Monthly Archives: agosto 2021

Afganistan

56ac27ba-4315-4fe9-b36b-b4642368ab13
La missione italiana in Afghanistan. Considerazioni a margine di un fallimento
16-08-2021 – di: Monica Quirico
volerelaluna-testata-2
In questa estate semi-apocalittica – tra alluvioni, incendi e rigurgiti neo-oscurantisti – la morte di Gino Strada, concomitante alla definitiva rivincita talebana, chiude simbolicamente il cerchio di quel capolavoro al contrario che sono state le missioni internazionali in Afghanistan dal 2001 a oggi. Chi adesso celebra il fondatore di Emergency come una sorta di santo laico (!) lo liquidava con fastidio quando, vent’anni fa, disarticolando la retorica “umanitaria” dell’intervento occidentale, profetizzava che esso avrebbe solo esasperato la situazione.

Le 160.000 vittime afghane (di cui tra i 35.000 e i 43.000 civili) e i 54 morti tra i soldati italiani (32 dei quali in seguito ad atti ostili), le une e gli altri rimossi dal dibattito pubblico, sollecitano qualche riflessione sul modo in cui nella fragile democrazia italiana è stata rappresentata la più rilevante operazione militare del dopoguerra, con un’attenzione particolare per il rapporto tra lutto e politica, in una prospettiva di genere.

Il 9 ottobre 2001 il Parlamento italiano approvava quattro risoluzioni (bipartisan) che impegnavano l’Italia a onorare i suoi obblighi di membro della Nato, dando il suo sostegno all’operazione Enduring Freedom, scattata due giorni prima come ritorsione agli attentati dell’11 settembre. Un mese dopo, le Camere votavano a larghissima maggioranza a favore dell’intervento militare, che prendeva il via il 18 novembre. Per la prima volta nel dopoguerra, alle truppe italiane si applicava in modo esplicito il codice militare di guerra (introdotto nel 1941). Negli anni, in un gioco di rimpalli tra Onu e Nato, cambiavano i nomi delle missioni ma restava, anzi aumentava, la presenza occidentale.

Dell’attività delle truppe italiane (che nel 2010 superavano le 4.000 unità) e in particolare della Task Force 45, creata dal governo Prodi II, si sapeva (e tuttora si sa) poco o nulla: di fatto era una missione di combattimento, che sfruttava le ambiguità delle autorizzazioni parlamentari. Beninteso, i Governi italiani che si succedevano dal 2001 in poi, fossero di centrodestra o di centrosinistra, si guardavano bene dal menzionare la parola “guerra”, preferendole espressioni come: intervento umanitario; azione di contrasto al terrorismo; operazione di polizia internazionale. Il topos “Italiani, brava gente”, esteso anche all’esercito, è sempre spendibile e trovava infatti la sua consacrazione in una mostra patrocinata nel 2012 dalla presidenza della Repubblica (all’epoca retta da Giorgio Napolitano), che, dopo l’inaugurazione al Vittoriano, veniva riproposta in diverse città italiane. Intitolata “I volti dei militari italiani. I valori della patria in un’immagine”, l’allestimento mescolava sapientemente stralci di mail inviate a parenti e amici dai militari italiani in missione all’estero (non solo in Afghanistan) a scatti che li ritraevano in atteggiamenti cordiali nei confronti della popolazione locale. L’esposizione era strutturata come un vero e proprio catalogo delle virtù delle forze armate, nell’ordine: Solidarietà, Dedizione, Onore, Dignità, Lealtà, Altruismo, Coraggio, Fedeltà, Disciplina, Umanità, in una mescolanza di valori guerreschi tradizionali e attualizzazioni consone alla retorica umanitaria che pervadeva la narrazione delle missioni. In tal senso, il clou era rappresentato dalle immagini di donne soldato (immancabilmente sorridenti) che assistevano anziani, donne e bambini, in una sorta di incontro transnazionale fra soggetti minoritari e tuttavia tutelati, con la soldata che presumibilmente doveva fungere da modello di emancipazione per le ragazzine locali.

Mentre la protezione delle donne afghane era invocata come una delle motivazioni decisive alla base dell’intervento militare, ad altre donne – le madri e le mogli dei militari italiani – era richiesto di fare la loro parte: quella di sempre, accettare la morte dei loro cari come compimento di un destino, il sacrificio per la patria. Già, perché, in una narrazione che legittimava l’intervento militare in nome della pace e dei diritti umani, quando tornavano in Italia le salme dei “caduti” (termine che suggerisce una fatalità del tutto fuori luogo) evidentemente i valori universalistici non bastavano a dare un senso al dolore – o almeno così pensavano le istituzioni. Si rispolverava allora il repertorio classico, quello della mater dolorosa, punto di intersezione tra culto mariano (Maria spettatrice affranta ma composta della Passione) e pratiche penitenziali pagane (l’eruzione del dolore); un’icona che ha incontrato larga fortuna nel discorso nazionale forgiato a partire dal Risorgimento e la cui chiave di volta è l’attribuzione del dovere di onorare la patria tanto agli uomini in armi quanto alle donne che, a casa, sublimano la perdita nella celebrazione del valore trascendente del gesto eroico.

Le commemorazioni dei “caduti” italiani in Afghanistan ricalcavano questa divisione di genere dei ruoli, pur con qualche incrinatura: il dolore non è mai interamente addomesticabile. La continuità enfatizzata dai media e dalle liturgie funebri tra il lutto della singola famiglia biologica, quello della più ampia famiglia militare e infine quello della comunità nazionale mirava a ricordare a tutti che, di fronte all’enormità del sacrificio che il militare deceduto così come la sua famiglia avevano compiuto per il bene della nazione, le distinzioni sociali e politiche dovevano passare in secondo piano. Anche nel caso dell’intervento in Afghanistan, l’appello all’unità fondato su un sentimento universale come il lutto ha costituito infatti un potentissimo strumento di neutralizzazione del dissenso, delegittimando il confronto razionale, oltre che etico, sull’opportunità di portare avanti la missione. Indimenticabili le parole di Matteo Renzi, all’epoca presidente del consiglio, in visita a Herat nel 2015: «Non siamo qui per un motivo logistico ma per un ideale»; poi rincarava: «Possa il loro sangue [dei caduti] servire ed aiutare anche qui in Afghanistan nuove generazioni a conoscere bellezza, libertà e pace».

Non è stato così, come ben vediamo oggi, scandalizzandoci dai nostri comodi divani per la sorte che attende le donne afghane; vano chiedersi se qualcuno tra i molti politici che hanno sostenuto le varie missioni avrebbe il coraggio di incontrare i parenti dei militari morti e ammettere che il loro “sacrificio” è stato totalmente destituito di senso. È tuttavia proprio la logica dell’eroismo (e del suo brodo di coltura: il nazionalismo) a dover essere cacciata nel pattume della storia: è vero, parliamo di eserciti professionali, ma ciò non attenua lo sgomento per il paradosso che Judith Butler ha così riassunto: «Da un lato, dunque, questi soldati sono ritenuti “indispensabili” alla difesa della patria. Dall’altro, essi fanno parte della popolazione dispensabile. E anche se la loro morte è a volte oggetto di glorificazione, essi sono e restano dispensabili: persone sacrificate in nome del popolo. […] Così, in nome della difesa del popolo, la nazione spinge qualcuno sull’orlo del precipizio. E quel corpo strumentalizzato per motivi di “difesa” è reso dispensabile proprio dall’obiettivo di garantire quella stessa “difesa”».

