Monthly Archives: agosto 2021

Insistiamo: rimuoveteli!

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lampadadialadmicromicro132Aderiamo alla raccolta firme.
https://click.e.change.org/f/a/K0YTNFUPzUOjEyQd-5R5iQ~~/AANj1QA~/RgRjDg-lP4QPAWh0dHBzOi8vd3d3LmNoYW5nZS5vcmcvcC9wYW9sby10cnV6enUtcmltdW92ZXRlLWktbWFuaWZlc3RpLW5vdmF4P2NzX3RrPUFvZ1NSeWZFc3ZUSEFpWEZOR0VBQVhpY3l5dk55UUVBQkY4QnZIdjVWc0RMeDVhc3pDMlJnQTJfQkNFJTNEJnV0bV9jYW1wYWlnbj05MzMzYzJhMjI2NTU0NThjYmMzODUxZDY0NzE3YWNkNCZ1dG1fY29udGVudD1pbml0aWFsX3YwXzNfMCZ1dG1fbWVkaXVtPWVtYWlsJnV0bV9zb3VyY2U9cGV0aXRpb25fc2lnbmVyX3JlY2VpcHQmdXRtX3Rlcm09Y3NXA3NwY0IKYSaliithg6tMg1IRbWVsb25pZkBnbWFpbC5jb21YBAAAAAI~
lampadadialadmicromicroOk. Siamo a oltre 1020 firme [31 agosto sera]. Bene proseguiamo, a maggior ragione dopo la vergognosa fake news su una presunta morte di una ragazza in seguito al vaccino. Speriamo che il responsabile venga perseguito per il reato commesso, che purtroppo ha causato danni di grande rilievo. E che il sindaco di Cagliari rimuova i manifesti dei no vax contenenti menzogne plateali. Abbiamo firmato, continuiamo nella campagna di informazione.

Università della Sardegna

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unica-uniss-sardegnaNel pubblicare la “Lettera aperta alla Sardegna” del Rettore dell’Università di Cagliari, Francesco Mola, recentemente insediatosi alla guida dello stesso Ateneo, ci piace rilanciare una tesi che ci è stata sempre cara: quella della costituzione formale dell’Università della Sardegna, attraverso una vera federazione dei due Atenei storici, di Cagliari e di Sassari. Lo facciamo ripubblicando un articolo del 13 settembre 2016, che, mutatis mutandis, crediamo mantenga immutata validità e percorribilità (per noi neccessaria) della proposta.
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Cosa si aspetta a costituire l’Università della Sardegna? Atenei sardi osate! E la Regione non stia a guardare!
di Franco Meloni su Aladinpensiero online del 13 settembre 2016.
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CISL SARDEGNA: “La Regione Sardegna avvii subito una nuova fase di concertazione e dialogo con le parti sociali”.

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cisl

La Cisl chiede alla Giunta Regionale di avviare subito, con la ripresa post-feriale, una fase di coinvolgimento e dialogo concertativo con le parti sociali ed economiche per costruire attraverso proposte condivise un confronto con il Governo nazionale sulle priorità dello sviluppo e del lavoro nell’Isola.
Si tratta infatti di evitare che la flebile luce che si vede in fondo al tunnel della crisi, non solo economica e sanitaria, scompaia del tutto!!

Ora che la Unione Europea ha trasferito all’Italia l’anticipo di 25 miliardi del PNRR è ancora più urgente definire come la Sardegna debba inserirsi nella programmazione del Piano nazionale, alla luce anche di una progettualità che va rafforzata e rivisitata, cogliendo non solo possibili immediate cantierabilità delle opere, magari in tal senso fini a se stesse, ma inserendole in un contesto di idee e strategie di medio e lungo periodo, come necessario in tema di sviluppo delle infrastrutture fondamentali (in proposito è di tutta evidenza, come esempio negativo, l’esigua destinazione di risorse previste nel PNRR sul sistema dei trasporti della Sardegna).
Appare lampante la differenza, in termini di approccio e di previsione di interventi, con il secondo dopoguerra, quando, a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, le speranze di cambiamento e di elevazione sociale delle persone erano parte di passioni e sogni collettivi, e i progetti, anche individuali, erano inscritti in un disegno di trasformazione della economia e della società.
Nonostante le difficoltà e non pochi fallimenti la prima modernizzazione dell’Isola fu il frutto di quelle stagioni!!
Comunque vengano storicamente valutate tali esperienze, nelle stagioni dell’Autonomia e della Rinascita erano infatti presenti una visione strategica e un progetto di emancipazione e modernizzazione della Sardegna. [segue]

Costituente Terra – Chiesadituttichiesadeipoveri: Newsletters

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logo76Newsletter n.230 del 30 agosto 2021

