Monthly Archives: maggio 2022

Oggi mercoledì 4 maggio 2022

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Sentire Lavrov è pericoloso? Ma dai! Non siamo incapaci sotto protezione! E l’art. 21 Cost., nel cestino?
4 Maggio 2022
A.P. su Democraziaoggi.

Secondo voi se parla Austin dice cose a favore degli States o no? E se esterna Ben Wallace difende la politica di BoJo o la critica? Domande retoriche e tanto ovvie da essere stupide. E se parla Lavrov? Cosa si aspetta l’ascoltatore? Ne’ più ne’ meno quanto ha detto l’altra sera a Zona bianca, […]
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Dai fiocchi di neve alla pace
4 Maggio 2022
Roberto Paracchini su Democraziaoggi
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C’era una volta una bambina che gioca con un bambino e un fiocco di neve. O, meglio, con tanti fiocchi di neve che cadono dal cielo. I bambini giocano a raccoglierli. La scommessa è che vince chi riesce a prenderne di più. Dopo un po’ si accorgono, però, che non basta riempirsi le […]
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Che succede?

c3dem_banner_04IL LAVORO NEL TEMPO DELLA TRANSIZIONE
1 Maggio 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem. [segue]

Costituito il Comitato per la Riforma della Legge Elettorale Sarda

Sabato 30 aprile 2022 si è tenuta online una riunione del neo costituito Comitato per la riforma della legge elettorale sarda. Ne da conto un resoconto di Lucia Chessa, che volentieri pubblichiamo, impegnandoci con Aladinpensiero a diffondere il lavoro del Comitato, auspicando che lo stesso si allarghi a più soggetti per arrivare in tempo a una nuova legge elettorale (che entri in vigore entro la consiliatura regionale in corso), che cancelli quella attuale, la peggiore e meno democratica tra tutte le leggi elettorali delle regioni italiane.
a59c6a73-2e39-40fd-a6ff-c387b0749a96 IL RESOCONTO (informale). Ciao a tutti,
come d’accordo con chi ha partecipato alla riunione di sabato, e come richiesto da alcuni assenti, invio un piccolo resoconto di quanto stabilito nel corso dell’incontro.
Il gruppo dei soggetti che hanno sottoscritto il documento, si sono costituiti in un Comitato per la Riforma della Legge Elettorale Sarda che procederà ad una serie di incontri nei territori di informazione e di sensibilizzazione sul contenuto pesantemente antidemocratico della legge elettorale vigente in Sardegna. L’ipotesi è di raccogliere, nel corso di questi incontri, firme non autenticate, con la sola indicazione delle generalità e di un numero di documento, sul documento che qui allego (elaborato a suo tempo da Omar Chessa) che contiene i “pilastri” della nostra richiesta e che comunque ogni gruppo potrà ricontrollare e riverificare segnalando ciò che ritiene opportuno. [segue]

Oggi martedì 3 maggio 2022

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Perché i pacifisti vengono chiamati “furiosi” o peggio, quando sono miti e tranquilli?
3 Maggio 2022
A.P. su Democraziaoggi.

Leggo sempre con interesse gli scritti di Furio Colombo anche quando, come in questo momento, non condivido le sue opinioni. E’ onesto intellettualmente, sempre chiaro e garbato. Le sue argomentazioni sono ogni volta appuntite e insegnano qualcosa.
Ecco perche’ mi ha sorpreso il suo ultimo articolo sul Fatto dal titolo “Il furore […]
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Non è Eleonora
3 Maggio 2022
Federico Palomba su Democraziaoggi.

Una brava giornalista, Maria Francesca Chiappe, ha utilizzato le sue profonde conoscenze in materia giudiziaria e di nera per dare alla stampa di recente il libro “Non è lei”, edito da Castelvecchi nel gennaio 2022. E’ stato già oggetto di diverse presentazioni assai partecipate. E’ un libro che uncina da subito (cosa non frequente) […]
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QUARTO POTERE. LAVROV E IL NAZISMO
3 Maggio 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
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Impegnati per la Pace. Anticipazioni

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Chiesa sarda: Gilberto Marras nuovo Delegato regionale della Pastorale Sociale e del Lavoro

