Monthly Archives: ottobre 2021

Che succede?

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IL PD E UNA (POSSIBILE) NUOVA AREA RIFORMISTA
Su C3dem
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VATICANO, FEDI UNITE PER IL PIANETA: CAMBIARE ROTTA PER AVERE FUTURO
Su C3dem.
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Che succede? Sinodo e cammini sinodali.

01d4188e-8587-40bb-819d-ac7dfbd11b7esinododiocesicaVIGILIA DEL SINODO DEI VESCOVI (E DI QUELLO ITALIANO)
Su C3dem.
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America America. Trump fermato da Cipollone

trump-di-marino2a8e3663d-4ad7-4ab1-a6eb-d4c3c9265f5b L’avvocato Cipollone e il colpo di stato sventato
di Marino de Medici

Ormai non c’è ombra di dubbio. Donald Trump ha tentato con ogni mezzo di attuare un colpo di stato servendosi avventatamente del Dipartimento della Giustizia, un organo federale cui spetta il compito di imporre il rispetto delle leggi. Trump ha chiesto nove volte al Dipartimento della Giustizia di intervenire per rovesciare il risultato delle elezioni presidenziali sulla base di presunti brogli elettorali.
Il piano del presidente repubblicano era articolato sulla sostituzione del facente funzione di Attorney General Jeffrey Rosen con un funzionario di medio livello del Dipartimento della Giustizia, Jeffrey Clark, che si era prestato ad avallare la necessità di un intervento della giustizia per mettere in discussione l’esito della consultazione presidenziale, nell’intento di affidare una revisione del voto alle legislature di un certo numero di stati. La strategia di Trump venne valutata in una drammatica sessione alla Casa Bianca durante la quale tutti gli alti funzionari del Dipartimento della Giustizia e due avvocati della Casa Bianca dissero chiaro e tondo al presidente che il suo piano illegittimo li avrebbe costretti a dimettersi in massa.
Uno di quei due avvocati era l’italo-americano Pasquale Cipollone, noto come Pat, White House Counsel ossia avvocato del presidente a partire dal 2018.
Il nome di Cipollone passerà alla storia [segue]

Oggi venerdì 8 ottobre 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni———————–
Tornare sul voto tedesco è utile al futuro dell’Italia
8 Ottobre 2021
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
Il voto in Germania è stato seguito più per la previsione che l’uscita di scena di Angela Merkel non avrebbe favorito il suo partito, la CDU, e a sorpresa Scholz, candidato di punta socialdemocratico, avrebbe superato sia i popolari tedeschi che i verdi, dati per favoriti all’inizio della campagna elettorale. Quando alla nevrosi dell’informazione […]
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- Francesco affida l’economia ai giovani: «L’ultima generazione che può salvarci»
di papa Francesco, in “Avvenire” del 3 ottobre 2021

Il convegno di Cagliari sul fine vita “ha dimostrato che in nome dell’Uomo si possono trovare soluzioni. Bisognerà continuare a battere la stessa strada e possibilmente ampliarla perché si sia pronti, all’indomani dell’esito del Referendum, a discutere di una legge che guardi alle sofferenze umane non a pure astrazioni”

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EUTANASIA, CONFRONTO FRA GIANNI LOY E DON ETTORE CANNAVERA: CONVEGNO A CAGLIARI TRA UN GIURISTA E UN SACERDOTE

di OTTAVIO OLITA su Tottusinpari

Le adesioni al referendum per l’abolizione dell’articolo 579 del codice penale – ‘omicidio del consenziente’ – e per una successiva legge che riconosca il diritto ad una buona morte sono massicce in tutta Italia. Del milione e 207 mila firme finora raccolte, oltre 823 mila sono cartacee, 383 mila digitali. Significativo il dato che riguarda la Sardegna: percentualmente, con 72 adesioni su mille, è al secondo posto in Italia, dietro alla sola Lombardia.

L’attenzione verso un problema così sentito è stata confermata dal convegno che varie associazioni hanno voluto organizzare lunedì 4 ottobre a Cagliari nel salone conferenze della Fondazione di Sardegna. Relatori un giurista, il professor Gianni Loy, e un sacerdote, don Ettore Cannavera, da sempre impegnato su tanti temi che riguardano la tutela dei diritti dei cittadini.
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Oggi&Domani Che fare? “Se ne esce solo con più scienza e non con un improbabile ritorno al passato”. Ce lo dice un Nobel

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La percezione della scienza nella società: intervista a Giorgio Parisi, nobel per la fisica
Alberto Silvani

Sbilanciamoci! 5 Ottobre 2021 | Sezione: Alter, Nella rete
“La scienza era associata alla garanzia di un futuro migliore. Ora non è più così, anzi spesse volte alla scienza vengono addebitate colpe e responsabilità. Se ne esce solo con più scienza e non con un improbabile ritorno al passato”. Intervista al premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi da Articolo33.

È passato un po’ di tempo da quando, a fine maggio il Senato ha approvato un Disegno di legge sull’Agricoltura biologica, col solo voto contrario della Sen. Elena Cattaneo, che ha equiparato – in un passaggio del testo – l’agricoltura biologica con quella biodinamica, caratterizzata da pratiche e codici di comportamento ascientifici. La questione ci fornisce lo spunto, ripresa con la giusta distanza temporale, per sviluppare alcune riflessioni sul ruolo della scienza, sul processo di avanzamento scientifico, sul rapporto tra scienza e società.

Il primo interlocutore a cui ci rivolgiamo è il Prof. Giorgio Parisi, eminente fisico della Sapienza di cui è appena terminato il mandato di Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei*.

Il Prof. Parisi ha ricevuto il 5 ottobre 2021, il premio nobel per la fisica. Premiato per le sue ricerche sui sistemi complessi insieme agli studiosi del clima Syukuro Manabe e Klaus Hasselmann. Era dal 1984 con Carlo Rubbia che l’Italia non vinceva un Nobel per la fisica.

Parisi ha sempre associato l’eccellenza scientifica con la capacità di intervenire sulle problematiche della politica scientifica e non solo, come è avvenuto anche nell’ultimo anno e mezzo di pandemia. Pubblichiamo una sua intervista rilasciata per noi da Alberto Silvani.

Cosa si dovrebbe fare per aumentare la percezione del ruolo della scienza nella società e, su questa base, motivare le scelte in suo favore, approfittando del rinnovato interesse da parte dell’opinione pubblica?