Se la vulnerabilità è un dato ontologico, perché comune a tutti i viventi, essa è nondimeno sperimentata in modo differenziato a seconda della classe sociale, della nazionalità, del genere e di altre variabili socialmente costruite. L’attuale distribuzione del lutto pubblico nella popolazione mondiale, con la gerarchia tra le vite degne di essere piante (quelle dei cittadini USA, ad esempio) e le vite che non meritano le lacrime dell’opinione pubblica (quelle degli afghani o dei palestinesi), non può che alimentare la spirale della violenza e del militarismo. Come scriveva Gino Strada nel 2003, «questa è la vera guerra mai dichiarata: la guerra ai poveri del mondo, agli emarginati, agli sfruttati, ai deboli, ai diversi, la guerra a tutti gli “spendibili”, vittime designate dei nostri consumi».
———————————-
Afghanistan, gli allarmi inascoltati dell’intelligence e la fretta di passare all’incasso elettorale: perché il disastro Usa è la Saigon di Biden Su Il fatto quotidiano..
——————————————————
IN PRIMO PIANO
Per le donne afghane
17-08-2021 – di: Magistratura democratica
Su Volerelaluna
.

Così scriveva Jane Austen nell’incipit di Orgoglio e pregiudizio, nell’anno 1813, parlando della condizione della donna in quel tempo, nella occidentalissima Inghilterra: «È una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo provvisto di un ingente patrimonio debba essere in cerca di moglie. Per quanto al suo primo apparire nel vicinato si sappia ben poco dei sentimenti e delle opinioni di quest’uomo, tale verità è così radicata nella mente delle famiglie dei dintorni, da considerarlo legittima proprietà dell’una o dell’altra delle loro figlie».

Così scriveva, ancora, Azar Nafisi in Leggere Lolita a Teheran (p. 292), parlando della condizione femminile nell’Iran di Khomeini e commentando il libro della Austen: «All’inizio della rivoluzione avevo sposato un uomo che amavo. […] Quando nacque mia figlia, cinque anni dopo, eravamo già tornati ai tempi di mia nonna: la prima legge a essere abrogata […] fu quella che proteggeva la famiglia e garantiva i diritti della donna a casa e sul lavoro. L’età minima per il matrimonio venne di nuovo abbassata a nove anni – o meglio, otto e mezzo lunari, ci dissero. L’adulterio e la prostituzione dovevano essere puniti con la lapidazione. E, infine, le donne per legge valevano esattamente la metà di un uomo». Erano i tempi della rivoluzione che portò l’ayatollah al potere e che condusse con sé questo tipo di decisioni. Le uniche donne nel regime più liberale diventate personaggio pubblico, sulla scorta delle loro conoscenze e capacità, subirono l’esilio (ove già fuggite all’estero) o la pena di morte.

C’è da domandarsi cosa scriverà la letteratura di domani quando registrerà il regresso delle condizioni umane, specie delle donne, a causa dell’ingresso dei Talebani a Kabul e se in quella letteratura resterà traccia della impotenza dell’Occidente tutto.

Lungi dal proporre l’occidentalizzazione dei costumi come panacea di ogni male, Magistratura democratica resta convinta che ogni regime autoritario che passi dall’oscurantismo della condizione della donna debba essere approfondito oggetto di una campagna internazionale di mobilitazione delle coscienze e di sostegno umanitario. Consapevoli della complessità della questione e della difficoltà di soluzioni che non passino da iniziative politiche militari, Magistratura democratica, nel plaudire a tutte quelle associazioni umanitarie, nazionali e non, che si pongono a sostegno delle condizioni delle donne afghane, auspica che tutti i Governi e gli organismi internazionali mettano al centro dei loro programmi il dovuto ausilio alla popolazione afghana e attivino ogni necessario meccanismo di protezione internazionale per le donne e i profughi di questo Paese.

Oggi lunedì 16 agosto 2021

GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2aladin-logonge-cover-1lampadadialadmicromicro13democraziaoggi-loghettogf-02
asvis-oghetto55aed52a-36f9-4c94-9310-f83709079d6dsard-2030schermata-2021-02-17-alle-14-48-00license_by_nc_sapatto-nge-2021-01-28-alle-12-21-48logo76
——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
Abbiamo perso, avvocato
16 Agosto 2021
Carlo Dore jr. Su Democraziaoggi.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo significativo racconto di Carlo Dore jr.
Ci sono pomeriggi di primavera, in cui la bellezza di Roma ti colpisce come uno schiaffo. Questo pensava, Giuseppe Anzaldi, affacciandosi alla finestra del suo piccolo studio legale in Via dei Greci: un attichetto esattamente a metà strada tra via Condotti e via […]
————————————-
La cura contro la crisi secondo Paolo Savona
16 Agosto 2021
24 Giugno 2012
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi
.
Paolo Savona, in Eresie, esorcismi e scelte giuste per uscire dalla crisi. Il caso dell’Italia (2012), per porre rimedio all’inevitabile declino connesso alla crisi economica, ripercorre, retrospettivamente, le “eresie”, ovvero le scelte sbagliate che nei decenni passati, con il consenso degli elettori, sono state adottate e gli “esorcismi”, […]
————————————————————-
77cf1772-55e2-4b2f-9b5a-6849480e94da15 agosto 2021: Kabul e l’Afghanistan sono riconquistati dai Talebani. E ora?
16 Agosto 2021
Tonino Dessì su Democraziaoggi.
——————————————————

Che succede?

c3dem_banner_04
QUIRINALE, FINE VITA. GREEN PASS
14 Agosto 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
[segue]
e89f39e0-c14c-48c1-b7fb-6b292d2056b4E, inoltre.

Essere qui, un’associazione di cattolici che cercano la chiesa fuori dalla Chiesa

http://mail01.tinyletterapp.com/alzogliocchi/newsletter-15-agosto-2021/19815530-www.alzogliocchiversoilcielo.com/2021/08/essere-qui-unassociazione-di-cattolici.html?c=77fdffa7-1b4e-7053-b8ad-c85ead36d0cb

[segue]

Oggi domenica 15 agosto 2021 Ferragosto

GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2aladin-logonge-cover-1lampadadialadmicromicro13democraziaoggi-loghettogf-02
asvis-oghetto55aed52a-36f9-4c94-9310-f83709079d6dsard-2030schermata-2021-02-17-alle-14-48-00license_by_nc_sapatto-nge-2021-01-28-alle-12-21-48logo76
——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
Carbonia. Nei luoghi di lavoro si discute dei consigli di gestione
15 Agosto 2021
Gianna Lai su Democraziaoggi
.
E’ ferragosto, ma noi proseguiamo a narrare la storia di Carbonia, come ogni domenica dal 1° settembre 2019.
“Costanti sintomi di agitazione pervadono l’animo di quelle masse operaie, che avrebbero intenzione di proclamare lo sciopero nel caso fallissero le trattative sui Consigli di gestione”, comunica il questore al prefetto di Cagliari nell’ottobre del 1947. […]
————————
Welfare addio: mercati e ceto medio nel tramonto della democrazia
15 Agosto 2021
29 Maggio 2012
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.