1e647a52-3b5f-4c2f-a43d-f4f6e64f562aLa Conferenza Episcopale Sarda ha nominato Gilberto Marras nuovo Delegato regionale della Pastorale Sociale e del Lavoro. Succede a Franco Manca, al quale i Vescovi sardi hanno formulato un vivo ringraziamento per il proficuo lavoro svolto, che anche noi riteniamo ampiamente meritato. Auguriamo a Gilberto, stimato dirigente del sistema cooperativo sardo, buon lavoro per il nuovo prestigioso e impegnativo incarico al servizio della Chiesa e della società sarda, assicurandogli – per quanto ci compete come operatori socio-culturali, specificamente della comunicazione – un rapporto di piena collaborazione.
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Oggi lunedì 2 maggio 2022

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PACE PROIBITA. Apriamo un capitolo nuovo di lotta per la pace
2 Maggio 2022 su Democraziaoggi.
L’appello di Santoro: «Lunedì vogliamo aprire insieme a te un capitolo nuovo…» — PACE PROIBITA, 2 maggio [VIDEO]
« …La prima pagina di questo capitolo porta scritta a lettere maiuscole la parola proibita: #PACE. Ti aspettiamo » Michele Santoro
Lunedì 2 maggio 2022 dalle ore 21 alle ore 23,30 al teatro Ghione di Roma – […]
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Se Guterres ha fallito è perché le potenze mondiali sono impegnate ad armare l’Ucraina
2 Maggio 2022
Altiero Grandi su Democraziaoggi

Dopo il sostanziale fallimento dell’incontro del segretario dell’Onu con Putin, l’accento è tornato rapidamente sulle forniture di armi all’Ucraina, come ha chiarito l’incontro organizzato in contemporanea dagli Usa nella base americana di Ramstein, con la presenza di 43 paesi, solo in parte Nato.
L’Onu ha solo la forza che il consenso della maggioranza dei paesi […]
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L’ORIGINE DELLA GUERRA E LA LEZIONE DI BERLINGUER

44620070-bf82-4277-ba2b-0a9a7ade5e3eL’ORIGINE DELLA GUERRA E LA LEZIONE DI ENRICO BERLINGUER
cost-terra-logo 27 APRILE 2022 / COSTITUENTE TERRA / DISIMPARARE L’ARTE DELLA GUERRA /
Alle radici del movimento d’ispirazione socialistica c’è la critica del modello capitalistico. E rinunciarvi significa rinunciare alla propria missione. Ma Enrico
Berlinguer
pensava a un altro modo di interpretare quella funzione critica

di Aldo Tortorella*

La guerra al centro dell’Europa con la brutale aggressione russa all’Ucraina, fuori da ogni diritto internazionale quali che fossero i motivi dichiarati per giustificarla, ha segnato l’inizio di quest’anno nel quale ci preparavamo a ricordare il centenario della nascita di Enrico Berlinguer non solo per motivi affettivi, ma per riflettere sul suo pensiero e sul secolo che è trascorso. Non più il secolo breve di Hobsbawm (tra la prima guerra mondiale e l’89) ma quello che arriva fino a noi e che viene mostrando ciò che scompare e ciò che rimane o ritorna.

Come è possibile che la guerra sia tornata in Europa sin da quando fu bombardata Belgrado dalla Nato per strappare alla Serbia il Kosovo? E perché continuano le guerre più o meno (apparentemente) concluse nel Medio e Vicino Oriente o in Libia a pochi chilometri dalle coste siciliane? Da dove viene il nazionalismo che dilaga nel mondo? Perché si è tanto estesa la tendenza che viene chiamata “populismo”? E come è possibile che dopo le catastrofi generate da fascismo e nazismo quelle idee siano tornate a fare proseliti e a costruire organizzazioni? E, mentre scrivo questo articolo, ci si chiede angosciosamente come sia nato e che cosa provocherà questo nuovo incubo della guerra russo-ucraina in atto. È un mondo tutto all’opposto della vita di Berlinguer, cioè della sua originale visione di un bisogno e di un ideale di pace, di liberazione umana, di giustizia sociale che percorse il Novecento: un ideale che fu il motivo conduttore e l’oggetto della contesa planetaria nel secolo breve.