La comunità scientifica tende a comunicare poco con la società perché in fondo non crede che questo sia il suo mestiere. Ciò viene confermato da come viene realizzata questa comunicazione, come abbiamo visto in questi mesi di sovraesposizione mediatica. Bisogna formare figure professionali di “comunicatori” ma anche intervenire sulla capacità di trasferire la metodologia scientifica anziché limitarsi ad accendere l’interesse sul singolo risultato. Il processo scientifico porta a realizzare un consenso a partire da ipotesi diverse, a volte contrapposte. La scienza lavora così, per avanzamenti successivi, e questo richiede tempo anche perché il processo presuppone la peer review dei diversi contributi. Il vero successo del singolo contributo dipende sia dalla rivista su cui è pubblicato ma, soprattutto, da come reagiscono i lettori, da come fanno proprio il contenuto e da come danno seguito, nel proprio lavoro e nelle citazioni, a quanto l’articolo vuole comunicare.

La sanità costituisce una realtà specifica, evidenziata dall’esperienza della pandemia. In cosa si caratterizza?

La sanità richiede “sicurezza” circa la rilevanza e il significato dei risultati e, soprattutto, una consapevolezza del rapporto tra i benefici e i rischi, in particolare sugli effetti che si generano, non necessariamente limitati a quelli auspicati o aspettati. Potrei citare vari esempi, anche come testimonianza diretta…senza dimenticare che esistono interessi che ne condizionano le scelte. Ogni risultato deve essere sempre sottoposto a commenti e validazioni che presuppongono procedure, gruppi di controllo e numerosità statisticamente significative.

La sanità è stata associata, in particolare in questo periodo, al grande tema delle fake news. Perchè il metodo scientifico non basta per sconfiggere le fake news? Che fare?

In alcuni casi vanno anche contro il senso comune: bisogna, ovviamente, smascherare le falsità. Le fake news si propagano perché spesse volte confermano le opinioni che avevano già le persone. Ad esempio il caso dei vaccini è emblematico in tal senso perché, pur di evitare il vaccino, si ipotizza l’esistenza di cure e terapie domiciliari ma non comunicate. Curare la comunicazione, e non è un gioco di parole, richiede che i comunicatori siano in grado di non attirare su di sé pregiudizi negativi che ostacolino la comprensione e la credibilità del messaggio che si vuole fornire. Non basta cioè dire le cose corrette se non si è in grado di costruire il messaggio e di veicolarlo nel modo giusto, potendo utilizzare le competenze e i contributi a supporto. Le trasmissioni televisive in particolare soffrono di due problemi: una certa tendenza a favorire gli scontri e le contrapposizioni (che fanno audience) e i tempi stretti che impediscono lo sviluppo di ragionamenti compiuti e articolati. Faccio una modesta proposta: prevedere l’obbligo di un incontro precedente alla formale messa in onda per consentire un confronto approfondito e preventivo in modo da realizzare poi, anche nei tempi ristretti delle trasmissioni, la focalizzazione delle questioni e delle opinioni.

Più conoscenza e più formazione hanno rappresentato da sempre gli obiettivi per realizzare una società più giusta e più equilibrata, indirizzata al futuro piuttosto che condizionata dal passato. La tecnologia ha spesso fornito il supporto per rendere praticabili questi obiettivi. Bisogna aggiornare la formula? Aggiungere elementi?

Uno dei problemi seri derivava dal fatto che la scienza era associata alla garanzia di un futuro migliore. Ora non è più così, anzi spesse volte alla scienza vengono addebitate colpe e responsabilità. Se ne esce solo con più scienza e non con un improbabile ritorno al passato. Ma questo non è ben percepito. La tecnologia, come applicazione della scienza, risente di avanzamenti scientifici non pensati in una mera prospettiva tecnologica. La gran parte della popolazione coglie (e usa) la tecnologia senza interrogarsi quanta e quale scienza ci sia dietro. Dai transistor, alla crittografia dei messaggi o ai led ad alta potenza.

Quanta è democratica la scienza? Qual è la tua opinione in proposito? In che misura l’opinione pubblica condiziona l’avanzamento della scienza?

La scienza deve fare i conti con le risorse. Se queste sono scarse, finiscono per condizionare le scelte, se non altro perché bisogna convincere i cittadini/elettori/contribuenti che i soldi sono ben spesi. E la ricerca non è democratica non perché “non si può votare”, ma perché richiede che ci sia un riconoscimento reciproco che deriva da un bagaglio conoscitivo condiviso anche se non necessariamente convergente.

Questo però implica un rischio di conservazione ovvero di ostacolo e freno al nuovo, già a partire dalle valutazioni di peer review.

Le nuove idee si affermano non perché si convincono gli oppositori ma perché i portatori di quelle precedenti muoiono, come diceva Planck. Per le idee estremamente nuove ci vuole tempo per il consenso.

Un’ultima domanda sul caso italiano e sul peculiare momento che stiamo vivendo. Conosciamo l’appello per le risorse, noto come Piano Amaldi, e la tua convinta adesione. Ma accanto alle risorse ci sono altre priorità concretamente spendibili nello scenario che si prospetta nei prossimi anni?

Ci sono tanti problemi. La ricerca è a macchia di leopardo: accanto ad eccellenze ci sono inefficienze. Alcuni poi hanno utilizzato la propria influenza come effettivo centro di potere, senza bilanciamenti adeguati. E questo ha dato luogo a scandali (certamente da non sottovalutare) ma quando va male si finisce sui giornali, quando va bene questo non ha visibilità. Da molti anni si cerca di realizzare un punto di riflessione con scienziati di ottimo livello in grado di costituire un interlocutore per le scelte governative ma anche quando un tale organo viene istituito non se ne tiene conto nell’operatività. La stessa Agenzia Nazionale, oltre a non essere decollata, richiede tempi lunghi e consensi politici. Ha senso solo se raccoglie risorse distribuite oggi in altre sedi, se resta “leggera” e se impiega il tutto in una logica competitiva e verso obiettivi chiari ed espliciti. Non che di ripensamenti organizzativi non ci sia bisogno ma questi hanno molto faticato a tenere insieme dichiarazioni e scelte e, soprattutto, a consolidarsi nel tempo.