Gian Paolo Caselli e Gabriele Pastrello in Welfare addio (Limes, n. 2/2012) criticano le politiche di rigore adottate all’interno dei sistemi capitalistici avanzati per uscire dalla crisi. La loro conclusione non lascia scampo alla speranza di poterne uscire se non al prezzo dell’affievolimento del metodo di governo democratico […]
——————————————————————-—————-
logo-politicainsieme
AFGHANISTAN: IL FALLIMENTO DELL’IDEA DI ESPORTARE LA “DEMOCRAZIA”, PROPRIO MENTRE MUORE GINO STRADA
di Giancarlo Infante su PoliticaInsieme.
———————————————————
Enzo Bianchi – Il disincanto attuale del “quarto uomo”
https://www.alzogliocchiversoilcielo.com/2021/08/enzo-bianchi-il-disincanto-attuale-del.html
——————-

Chiesa di tutti Chiesa dei poveri Newsletter n. 229 del 14 agosto 2021 – Costituente Terra Newsletter n.43 del 14 agosto 2021

costituente-terra-logologo76Scegliete oggi chi volete servire (Gs 24,15)

Notizie da
Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Newsletter n. 229 del 14 agosto 2021 – Costituente Terra Newsletter n.43 del 14 agosto 2021
LE RISORSE IN CAMPO
Carissimi,
“Ancora vent’anni, e la Terra sarà distrutta”: [segue]

Omaggio a Gino Strada

gs-in-fb
Un santo, laico.
di Gianfranco Fancello, su fb.
Per descrivere la grandezza di Gino Strada non servono grandi discorsi, ma sono sufficienti due parole: santo laico.
Perché non può che essere definito così chi, come lui, ha letteralmente salvato dalla morte migliaia di vite umane mettendo, ogni volta, a repentaglio la propria. Lo ha fatto sotto le bombe, in mezzo al mare, fra le mine antiuomo. Lo ha fatto perché, da ateo (quale si professava), aveva un altissimo concetto di sacralità dell’uomo che, in quanto tale, in quanto persona, in quanto essere vivente, doveva essere sempre protetto e tutelato, indipendentemente dal colore della pelle, dal credo religioso, dall’etnia, dalla condizione economica. Sempre protetto, accolto, difeso. Sempre. A costo, anche della vita, la propria.
Dove c’era bisogno di soccorso, lui c’era. Dove c’era bisogno di aiuto, lui c’era. Dove c’era bisogno di medici, di ospedali, di chirurghi, lui c’era. Un santo, appunto.
Mi sono spesso interrogato sul suo ateismo che, lo confesso, un po’ mi sorprendeva. In realtà l’ho sempre considerato (è così continuo a farlo) un ateismo militante: infatti ho sempre visto Gino Strada molto più vicino a Dio di tanti “falsi” credenti, che si dichiarano tali per convenienza, per abitudine, o, peggio ancora (e gli esempi non mancano) per spudorato interesse personale: questi in realtà, basano il proprio credo sull’egoismo, sull’arroganza, sulla centralità della persona, la propria. Esattamente il contrario di Gino Strada, che, da ateo, ci ha mostrato una strada (ops… ma guarda un po’…) di fratellanza, di solidarietà, di amore per il prossimo, per il diverso, per il debole, per il ferito, molto spirituale e di forte impronta morale.
Forse il suo ateismo era frutto delle sue tante vite, passate negli angoli sperduti del mondo, a curare le ferite di cristiani, mussulmani, induisti, buddisti, pagani, non credenti; con ognuno di loro entrava in empatia, ad ognuno di loro apriva il suo cuore, soprattutto per sanare le cicatrici dell’anima. Con ognuno di loro parlava lo stesso linguaggio, quello della pace, del rifiuto della guerra, della concordia, linguaggio trasversale fra le religioni e quindi universalmente valido. Ateismo quindi non come rifiuto, ma come somma di pluralità, come incapacità di scelta di un credo a scapito degli altri.
Cosa ci lascia in eredità? Tante cose: un’associazione umanitaria fra le più grandi al mondo, diversi ospedali localizzati in zone difficili e dì frontiera, tanti medici, infermieri ed operatori che si spendono in prima persona in condizioni di difficoltà e di disagio.
Ma soprattutto un grande insegnamento morale, quello della solidarietà a prescindere, di lotta alla discriminazione, di amore e fratellanza per il diverso. Tutti insegnamenti degni di un santo. Laico, ma sempre santo.
—————————-
Gino Strada, laico ma sempre santo. E titolare della “cattedra dei non credenti”.
lampadadialadmicromicro132Nel condividere le riflessioni di Gianfranco Fancello sulla figura di Gino Strada, per il quale propone l’attribuzione della qualità di “santo laico” scopro che nella sostanza poco differirebbe dalla qualità di “santo religioso” secondo quanto prevede la Chiesa cattolica, prescindendo per un momento da quanto differenzia i credenti dai non credenti. Leggo su Wikipedia alla voce “santo”:
“Per i cattolici, il santo è colui che pienamente risponde alla chiamata di Dio a essere così come Egli lo ha pensato e creato, frammento nel quotidiano del suo amore per l’umanità. La fede cattolica insegna che Dio ha per ogni persona un’idea particolare, e assegna a ognuno un posto preciso nella comunità dei credenti. Non esistono dunque caratteristiche univoche di santità, ma nella teologia cattolica, ognuno ha una santità particolare da scoprire e porre in atto. Santo, per la fede cattolica, può e deve essere chiunque, senza la necessità di particolari doni o capacità. (…) Il santo viene proposto come modello a tutti i fedeli e agli uomini di buona volontà non tanto per quanto ha fatto o detto, ma poiché si è messo in ascolto e a disposizione di Dio accettando, nella fede, che fosse Lui a dirigere attraverso l’opera dello Spirito Santo la sua vita. Per la Chiesa cattolica, dunque, a dover essere imitato è soprattutto l’atteggiamento di obbedienza a Dio e l’amore per il prossimo che ogni santo ha reso reale nei modi più diversi”. La vita di Gino Strada corrisponde proprio alla chiamata di Dio perché si ponesse a totale servizio dell’umanità (frammento nel quotidiano del suo amore per l’umanità), come davvero ha fatto. Certo Gino non credeva che questa sua missione provenisse da una chiamata divina. Ma, all’atto pratico, che ci importa? Avessimo tanti Gino Strada credenti o non credenti, o diversamente credenti!
Un’altra riflessione. Per connessione pensando a Gino Strada mi è venuta in mente l’esperienza della “Cattedra dei non credenti” inventata e praticata dal card. Carlo Maria Martini negli anni 1987-2002 durante il suo episcopato nella Diocesi di Milano, che sarebbe bene riproporre, aggiornata in metodi e contenuti ma mantenendo motivazioni e impostazione (ne riparleremo). Si trattava di una proposta insolita “non solo ascoltare i non credenti o dialogare con loro, ma metterli ‘in cattedra’, per farsi interrogare da loro e dalla dinamica generata dal confronto”. Di questa cattedra sicuramente Gino ne sarebbe stato uno dei degni titolari. E nel tempo che verrà, se come auspichiamo l’iniziativa verrà riproposta, lo sarà, attraverso le testimonianze che ci ha lasciato (scritti, video) e con la presenza dei suoi continuatori della missione di Emergency.
———————————————————————-
Riportiamo di seguito l’intervista che Gino Strada rilasciò nel 2019 al Corriere della Sera, che ci sembra utile segnalare, soprattutto in alcuni passaggi, anche in relazione alle riflessioni che precedono di Gianfranco Fancello e Franco Meloni.
Gino Strada: intervista al Corriere [2019]

Venerdì 13 agosto, è scomparso Gino Strada. Aveva 73 anni. Medico, filantropo, attivista, nel 1994, insieme alla moglie Teresa Sarti, Strada ha fondato la ong umanitaria Emergency. Riproponiamo qui l’intervista che ha concesso al Corriere nel 2019, in occasione del 25esimo anniversario della fondazione di Emergency.