Il “socialismo in un Paese solo”, con l’appello alla sua difesa, aveva in parte stravolto ma non aveva soppresso l’ideale internazionalista, quello espresso nel canto che fu comune ai comunisti e ai socialdemocratici novecenteschi dopo che i proletari, anziché unirsi, erano stati indotti a spararsi dalle opposte trincee. Quando, dopo lo stalinismo, dopo Krusciov, dopo il breznevismo e dopo la guerra scatenata e perduta dai sovietici in Afghanistan, venne la speranza, con Gorbaciov, di una radicale riforma democratica del sistema sovietico, la potenza economicamente e politicamente vincente, gli Stati Uniti, volle sopprimere quella speranza, favorendo la grande rapina privatistica dei burocrati, promuovendo e proteggendo il potere di un proprio seguace, quale era Eltsin, affermatosi al potere bombardando il Parlamento liberamente eletto. E sottovalutando la inevitabile rinascita del nazionalismo di una Russia convertita al capitalismo più selvaggio e umiliata oltre misura.

In Italia quella che ho chiamato la originale visione cui era approdato Berlinguer del bisogno e dell’ideale di liberazione sociale – la visione combattuta dai sovietici e dai partiti legati a loro che prese il nome di “eurocomunismo” e divenne poi la possibile traccia di una nuova sinistra – fu tacitamente sepolta con lui dopo la sua morte precoce da gran parte dei suoi compagni che, poi, pensarono fosse necessario cancellare il loro medesimo partito. Il quale si chiamava “comunista” come tanti nel mondo, ma non era assimilabile ai suoi omonimi, eppure scomparve come tanti altri e come l’Unione Sovietica. Per tutto ciò Berlinguer fu definito uno sconfitto, un fallito o, nel migliore dei casi, un sognatore d’illusioni. Ora noi possiamo vedere il seguito della storia dopo la vittoria mondiale, alla fine del secolo scorso, del modello economico capitalistico, pur in difformi versioni politiche e istituzionali.

Il 1922 della nascita di Enrico è l’anno stesso che vide il primo affermarsi al potere del fascismo italiano. Un anno prima si era costituito, nel solco tracciato dalla Rivoluzione russa, il Partito comunista come Sezione italiana della Terza Internazionale, dapprima secondo l’orientamento di Bordiga, poi ripensato da Gramsci, e trasformato da Togliatti nel PCI alla fine della seconda guerra mondiale. A quest’ultima versione Enrico Berlinguer, come molti della sua generazione, si iscrisse e rimase legato per tutta la vita. La versione di Togliatti, come si sa o si dovrebbe sapere, pensava le idee di trasformazione sociale come indispensabili all’inveramento della democrazia e all’avanzamento della nazione: la “via italiana” era la scelta per la democraticità (come dato nazionale, però) e il legame con l’Unione Sovietica una sorta di garanzia di fedeltà alle idee internazionaliste. Era il tempo in cui alla guerra cruenta – promossa, condotta con crimini orrendi (come la Shoah) e infine perduta dai nazisti e dai fascisti e vinta dal fronte antifascista – seguì mezzo secolo di guerra fredda che aveva come posta lo scacco delle idee che avevano motivato la Rivoluzione russa. Dentro questa contesa Berlinguer visse per quarant’anni come precoce dirigente e poi capo del partito cui si era votato. E così come aveva abbracciato da giovane, anche contro la classe sociale cui apparteneva per nascita, le idee di liberazione sociale e umana, pensandole incarnate nello Stato che aveva dato un contributo decisivo alla sconfitta dei nazisti e dei fascisti, in egual modo ne avvertì la mistificazione da parte di coloro – la dirigenza sovietica – che avrebbero dovuto trarne ispirazione per riformare la creatura ereditata da una storia fatta da eroismi e sacrifici inauditi insieme ad atrocità impensabili poi denunciate da uno di loro, Krusciov.

Tuttavia, e fu questa la vera rottura dentro il suo partito ben prima dell’89, opposte erano le idee sul significato del fallimento, sempre più evidente, della esperienza sovietica e cioè della fine, da Berlinguer medesimo proclamata, della “spinta propulsiva” delle esperienze nate a seguito della Rivoluzione d’ottobre. La parte maggioritaria del gruppo dirigente del Pci, come si vide poi, aveva maturato la convinzione che bisognasse aderire senza riserve alla realtà data e dunque rompere totalmente con il proprio passato (cui i più giovani erano ovviamente del tutto estranei) per quanto coraggiosa fosse stata la storia dei comunisti italiani nella ricerca di una propria strada distinta, e alla fine opposta, rispetto a quella sovietica. A partire da Gramsci (la famosa lettera del 1926 sullo scontro interno al partito bolscevico: «…voi state distruggendo l’opera vostra…») e dal suo ripensamento del marxismo. Al contrario dei liquidatori, Berlinguer citava Mitterrand («tagliare le proprie radici pensando di fiorire meglio può essere solo il gesto di un idiota») per dire che non si poteva e non si doveva rinunciare alle proprie ragioni originarie e sostanziali.