Siamo ora in presenza della grande opportunità del PNRR ma questo non può essere l’unica scelta, se non altro perché tocca una parte dei problemi ed è a scadenza. L’importante è già porsi oggi il disegno complessivo ed accompagnare il sostegno delle risorse addizionali con nuove risorse “stabili”, ovvero a valere sul bilancio ordinario. Registro una nuova sensibilità su questi temi ma la conferma non può che essere a breve termine. La legge di bilancio del prossimo anno sarà una cartina di tornasole tra dichiarazioni, volontà e comportamenti.
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L’INTERVISTA SU ARTICOLO 33
05 OTTOBRE 2021
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NEWS CNR
gp-2A Giorgio Parisi il Wolf Prize per la Fisica 2021
10/02/2021 (2 ottobre 2021)
Giorgio Parisi
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Nobel per la fisica a Giorgio Parisi
Ott 2021
“L’assegnazione del premio Nobel al fisico Giorgio Parisi inorgoglisce tutta l’Italia e anche il Consiglio nazionale delle ricerche, con il quale il fisico ha sempre intrattenuto stretti rapporti di collaborazione proseguiti ancora di recente con le attività svolte in associatura al nostro Istituto Nanotec”, ha dichiarato Maria Chiara Carrozza, presidente del Cnr. “Oltre a compiacerci per questo straordinario risultato – che segue di poco quello del *Clarivate Citation Laureates 2021 che lo riconosce studioso più citato al mondo per le pubblicazioni scientifiche – *la nostra comunità scientifica lo ringrazia sentitamente per il contributo fondamentale nello studio dei sistemi complessi disordinati alla base di tante linee di ricerca del Cnr, dallo studio dei sistemi vetrosi, ai sistemi di lasing e trasmissione della luce in mezzi random, dalle reti neurali e IA, alle reti metaboliche e alla biofisica. Lamentiamo spesso, e purtroppo a ragione, le molte difficoltà nelle quali si dibatte la ricerca italiana, dalla scarsità di risorse umane e finanziarie alla burocratizzazione, ma questo premio è solo l’ultima e straordinaria conferma dell’eccellenza della ricerca scientifica italiana”.
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Il Nobel segue un altro prestigioso premio
Il fisico teorico Giorgio Parisi, attuale presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e professore alla Sapienza Università di Roma, è stato insignito del prestigioso Wolf Prize per la Fisica 2021 “per le sue scoperte pionieristiche nella teoria quantistica dei campi, in meccanica statistica e nei sistemi complessi”.

Il riconoscimento, istituito dalla Fondazione Wolf di Israele nel 1978 per gli scienziati e gli artisti che hanno prodotto “risultati nell’interesse dell’umanità e relazioni amichevoli tra le persone, indipendentemente dalla nazionalità, razza, colore, religione, sesso o opinioni politiche”, è stato attribuito, in passato, a personalità come Giuseppe Occhialini, Bruno Rossi, Riccardo Giacconi, Leon Lederman, Roger Penrose, Stephen Hawking, Peter Higgs, per citare solo alcuni degli scienziati più noti.

“Sono estremamente contento ed onorato per aver ricevuto questo premio prestigioso non solo per essere stato inserito in una compagnia molto prestigiosa, nella quale ritrovo con molti amici, ma anche per essere stato messo in relazione diretta con Riccardo Wolf, persona che ammiro moltissimo per le sue capacità scientifiche e il grande impegno civile. Il merito di questo premio va anche a tantissimi collaboratori che ho avuto, con i quali ci siamo divertiti nel cercare di svelare quelli che una volta si chiamavano i “misteri della natura”, ha affermato lo studioso.

Laureato in fisica nel 1970 presso la Sapienza Università di Roma sotto la guida di Nicola Cabibbo, Giorgio Parisi collabora da molti anni con il Consiglio nazionale delle ricerche: è associato all’Istituto di nanotecnologia (Nanotec) e ha contribuito alla nascita e allo sviluppo, all’inizio del 2000, del centro “Statistical Mechanics and Complexity” dedicato allo studio di concetti come i sistemi disordinati, il caos e la complessità, poi confluito nell’Istituto dei sistemi complessi (Isc) del Cnr di Roma.

Nella sua lunga carriera scientifica, in parte svolta presso istituzioni estere come la Columbia University di New York (1973-1974), l’Institut des Hautes Etudes Scientifiques a Bures-sur-Yvettes (1976-1977), l’Ecole Normale Superieure di Parigi (1977-1978), Parisi ha dato contributi determinanti e ampiamente riconosciuti anche in altre aree della fisica: fisica delle particelle, meccanica statistica, fluidodinamica, materia condensata, supercomputer.

È stato vincitore di due advanced grant dell’ERC European Reasearch Council, nel 2010 e nel 2016, e ha ricevuto numerosi premi nazionali e internazionali, tra i quali la Medaglia Boltzmann della International Union of Pure and Applied Physics (1992), la Medaglia Max Planck (2011), la Medaglia Dirac per la fisica teorica (1999), il Nature Award Mentoring in Science (2013), l’High Energy and Particle Physics dell’EPS European Physical Society (2015).

È membro dell’Accademia dei Quaranta, dell’Académie des Sciences, dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti, dell’Accademia Europea, dell’Academia Europea e dell’American Philosophical Society, ed è autore di oltre seicento articoli e contributi a conferenze scientifiche e quattro libri
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Le immagini di Giorgio Parisi e la sua biografia sono tratte dal sito del CNR: https://www.cnr.it/it/news/10006/a-giorgio-parisi-il-wolf-prize-per-la-fisica-2021
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gp-titolo
Giorgio Parisi, un manifesto per la giustizia climatica
Il discorso. La critica del premio Nobel per la fisica alla Pre-Cop26 in Parlamento: “Governi inadeguati sulla crisi”. «il Pil non è una buona misura per economia e clima». E poi un nuovo appello per l’istruzione e la ricerca pubblica: “Dare ai bambini un’educazione scientifica a partire dalla scuola materna”
di Roberto Ciccarelli
il manifesto
EDIZIONE DEL 09.10.2021 – PUBBLICATO 8.10.2021, 23:59

Contus e arregordus de Stampaxi

Racconti del quartiere tra sacro e profano
pompei1di Giacomo Meloni
Su fb 7 ottobre 2021
GIOVEDI’ 7 OTTOBRE 2021
SANTA VERGINE DEL SANTO ROSARIO
LA TRADIZIONALE SOLENNE SUPPLICA ALLE ORE 12 DEL MATTINO IN TUTTE LE CHIESE A PARTIRE DALLA BASILICA DI POMPEI.