Emergency fa 25 anni. Che cosa si regala?
«Un ospedale in Uganda, disegnato gratis da Renzo Piano. Costruito con terra di scavo. Poi andremo a farne uno in Yemen».

Altro bel posto complicato…
«Il peggio è la Somalia. Ci ho provato per dieci anni: con gli Shabaab non si parla. Idem in Cecenia, rien à faire. Tirano su il muro. A un certo punto, devi rassegnarti».

Ma come fa, Gino Strada, a entrare in questi posti?
«Non ho ricette. In Sudan, ci chiese d’intervenire il governo. In Iraq, andammo alla ventura con tre macchine da Milano. Prima di partire si parla con tutte le parti: guardate che non c’entriamo con la vostra guerra… Mai avuto un morto, facendo le corna. Ma la gestione della sicurezza dev’essere precisa».

Come fu la prima riunione, nel 1994?
«A casa mia a Milano, fino a ore tarde. Carlo Garbagnati, una ventina d’amici, non tanti medici (erano scettici). E la mia adorata Teresa, che sarebbe diventata insostituibile. Ci fu una cena al Tempio d’Oro, in viale Monza. Raccogliemmo 12 milioni di lire, ma volevamo cominciare dal genocidio in Ruanda e non bastavano. Ne servivano 250. Io dissi: beh, ragazzi, firmiamo 10 milioni di cambiali a testa… Per fortuna venni invitato da Costanzo e, puf, la tv è questa cosa qui: in un paio di mesi, arrivarono 850 milioni. Gente che mi suonava al campanello di casa, ricordo una busta con dentro duemila lire spillate».

È vero che litigò con la Croce rossa?
«Quella italiana non esiste. Ma della Croce rossa di Ginevra ho gran stima. Avevo girato per loro, dall’Etiopia al Perù. Solo che a un certo punto s’erano disimpegnati dalla chirurgia di guerra. Che è difficile, costosa, rischiosa».

E il nome?
«Lo scelsi io. Era l’aggettivo all’inizio d’Emergency-Life Support for Civilian War Victims. Troppo lungo: l’aggettivo diventò sostantivo».

Settantanove progetti in sette Paesi, 120 dipendenti, 9 milioni di persone curate. Questa nuova sede vicino a Sant’Eustorgio…
«È la chiesa più antica di Milano, sa che non ho ancora avuto il tempo di visitarla? Nessuno pensava a dimensioni simili. Anni lunghi, faticosi. Siamo cresciuti con la solidarietà della gente. Anche ora che le Ong sono criminalizzate. Quel procuratore di Catania, Zuccaro, ci ha provato e non è uscito niente. Quando ammetterà che era tutta una balla?».

Volevano la tassa sulla bontà per colpire chi s’arricchisce…
«Anche noi avevamo una nave per salvare i migranti, ma costava troppo: 150mila euro al mese. È verosimile che certi meccanismi lascino spazio a comportamenti illegali. Ma non cambi la tassazione delle Ong solo perché tre sono poco chiare: indaghi su quelle tre!».

Vi sentite danneggiati?
«Han creato sfiducia nella gente. Dal 2011 abbiamo raddoppiato il budget, ma i progetti sono tanti. Un ospedale è un debito continuo, ogni anno i ricoveri aumentano del 30%. In Afghanistan, il sistema sanitario siamo noi».

Un caso che non dimentica?
«Un ragazzino, Soran, operato in Iraq. Aveva una gamba amputata da una mina. Qualche anno fa è venuto a trovarmi. Fa l’avvocato».

Il giorno più duro?
«Quando rapirono i nostri in Afghanistan e in Sudan. Anche nel caso Mastrogiacomo rischiai. Mi chiedevo: ha senso mediare? Sì, perché c’era un uomo che rischiava più di me».

Ha lavorato con Christiaan Barnard…
«Elegantissimo, con la sua Mercedes, ma ormai operava poco per l’artrosi alle mani. I miei modelli furono Staudacher e Parenzan».

E la chirurgia di guerra chi gliela insegnò?
«Era un’attività di nicchia. La faceva la Croce rossa. E i militari, che però erano proprio un altro mondo. Nel ’91, guerra del Golfo, i militari chiesero a Ginevra d’andare in Bahrein. Avevano allestito un ospedale da 5mila posti letto. Vuoto. Mandammo 101 chirurghi inglesi. Ma fecero un solo intervento: a un mignolo».

Il mondo umanitario a volte è pura rivalità. In Sierra Leone, i medici olandesi e francesi di Msf nemmeno si parlavano…
«C’è anche molto dilettantismo, favorito dai grandi donatori. In Kurdistan, vidi un palazzo per la posta aerea pagato dall’Ue. Gli aeroplanini dipinti, la scritta Air Mail. Inutile, costava un’enormità. Lo usavano come hotel».

Libia, Palestina… Perché state alla larga?
«I libici sono tosti, chiudemmo perché non arrivavano feriti di guerra, solo delinquenti locali. E ci pigliavano a sassate. Coi palestinesi ci ho provato, un ospedale a Ramallah. Andai dal ministro. Mi disse: “Ma voi avete 5 milioni da spendere? Sa, un posto letto vale 100mila dollari”. Arrivederci… Ho sempre pensato che una parte d’aiuti alla Palestina finisca altrove».

Paesi nel cuore?
«L’Afghanistan. E il Sudan: non ci credeva nessuno che si potesse fare cardiochirurgia in uno Stato canaglia. C’era una rivista di sinistra, Aprile, con un solone della Cooperazione che mi spiegava di che cosa c’era davvero bisogno in Sudan… Perché? Gli africani non hanno bisogno d’essere operati al cuore? La salute non è solo un diritto degli europei. Qui hai la tac e la risonanza magnetica, lì due aspirine e vai? L’eguaglianza dev’essere nei contenuti, non solo nelle idee».

Trattate col dittatore Bashir…
«Se un regime è oppressivo, la gente sta male. E noi ci andiamo. Quelli che noi chiamiamo dittatori, in Africa sono presidenti. E loro come dovrebbero chiamare i nostri “presidenti” Orbàn o Erdogan?».

Quando pecunia olet?
«Quando arriva dal crimine. E chi dona, pretende di decidere chi devi operare e chi no».

Le amicizie d’una vita?
«De André, Eco, Chomsky. Adesso, Renzo Piano. Quando morì Teresa, mi scrisse una lettera splendida. Gli telefonai a Parigi per ringraziarlo. Ci siamo chiamati per quattro anni senza vederci. Amicissimi, ma non sapevo nemmeno che faccia avesse».

Dio?
«Non ne sento alcun bisogno. Penso che il significato delle cose stia nelle cose stesse, non al di fuori o al di sopra. Questo non m’ha precluso l’amicizia con don Gallo, Alex Zanotelli, don Ciotti, a parte qualche bestemmia che ogni tanto mi scappava. Mi piacerebbe incontrare Papa Bergoglio, parlare dell’abolizione della guerra. Una volta era un tema, oggi è dimenticato».

Dicono che lei sia un pacifista utopista…
«Utopista va bene: secoli fa, era utopia abolire la schiavitù. Pacifista, no: lo sono anche i parlamentari che poi votano per le guerre».