NUOVO INIZIO
Cari Amici,

l’orrore degli attentati e il dramma dei profughi afghani mostrano quanto sia alto il prezzo della rotta americana a Kabul, e non solo per l’America. Essa è stata assimilata alla fuga da Saigon dell’aprile 1975. In realtà è stata molto di più e molto più grande è la sua forza simbolica come evento capace di segnare una periodizzazione della storia in due tempi opposti e diversi tra un’epoca che finisce e un’altra che comincia. La caduta di Saigon rappresentò infatti la sconfitta del tentativo degli Stati Uniti di sostituirsi alle potenze europee (e nel caso specifico, alla Francia) nella gestione di un potere imperiale residuo su questa o quella porzione del “Terzo mondo” arretrato, e quindi segnò la fine dell’età coloniale; l’abbandono dell’Afghanistan rappresenta invece il fallimento della risposta dell’Occidente alla caduta del comunismo e dell’ordine bipolare, e segna la fine del nuovo ordine globale. Ne esce sconfitta la pretesa dell’Occidente di sostituirsi al socialismo scomparso instaurando un unico dominio su un mondo ridotto alla propria misura e finisce il sogno degli Stati Uniti di dar corso a un “nuovo secolo americano”. La lettura che ci sentiamo di avanzare è che la caduta di Kabul è speculare alla caduta del muro di Berlino; ambedue frutto non di una sconfitta militare ma di una decisione politica degli invasori, i sovietici allora, gli americani oggi; ambedue segno che il mondo da loro immaginato e voluto è sbagliato e impossibile, e che un altro se ne deve ora progettare e costruire. Il 2021 si rivela pertanto come il rovescio dell’89. Ma allora è lì che bisogna tornare, come ai nastri di partenza, per organizzare un’altra risposta. Come fu sostenuto in un seminario della scuola “Vasti” del novembre 2001 che qui riprendiamo, l’Occidente sbagliò allora la lettura e la risposta agli eventi dell’89, prima favorendo la dissoluzione dell’URSS, poi concependo un mondo di cui esso fosse l’unico gendarme e padrone; l’Occidente non seppe uscire dal sistema di dominio e di guerra che era legato alla diarchia del terrore ma, venuta meno l’Unione Sovietica, proseguì quel medesimo sistema mettendosi alla sua testa da solo; esso pertanto non seppe cogliere l’occasione di quella inaudita e pacifica discontinuità storica, non seppe concepire e gestire un progetto nuovo per il mondo che rappresentasse un vero superamento del vecchio sistema bipolare, e così facendo si inserì nella traiettoria della sua caduta, attivando una crisi speculare a quella che fu la crisi del comunismo e innescando la fase finale della crisi di quell’ordine. Come avvenne questo? Quando il 14 novembre 1989 Gorbaciov, capo dell’URSS, trasmise ai dirigenti tedeschi la decisione di aprire il muro di Berlino, tutta la politica militare, tutta la politica estera, tutto il mondo erano pensati in funzione della sfida finale della storia, identificata con lo scontro dell’Occidente col comunismo inteso come il principio del male. Nel momento in cui questo improvvisamente e in modo incruento finisce, gli americani stentano a crederci, e si apre un vuoto che non si è minimamente preparati a riempire.
L’unica cosa che l’Occidente riesce a dire è: “la guerra fredda è finita, e noi l’abbiamo vinta”.
Ma che fare del mondo? Finalmente il capitalismo ha prevalso, il mercato è ormai universale, le più ardite speranze dei teorici del liberalismo che avevano profetato: col libero commercio, l’eterna pace, si possono realizzare. La storia è giunta al suo adempimento e noi ce l’abbiamo portata.
D’altra parte il capitalismo che dai grandi Paesi dell’Occidente si presenta a raccogliere l’eredità del mondo, è un capitalismo attraente, un capitalismo non solo di ricchezze e di lustrini televisivi, ma anche di diritti, di protezione sociale, di pluralismo politico. Non è il capitalismo selvaggio che oggi conosciamo, è un capitalismo ancora profondamente influenzato dall’esistenza di un campo antagonista, dalla sfida esterna del mondo socialista, dal condizionamento interno delle sinistre e dei sindacati, dal compromesso keynesiano.
E’ un capitalismo che ha dovuto accettare delle compatibilità con diritti e valori indipendenti dal mercato, è un capitalismo avaro con i bisogni, ma dispensatore di desideri.
E quindi tutti ci vogliono entrare, immigrandoci dentro e importandolo a casa loro.
Ma a questo punto, caduto il limite esterno, il capitalismo realizzato si accorge di non essere affatto universale. E’ il sistema migliore possibile, ma non è per tutti, i suoi benefici non si possono estendere a tutti. Esso non può reggere la vita e lo sviluppo del mondo. Non può sfamare tutti, non può avere acqua e medicine per tutti, non può permettere la democrazia a tutti. I meccanismi economici non sono attrezzati per questo, perché sono fatti per incrementare il denaro e non per soddisfare i bisogni. Ma questo non è il solo problema. E’ lo stesso ordine fisico della terra che presenta limiti invalicabili a una fruizione universale del livello di vita conseguito dalle aree privilegiate del sistema. club_of_rome_logo-svg Il Club di Roma già nel 1971 aveva proiettato nel futuro i limiti dello sviluppo, e quelle previsioni erano risultate fondate. Stava per finire il petrolio, il gas naturale, il carbone, stava per cambiare il clima, stavano per ritrarsi le acque da bere e innalzarsi le acque marine, i tassi di inquinamento stavano per raggiungere livelli catastrofici. Contro il mito del progresso illimitato, si faceva strada la coscienza della scarsità. Gli anni 90, gli anni dopo la fine dell’URSS, sono gli anni in cui i grandi poteri rimasti sono posti di fronte a queste alternative, a queste scelte. Ci sono correnti che spingono verso una ristrutturazione equa di tutti i rapporti mondiali, che postulano la pace la giustizia e la salvaguardia del creato, ci sono le teologie della liberazione dell’America Latina, ci sono i pacifisti, ci sono i rapporti delle Agenzie intergovernative sul clima che denunciano i pericoli e che spingono verso quei primi risultati che saranno la conferenza di Rio sul clima e il Trattato di Kyoto; nel vertice di Roma del 1996 la FAO ancora si illude di poter dimezzare la fame nel mondo per il 2015.
Ma il sistema fa un’altra scelta. Se il mondo non si può tenere in piedi tutto, allora se ne garantisce solo una parte, la propria. Il capitalismo vincente non può ritrarsi e rientrare nei vecchi confini del Primo Mondo, continuerà a inglobare tutto il mondo, ma con una stratificazione, una gerarchia, una grande selezione, una realistica diseguaglianza; c’è un mondo da salvare e un mondo a perdere, i privilegiati e gli esclusi, i necessari e gli esuberi; cioè noi e loro, quelli che poi un giorno papa Francesco chiamerà “gli scarti”.
La formula del resto era stata enunciata da Herbert Spencer, il promotore ottocentesco della società dell’utile, della “military and industrial society”, ed era così enunciata nel suo “Sistema di filosofia sintetica”: gli uomini sono come sottoposti a un giudizio di Dio; “se sono realmente in grado di vivere essi vivono, ed è giusto che vivano. Se non sono realmente in grado di vivere essi muoiono, ed è giusto che muoiano”. Il darwinismo sociale. È questo il punto di caduta a cui l’intero corso storico perviene.
Ma un mondo così non sta a posto da solo. Deve essere tenuto a bada con scettro di ferro. Il grande problema che si apre con la fine dell’ordine bipolare e la scomparsa dell’URSS è quello del governo del mondo. L’idea è che occorre stabilire un sovrano universale, e questo non può essere altro che gli Stati Uniti perché, come doveva spiegare Brzezinski, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Carter, non c’è altra alternativa che l’America all’anarchia globale. Nell’aprile del 1992 le “linee guida” per la politica della difesa degli Stati Uniti formalizzano la nuova dottrina.
“Occorre impedire a qualsiasi potenza ostile – dicono – il dominio di regioni le cui risorse le consentirebbero di accedere allo status di grande potenza”; occorre “impedire l’ascesa di un futuro concorrente globale”; occorre “dissuadere i Paesi industriali avanzati da qualsiasi tentativo che miri a contestare la nostra leadership”, cioè la leadership americana: e questo valeva anche per l’Europa.
E nel 1998 la destra americana avanza il progetto di fare del nuovo secolo un “nuovo secolo americano”. Naturalmente occorreva anche tenere in mano le carte per l’ultima partita sulla ripartizione e l’utilizzo delle risorse in via di esaurimento, ma soprattutto occorreva al più presto possibile riappropriarsi dello strumento sovrano del governo del mondo: la guerra. La guerra, agli inizi degli anni 90, non solo era bandita dal diritto, ripudiata dalle Costituzioni, ma godeva di un unanime discredito e repulsione nell’opinione pubblica mondiale. La guerra, identificata ormai con la guerra nucleare, era considerata come il male assoluto, anche dai governanti. La guerra fredda era combattuta per evitare la guerra. Le politiche dell’Occidente erano tutte politiche di pace, anche i missili si mettevano per la pace, la “ratio” della corsa al riarmo nucleare era la dissuasione dalla guerra nucleare. La guerra era il terrore; la pace era l’equilibrio del terrore, era la deterrenza: cioè togliere il terrore con il terrore.
Ma nella nuova situazione creatasi dopo l’89 la guerra doveva essere ripristinata, richiamata dal suo esilio, eticamente riscattata e di nuovo agghindata e adornata come una sposa.
L’occasione la fornì l’Iraq e la sua disputa con l’Arabia Saudita e gli altri Paesi OPEC per il prezzo del petrolio, sceso a prezzi stracciati fino a 12 dollari al barile. Fidando nel fatto che la guerra non usava più, l’Iraq occupò il Kuwait. Questo crimine fu fatale. Il muro di Berlino era stato rimosso da un anno, l’URSS non era più in grado di fermare l’Occidente. E Bush padre fece la guerra; la fece per due ragioni; la prima, come spiegò poi nelle sue memorie, perché non si poteva permettere che le riserve di petrolio del Medio Oriente cadessero sotto il controllo di una potenza ostile; e fu la prima guerra per il petrolio: e la seconda ragione, più importante, fu per ristabilire il diritto di guerra esercitandolo in nome di quelle stesse Nazioni Unite che l’avevano abrogato; e quella del 1991 fu la guerra per riabilitare la guerra agli occhi dell’opinione pubblica occidentale. Ci vollero alcuni mesi non solo per preparare l’armata ma per sviluppare una imponente campagna di persuasione; paolovionu si trattava di rovesciare il sentire comune che Paolo VI aveva quindici anni prima icasticamente proclamato dalla tribuna dell’ONU: mai più la guerra. E infatti Giovanni Paolo II le si oppose.
Nel 1999 toccò alla Iugoslavia. La guerra era stata ormai richiamata in servizio, era “libera all’esercizio”. Anche per quella guerra si parlò di petrolio, della necessità di aprire un corridoio per gli oleodotti dal Caspio. Ma la vera ragione fu politica. La ragione fu di uscire dall’ordine delle Nazioni Unite, dove la guerra era ancora formalmente bandita, e comunque sottoposta a limiti e condizioni, ed entrare, ormai senza altre remore, nell’ordine della NATO; la NATO diventava essa la nuova comunità internazionale, la parte per il tutto, assumeva prerogative sovrane, si investiva in proprio del diritto e del potere sovrano di guerra. Per far questo cambiava i suoi statuti. Il 24 aprile 1999, nel vertice atlantico di Washington, la NATO cambiava finalità e natura, dichiarava non più operanti i limiti degli articoli 5 e 6 del suo Statuto che restringevano l’ipotesi di uso della forza armata alla difesa contro un’aggressione, e rompeva perciò anche i limiti dell’art. 51 della Carta dell’ONU; inoltre la NATO infrangeva i limiti della sua competenza territoriale e si assegnava come campo d’azione tutto il mondo; teorizzava la pace e la sicurezza non più come indivisibili per tutti, ma solo per sé e per i 19 Paesi membri, e individuava nuove minacce alla sicurezza: terrorismo, sabotaggio, criminalità organizzata, interruzione di approvvigionamenti, movimenti migratori, fattori politici, economici, sociali, ambientali, rivalità etniche, religiose, riforme mal pensate o fallite, violazione di diritti umani, dissoluzione di Stati. Per la prima volta il ricorso alle armi, cioè la guerra, veniva contemplata come risposta a crisi politiche, sociali, economiche, religiose di ogni tipo. Non a caso la prima delle nuove minacce alla sicurezza era individuata nel terrorismo. Quest’ultima era una profezia destinata ad autorealizzarsi. Se il mondo doveva restare pietrificato nella sua ingiustizia costitutiva, se la guerra diventava il mezzo universale per gestire ogni genere di contraddizioni o di crisi, e se l’esistenza di un’unica superpotenza militare faceva sì che la guerra restasse prerogativa e risorsa di una parte sola, agli altri non restava che il terrorismo.
In tal modo terrorismo e guerra erano assimilati come due variabili della stessa fattispecie, come due surrogati dello stesso bene perduto: la politica.
La conferma giunse ben presto, l’11 settembre 2001, con gli attentati al Pentagono e alle Torri gemelle. Il giovane Bush li riconobbe subito come atti di guerra. E infatti rispose con la guerra, perché questa ormai era diventata l’unica lingua della politica. Nascono così la guerra e l’invasione in Afghanistan durate fino ad ora, e subito dopo la seconda guerra del Golfo, giunta fino alla distruzione dell’Iraq e all’uccisione di Saddan Hussein, sulla base della menzogna, poi ufficialmente riconosciuta dal rapporto Chilcot del Parlamento inglese e dallo stesso Tony Blair, della minaccia delle armi di distruzione di massa. E nel 2002 il delirio teorizzato dalla destra neoconservatrice secondo cui la sicurezza americana stava nel dominio del mondo veniva formalizzato nella “Nuova strategia della sicurezza nazionale americana” che arricchiva con le armi spaziali gli arsenali a disposizione della Casa Bianca.
È tutto questo che è finito nel neoisolazionismo di Trump, nell’ideologia dell’“America First”, nella “debacle” di Biden, nell’abbandono americano dell’Afghanistan e nella tragedia dei presi e lasciati nell’aeroporto di Kabul. Ed è da qui allora che deve partire l’altra risposta, che in un altro modo deve coinvolgere la totalità degli attori che agiscono sulla scena del mondo, Stati e popoli, dagli Stati Uniti alla Cina, dai kurdi ai palestinesi, dagli ebrei ai musulmani; è in questo quadro che si innalza la proposta universale e inclusiva di papa Francesco, la sua proposta di una fraternità umana nella pluralità di diritto divino delle religioni, ed è qui che si leva la proposta laica di una ricomposizione della società umana sotto la sovranità del diritto, di una Costituzione della Terra.