Nel passato questo giorno era celebrato con solennità in tutte le Parrocchie specialmente in città. Nella collegiata di Sant’Anna, in via Azuni, nel Quartiere di Stampace alle ore 12 in punto, mi recavo da bambino in chiesa con mamma quando c’era l’anziano parroco mons.Mario Piu, in seguito sostituito da mons.Pasquale Sollai, che, vestito con la tonaca rossa di canonico della Cattedrale, essendo Delegato arcivescovile ai tempi dell’Arcivescovo mons.Paolo Botto, intonava a voce alta la Supplica alla Madonna del Rosario.
Non tutti sanno che proprio nella chiesa di S.Anna, entrando dal portone principale dopo essere saliti dall’ampio scalone dono del cav.Signoriello, vi è sulla destra la cappella dedicata alla Madonna del Rosario, venerata in un quadro che riproduce esattamente l’immagine miracolosa che campeggia sull’altare maggiore della Basilica di Pompei. Questo dipinto, una sorta di “falso d’autore” è davvero molto bello.
I fiori che adornavano nei mesi dedicati alla Madonna (maggio e ottobre) l’altare della Cappella si dice venissero offerti dalle signorine del Casino Popolare poco distante, sito nella via Cammino Nuovo, due porte in là della casa dei miei genitori. Riprendo questa notizia da una simpatico raccontino di mio fratello [https://www.aladinpensiero.it/?p=85121], mentre io stesso sono testimone del fatto che la signora Liliana, amministratrice del Casino Popolare, a metà del mese di luglio – con l’approssimarsi della festa di S.Anna ( 26 luglio) – portava a mia mamma una grossa busta piena di soldi da consegnare al parroco per addobbare l’altare maggiore di S.Anna con centinaia di garofani rossi. [segue]

Il convegno di Cagliari sul fine vita “ha dimostrato che in nome dell’Uomo si possono trovare soluzioni. Bisognerà continuare a battere la stessa strada e possibilmente ampliarla perché si sia pronti, all’indomani dell’esito del Referendum, a discutere di una legge che guardi alle sofferenze umane non a pure astrazioni”

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EUTANASIA, CONFRONTO FRA GIANNI LOY E DON ETTORE CANNAVERA: CONVEGNO A CAGLIARI TRA UN GIURISTA E UN SACERDOTE

di OTTAVIO OLITA su Tottusinpari

Le adesioni al referendum per l’abolizione dell’articolo 579 del codice penale – ‘omicidio del consenziente’ – e per una successiva legge che riconosca il diritto ad una buona morte sono massicce in tutta Italia. Del milione e 207 mila firme finora raccolte, oltre 823 mila sono cartacee, 383 mila digitali. Significativo il dato che riguarda la Sardegna: percentualmente, con 72 adesioni su mille, è al secondo posto in Italia, dietro alla sola Lombardia.

L’attenzione verso un problema così sentito è stata confermata dal convegno che varie associazioni hanno voluto organizzare lunedì 4 ottobre a Cagliari nel salone conferenze della Fondazione Sardegna. Relatori un giurista, il professor Gianni Loy, e un sacerdote, don Ettore Cannavera, da sempre impegnato su tanti temi che riguardano la tutela dei diritti dei cittadini.

In apertura la coordinatrice dell’incontro, la giornalista Susi Rochi, ha chiesto all’assemblea un minuto di raccoglimento in memoria di Annalisa Cao Diaz, morta il giorno prima, protagonista per quasi mezzo secolo delle lotte per l’affermazione della pari dignità delle donne nel lavoro, nella politica, nella società.

Gianni Loy ha esordito con una considerazione amara: il Comitato Nazionale di Bioetica e il Parlamento si stanno limitando a raccogliere pareri: non hanno il coraggio di esprimere una posizione precisa su come predisporre una legge che consenta una buona morte al malato terminale che ne facesse richiesta. Così il Referendum, che pure sta dimostrando qual è la ferma volontà degli italiani sul tema, rischia di restare monco, senza un successivo intervento legislativo che legalizzi la materia. Bisognerebbe anche definire con precisione la differenza che c’è tra il suicidio e la richiesta d’aiuto alle strutture sanitarie per porre fine alle sofferenze dei malati terminali, anche alla luce della Costituzione che tutela il diritto alla vita, quindi la libertà dell’uomo e della donna di scegliere come gestirla.

Per spiegare la differenza tra suicidio e eutanasia, il professor Loy ha citato l’esempio di una donna spagnola che dopo anni di grandi sofferenze e non avendo avuto risposte alla richiesta di essere aiutata a morire, disperata decise di suicidarsi in una stanza d’albergo, ingerendo una forte dose di veleno. Ben diversa la condizione di chi, assistito dai familiari, dalle persone care, sa di essere accompagnato con affetto e solidarietà fino alla fine dei suoi giorni. La persona, in tutto il suo valore, fino all’ultimo giorno, in un contesto di solidarietà e sostegno da parte della comunità in cui è inserita. Questo è il concetto esatto di vita, non un’affermazione di pura astrazione che non tenga conto del vissuto di ognuno. E visto che l’ordinamento, già oggi, su altri problemi, consente l’obiezione di coscienza, dove nascerebbe il contrasto tra etica laica e religiosa? “Noi siamo e vogliamo continuare ad essere una società pluralista, nella quale bisogna avere dubbi più che certezze, non dimenticando mai di chiederci ‘Chi sono io per giudicare’?” ha concluso Gianni Loy.

Don Ettore Cannavera, partendo da due interviste con titoli quasi uguali, pubblicate prima dal Manifesto, poi da L’Unione sarda, ha riaffermato la sua convinzione nel volere una Chiesa dell’ascolto, non nell’ostinata ricerca delle contrapposizioni. Un continuo dialogo con le diversità, nel rispetto reciproco. Frutto, ha poi detto don Ettore, del percorso culturale ch’egli si porta dietro da tutta la vita, che lo ha spinto ad occuparsi di filosofia, psicologia, oltre che della dottrina della Chiesa. Per questo in una società pluralista bisogna imboccare strade che portino a soluzioni condivisibili. E’ per questo che anche le leggi dello Stato devono tutelare le diversità.

