su Democraziaoggi
Massimo Villone
Dai primi passi del nuovo governo sembra dissolversi, sulle riforme istituzionali, lo scambio FdI/Lega tra presidenzialismo e autonomia differenziata. Il presidenzialismo, più vicino al sentire di FdI, è scomparso dal dibattito politico, mentre l’autonomia differenziata, cui tiene fortemente una Lega tornata al suo originale feeling separatista, è partita subito, e accelera. La chiamata […]
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I giovani sardi ci sono!
Sardegna chiama Sardegna: grande successo per la prima assemblea pubblica
8 Novembre 2022
[red il manifesto sardo]
(Segue)
Autonomia differenziata Salute e Sanità
Una iniziativa opportuna e di grande interesse. Documentati e ricchi di informazioni e anche di proposte gli interventi, dalle relazioni introduttive di Carlo Boi e Alfio Desogus fino agli altri che ho potuto ascoltare, dalle 9.45 alle 11.30, quando sono dovuto andar via per impegni personali. Chiedo a Carlo di dare diffusione dei lavori e delle decisioni per dare continuità all’iniziativa. La sanità è troppo importante per lasciarla in mano agli specialisti e, figuriamoci, ai politici. Segnalo la necessità di collegare tutte le organizzazioni e persone che si muovono con grande impegno in campo salute/sanità. Tra queste la neonata aggregazione “SardegnachiamaSardegna” formata in grande maggioranza da giovani, da giovani bravi, competenti, inclusivi. Quelli che si sono riuniti domenica a Sant’Anna (Terralba/Oristano) Saludos