Con i più cordiali saluti

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VISITA DEL SOMMO PONTEFICE PAOLO VI
ALL’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE

DISCORSO DEL SANTO PADRE
ALLE NAZIONI UNITE
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Lunedì, 4 ottobre 1965

Nel momento in cui prendiamo la parola davanti a questo consesso unico al mondo, sentiamo il bisogno anzitutto di esprimere la Nostra profonda gratitudine al Signor Thant, vostro Segretario Generale, per l’invito ch’egli Ci ha rivolto di visitare le Nazioni Unite, in occasione del ventesimo anniversario della fondazione di questa Istituzione mondiale per la pace e per la collaborazione fra i popoli di tutta la terra. Noi ringraziamo altresì il Signor Presidente dell’Assemblea, On. Amintore Fanfani, il quale, dal giorno del suo insediamento, ha avuto per Noi parole tanto cortesi.

Grazie anche a voi tutti, qui presenti, per la vostra buona accoglienza.

A ciascuno di voi il Nostro riverente e cordiale saluto. La vostra amicizia Ci ha invitati e Ci ammette ora a questa riunione: e come amici Noi qui a voi Ci presentiamo.

Vi esprimiamo il Nostro cordiale omaggio personale e vi offriamo quello dell’intero Concilio Ecumenico Vaticano II, riunito in Roma, e qui rappresentato dai Signori Cardinali che a questo scopo Ci accompagnano. A loro nome, come da parte Nostra, rendiamo a voi tutti onore e vi salutiamo!