“Come non ricordare la richiesta che Giovanni Paolo II fece quando, morente, disse a chi stava al suo capezzale ‘Lasciatemi andare’. Stessa richiesta fatta, in sardo, da mio padre”. Perché, dunque, ha poi proseguito il sacerdote, combattere contro la morte? La nostra vita è fatta costantemente di relazioni e queste relazioni non possono essere abbandonate soprattutto quando dobbiamo affrontare il momento più difficile della nostra esistenza.

“Quindi, basta con i pregiudizi. Ho chiarito la mia posizione anche con il mio vescovo quando mi ha convocato. A differenza di altri momenti della mia vita ecclesiale, quando venni sospeso a divinis o ammonito per le mie posizioni sul preservativo e sul divorzio, questa volta mi pare che ci sia una qualche possibilità in più di dialogo”.

La forza dirompente dimostrata dalle adesioni al quesito referendario, servirà alle autorità istituzionali, dal Parlamento alle forze politiche, fino al Comitato Nazionale di Bioetica perché abbandonino prudenza e silenzi omertosi, per cominciare a gettare le basi per la legalizzazione della buona morte? O ancora una volta invece di schierarsi dalla parte dell’umanità si sceglierà la convenienza elettoralistica? Il convegno di Cagliari ha dimostrato che in nome dell’Uomo si possono trovare soluzioni. Bisognerà continuare a battere la stessa strada e possibilmente ampliarla perché si sia pronti, all’indomani dell’esito del Referendum, a discutere di una legge che guardi alle sofferenze umane non a pure astrazioni.

Oggi giovedì 7 ottobre 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni———————–
La transizione ecologica, Greta Thunberg, Vanessa Nakate, “i giovani” e… noi (ma “noi” chi?)
7 Ottobre 2021

Tonino Dessì su Democraziaoggi.

Sabato 2 ottobre il programma di Rai3 PresaDiretta ha trasmesso un lungo servizio sui campi di fracking statunitensi, che hanno contribuito negli ultimi vent’anni alla totale autonomia petrolifera degli USA, tanto che già durante la Presidenza Bush jr era stata cancellata la legge che vietava le esportazioni petrolifere dagli USA […]
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Costituente Terra

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una Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola

LA SENTENZA
UN MARE DI VERGOGNA
Care Amiche ed Amici,
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Oggi mercoledì 6 ottobre 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni———————–
Elezioni: scampato il pericolo di destra, si torna al moderatismo PD. Che noia!
6 Ottobre 2021
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
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Chi ha vinto? Chi ha perso? E’ innegabile che al pimo turmo abbia vinto il centrosinistra e perso il centrodestra. E’ indubbio che Salvini ha preso una botta forse esiziale e hanno vinto la Meloni e Berlusconi (Calabria). Ma la valutazione va rimandata all’esito dei ballottaggi. Roma sopratutto sarà decisiva nel giudizio finale. Nell’ambito del […]
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mimmoDa Cagliari il lungo abbraccio solidale: da piazza Garibaldi fiaccolata per Mimmo Lucano
Su Vistanet.it
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Che succede? Sinodo e cammini sinodali

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- L’ANTIPOLITCA VERSO IL CAPOLINEA
- I NODI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO E LA VERITA’ DEL COLIBRI’
- E ORA LE ELEZIONI COMUNALI
- I GIUDICI DI LOCRI HANNO SCELTO CREONTE
- Difficile trovare le parole giuste
- NOTE SUI SINODI (UNIVERSALE, ITALIANO, TEDESCO), I PRETI, LA FEDE ADULTA
- ITALIA, PAESE CREDIBILE. CRISI LEGA. IL PD E IL VOTO TEDESCO. ELEZIONI COMUNALI
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sinodo-schermata-2021-08-23-alle-11-52-08- NOTE SUI SINODI (UNIVERSALE, ITALIANO, TEDESCO), I PRETI, LA FEDE ADULTA
2 Ottobre 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
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La Css solidarizza con Puigdemont anche a nome del PSNSE

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[nota del segretario nazionale della CSS] Purtroppo i tempi strettissimi non ci hanno permesso di parlare direttamente col Presidente Puigdemont. La mattina però durante la manifestazione davanti ad almeno dieci TV e 20 giornalisti di testate locali, nazionali ed internazionali e dinanzi ad una delegazione catalana e corsa e a sei eurodeputati i segretari politici di tutti i movimenti indipenfentisti e ed io a nome della CSS e del PSNSE (Piattaforma delle Nazioni senza Stato), unica forza sindacale presente, ho parlato, portando la solidarietà di tutti i Sindacati delle Nazioni Senza Stato, ribadendo che noi lottiamo per una Europa dei Popoli. [segue].

Notizie da Chiesa di tutti Chiesa dei poveri

logo76Notizie da
Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Newsletter n. 232 del 5 ottobre 2021

LA SENTENZA

Care Amiche ed Amici,
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Il tormento dell’etica religiosa di fronte alla buona morte: un confronto necessario