Sergio Romano scrisse: Emergency fa del bene, ma non è neutrale.
«Nessuno può essere neutrale. Non puoi esserlo, su un treno in corsa. Come fai a esserlo in Iraq? Però non siamo neanche di sinistra: scegliamo la vita, la giustizia, l’uguaglianza».

Aveva simpatie per Ingroia, per Tsipras…
«Quelle sono cose che ti appiccicano addosso. Certo, trovo Prodi una persona ragionevole, anche se polemizzammo sull’Afghanistan (credo che oggi saremmo più in sintonia). E trovo Salvini razzista. Io poi sono di Sesto San Giovanni e ieri ho firmato una petizione perché apre Casa Pound. Quest’idea imbecille d’una società violenta e rancorosa, che ti spinge a trovare chi sta peggio di te e a dargli la colpa dei tuoi guai. Mai uno di loro che punti il dito su quelli che stanno meglio, eh?».

In Italia, avete 13 progetti.
«Un’Italia sconosciuta. Castel Volturno, Polistena, questi bei posticini. Povertà, degrado, schiavismo, situazioni che non ho mai visto neanche in Sudan. Quando abbiamo aperto a Marghera, pensavamo d’essere nel ricco Nord Est e d’avere solo stranieri. Invece il primo paziente fu uno di Mestre, un bell’uomo. Era stato un campione italiano alle Olimpiadi. Ma poi aveva perso il lavoro e i denti, mangiava male. E non poteva pagarsi una protesi».

Se i grillini l’avessero candidata al Quirinale, come volevano, sarebbe diventato il capo delle Forze armate. Che cosa avrebbe fatto?
«Ritiro dalle missioni all’estero. Smantellamento degli arsenali stranieri in Italia. Riduzione degli armamenti. Ma era una boutade, non ci ho pensato neanche un momento».

L’hanno candidata al Nobel per la pace…
«Accade ogni anno. Ci sono delle regole, il candidato non sa mai chi lo candida. Accettarlo? Mah, l’hanno talmente svilito: Obama l’ebbe per un semplice discorso, Kissinger con tutti i golpe che ha organizzato, l’Ue che tira su muri e nei Balcani fece una guerra tra le più sanguinose del secolo…».

Sua figlia Cecilia tornerà in Emergency?
«Non lo so. Non discutiamo più delle vicende che l’hanno spinta ad andarsene. Ma abbiamo ancora un buon rapporto».

Che padre è stato? Cecilia raccontò una volta che all’asilo le mandava le cartoline dal mondo, da adolescente lei le vietava la discoteca, da adulta ha imparato la sua ironia…
«L’ironia e la discoteca, è vero. Ma non le mandavo solo cartoline dal mondo. C’inventavamo giochi, letture. All’asilo, sono andato anche a fare il buffone».

Si sente stanco?
«Purtroppo ho 70 anni e sono afflitto da una malattia inguaribile, la vecchiaia. Non so come faccia Renzo Piano, 12 ore d’aereo e subito altre otto in cantiere. Forse la vita del chirurgo è molto usurante e ha ragione Woody Allen: non conta l’età, conta il chilometraggio. In alcuni posti ho lasciato la salute. L’anno in Sierra Leone è stato devastante, perché ebola non è diverso dalla guerra: il nemico non lo vedi, ma ogni passo che fai potrebbe essere l’ultimo».

Hanno dato il suo nome a un asteroide, il 248908 Gino Strada…
«Una volta ho fatto i conti sulla superficie: potrebbe venirci fuori un bilocale. Un buon rifugio per il weekend. Però è a otto milioni di anni luce, un po’ lunga: ho ancora troppo da fare, qui».

PER GINO STRADA

gino-strada14-60874_210x210Pubblicato il 14 ago 2021
di Dino Greco – su Rifondazione comunista.
Eravamo nei primi anni novanta quando la Valsella Meccanotecnica di Castenedolo (Bs), controllata dalla Fiat, era leader nazionale nella produzione di mine anti-uomo, vendute all’Iraq in 9 milioni di esemplari. Vi lavoravano un pugno di ingegneri, pagati a peso d’oro, e 40 operaie, addette allo stampaggio, per 800 mila lire al mese. In assemblea ponemmo in tutta la sua gravità il problema della corresponsabilità anche di chi lavorava alla costruzione di quegli ordigni di morte. La prima risposta fu: “Noi non abbiamo le mani sporche di sangue; se non facciamo noi le mine le farà qualcun altro”. Allora organizziamo un incontro in Camera del lavoro con Gino Strada al quale partecipò l’intero consiglio di fabbrica. La riunione fu introdotta da un documentario che zGino aveva portato con sé sui tragici e indiscriminati effetti delle mine, soprattutto sulla popolazione civile sui bambini, con mutilazioni permanenti, provocati da ordigni in qualche caso fatti a forma di bambole affinché suscitassero l’interesse dei più piccoli. Lo shoch fu potente ed innescò nelle lavoratrici una catarsi, una presa di coscienza che avviò una delle più straordinarie battaglie sindacali e di civiltà che io ricordi. A quel primo incontro con Gino Strada ne seguirono altri, mentre maturata la decisione di chiedere l’interruzione della produzione delle mine e l’avvio di un processo di riconversione. [...] 

America, America

usa-e-gettaL’America che cambia…

di Marino de Medici.

Finalmente una buona notizia per un futuro migliore per l’America.
Il rapporto appena pubblicato dall’Ufficio del Censimento accentua quel che i demografi si attendevano: la popolazione bianca continua a restringersi ed è ora inferiore al 60 per cento; il Paese è sempre piú diverso e più anziano. Gli hispanici, che nel 2000 rappresentavano il 13 per cento della popolazione, hanno raggiunto il 20 per cento. I democratici ritrarranno un vantaggio dal fatto che i candidati a cariche pubbliche dovranno far conto su coalizioni più avanzate e da una evoluzione demografica in cui la nazione diventa non solo più diversa e più anziana, ma si sposta sempre più verso le aree metropolitane.
[segue]

Oggi sabato 14 agosto 2021

GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2aladin-logonge-cover-1lampadadialadmicromicro13democraziaoggi-loghettogf-02
asvis-oghetto55aed52a-36f9-4c94-9310-f83709079d6dsard-2030schermata-2021-02-17-alle-14-48-00license_by_nc_sapatto-nge-2021-01-28-alle-12-21-48logo76
——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
Il mondo brucia
13-08-2021 – di: Domenico Gallo. Su Volerelaluna.
volerelaluna-testata-2
——————————————————-
Hey Joe, dove vai con quella pistola in mano?
14 Agosto 2021
Fernando Codonesu su Democraziaoggi.
L’Afghanistan oggi è la riedizione dell’inferno vietnamita per gli Stati Uniti, ma in questo caso è anche peggio perché sono coinvolti tutti quegli Stati occidentali che li hanno seguiti in quella sciagurata invasione di 20 anni fa. Nel 2001 solo alcuni territori erano in mano agli studenti coranici che, forti dei finanziamenti e dell’addestramento […]
—————————————-————
6084f34d-9560-4cca-b36a-84fa44fe6c77 I diritti sociali motore della crescita
14 Agosto 2021
31 Luglio 2012
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi
.
Le misure adottate o proposte dal governo Monti per rilanciare la crescita dell’economia italiana sono giudicate ispirate ad una ingiustificata ed eccessiva austerità; si prevede infatti che l’effetto di tali misure sarà non il rilancio della crescita, ma un ulteriore peggioramento dello stato depressivo del sistema economico nazionale, […]
————————————