Questo incontro, voi tutti lo comprendete, segna un momento semplice e grande. Semplice, perché voi avete davanti un uomo come voi; egli è vostro fratello, e fra voi, rappresentanti di Stati sovrani, uno dei più piccoli, rivestito lui pure, se così vi piace considerarci, d’una minuscola, quasi simbolica sovranità temporale, quanta gli basta per essere libero di esercitare la sua missione spirituale, e per assicurare chiunque tratta con lui, che egli è indipendente da ogni sovranità di questo mondo. Egli non ha alcuna potenza temporale, né alcuna ambizione di competere con voi; non abbiamo infatti alcuna cosa da chiedere, nessuna questione da sollevare; se mai un desiderio da esprimere e un permesso da chiedere, quello di potervi servire in ciò che a Noi è dato di fare, con disinteresse, con umiltà e amore.

DA VENTI SECOLI UN VOTO DEL CUORE

Questa è la Nostra prima dichiarazione; e, come voi vedete, essa è così semplice, che sembra irrilevante per questa Assemblea, che tratta sempre cose importantissime e difficilissime. Ma Noi dicevamo, e tutti lo avvertite, che questo momento è anche grande. Grande per Noi, grande per voi.

Per Noi, anzitutto. Oh! voi sapete chi siamo; e, qualunque sia l’opinione che voi avete sul Pontefice di Roma, voi conoscete la Nostra missione; siamo portatori d’un messaggio per tutta l’umanità; e lo siamo non solo a Nostro nome personale e dell’intera famiglia cattolica, ma lo siamo pure di quei Fratelli cristiani, che condividono i sentimenti da Noi qui espressi, e specialmente di quelli da cui abbiamo avuto esplicito incarico d’essere anche loro interpreti. Noi siamo come il messaggero che, dopo lungo cammino, arriva a recapitare la lettera che gli è stata affidata; così Noi avvertiamo la fortuna di questo, sia pur breve, momento, in cui si adempie un voto, che Noi portiamo nel cuore da quasi venti secoli. Sì, voi ricordate: è da molto tempo che siamo in cammino, e portiamo con Noi una lunga storia; Noi celebriamo qui l’epilogo d’un faticoso pellegrinaggio in cerca d’un colloquio con il mondo intero, da quando Ci è stato comandato: “Andate e portate la buona novella a tutte le genti”.

Ora siete voi, che rappresentate tutte le genti. Noi abbiamo per voi tutti un messaggio, sì, un messaggio felice, da consegnare a ciascuno di voi.

IN NOME DEI MORTI DEI POVERI DEI SOFFERENTI

1. Il Nostro messaggio vuol essere, in primo luogo, una ratifica morale e solenne di questa altissima Istituzione. Questo messaggio viene dalla Nostra esperienza storica; Noi, quali “esperti in umanità”, rechiamo a questa Organizzazione il suffragio dei Nostri ultimi Predecessori, quello di tutto l’Episcopato cattolico, e Nostro, convinti come siamo che essa rappresenta la via obbligata della civiltà moderna e della pace mondiale.

Dicendo questo, Noi sentiamo di fare Nostra la voce dei morti e dei vivi; dei morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo; dei vivi, che a quelle hanno sopravvissuto portando nei cuori la condanna per coloro che tentassero rinnovarle; e di altri vivi ancora, che avanzano nuovi e fidenti, i giovani delle presenti generazioni, che sognano a buon diritto una migliore umanità. E facciamo Nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso. I popoli considerano le Nazioni Unite come il palladio della concordia e della pace; Noi osiamo, col Nostro, portare qua il loro tributo di onore e di speranza. Ecco perché questo momento è grande anche per voi.

GIUSTIZIA DIRITTO TRATTATIVA NELLE RELAZIONI TRA I POPOLI

2. Noi sappiamo che ne avete piena coscienza. Ascoltate allora la continuazione del Nostro messaggio. Esso è rivolto completamente verso l’avvenire: l’edificio, che avete costruito, non deve mai più decadere, ma deve essere perfezionato e adeguato alle esigenze che la storia del mondo presenterà. Voi segnate una tappa nello sviluppo dell’umanità, dalla quale non si dovrà più retrocedere, ma avanzare.

Al pluralismo degli Stati, che non possono più ignorarsi, voi offrite una formola di convivenza, estremamente semplice e feconda. Ecco: voi dapprima vi riconoscete e distinguete gli uni dagli altri. Voi non conferite certamente l’esistenza agli Stati; ma qualificate come idonea a sedere nel consesso ordinato dei Popoli ogni singola Nazione; date cioè un riconoscimento di altissimo valore etico e giuridico ad ogni singola comunità nazionale sovrana, e le garantite onorata cittadinanza internazionale. È già un grande servizio alla causa dell’umanità quello di ben definire e di onorare i soggetti nazionali della comunità mondiale, e di classificarli in una condizione di diritto, meritevole d’essere da tutti riconosciuta e rispettata, dalla quale può derivare un sistema ordinato e stabile di vita internazionale. Voi sancite il grande principio che i rapporti fra i popoli devono essere regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza, non dalla violenza, non dalla guerra, e nemmeno dalla paura, né dall’inganno.

Così ha da essere. Lasciate che Noi Ci congratuliamo con voi, che avete avuto la saggezza di aprire l’accesso a questa aula ai Popoli giovani, agli Stati giunti da poco alla indipendenza e alla libertà nazionale; la loro presenza è la prova dell’universalità e della magnanimità che ispirano i principii di questa Istituzione.

Così ha da essere; questo è il Nostro elogio e il Nostro augurio, e, come vedete, Noi non li attribuiamo dal di fuori; ma li caviamo dal di dentro, dal genio stesso del vostro Statuto.

GENEROSA FIDUCIA GIAMMAI INSIDIATA O TRADITA

3. Il vostro Statuto va oltre; e con esso procede il Nostro augurio.

Voi esistete ed operate per unire le Nazioni, per collegare gli Stati; diciamo questa seconda formola: per mettere insieme gli uni con gli altri. Siete una Associazione. Siete un ponte fra i Popoli. Siete una rete di rapporti fra gli Stati. Staremmo per dire che la vostra caratteristica riflette in qualche modo nel campo temporale ciò che la Nostra Chiesa cattolica vuol essere nel campo spirituale: unica ed universale. Non v’è nulla di superiore sul piano naturale nella costruzione ideologica dell’umanità. La vostra vocazione è quella di affratellare non solo alcuni, ma tutti i Popoli. Difficile impresa? Senza dubbio. Ma questa è l’impresa; questa la vostra nobilissima impresa. Chi non vede il bisogno di giungere così, progressivamente, a instaurare un’autorità mondiale, capace di agire con efficacia sul piano giuridico e politico?