cb110c7e-47cb-4d1d-87c9-a17cb3158262Lunedì 4 ottobre 2021 alla Fondazione di Sardegna in Via Salvatore da Horta 2 a Cagliari si è svolto un confronto pubblico dal titolo “il tormento dell’etica religiosa di fronte alla buona morte” organizzato dagli Amici sardi della cittadella di Assisi, dall’associazione Comunità la Collina e dalla Fondazione Anna Ruggiu Onlus in collaborazione con l’Assotziu Consumadoris Sardigna e con i tre media partner Aladin Pensiero, Giornalia e il manifesto sardo. Un confronto sull’opportunità dell’Eutanasia Legale coordinato dalla giornalista Susi Ronchi e con la partecipazione di Don Ettore Cannavera e Gianni Loy. Con il consenso dell’autore e in accordo con le tre testate giornalistiche online,“media partner” dell’iniziativa, Aladinpensiero, Giornalia, il manifesto sardo, pubblichiamo di seguito la prima relazione introduttiva al tema.
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Riflessioni sulla “buona morte”.
di Gianni Loy
Il significato dell’espressione, sia nella lingua originaria che in quella italiana, per quanto riguarda l’aspetto teleologico, è chiaro e inequivocabile: indica le azioni volte a porre fine alla vita di una persona allo scopo di evitargli sofferenze prolungate nel tempo o una lunga agonia.
Non altrettanto condivisa è la classificazione delle condotte che vengono considerate eutanasia. Si parla di eutanasia attiva quando la morte è diretta conseguenza dall’azione di un terzo, come la somministrazione di un farmaco da parte del medico, e di eutanasia passiva quando la morte costituisce l’effetto indiretto di un’azione o di un’omissione, come nel caso della sospensione di trattamento sanitario o dell’alimentazione artificiale.
Fattispecie a sé, sarebbe costituita dal suicidio assistito, (l’aiuto o l’assistenza al suicidio) nel quale è la persona che desidera morire a compiere l’atto che produce la morte grazie all’aiuto di una terza persona. Il caso classico è quello del medico, o di un familiare che, su richiesta dell’aspirante suicida, gli fornisce un farmaco idoneo a procurargli la morte, che sarà però il richiedente ad assumere.
Quanto alla classificazione delle condotte non vi è consenso neppure all’interno del Comitato Nazionale di Bioetica che, chiamato a pronunciarsi sulla questione dopo la nota sentenza della Corte Costituzionale, si è limitato a dar conto dell’esistenza di diverse opinioni al suo interno: alcuni hanno sostenuto che la distinzione tra eutanasia e suicidio assistito sarebbe speciosa, data la sostanziale equivalenza tra il fatto di aiutare una persona che vuole darsi e si dà la morte, e il fatto di essere autore della morte di questa persona; altri hanno ritenuto che, sia sotto il profilo filosofico che simbolico, consentire a una persona di darsi la morte non è identico a dare la morte a qualcuno a seguito della sua richiesta.
Il suicidio, da un punto di vista giuridico, non è oggetto di divieto da parte della legge. Tuttavia, – secondo interpretazione dello stesso Comitato di bioetica, non si ritiene esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, ma viene inteso come una semplice facoltà̀ o un mero esercizio di una libertà di fatto. Lo sfavore dell’ordinamento si ricaverebbe, tra l’altro, dal fatto che la legge sanziona penalmente sia le condotte che incitano al suicidio, sia quelle che provocano, materialmente, la morte di una persona che chieda di porre fine alla propria vita.
L’art. 579 del codice penale punisce (con reclusione tra i 6 e i 15 anni) chi cagioni la morte di una persona con il consenso di lui ed un’altra norma (art. 580) punisce con pene variabili tra 1 e 12 anni chi determina altri al suicidio, ne rafforza il proposito, ovvero ne agevola, in qualsiasi modo, l’esecuzione.
Si tratta, per la verità, di norme estranee all’impianto costituzionale, introdotte dal Codice penale del 1930 precedentemente all’entrata in vigore della Carta Costituzionale. Norme, peraltro, già dichiarate parzialmente incostituzionali. La Corte costituzionale , (Sent. n. 242 del 22 novembre 2019), ha dichiarato incostituzionale l’art. 579 del c.p. nella parte in cui non esclude la punibilità di chi con le modalità di cui alla legge n. 219/2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) o con modalità equivalenti, agevoli l’esecuzione del proposito di suicidio che si sia autonomamente e liberamente formato, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputi intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. La norma, è ritenuta in contrasto con gli art. 2, 13 e 32 Cost. che riconoscono i diritti inviolabili dell’individuo, la libertà personale ed il diritto alla salute.
Sulla base dei ragionamenti del Giudice costituzionale si può sospettare che anche l’art. 580, (oggetto del quesito referendario) potrebbe non superare un eventuale vaglio di costituzionalità ove la Corte venisse chiamata a pronunciarsi. La distinzione tra fornire il prodotto che procura la morte e somministrarlo, quanto a finalità ed effetti, è assai labile, almeno fuori dai confini di Bisanzio, posto che, in ogni caso si produce la morte della persona che, nel rispetto delle condizioni indicate dal Giudice costituzionale, lo richieda.
Del fatto che il suicidio costituisca una semplice facoltà e non un diritto, o una libertà di fatto, si può dubitare. Nel diritto alla vita, al pari di altri diritti costituzionalmente garantiti, è implicito anche il diritto a rinunciare all’esercizio di tale diritto. Il diritto ad iscriversi ad un sindacato, ad esempio, comprende in sé anche il diritto a non iscriversi. Il diritto alla riservatezza non proibisce di comunicare ad altri i dati che si ha diritto a mantenere riservati. Analogamente, il diritto alla vita non impone alla persona l’obbligo di restare in vita. Non le impedisce, in altri termini, di decidere di non esercitare quel diritto. Se così non fosse, dovremmo concepire non solo un diritto alla vita, ma, accanto ad esso, anche un obbligo a restare in vita. Ma possiamo davvero ipotizzare che l’ordinamento, in presenza dell’esplicita e consapevole volontà di una persona di rinunciare al proprio diritto alla vita, possa in qualche modo costringerlo a vivere?