Alle radici del movimento d’ispirazione socialistica c’è la critica del modello capitalistico: rinunciarvi significa rinunciare alla propria missione. Ma insieme pensava a un altro modo di interpretare quella funzione critica. Innanzitutto con il rinnovamento dei contenuti fondamentali, data l’usura e il crollo di molta parte dell’edificio antico. Non solo quello costruito nell’ultima parte del XIX secolo nel tempo del capitalismo industriale trionfante, il tempo degli imperi e delle colonie messi a soqquadro dalla prima guerra mondiale e dalla Rivoluzione russa. Ciò che crollava era anche la semplificazione estrema – sino alla negazione di ogni funzione dell’iniziativa degli individui – dell’idea di superare la proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio trasformandola in proprietà statale cioè burocratica (con i burocrati sovietici che ne diventeranno padroni).

E veniva avanti un’altra trasformazione del modo di essere del modello capitalistico da tempo divenuto finanziario (e diffuso: dai fondi pensione, alle public company, alla mobilitazione del risparmio nei fondi azionari e obbligazionari più o meno pieni di qualcosa o di nulla, eccetera) e già allora impegnato a usare a proprio vantaggio gli effetti della rivoluzione tecnologica e informatica pur senza rinunciare alle più antiche forme di sfruttamento del lavoro salariato o presunto autonomo. Una giungla nuova del capitale e del lavoro, accompagnata da nuove forme di dominio sulle menti. Riorientare l’aspirazione a una società volta a realizzare la “libertà di ciascuno e di tutti” pareva un’opera controcorrente non solo improba ma velleitaria e perdente. L’alternativa a questa fatica, però, consisteva nel rendersi subalterni senza riserve alla potenza vincitrice e alla sua visione dell’ordine mondiale a dominanza americana. E significava acconsentire al rovesciamento della parola riformismo originariamente nata con finalità sociali e socialistiche, e ora stravolta per indicare l’opposto. La parola riformismo stava diventando e diventerà sempre di più (da ciò verranno anche i trattati di Maastricht per l’Unione europea) l’affermazione del privatismo come norma assoluta della proprietà e dell’attività di produzione e di scambio. L’adesione al modello dato e la rinuncia a ogni funzione critica, sino all’ubriacatura neoliberista, sembrava cosa ovvia e venne assunta da ogni parte dei movimenti d’ispirazione socialista e democratica (si ricordino Tony Blair e Bill Clinton).

Ma la vittoria del capitale nella lotta di classe (ben dichiarata dal supermiliardario Buffet) non poteva sopprimere le contraddizioni economiche e sociali costitutive del sistema – con le conseguenze note del disastro ambientale con pandemia e della crescita di diseguaglianze paurose. La globalizzazione del mercato dei capitali alla ricerca, secondo la propria natura, del massimo profitto, se giovava ai Paesi a basso prezzo del lavoro e arricchiva a dismisura i finanzieri, penalizzava nei Paesi ricchi i lavoratori abbandonati dalle sinistre divenute amministratrici del sistema ed esperte, non solo in Italia, dei tagli allo Stato sociale, massima creatura del movimento socialistico novecentesco (ivi compreso il PCI). Venivano di conseguenza la rinascita del nazionalismo (negli Stati Uniti e in tanti Paesi del mondo) e l’affermazione del populismo, entro cui trovava posto la ripresa di pulsioni e argomentazioni di tipo fascistico. Ad aggravare la condizione dell’insicurezza nelle società del benessere e nei rapporti internazionali fu la stupidità dei vincitori: nel caso, il sistema militare industriale oltre che gran parte del potere statale, repubblicano o democratico, degli Stati Uniti. Convinti tutti, a dichiarata imitazione dell’Impero romano, della funzione determinante della forza militare – unitamente al monopolio informativo – per l’esercizio del dominio e incapaci di pensare a una egemonia condivisa con altri. Da ciò la tacita insofferenza per il processo di unificazione europea (fino all’inclinazione per la Brexit) e l’umiliazione della Russia, sconfitta nella guerra fredda, circondata di basi militari, combattuta in Serbia e poi in Libia e in Siria in aiuto alle velleità neocoloniali francesi – e con decine di migliaia di morti e milioni di profughi che premono alle porte dell’Europa.