Anche a questo riguardo ripetiamo il Nostro voto: perseverate. Diremo di più: procurate di richiamare fra voi chi da voi si fosse staccato, e studiate il modo per chiamare, con onore e con lealtà, al vostro patto di fratellanza chi ancora non lo condivide. Fate che chi ancora è rimasto fuori desideri e meriti la comune fiducia; e poi siate generosi nell’accordarla. E voi, che avete la fortuna e l’onore di sedere in questo consesso della pacifica convivenza, ascoltateci: fate che non mai la reciproca fiducia, che qui vi unisce e vi consente di operare cose buone e grandi. sia insidiata o tradita.

L’ORGOGLIO IL GRANDE ANTAGONISTA DELLE NECESSARIE ARMONIE

4. La logica di questo voto, che si può dire costituzionale per la vostra Organizzazione, Ci porta a integrarlo con altre formule. Ecco: che nessuno, in quanto membro della vostra unione, sia superiore agli altri. Non l’uno sopra l’altro. È la formula della eguaglianza. Sappiamo di certo come essa debba essere integrata dalla valutazione di altri fattori, che non sia la semplice appartenenza a questa Istituzione; ma anch’essa è costituzionale. Voi non siete eguali, ma qui vi fate eguali. Può essere per parecchi di voi atto di grande virtù; consentite che ve lo dica Colui che vi parla, il Rappresentante d’una Religione, la quale opera la salvezza mediante l’umiltà del suo Fondatore Divino. Non si può essere fratelli, se non si è umili. Ed è l’orgoglio, per inevitabile che possa sembrare. che provoca le tensioni e le lotte del prestigio, del predominio, del colonialismo dell’egoismo; rompe cioè la fratellanza.

CADANO LE ARMI, SI COSTRUISCA LA PACE TOTALE

5. E allora il Nostro messaggio raggiunge il suo vertice; il vertice negativo. Voi attendete da Noi questa parola, che non può svestirsi di gravità e di solennità: non gli uni contro gli altri, non più, non mai! A questo scopo principalmente è sorta l’Organizzazione delle Nazioni Unite; contro la guerra e per la pace ! Ascoltate le chiare parole d’un grande scomparso, di John Kennedy, che quattro anni or sono proclamava: “L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità”. Non occorrono molte parole per proclamare questo sommo fine di questa istituzione. Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!

Grazie a voi, gloria a voi, che da vent’anni per la pace lavorate, e che avete perfino dato illustri vittime a questa santa causa. Grazie a voi, e gloria a voi, per i conflitti che avete prevenuti e composti. I risultati dei vostri sforzi, conseguiti in questi ultimi giorni in favore della pace, benché, non siano ancora definitivi, meritano che Noi, osando farci interpreti del mondo intero, vi esprimiamo plauso e gratitudine.

Signori, voi avete compiuto e state compiendo un’opera grande: l’educazione dell’umanità alla pace. L’ONU è la grande scuola per questa educazione. Siamo nell’aula magna di tale scuola; chi siede in questa aula diventa alunno e diventa maestro nell’arte di costruire la pace. Quando voi uscite da questa aula il mondo guarda a voi come agli architetti, ai costruttori della pace.

E voi sapete che la pace non si costruisce soltanto con la politica e con l’equilibrio delle forze e degli interessi, ma con lo spirito, con le idee, con le opere della pace. Voi già lavorate in questo senso. Ma voi siete ancora in principio: arriverà mai il mondo a cambiare la mentalità particolaristica e bellicosa, che finora ha tessuto tanta parte della sua storia? È difficile prevedere; ma è facile affermare che alla nuova storia, quella pacifica, quella veramente e pienamente umana, quella che Dio ha promesso agli uomini di buona volontà, bisogna risolutamente incamminarsi; e le vie sono già segnate davanti a voi; e la prima è quella del disarmo.

Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno. Le armi, quelle terribili. specialmente, che la scienza moderna vi ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli. Finché l’uomo rimane l’essere debole e volubile e anche cattivo, quale spesso si dimostra, le armi della difesa saranno necessarie, purtroppo; ma voi, coraggiosi e valenti quali siete, state studiando come garantire la sicurezza della vita internazionale senza ricorso alle armi: questo è nobilissimo scopo, questo i Popoli attendono da voi, questo si deve ottenere! Cresca la fiducia unanime in questa Istituzione, cresca la sua autorità; e lo scopo, è sperabile, sarà raggiunto. Ve ne saranno riconoscenti le popolazioni, sollevate dalle pesanti spese degli armamenti, e liberate dall’incubo della guerra sempre imminente, il quale deforma la loro psicologia. Noi godiamo di sapere che molti di voi hanno considerato con favore il Nostro invito, lanciato a tutti gli Stati per la causa della pace, a Bombay, nello scorso dicembre, di devolvere a beneficio dei Paesi in via di sviluppo una parte almeno delle economie, che si possono realizzare con la riduzione degli armamenti. Noi rinnoviamo qui tale invito, fidando nel vostro sentimento di umanità e di generosità.

OLTRE LA COESISTENZA: LA COLLABORAZIONE FRATERNA

6. Dicendo queste parole Ci accorgiamo di far eco ad un altro principio costitutivo di questo Organismo, cioè il suo vertice positivo: non solo qui si lavora per scongiurare i conflitti fra gli Stati, ma si lavora altresì con fratellanza per renderli capaci di lavorare gli uni per gli altri. Voi non vi contentate di facilitare la coesistenza e la convivenza fra le varie Nazioni; ma fate un passo molto più avanti, al quale Noi diamo la Nostra lode e il Nostro appoggio: voi promovete la collaborazione fraterna dei Popoli. Qui si instaura un sistema di solidarietà, per cui finalità civili altissime ottengono l’appoggio concorde e ordinato di tutta la famiglia dei Popoli per il bene comune, e per il bene dei singoli. Questo aspetto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è il più bello: è il suo volto umano più autentico; è l’ideale dell’umanità pellegrina nel tempo; è la speranza migliore del mondo; è il riflesso, osiamo dire, del disegno trascendente e amoroso di Dio circa il progresso del consorzio umano sulla terra; un riflesso, dove scorgiamo il messaggio evangelico da celeste farsi terrestre. Qui, infatti, Noi ascoltiamo un’eco della voce dei Nostri Predecessori, di quella specialmente di Papa Giovanni XXIII, il cui messaggio della Pacem in terris ha avuto anche nelle vostre sfere una risonanza tanto onorifica e significativa.

Perché voi qui proclamate i diritti e i doveri fondamentali dell’uomo, la sua dignità, la sua libertà e, per prima, la libertà religiosa. Ancora, Noi sentiamo interpretata la sfera superiore della sapienza umana, e aggiungiamo: la sua sacralità. Perché si tratta anzitutto della vita dell’uomo: e la vita dell’uomo è sacra: nessuno può osare di offenderla. Il rispetto alla vita, anche per ciò che riguarda il grande problema della natalità, deve avere qui la sua più alta professione e la sua più ragionevole difesa: voi dovete procurare di far abbondare quanto basti il pane per la mensa dell’umanità; non già favorire un artificiale controllo delle nascite, che sarebbe irrazionale, per diminuire il numero dei commensali al banchetto della vita.