Addio Gino Strada

lutto8927ef11-8367-4eab-857e-13ae8f9e24cfÈ morto Gino Strada. Grandissima perdita per l’Italia e per tutto il Mondo. Rappresentava e rappresenta la parte migliore dell’Umanita’. Condoglianze e vicinanza alla figlia Cecilia, ai suoi familiari, agli amici del bellissimo e utilissimo movimento Emergency, da lui creato e presieduto con competenza, generosità, abnegazione, capacità straordinarie professionali, manageriali, politiche. Il suo patrimonio di esperienza e valori non verrà disperso, ma investito secondo il suo insegnamento e le sue indicazioni.
———————————
L’ultimo articolo di Gino Strada pubblicato oggi su La Stampa: così ho visto morire Kabul
Non mi sorprende questa situazione. La guerra all’Afghanistan è stata – né più né meno – una guerra di aggressione iniziata all’indomani dell’attacco dell’11 settembre, dagli Stati Uniti a cui si sono accodati tutti i Paesi occidentali.
——————————-
Addio Gino!
13 Agosto 2021 su Democraziaoggi.
Gino Strada ci ha lasciato, all’improvviso, lasciandoci attoniti e increduli. Persone come lui non dovrebbero morire. A me ha sempre ricordato i grandi santi. Quelli che lo sono non per dottrina, ma per opere, a partire dal povero fraticello. Gino ha sempre rappresentato l’altra faccia dell’Italia, quella solidale e fraterna, sempre dalla parte di chi […]
————————————————

Gino Strada

coordinamento-democrazia La improvvisa morte di Gino Strada ci addolora profondamente. Era un riferimento fondamentale in tema di diritti delle persone, dei migranti, coerentemente contro le guerre, i loro lutti e distruzioni, soprattutto tra i civili, come non si è mai stancato di ripetere.
Avevamo in programma di invitarlo a parlarci del futuro del sistema sanitario italiano, che come lui abbiamo sempre immaginato nazionale, pubblico, per tutti senza alcuna distinzione nel diritto alla salute.
Consideriamo la sua scomparsa una perdita enorme, umana, morale, scientifica, politica. Faremo tutto il possibile affinché non ne siano dispersi l’insegnamento e l’esempio.
La Presidenza nazionale
13/8/21

Gino Strada

8927ef11-8367-4eab-857e-13ae8f9e24cf«Frequento luoghi di guerra»
13-08-2021 – di: Gino Strada
Su Volerelaluna

È morto Gino Strada, medico, fondatore di Emergency, da sempre impegnato, in Italia e nel mondo, sui temi dei diritti, della salute, dell’accoglienza e contro ogni guerra e uso delle armi. Molti anni fa gli chiesi un contributo per l’agenda di Magistratura democratica del 2006, dedicata al tema della legalità. Mi mandò uno scritto molto intenso per spiegare la sua difficoltà a parlare di diritto e di diritti in un contesto di conflitti e di guerre. La situazione, da allora, non è mutata, e credo che ripubblicare oggi le sue parole sia il modo migliore non solo per ricordarlo ma anche per tener dritta la barra contro chi ogni giorno parla di legalità e di diritti e, contemporaneamente, promuove guerre e discriminazione (l.p.)
———

Frequento luoghi di guerra, e parlare di diritto in contesti di guerra mi pare, sinceramente, un ossimoro.

Non l’ho pensato da sempre. Appartiene alla mia preistoria una non breve stagione di collaborazioni con il Comitato Internazionale della Croce Rossa e per dovere d’ufficio, non foss’altro, mi sono trovato in qualche contiguità – non dirò confidenza – con le Convenzioni di Ginevra, con il «diritto umanitario». Seguo anche – con minor coinvolgimento, confesso – il gioco del calcio. E mi sono fatto l’idea che il rispetto delle regole non avvenga per qualche slancio di civiltà, sia pure una «civiltà del gioco». Il calciatore rispetta regolamenti e arbitri per la ragione che dopo questa partita ne seguirà un’altra; che fuori dal campo ci sono altri scopi e fini (anche molto materiali) desiderabili, che violando le regole si metterebbero a rischio. Ecco, questo mi pare d’aver capito: che la guerra mette in gioco tutto; talmente tutto che in gioco sono la vita e la morte; talmente tutto da non consentire nessuna certezza sulla disponibilità di un «dopo-partita» e di un «fuori campo».

Vengono meno, così, in guerra, gli spazi e i tempi nei quali trova ragione e fondamento il rispetto delle regole. E un comportamento basato esclusivamente sulla dedizione alla lealtà verso un valore, non sono cinico abbastanza da escluderlo a priori. Potrà darsene il caso, e ne avremmo qualche figura esemplare sotto il profilo estetico e morale. Se m’interrogo con sincerità, tuttavia, non riesco a pensare che quella totale, gratuita, disinteressata dedizione ai valori possa costituire l’universalità dei casi, una motivazione diffusa e generalizzata di comportamenti diffusi e generalizzati. Un domani, un «oltre» in guerra non ha nessuna certezza, nessuna solidità. Non ha perciò un ragionevole fondamento l’aspettativa di un sistematico rispetto delle regole. Temo che le vecchie, care Convenzioni di Ginevra possano essere, al più, un fondamento della punizione: una punizione iniqua se destinata, com’è spesso e prevedibilmente, a raggiungere soltanto gli sconfitti. Temo che l’efficacia di queste norme nel regolare – diciamo almeno nel moderare ‒ i comportamenti sia più nulla che scarsa.

Ho pensato un tempo che chi è certo della vittoria è anche certo di avere a disposizione quel «poi» e quell’«altrove» cui mi sono riferito. Ho dunque immaginato qualche corrispondenza ai fatti della colpevolezza sistematicamente riscontrata nei soccombenti, essi soli, nelle guerre degli ultimi decenni, privi della prospettiva di un «oltre» che fornisca un motivo al rispetto delle regole. Essi soli, dunque, portati all’infrazione. Ho tentato, insomma, di chiedermi se non ci fosse qualche frammento di verità nel riscontrare colpe soprattutto nei soccombenti. Ho abbandonato questa lettura dei fatti, che a suo modo aspirava ad essere comprensiva, se non generosa, verso i «trionfanti», che d’istinto non amo. Guantanamo e Abu Ghraib sono il nome di questo abbandono. Anche i vincitori certi a priori infrangono le regole. Dall’essere vincitori certi a priori traggono motivo, pare, per rivendicare la facoltà di infrangerle.

Ho chiacchierato – potrebbe mancare il latino? – solamente di ius in bello. Il resto – lo ius ad bellum ‒ no, è davvero troppo. Certo per la mia incompetenza. Ma non solo. Avete mai provato a chiudere gli occhi – se gli occhi fanno parte di quel che ne resta – a un bambino, a una donna, a un vecchio… a qualcuno distrutto da un’esplosione? Per me «la guerra» è questo. E il «diritto a far guerra» si traduce, senza ipocrite omissioni, nel diritto a produrre questi effetti che mille volte ho conosciuto. Questi ricordi non possono convivere con le distinzioni tra «guerra giusta», «guerra legittima», guerra non so che altro.