Una umiliazione spinta sino al rinnegamento degli impegni assunti per non infilare nella Nato tutti i Paesi ex sovietici e sino alla volontà di smembrarne le alleanze più naturali e storicamente intime come nel caso dell’Ucraina. Aveva pienamente ragione l’ex Cancelliere socialdemocratico tedesco Helmut Schmidt (capo della destra del suo partito e fiero anticomunista) a sentire aria di 1914, cioè di guerra, quando nel 2014 ci fu il colpo di Stato in Ucraina per instaurare un regime antirusso e Putin attuò l’annessione della Crimea alla Russia. Schmidt iniziò la sua intervista (doveva essere una delle ultime, fu pubblicata da La Repubblica ed è ancora in rete) dicendo: «Fino ai primi anni Novanta nessuno dubitava che l’Ucraina e la Crimea fossero russe». Dello stesso parere fu Michel Rocard, della medesima tendenza socialista iper moderata ed ex Presidente del Consiglio francese. Olaf Scholz era nel giusto quando disse, per poi dimenticarlo, che la sicurezza europea andrebbe costruita «con la Russia e non contro la Russia». Tutto ciò non scarica Putin dalle responsabilità di un’aggressione a un Paese che egli stesso vuole proclamare come fratello volendolo suddito, ma fa capire quale follia sia stata e sia quella di concepire la Nato in funzione offensiva dentro e fuori dell’Europa al contrario della presunta natura difensiva. E quanta ipocrisia si celi dietro la presunta difesa della integrità territoriale degli Stati, quando proprio la Nato aggredì la Serbia per fare del Kosovo, culla originaria della Chiesa ortodossa serba e della Serbia stessa, una base militare USA, ora la maggiore nel Sud Europa. E per dare il potere a una banda ora sotto processo davanti alla Corte europea per crimini contro l’umanità, spaccio di stupefacenti e delitti vari.

Il mondo umano appare adesso un luogo assai poco raccomandabile, tra guerra guerreggiata e crisi climatica, tra rinascita dei nazionalismi e pericoli di ritorni autoritari, tra ascesa dei violenti e diffusione della violenza – ivi compresa quella, la più vigliacca, contro le donne. Tuttavia, ciò non significa una sterile nostalgia del passato: la guerra fredda non fu un tempo raccomandabile. Ma spinge a capire che la condizione attuale è figlia di una cattiva politica, di una sbagliata lettura di quella vittoria. La speranza di un mondo di pace e di benessere posta nel trionfo del modello capitalistico era assurda e sbagliata. Al culmine della sua espansione il modello capitalistico ha mostrato la impossibilità di continuare sulla sua strada che minaccia la sopravvivenza stessa della specie. E la concezione di un rapporto tra gli uomini fondato sulla forza produce guerra infinita.

Il movimento comunista era stato sconfitto in Russia per i suoi tragici errori. Non scomparivano, però, come avvertì anche un papa fieramente anticomunista come Wojtyla, i motivi e le ragioni per cui quel movimento era nato. Ed è venuto a ricordarlo un papa nuovo, quali che siano i limiti determinati dalla sua funzione. La speranza non è morta. Non ricordo mobilitazioni giovanili autonome così vaste come quelle contro il disastro ambientale, cui fanno eco in Italia anche nuove e valide mobilitazioni studentesche. Il nuovo femminismo, che parve d’élite, e sembrò in declino, vede una diffusione inedita. Il movimento per la pace nel mondo ha più ragioni che mai per riprendere e riprende fortemente. Episodi di lotta difensiva contro licenziamenti e bassi salari seppure sporadici segnalano una nuova presa di coscienza. E in Paesi come la Cina, da cui è venuto un duro dumping salariale, si è costretti a migliorare la condizione dei lavoratori.