Ma non si tratta soltanto di nutrire gli affamati: bisogna inoltre assicurare a ciascun uomo una vita conforme alla sua dignità. Ed è questo che voi vi sforzate di fare. E non si adempie del resto sotto i Nostri occhi e anche per opera vostra l’annuncio profetico che ben si addice a questa Istituzione: “Fonderanno le spade in vomeri; le lance in falci”? (Is. 2, 4). Non state voi impiegando le prodigiose energie della terra e le invenzioni magnifiche della scienza, non più in strumenti di morte, ma in strumenti di vita per la nuova era dell’umanità?

Noi sappiamo con quale crescente intensità ed efficacia l’Organizzazione delle Nazioni Unite, e gli organismi mondiali che ne dipendono, lavorino per fornire aiuto ai Governi, che ne abbiano bisogno, al fine di accelerare il loro progresso economico e sociale.

Noi sappiamo con quale ardore voi vi impegniate a vincere l’analfabetismo e a diffondere la cultura nel mondo; a dare agli uomini una adeguata e moderna assistenza sanitaria, a mettere a servizio dell’uomo le meravigliose risorse della scienza, della tecnica, dell’organizzazione: tutto questo è magnifico, e merita l’encomio e l’appoggio di tutti, anche il Nostro. Vorremmo anche Noi dare l’esempio, sebbene l’esiguità dei Nostri mezzi ci impedisca di farne apprezzare la rilevanza pratica e quantitativa: Noi vogliamo dare alle Nostre istituzioni caritative un nuovo sviluppo in favore della fame e dei bisogni del mondo: è in questo modo, e non altrimenti, che si costruisce la pace.

PER SALVARE LA CIVILTÀ PROFONDO RINNOVAMENTO IN DIO

7. Una parola ancora, Signori, un’ultima parola: questo edificio, che state costruendo, si regge non già solo su basi materiali e terrene: sarebbe un edificio costruito sulla sabbia; ma esso si regge, innanzitutto, sopra le nostre coscienze. È venuto il momento della “metanoia”, della trasformazione personale, del rinnovamento interiore. Dobbiamo abituarci a pensare in maniera nuova l’uomo; in maniera nuova la convivenza dell’umanità, in maniera nuova le vie della storia e i destini del mondo, secondo le parole di S. Paolo: “Rivestire l’uomo nuovo, creato a immagine di Dio nella giustizia e santità della verità” (Eph. 4, 23). È l’ora in cui si impone una sosta, un momento di raccoglimento, di ripensamento, quasi di preghiera: ripensare, cioè, alla nostra comune origine, alla nostra storia, al nostro destino comune. Mai come oggi, in un’epoca di tanto progresso umano, si è reso necessario l’appello alla coscienza morale dell’uomo!

Il pericolo non viene né dal progresso né dalla scienza: questi, se bene usati, potranno anzi risolvere molti dei gravi problemi che assillano l’umanità. Il pericolo vero sta nell’uomo, padrone di sempre più potenti strumenti, atti alla rovina ed alle più alte conquiste!

In una parola, l’edificio della moderna civiltà deve reggersi su principii spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo. E perché tali siano questi indispensabili principii di superiore sapienza, essi non possono non fondarsi sulla fede in Dio. Il Dio ignoto, di cui discorreva nell’areopago S. Paolo agli Ateniesi? Ignoto a loro, che pur senza avvedersene lo cercavano e lo avevano vicino, come capita a tanti uomini del nostro secolo?… Per noi, in ogni caso, e per quanti accolgono la Rivelazione ineffabile, che Cristo di Lui ci ha fatta, è il Dio vivente, il Padre di tutti gli uomini.

*Insegnamenti di Paolo VI, vol. III, p.516-523.
L’Osservatore Romano 6.10.1965 p.4.
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Il precedente editoriale. Ferrovie e Trasporti in Sardegna [Vanni Tola]. Nel deserto progettuale una buona eccezione [Gianfranco Fancello].

Oggi martedì 31 agosto 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
Concorrenza e “rivoluzione liberale”
31 Agosto 2021, su Democraziaoggi.
Care lettrici e cari lettori,
con questo articolo, chiudiamo la pubblicazione agostana di post di Gianfranco Sabattini per Democraziaoggi [ripubblicati anche su Aladinpensiero]. Come potete vedere, ci siamo fermati al novembre del 2014, ma Gianfranco ne ha scritto più di uno al mese fino alla sua morte, avvenuta nel dicembre del 2020. Una miniera di cultura, posto che i […]
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c3dem_banner_04IL DOPO KABUL: LA PROVA DELL’OCCIDENTE
30 Agosto 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
Marco Conti, “L’affondo di Mattarella: ‘Sconcertante in Europa chi nega l’accoglienza’” (Messaggero). Eppure il pericolo c’è, come spiega Carlo Bastasin: “La tentazione di alzare un muro intorno all’Europa” (Repubblica). Dopo Kabul le nazioni europee si debbono interrogare, spiega Ezio Mauro: “Le democrazie nell’interregno” (Repubblica). Angelo Panebianco scava sulle contraddizioni europee: “Il perfezionismo democratico e la difesa comune europea” (Corriere della sera). Josep Borrell, intervistato da F. Fubini: “Europa, serve una forza di intervento e sicurezza” (Corriere della sera). SULL’ACCOGLIENZA: Sulle decine di studentesse afghane iscritte alla Sapienza di Roma e che non sono riuscite a partire da Kabul, scrive Luca Monticelli: “Il sogno infranto delle studentesse” (La Stampa), e c’è un appello di Nishin: “La ‘Sapienza’ salvi noi giovani afghane”. Liana Milella a colloquio con la ministra: “Cartabia: ‘Farò di tutto per salvare giuriste e magistrate afghane” (Repubblica). E Chiara Saraceno avverte: “No ai due pesi sui rifugiati” (Repubblica). CRONACA AFGHANA: Andrea Nicastro, “Kabul, anno zero: divieti e incubi” (Corriere). L’ONU E L’INIZIATIVA FRANCESE: Stefano Montefiori, “Macron chiama l’Onu: una ‘zona sicura’ per uscire da Kabul dopo il 31 agosto” (Corriere). Anais Ginori, “Così Macron torna leader” (Repubblica). DIBATTITO: Vladimiro Zagrebelsky, “Come trattare con i talebani” (La Stampa). Francis Fukuyama, Gli Stati Uniti non recupereranno la propria egemonia perduta (Foglio). Neill Ferguson, “La lezione di Churchill per l’impero americano entrato in un rapido declino” (Foglio).
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Che succede?

c3dem_banner_04LA LEZIONE AFGHANA
29 Agosto 2021 su C3dem.
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SUI DIRITTI CIVILI, I CATTOLICI E LA SINISTRA. SULL’EUTANASIA. SU GINO STRADA. SULLA PROTESTA EBRAICA COL PAPA. E ALTRO
29 Agosto 2021 by Giampiero Forcesi |C3dem.