Non riesco a seguire e capire parole che per me sistematicamente, univocamente significano corpi distrutti, esseri umani cancellati, esistenze che potrebbero essermi contemporanee e sono invece passate. Il mio mestiere mi fa conoscere anche la sofferenza e la morte: sono frequentazioni inevitabili. Ma possono avere dentro di sé ‒ la sofferenza e la morte ‒ qualche umana intensità, forse anche qualche “dolcezza”, quando sono accompagnate da uno sgomento e da un sentimento di sconfitta che accomuna chi resta, che riguarda l’umanità tutta, la percezione di una condivisa, tragica «fatica di vivere». Ma in guerra un corpo inerte, un soggetto diventato «cosa» non è una riprova dolorosa della condizione umana: è l’equivalente di un trofeo, il successo raggiunto nell’applicazione di un «diritto internazionale»…

Non so bene che cosa sia questo diritto, sono però certo che mi è estraneo, che mi rifiuto di capirlo. Se si tratta di ciò che a me pare, spero che i miei simili tutti lo trovino, come me, ripugnante.
———————————
— Su Avvenire.
Right Livelihood Award”. Gino Strada: aboliamo insieme la guerra
Gino Strada martedì 1 dicembre 2015
Gino Strada: aboliamo insieme la guerra
L’articolo di questa pagina, affidato in esclusiva ad “Avvenire” nella sua versione integrale, è il discorso pronunciato ieri dal fondatore di “Emergency”, Gino Strada, ricevendo al Parlamento svedese il “Right Livelihood Award”, considerato il premio per la pace alternativo al Nobel. Il premio è stato conferito a Strada, 67 anni, chirurgo, nato a Sesto San Giovanni, «per la sua grande umanità e la sua capacità di offrire assistenza medica e chirurgica di eccellenza alle vittime della guerra e dell’ingiustizia, continuando a denunciare senza paura le cause della guerra». Il “Rla” mira a «onorare e sostenere coloro che offrono risposte pratiche ed esemplari alle maggiori sfide del nostro tempo», ed è la prima volta che viene dato a un italiano. Emergency è un’associazione fondata nel 1994 per offrire cure medico-chirurgiche gratuite e di qualità alle vittime di guerre, mine antiuomo e povertà. Dalla sua nascita ha curato oltre 6 milioni di persone in 16 Paesi.
[segue]
——————————————————————————-
Che succede?
614c150c-9a31-497b-8bdc-95ccb161d1a0
FINE VITA. NO VAX. MAGGIANI E PAPA FRANCESCO. CRISTIANESIMO. IUS SOLI. REDDITO DI CITTADINANZA. MEDITERRANEO…
12 Agosto 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.

Roberto Speranza, “Caro Mario, sostengo la tua battaglia. Le Asl garantiscano il suicidio assistito” (La Stampa). Mauro Magatti, “Serve un salto oltre le piccole logiche” (Avvenire). Paolo Pombeni, “Le lungaggini che rischiano di farci perdere il treno Ue” (Messaggero). Monica Guerzoni, “La partita del Quirinale e il fattore Recovery” (Corriere della sera). Piero Bevilacqua, “Senza l’economia agricola l’Italia va in fumo” (Manifesto). Antonio Preiti, “La guerra asimmetrica con i no vax” (Corriere). Claudio Cerasa, “La buona stella d’Europa” (Foglio). Stefano Ceccanti, “Anniversario con profezia (Zaccagnini e il Muro di Berlino)” (blog). Luca Diotallevi, “Il cristianesimo che cambia nella società occidentale” (Messaggero). Tommaso Montanari, “La Madonna prima marxista ante litteram” (Il Fatto). MAGGIANI E PAPA FRANCESCO: Maurizio Maggiani, “La bellezza e le catene possono stare insieme?” (Secolo XIX). Il papa risponde allo scrittore: Francesco, “No al lavoro schiavo, la cultura non si pieghi al dio mercato” (La Stampa). PD: Valerio Valentini, “Agora, e poi? Il cammino del Pd” (Foglio). Stefano Folli, “Bettini, la giustizia e il segnale al Pd” (Repubblica). AMBIENTE: Ursula von der Leyen, “Faremo dell’Europa il primo continente a emissioni zero” (intervista a Avvenire). Franco Prodi, “Contro il catastrofismo dell’Onu” (intervista al Foglio). IUS SOLI: Giovanni Moro, “Quei figli del paese multicolore” (Repubblica). Fabio Martini, “Letta: Salvini offende il paese. Lo ius soli è una legge urgente” (La Stampa). Elena Bonetti, “Una legge è possibile anche in questo parlamento. E il premier può mediare” (intervista a Repubblica). Nicola Molteni (Lega, sottosegretario agli Interni), “Iter più veloce per i 18enni, ma la legge attuale non va cambiata” (intervista al Corriere). MIGRANTI E MEDITERRANEO: Matteo Salvini, “Sbarchi, pochi rimpatri e tante vittime. Ecco perché Lamorgese ha fallito” (intervista a La Stampa). Renato Mannheimer, “L’azzardo di Salvini è un rischio calcolato” (Il Riformista). Ilario Lombardo, “Migranti. Draghi vuole una cabina di regia e blinda Lamorgese” (La Stampa). Michela Murgia, “Governo in fuga dal Mediterraneo” (La Stampa). Marco Minniti, “Mediterraneo. Ci sono mutamenti epocali. L’Europa deve agire subito” (intervista a La Stampa). Francesco Viviano, “L’unico modo di fermare i migranti è dare all’Africa pane e libertà” (Manifesto). REDDITO DI CITTADINANZA: Enzo Marro, “Reddito di cittadinanza: il 36% va a famiglie sopra la soglia di povertà” (Corriere della sera). Il Rapporto della Caritas italiana, “Lotta alla povertà. Imparare dall’esperienza, migliorare le risposte”. Carlo Borgomeo, “Il nuovo reddito con più buonsenso” (Mattino). Veronica De Romanis, “Posti non sussidi per una vera ripresa” (La Stampa). Mario Giro, “Alla politica i poveri danno molto fastidio” (Domani).

—————————-
Categories: Chiesa, Cittadinanza, Etica, La nostra Rassegna, Politica, Politica estera, Società | Tags: agricoltura, antonio preiti, Caritas italiana, CLUADIO CERASA, cristianesimo, elena bonetti, Europa, fine vita, FRANCESCO VIVIANO, giovanni moro, Goffredo Bettini, ius soli, Luca Diotallevi, MARCO MINNITI, Mario Giro, MAURIZIO MAGGIANI, mediterraneo, NO VAX, Paolo Pombeni, papa Francesco, Pd, Piero Bevilacqua, povertà, Quirinale, reddito di cittadinanza, Roberto Speranza, Stefano Ceccanti, Tommaso Montanari | Permalink

Oggi venerdì 13 agosto 2021

GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2aladin-logonge-cover-1lampadadialadmicromicro13democraziaoggi-loghettogf-02
asvis-oghetto55aed52a-36f9-4c94-9310-f83709079d6dsard-2030schermata-2021-02-17-alle-14-48-00license_by_nc_sapatto-nge-2021-01-28-alle-12-21-48logo76
——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
La globalizzazione accresce o riduce la povertà?
13 Agosto 2021
21 Aprile 2012
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.