In Italia, il governo detto di unità nazionale conosce, come fu nel passato, la contraddizione tra interessi diversi e volge, diversamente dalla supposizione secondo cui la pandemia avrebbe significato una sorta di rigenerazione automatica, verso una ripetizione del passato pur se obbligatoriamente addolcita da promesse ecologiche e tecnologiche ora interrotte dalla guerra ma già prima non indicative di un autentico mutamento di rotta. Può essere che la visione dell’ultimo Berlinguer fosse troppo avanzata per i suoi tempi, ma si dimostra ancora oggi come l’unica alternativa percorribile ai disastri del presente. Il dialogo tra diversi per la pace (allora si trattava di sgombrare i missili russi e americani dall’Europa centrale e dall’Italia), il bisogno per la sinistra di mantenere una aggiornata visione critica del modello capitalistico, il dovere di rimanere fedeli alle proprie premesse ideali e morali, l’obbligo di stare sempre a fianco dei lavoratori e degli ultimi, la comprensione dell’esigenza, rivelata dal nuovo femminismo, di contrastare il maschile come valore dominante e di riconoscere (e promuovere) l’autorità femminile, il bisogno di volgere le nuove conquiste tecnologiche e scientifiche alla promozione umana. Non mi fa velo l’affetto nel dire che l’idea di considerare Berlinguer uno sconfitto o un illuso era e rimane un fazioso errore. I suoi “pensieri lunghi” non sono mai stati tanto attuali.

Aldo Tortorella

* Da “Critica marxista”, 7 Aprile 2022
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Gesù parla sardo

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b2921f32-eaff-46ac-89bd-ad48de04d48e6921b266-26da-4d7b-a889-b9acce958926GESÙ DI NAZARETH PARLAVA L’ARAMAICO

- 28 aprile 2022 Sa die de Sa Sardigna e la prima messa in lingua sarda. [Gianni Loy]

Buon primo maggio!

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Buon primo maggio condividendo il pensiero dell’Anpi.

Oggi tutta l’ANPI sarà accanto alle lavoratrici e ai lavoratori, alle organizzazioni sindacali, nelle piazze e in ogni angolo del Paese per ribadire con forza che la Repubblica è fondata sul lavoro, sul pieno diritto ad essere esercitato con dignità e in sicurezza. Oggi, anche a causa della crisi, c’è un alto tasso di disoccupazione, un’emergenza salariale, mentre troppi morti sul lavoro continuano a insanguinare le fabbriche e a distruggere famiglie.

L’ANPI, forte dell’attiva memoria delle radici operaie della Resistenza, fa appello alla politica, al Governo affinché, nella piena attuazione dell’art. 1 della Costituzione, vengano messe in campo efficaci misure di tutela e promozione del lavoro in particolare per le giovani generazioni

La SEGRETERIA NAZIONALE ANPI

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Illustrazione tratta dalla pagina fb dell’Azione Cattolica Italiana.
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)

Trad. it. di Aurelia Martelli
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Primo maggio

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Oggi primo maggio Festa del lavoro A Cagliari passa San’Efisio

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Oggi domenica 1° maggio 2022 / Festa del lavoro e dei lavoratori. A Cagliari passa Sant’Efisio

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Carbonia. Per capire i 72 giorni. La protesta operaia può scuotere Parlamento, Consulta e Regione? E il ruolo delle politiche internazionali? Molto critico interviene Lussu, contro la SMCS e contro l’esposizione della Sardegna ai pericoli della guerra fredda: risponde il movimento per la pace, presente anche a Carbonia
1 Maggio 2022
Gianna Lai su Democraziaoggi

Oggi domenica Primo maggio niente è più in sintonia con la Festa dei lavoratori della storia del movimento operaio di Carbonia, dal 1° settembre 2019.
Titola con una certa enfasi L’Unione Sarda del 30 settembre 1948, “Alla Consulta Regionale, Carbonia ed ERP problemi basilari”. Per poi ridimensionare attese e speranze nelle “Dichiarazioni dell’Alto Commissario”, […]
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L’ANPI fa il punto dopo il grande successo delle manifestazioni del 25 aprile e rilancia la sua iniziativa per la pace e il lavoro. Votato un appello per la pace e un saluto al mondo del lavoro per il Primo Maggio
1 Maggio 2022
A.P. su Democraziaoggi.

Si è svolto il Comitato direttivo nazionale dell’ANPI, aperto da una relazione del Presidente Pagliarulo. Ecco una libera sintesi dei punti principali.
La situazione è molto modificata e dimostra che avevamo ragione. La situazione è velocemente precipitata c’è un inseguimento di minacce USA/Russia che non promette niente di buono. Lavrov ha alzato il tiro siamo contro […]
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