L’art. 32 della Costituzione consente, ove sia la legge a disporlo, l’obbligo di sottoporre le persone a determinati trattamenti sanitari, anche contro la loro volontà; precisa, tuttavia, che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Personalmente, non credo che imporre di continuare a vivere ad un uomo o ad una donna che con piena coscienza e consapevolezza abbiano deciso di lasciarsi andare nelle braccia della loro “sorella morte” – tanto più se si tratta di una scelta dettata dall’urgenza di fuggire da un insopportabile dolore fisico e psichico – sia rispettoso della dignità umana. Un’interpretazione che ritenesse il contrario, sarebbe in contrasto, con quanto stabilito dal secondo comma dell’art. 32 della Costituzione in quanto andrebbe oltre i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Sia ben chiaro, nel nostro ordinamento, nella nostra cultura giuridica, non esiste alcun “diritto al suicidio”. La Repubblica, al contrario, è chiamata a promuovere e proteggere il diritto alla vita, e sono molti gli strumenti che può mettere in cmapo, a partire dal promuovere il benessere generale della società, garantire un’assistenza sanitaria generale e gratuita, ridurre gli incidenti sul lavoro, soccorrere i naufraghi, predisporre misure di tempestiva ed efficace terapia del dolore, offrire il sostegno psicologico alle persone che si trovino in grave difficoltò, garantire un’adeguata riabilitazione e rieducazione …
In Europa, secondo dati Eurostat, oltre un milione di persone muoiono ogni anno delle deficienza del sistema sanitario pubblico diverse migliaia a causa di errori della diagnosi e della cura. Per fortuna, in queste speciali classifiche, l’Italia risulta tra i paesi più virtuosi o, sarebbe meglio dire, meno deficitari.
Il fatto che l’ordinamento, in generale, non guardi con favore alla scelta di rinunciare alla propria vita non significa, tuttavia, né che possano adottarsi misure coercitive che impediscano alla persona di disporre della propria esistenza, e neppure che nelle ipotesi di patologie incurabili in presenza di sofferenze insopportabili, in ossequio al rispetto dei diritti fondamentali della persona, il sistema sanitario non possa prevedere forme di assistenza medica alla buona morte.
Concludo questi brevi riferimenti – di carattere prevalentemente giuridico – con riferimento al suicidio, perché dal punto di vista teleologico, anche quanto alle implicazioni di carattere morale, non vi è differenza tra le diverse modalità che provochino la morte di chi abbia deciso di togliersi la vita. Ciò che conta sono il desiderio e la cosciente volontà di porre fine alla propria vita. In definitiva, sotto il profilo etico, non fa differenza se tale finalità viene perseguita mediante la rinuncia alle cure, il suicidio o la buona morte medicalmente assistita. Altrettanto potrebbe dirsi per la persona che cooperi alla realizzazione dell’intento: sotto il profilo etico, poco importa se provoca la morte di una persona a seguito di un’omissione o di una condotta attiva. Ciò che conta è il rapporto tra la condotta e l’effetto desiderato. Sotto il profilo legale, invece, il mero aiuto al suicidio, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale, non costituisce più reato, mentre continua ad esserlo, in attesa dell’esito del referendum abrogativo, la condotta di chi provochi direttamene la morte, ad esempio con la somministrazione di un farmaco.
Vorrei far riferimento ad un recente avvenimento. Qualche settimana fa, in Spagna, una donna gravemente ammalata si è tolta la vita in una stanza d’albergo assumendo una dose di veleno. La donna era affetta, da anni, da una patologia cronica osteomuscolare incurabile, aggravata dall’intolleranza agli oppiacei. Ultimamente era sopravvenuto un cancro alla vescica “invasivo e di grado elevato”, secondo il referto medico. La donna, che auspicava una dolce morte, non appena entrata in vigore la legge che, in quel paese, consente la morte medicalmente assistita, aveva chiesto di poter essere ammessa. La richiesta era stata sottoposta alla struttura competente, ma non era andata a buon fine, inizialmente in quanto il medico incaricato si era dichiarato obiettore di coscienza.
Ma non è questo che interessa, piuttosto l’esito e le ragioni della donna che, qualche settimana prima accompagnata dal medico curante e dall’amica più cara, aveva rilasciato un’intervista a “El Pais” dichiarando quanto segue:
“La decisione l’ho già presa. Non credo di poter attendere che mi venga applicata la legge. Ho sempre affermato che non voglio vivere se non sono in grado di poter decidere sulla mia vita. Non sono in grado di cucire, non posso leggere. Non c’è niente che possa darmi speranza. Non si tratta di un capriccio. Il fatto è che tutta la mia vita consiste esclusivamente nel cercare di soffrire il meno possibile. E nonostante tale sforzo la mia sofferenza è intollerabile. Per questo penso che, al massimo, riuscirò a resistere sino ad ottobre, ma forse neppure riuscirò ad arrivarci”.
Il giornalista le chiede: “E nel caso non riuscisse ad essere ammessa al trattamento previsto dalla legge, ha cercato qualche alternativa per darsi la morte?*
“Si ho qualche alternativa, non piacevole, ma ce l’ho. Solo che, dal punto di vista psicologico, si tratta di una alternativa terribilmente violenta. È violento pensare Mi sto suicidando”. Io non lo voglio questo. Voglio solo che mi aiutino a smettere di soffrire. Niente di più”.
Cito questo, episodio, uno come tantissimi altri, tra i pochi che superano il riserbo e diventano di dominio pubblico, perché consente, di comprendere come il tema, l’unico tema in discussione, sia quello della vita, della morte e del diritto di decidere della propria esistenza: il resto riguarda gli aspetti tecnici, le modalità di esecuzione dell’intento, che possono andare dalla rinuncia alle cure ed all’alimentazione sino al suicidio.
Ho voluto introdurre nel discorso un caso concreto, anche perché risulti chiaro che la vita, la morte, le sofferenze, non esistono. Nella storia, nella realtà esistono uomini e donne che vivono, che soffrono, che muoiono. Le espressioni astratte che utilizziamo sono comprensibili e concepibili soltanto perché si verificano tali evenienze.
Come, proprio in questi giorni ci ha ricordato Björn Larsson, siamo in grado di intendere il “senso” attribuito alle parole ed alle espressioni, ma per sapere se esistono veramente dobbiamo rivolgerci alla scienza. La vita è sacra, inviolabile, è un valore supremo. Il principio lo intendiamo, riscuote consenso. Ma, nella realtà, davvero la vita è sacra protetta, rispettata? Ed in che modo?
Arriviamo al nodo. La decisione circa le regole che potrebbero disciplinare – se, quando e come – pratiche di buona morte, ha evidenti implicazioni etiche che interrogano la coscienza di ciascuno e quella collettiva.
Il fondamentale interrogativo, sul piano etico, consiste nel cercare una risposta, non ambigua, ad una elementare domanda: consentire la buona morte, è un bene o un male? Ciò, non significa, nonostante ogni apparenza, pronunciarsi su principi astratti, quali la sacralità della vita.
Il quesito, al quale il Parlamento italiano non ha voluto rispondere, nonostante il pressante invito della Corte Costituzionale, è un altro: se la comunità nella quale oggi storicamente viviamo ritenga eticamente accettabile consentire l’assistenza medica, la buona morte, alle persone gravemente sofferenti, senza speranza di guarigione delle quali sia stata accertata la cosciente e consapevole volontà di porre fine alle proprie sofferenze.