Vaccinare tutti: l’argine più efficace alla pandemia

Certificato verde e libertà individuali
…la libertà del singolo, come ci insegnano in famiglia e a Scuola sin dalla tenera età, termina dove comincia la libertà degli altri.
di Silvio Trudu
Non vorrei con questa mia breve riflessione alimentare ulteriormente lo scontro che contrappone i vaccinati ai non vaccinati. Tuttavia, mi sia consentita qualche considerazione personale, in qualità di Cittadino Italiano con un ruolo di educatore (svolgo la professione di docente in una scuola superiore), conseguente alle tante discussioni estrapolate dall’agora per antonomasia del terzo millennio: i social.
Leggo con rammarico, in rete, tanti post che vorrebbero avere la pretesa di veicolare il messaggio che essere vaccinati o no sia esattamente la stessa cosa, perché i vaccinati contagiano e vengono contagiati allo stesso modo dei non vaccinati. I post sono frequentemente supportati dalla denuncia di un atteggiamento prevaricatore dello Stato, atto a limitare le libertà individuali.
[segue]

Costituente Terra. Newsletter n.44 del 30 agosto 2021

cost-terra-logouna Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola

Newsletter n.44 del 30 agosto 2021

NUOVO INIZIO

Cari Amici,
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Afghanistan.

667fa5fa-5335-493b-96f7-8f621087d6f0 Kabul come Saigon, un paragone che non sta in piedi
di Marino de Medici*

Come già nel 1975, quando Saigon passò nelle mani dell’esercito nordvietnamita, i catastrofisti americani ed europei sputano fuoco e fiamme per il tragico abbandono dell’Afghanistan. Kabul come Saigon, dunque. Una sconfitta “epica” che cancella ogni credibilità dell’America, proclamano i catastrofisti tra i quali si distingue il Corriere della Sera con uno sfogo occultamente anti-americano. Gli storici seri sanno invece che il Vietnam non segnò la fine della credibilità degli Stati Uniti e avvertono che il disastro afghano avra’ uno svolgimento simile. Vero è che come per l’Afghanistan, molti in America chiedevano a gran voce maggiori stanziamenti per difendere il Vietnam, a cominciare da Henry Kissinger che nel Marzo 1975 dichiarava: “Non possiamo abbandonare gli amici in una parte del mondo senza mettere a repentaglio la sicurezza degli amici dappertutto”. Ma quanta e quale credibilità persero in realtà gli Stati Uniti? I nemici dell’America gongolavano e Mosca in particolare si apprestava a raccogliere i frutti della ritirata americana dal Sud-est asiatico. Di fatto, però, gli interessi strategici americani non subivano un crollo, mentre era l’Unione Sovietica ad accusare un colpo micidiale, quello della disfatta in Afghanistan nel 1979.
[segue]

Ferrovia e Trasporti. Che fare in Sardegna?

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La Sedia
di Vanni Tola

Quando è stata resa pubblica la ripartizione fra le regioni dei primi fondi destinati a trasporti e mobilità, del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (Pnrr), il presidente Solinas e il suo mega staff hanno capito che alla Sardegna sarebbero spettate soltanto le briciole del finanziamento e, come da consolidata tradizione, hanno cominciato a protestare contro il governo che non concedeva all’isola finanziamenti adeguati ai bisogni e alle necessità. Sulla stessa lunghezza d’onda si sono levate le proteste, stavolta unitarie, dei parlamentari sardi, anch’essi convinti della discriminazione subita dalla Sardegna nella ripartizione dei fondi europei.
Le nuove ferrovie italiane che saranno ristrutturate con i fondi del Pnrr vedranno ridursi il tempo medio di viaggio in treno del 17%, aumentare il passaggio dal trasporto su gomma a quello ferroviario, aumentare i passeggeri trasportati dal 6 al 10% e le merci dall’11 al 16%.
Tutto ciò però non riguarderà per niente la Sardegna. Nell’isola arriveranno soltanto 300 milioni per due vecchi progetti appena avviati e assimilati ai progetti Pnrr: un primo step del raddoppio della Decimomannu-Villamassargia e il collegamento dell’aeroporto di Olbia con la rete ferroviaria. La Sardegna si è fatta cogliere ancora una volta impreparata, non aveva progetti pronti da far finanziare con gli investimenti europei.
Soltanto nel 2015 ha cominciato a circolare nell’isola l’ipotesi di predisporre alcuni interventi per connettere aeroporti e stazioni con la rete ferroviaria. Idee, soltanto idee che non si sono mai concretizzate in progetti.
Il presidente Solinas si è reso conto di quel che stava per accadere quando i tempi per intervenire erano ormai ridotti al minimo. Ha tentato di rimediare inventandosi la penosa bugia dei 305 progetti inviati al Governo per inserirli nel piano nazionale del Pnrr accompagnati da una richiesta di finanziamenti per circa 7 miliardi. Progetti che, per la cronaca, nessuno ha mai visto e dei quali non risultava traccia neppure presso l’ufficio di protocollo della regione Sardegna e nelle segreterie dei ministeri. Probabilmente una raccolta di idee e proponimenti, ben altro rispetto ai progetti concreti e realizzabili che sarebbero stati utili e necessari.
Appare evidente quindi che alla base di quanto accade relativamente al sistema trasporti, sta l’inadeguatezza programmatoria delle giunte regionali del passato e di quella in carica che hanno condannato l’Isola alla non partecipazione alle azioni del Pnrr.
Non ci sono stati finanziamenti del Pnrr perché non c’erano e non ci sono adeguati progetti. Con le sole idee, generiche e senza un’ipotesi strategica di sviluppo, non si ”canta messa” e ci si lega sempre più al sottosviluppo, alla marginalizzazione e all’assistenzialismo degli eventuali interventi statali.

Nessun complotto quindi, nessuna discriminazione contro l’Isola. La regione Sardegna, negli ultimi 25 anni non ha mostrato la ben che minima capacità di progettazione di opere e progetti infrastrutturali che potessero rientrare nelle indicazioni specifiche predisposte dall’Unione Europea per la presentazione dei progetti e l’erogazione dei fondi.
Certamente il problema dei trasporti è e resta strategico per lo sviluppo della Sardegna ma il Pnrr non può rappresentare la risoluzione dei problemi in assenza di una progettualità e di strategie di sviluppo in sintonia con le indicazioni del Recovery Plein e delle altre politiche di sviluppo nazionali e comunitarie.
Tutte le forze politiche presenti in regione sembrano concordare sull’importanza di realizzare nuove ferrovie. Il problema è che a tutt’oggi nessuno si sta preoccupando di progettarle e poco e niente è stato fatto per rafforzare la capacità progettuale e di spesa della regione. La conseguenza fin troppo facilmente prevedibile è che i miliardi del Pnrr che saranno indirizzati verso le altre regioni non faranno altro che allargare il divario esistente tra la rete ferroviaria sarda e quella nazionale.