Per molti la globalizzazione rappresenterebbe quanto di più negativo può essere ricondotto agli animal spirit che dominano il mercato; soprattutto quando questo è abbandonato allo spontaneismo dell’azione dei suoi principali attori. Secondo i “demonizzatori” della globalizzazione, l’internazionalizzazione delle economie nazionali avrebbe abbattuto le originarie “pareti” dell’organizzazione statuale […]
————————————-
Elezioni e coalizioni. I conti senza l’oste
13 Agosto 2021
Tonino Dessì su Democraziaoggi
.
Come riflessione politica agostana magari è troppo impegnativa e comprendo che ai più, in spiaggia o in villeggiatura montana o collinare, gliene freghi poco.
Tuttavia inevitabilmente leggo di quanto ferve in ambienti politici nazionali e regionali e delle elucubrazioni varie sulle prossime coalizioni elettorali italiane e sarde.
Per carità, io ammetto che […]
————————

Oggi giovedì 12 agosto 2021

GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2aladin-logonge-cover-1lampadadialadmicromicro13democraziaoggi-loghettogf-02
asvis-oghetto55aed52a-36f9-4c94-9310-f83709079d6dsard-2030schermata-2021-02-17-alle-14-48-00license_by_nc_sapatto-nge-2021-01-28-alle-12-21-48logo76
——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
La “meglio gioventù” di cui c’è tanto bisogno in Italia – di Domenico Delle Foglie Su PoliticaInsieme. https://www.politicainsieme.com/la-meglio-gioventu-di-cui-ce-tanto-bisogno-in-italia-di-domenico-delle-foglie/
————————————————————————
Migrazioni e solidarietà
12 Agosto 2021
Roberto Paracchini su Democraziaoggi.
Racconta Erodoto che Ciro, il fondatore dell’impero persiano mandò alcuni emissari a verificare come fossero fatte queste città greche, Atene in particolare, che “osavano” contrastare l’egemonia del suo impero sulle coste dell’asia minore. Al ritorno – narra sempre Erodoto – il resoconto tranquillizzò Ciro che, abituato alle grandi strutture intese anche come simbolo di […]
—————————————
Gramsci e Turati: rivoluzione o riformismo?
12 Agosto 2021
26 Marzo 2012
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.

Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato una riflessione critica sul libro di Orsini di un gramsciano, Gianni Fresu, e ancor prima, contro il revisionismo storico sul pensatore di Ales, di Francesco Cocco. Oggi ecco sull’argomento un intervento di un “mazziniano”.
Chi è stato tra Filippo Turati e Antonio Gramsci il portatore maggiore di […]
——————————————————-

Che succede?

d80d539d-7ef7-470c-b79c-20c5ed15bdd2
c3dem_banner_04
RAPPORTO ONU SULL’AMBIENTE. SCIENTISMO E LIBERTA’. TORNA LO IUS SOLI
10 Agosto 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
Francesco Semprini, “SOS ambiente. L’allarme dell’Onu. Non c’è più tempo” (La Stampa). Luca Bergamaschi, “Cosa può fare l’Italia nei prossimi anni per agire sul clima” (Domani). GOVERNO E FUTURO: Beniamino Caravita, “La nuova fase dell’Italia e le sfide dei prossimi mesi. Un miracolo collettivo” (Milano finanza). Maurizio Ferrera, “Una spinta sociale europea” (Corriere della sera). Danilo Taino, “La via tortuosa del taglio delle emissioni” (Corriere). Stefano Folli, “Chi manovra contro Mattarella” (Repubblica). Gianni Cuperlo, “L’agenda Draghi è obbligata. Nessuno farà cadere il governo” (intervista a Il Riformista). Claudio Tito, “Recovery, lettera di Palazzo Chigi con i compiti a casa per i ministri” (Repubblica). AFGHANISTAN: Giuliano Battiston, “Esodo in Afghanistan per l’avanzata talebana” (Manifesto). Giuliano Ferrara, “Il prezzo della sconfitta” (Foglio). GREEN PASS: un articolo controcorrente, a difesa di Agamben e Cacciari, di Giovanni Orsina, “Lo scientismo e la libertà” (La Stampa). Marco Bentivogli polemizza con Landini: “Gli estremisti per prudenza. Lettera a Landini” (Repubblica). IUS SOLI: Giovanna Casadio, “Letta: lo Ius soli va fatto subito, non solo per gli atleti” (Repubblica). Luciana Lamorgese, “Ius soli anche a chi non vince l’oro” (intervista a La Stampa). GIUSTIZIA: Goffredo Bettini, “Sì ai referendum sulla giustizia. So che c’è la Lega ma firmo lo stesso” (intervista al Corriere della sera). Franco Monaco, “La scappatella del chierico Bettini contro la giustizia” (Il Fatto – ma l’autore aveva intitolato, più sensatamente, “Le capriole di Bettini”). INOLTRE: Mario Giro, “Dopo i dolori della polarizzazione tutti inseguono il miraggio del centro” (Domani). Alberto Orioli, “Il paradosso del lavoro tra competenze e immigrazione” (Sole 24 ore). Giorgio Vittadini, “Serve formazione a tutte le età” (intervista a Avvenire). Marco Follini, “Dietro un campione c’è sempre un mediano” (La Stampa).
————————————-
————————————-

Vaticano, il messaggio post-pandemia di Papa Francesco chiama il governo Draghi a misurarsi su tre punti – Il Fatto Quotidiano - https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/08/11/vaticano-il-messaggio-post-pandemia-di-papa-francesco-chiama-il-governo-draghi-a-misurarsi-su-tre-punti/6287976/
——————————
sinodo-pcc-01c3dem_banner_04
SINODO ITALIANO. “IL DIO CHE PERDIAMO”. CHIESA IN RITIRATA
9 Agosto 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
Paolo Cugini (parroco nel bolognese), “Il sinodo italiano e il principio di uguaglianza” (Viandanti.org). Mario Toso, “Non c’è sinodalità senza lo Spirito” (Settimana news). Gigi Maistrello, “Quale futuro per le comunità cristiane?” (Settimana News”). Francesco Cosentino, “La chiesa ‘dopo’ tra rischi e opportunità” (Settimana news). Un parroco, “Siamo una chiesa in ritirata” (Settimana news). Antonio Greco, “Il dibattito sul ‘Dio-che-perdiamo’. Una sintesi” e “Il dibattito sul ‘Dio-che-perdiamo’. Una ipotesi” (manifesto4ottobre). Giuseppe Savagnone, “Messa in latino. Il problema è simbolico” (Settimana news). Andrea Grillo, “Summorum Pontificum abusus: negazionismo conciliare e blocco ecclesiale” (come se non). Francesco, “La verità del Vangelo non è negoziabile” (catechesi sulla lettera ai Galati – Avvenire). Antonio Spadaro, “Gesù è un rebus. La gente mormora perché non lo capisce” (Il Fatto). Michela Marzano, “Enzo Bianchi, il dolore di quel vuoto che porta alla follia” (La Stampa). Giovanni Tassani, “Quando Dossetti liquidò il dossettismo” (Avvenire). Dominique Reynié, “Cina comunista e islamismo, il cristianesimo tra due mannaie” (Foglio).
——————————-
Categories: Cittadinanza Economia La nostra Rassegna Politica Politica estera Scienza Società Tags: Afghanistan Alberto Orioli ambiente Beniamino Caravita clima Danilo Taino formazione Franco Monaco Gianni Cuperlo Giorgio Vittadini Giovanni Orsina giustizia Goffredo Bettini green pass ius soli lavoro luca bergamaschi luciana lamorgese Marco Bentivogli Marco Follini referendum giustizia Welfare.
—————————