Ciò, non sulla base di precetti morali fondati su costruzioni metafisiche o di credo religiosi, ma alla luce di valori fondanti e condivisi, logicamente giustificati, di una comunità, laica. Quali il benessere collettivo, la ricerca della felicità, la solidarietà. Che tenga conto, evidentemente, degli effetti che le scelte personali possano provocare sul sistema di convivenza dell’intera comunità. L’etica laica, in ogni caso deve necessariamente trovare nell’immanenza, e non nel trascendente, la risposta ai propri interrogativi.
Non dobbiamo chiederci se la buona morte, astrattamente considerata, sia un bene o un male, ma se operi bene o male, per se stesso e per la comunità, la persona che decida di praticarla. Si tratta, conseguentemente, di un giudizio sulla persona che aiuta il richiedente a porre fine alle proprie sofferenze.
L’etica di cui parliamo, peraltro, è opinabile, in quanto ispirata a diverse concezioni filosofiche; ad esempio all’imperativo categorico kantiano che ipotizza una sorta di deontologia nel comportamento umano; oppure alle teorie utilitaristiche, secondo le quali le nostre azioni dovrebbero mirare alla massima felicità per il maggior numero di persone. In ogni caso, l’etica di cui parliamo non coincide con i precetti morali dettati da ideologie o religioni. Beninteso, è frequente che i valori “laici” e quelli derivanti dai precetti morali delle religioni possano coincidere, Ma non sempre. Alcune pratiche imposte da talune religioni, ad esempio, sono incompatibili con i diritti fondamentali universalmente riconosciuti.
In ogni caso non vi è alcun antagonismo tra l’etica laica che dovrà ispirare le scelte del legislatore in materia di buona morte ed i precetti morali delle religioni cristiane in materia di buona morte – peraltro non condivisi da tutte le professioni religiose – . Precetti morali che, anche quando non coincidenti con l’etica “laica” del legislatore, potranno sempre orientare liberamente le condotte dei propri adepti. Non solo, a quanti eventualmente professino un credo distinto da quello dell’etica “laica”, in casi come questo, viene di norma riconosciuto il diritto di non uniformarsi al precetto civile, cioè di astenersi dalle pratiche che non condividono, attraverso lo strumento dell’obiezione di coscienza, come opportunamente richiamato anche dalla citata sentenza della Corte Costituzionale.
Nel caso concreto, – perché non si dimentichi, neppure per un momento, che non è della morte che ragioniamo, bensì delle persone che, in determinate circostanze, desiderano la propria morte o si danno la morte – si può aggiungere che a tutte le professioni religiose, vien in ogni caso garantita – ci mancherebbe altro – ogni assistenza spirituale volta ad aiutare il credente a non cedere alla tentazione di porre fine anticipatamente alla propria vita e ad affrontare con spirito orientato al trascendente le proprie sofferenze. Ma se un credente, uomo o donna, esercitando il libero arbitrio, continuasse a manifestare il proposito di porre fine alla sua vita, troverei paradossale che il suo desiderio non possa poi essere accolto perché il precetto morale della confessione religiosa che il proprio adepto non intende rispettare venisse recepito e fatto proprio dall’ordinamento giuridico dello Stato.
Aver certezze è bene, risulta sicuramente rassicurante, rassicurante. Ma coltivare dubbi è non meno salutare e utile, soprattutto in questo caso, visto che la vita e la morte, per tutti, possono essere segnate da svolgimenti imprevedibili e misteriosi.
Spesso siamo convinti, molti di noi- e lo proclamiamo con sicumera -, che in presenza di un determinato evento ci comporteremo in una determinata maniera. Ma è soltanto un’idea, un’astrazione. Finché resta un’idea … Tra quanti oggi giurerebbero che mai, in nessuna circostanza, ricorrerebbero alla buona morte, non pochi, di fronte ad una situazione non più immaginaria ma reale, sicuramente, potrebbero comportarsi in maniera differente. Ma è vero anche il contrario, cioè che tra quanti dichiarano che, in circostanze analoghe, sceglierebbero di anticipare la morte, molti, alla prova dei fatti opererebbero una diversa scelta rinunciando a tale proposito.
Vita e morte, disincrostate dell’astrazione, altro non sono che i nostri percorsi quotidiani Così terribili da considerare funesto persino il giorno della nascita – secondo il pastore errante di Leopardi – o così assurdi da potere essere paragonati – secondo Camus – alla fatica di Sisifo? O, per altro verso, esaltante esperienza di conoscenza e di appagamento, o alternarsi di gioia e di dolore? Una miriade interpretazioni che sfugge alla nostra conoscenza ed alla nostra esperienza futura. Cosa ne sappiamo, esercitando sana umiltà, del sentimento di chi, ormai sul ciglio del baratro, in presenza di insopportabili sofferenze, chiede di lasciarsi andare dolcemente? Abbiamo sufficienti motivi per giudicarlo e per impedirglielo? Senza contare che, il più delle volte, ciò significa semplicemente che lo costringiamo a realizzare lo stesso proposito in clandestinità o con maggiore sofferenza.
Non abbiamo ricette. Camus immagina che possa essere felice persino chi è destinato a spingere sassi lungo il pendio per tutta dal vita, senza alcuna speranza di fuggire dal supplizio. Umberto Eco afferma “Io ho il diritto di scegliere la mia morte per il bene degli altri”, e tanti altri, ciascuno secondo i propri principi.
Prendiamo atto di trovarci di fronte all’irrisolto mistero della vita e della morte. E visto che la vita, in un modo o nell’altro, la sperimentiamo, il mistero si concentra sulla nostra. La morte costituisce il nostro ultimo dubbio.
Il mistero. Io, ad esempio, in questo momento, immagino che se mi trovassi in condizioni di estrema ed insopportabile sofferenza, non solo chiederei di anticipare la fine con una buona morte, ma mi fingo persino che nel momento in cui mi comunicassero che all’indomani un medico mi accompagnerebbe dolcemente alla morte, proverei un grande senso di serenità, anzi di felicità.
Allo stesso tempo, sono certo e consapevole che, di fronte ad una situazione del genere, ne ho esperienza, potrei decidere diversamente, cioè scegliere di attendere, anche nel dolore, con altro spirito, la fine dei miei giorni.
Insomma, sappiamo così poco della vita da non poter essere certi neppure delle nostre azioni. Figuriamoci se possiamo dettare il comportamento di altre persone. Spero che né a me né ad altri venga confiscato il libero arbitrio.
Insomma chi siamo noi per giudicare? Impedire, per legge, una scelta altrui che non condividiamo è assai più di un giudizio.
Gianni Loy