Occorre un radicale cambio di mentalità, violare radicati tabù, battere la rassegnazione e il pessimismo cronico. E’ assolutamente necessario, direi imprescindibile, ricostruire la rete ferroviaria sarda secondo criteri e modalità adeguati ai tempi e alle necessità, con buona pace del compianto ing Benjamin Piercy che nell’ottocento realizzò l’attuale rete ferroviaria isolana, un’opera apprezzabile per quei tempi e per larga parte ancora non modificata. Lo stesso ingegnere Piercy, se fosse ancora tra noi, sarebbe il primo a dirci che il binario unico, i tratti ferroviari a scartamento ridotto, i percorsi inadeguati per incrementare la velocità dei nuovi treni, la mancata elettrificazione delle linee ferroviarie, non sono più compatibili con le necessità attuali della regione. Ci si deve convincere che la riforma dei trasporti è assolutamente necessaria e che la si può e la si deve realizzare. Purtroppo non la si potrà realizzare con la prima quota di finanziamenti europei erogati in queste settimane che , come è noto, dovranno avere attuazione entro il 2026. Abbiamo perso “il treno” e altri ne perderemo se non cambierà la capacità propositiva dell’attuale Giunta.

Occorre osare di più, fare un investimento strutturale per rifare la rete ferroviaria come intervento prioritario per avviare un nuovo sviluppo del sistema Sardegna.

Vediamo intanto che si può fare dopo aver preso atto che non si potrà fare affidamento sulla prima quota di finanziamenti del Pnrr. Il Governo Draghi, per bocca del ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, assicura che altre consistenti risorse saranno disponibili per finanziare progetti in Sardegna. Il Pnrr e il Fondo complementare non sono l’unica fonte finanziaria disponibile. Ci sono anche il Fondo Sviluppo e Coesione, gli 80 miliardi dei fondi europei 2021-2027 destinati all’Italia e i fondi pluriennali per gli investimenti. Il tema, quindi, non è ciò che al momento non si potrà fare il Pnrr, ma come si può usare al meglio il quadro finanziario complessivo disponibile.
Per tale motivo il governo proporrà ai presidenti di regione l’apertura di tavoli territoriali e regionali per affrontare in modo sistemico la programmazione delle infrastrutture e dei trasporti dei prossimi anni. Naturalmente una parte dei fondi sarà decisa dalle Regioni, una parte dallo Stato ma resta di vitale importanza che ci sia una progettualità coordinata e complementare in modo da rafforzare gli interventi.
Sarà pure necessario avviare una seria riflessione sugli indirizzi programmatici da privilegiare compiendo scelte oculate. Per esempio, ha ancora senso pensare alla elettrificazione delle linee ferroviarie se, dietro l’angolo, si affaccia la prospettiva dei treni alimentati a idrogeno? Non c’è il rischio di spendere quasi inutilmente delle risorse per l’elettrificazione pur sapendo che tale pratica sarà presto desueta per l’arrivo dei treni alimentati con l’idrogeno? Per questo il presidente Draghi, nel colloquio dei giorni scorsi col presidente Solinas, ha posto l’accento sull’attenzione che il governo riserverà per la Sardegna.
Il tema delle ferrovie è certamente rilevante, ma lo è anche quello della manutenzione delle strade. Per questo entro settembre si procederà al commissariamento di 10 interventi sulla rete stradale della Sardegna per complessivi 1,8 miliardi di euro. Il commissario straordinario sarà probabilmente lo stesso presidente Solinas. Personalmente considererei tale eventualità abbastanza discutibile. Non si può mettere la volpe a fare la guardia al pollaio.
Per dieci opere di particolare importanza e urgenza per i trasporti stradale è previsto un percorso istruttorio super rapido che passa dal Consiglio superiore dei lavori pubblici in cui siederanno i rappresentanti dei vari ministeri per dare tutte le autorizzazioni richieste. La velocizzazione riguarderà tutte le fasi della realizzazione e tra queste la capacità delle Regioni e dei Comuni di procedere, ad esempio, alla preparazione dei bandi. Ciò che è accaduto finora nella predisposizione dei progetti non dovrà ripetersi in futuro.
La carenza di risorse umane competenti è spesso indicata come una delle cause dei ritardi. Negli accordi sottoscritti a luglio e agosto, in sede di conferenza Stato-Regioni sono stati già ripartiti 9 miliardi del Pnrr e soprattutto del fondo complementare. Ad agosto sono stati firmati i vari decreti e ora il concreto utilizzo delle risorse spetta di competenza alle Regioni e ai Comuni. Il governo monitorerà il processo e curerà, con concorsi già banditi, l’assunzione di personale qualificato da assegnare alle amministrazioni territoriali. Questo modo innovativo di procedere rappresenta una rivoluzione rispetto al passato che non riguarda solo il Governo, ma dovrà estendersi tutte le pubbliche amministrazioni.
Ma il problema principale, giova ripeterlo, resta comunque la capacità di progettazione della Regione che finora ha clamorosamente mancato gli obiettivi in termini di visione prospettica dello sviluppo e in termini di progettazione. Ora serve un’azione politica ben definita e immediata. Lo Stato deve riconoscere subito il gap infrastrutturale della Sardegna e deve fare diventare una priorità la progettazione di una nuova rete ferroviaria per l’isola. L’esempio del ponte Morandi ha dimostrato che anche l’Italia, quando si creano le condizioni necessarie sa essere efficiente e rapida nella progettazione ed esecuzione delle grandi opere. L’emergenza trasporti della Sardegna non è inferiore a quella della ricostruzione del ponte Morandi. Perché senza una rete moderna ed ecologica di trasporti l’isola è destinata a rimanere ai margini dei programmi di sviluppo.
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Per correlazione.
lampadadialadmicromicro13Nel riportare il quadro fosco della situazione dei trasporti in Sardegna, con particolare riferimento alle Ferrovie, confermando il vuoto di progettualità che marca il governo regionale, particolarmente grave nella circostanza dell’opportunità dei finanziamenti PNRR (inesorabilmente perduta?), ci sembra importante dare rilievo a una significativa eccezione costituita dal progetto del “Comitato spontaneo Trenitalia nuorese”, supportato dal docente universitario Gianfranco Fancello, ben sintetizzato nell’articolo de La Nuova Sardegna del 14 agosto 2021, che sotto segnaliamo. Sconsolatamente constatiamo che nel Pnrr non c’è nemmeno un euro stanziato neppure per questo progetto rivoluzionario. Con una buona dose di pessimismo lasciamo tuttavia uno spazietto all’ottimismo del prof. Gianfranco Fancello: «Siamo ancora in tempo. Serve una forte mobilitazione di natura politica e delle parti sociali. Questo è un progetto che va sostenuto perché rilancia globalmente il sistema sardo e mette le coste occidentale e orientale in collegamento tra loro, ed entra nelle zone interne dando una possibilità di sviluppo».

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Nuoro-Olbia: la scheda c’è, i soldi no.
Su La Nuova Sardegna del 14 agosto 2021.

Oggi lunedì 30 agosto 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
L’invidia non spiega il fallimento della Rinascita sarda
30 Agosto 2021
23 Ottobre 2014
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.

Il secondo volume di “Buongiorno Sardegna” – intitolato “Dove siamo” – tratta delle cause che, secondo Giuseppi Dei Nur, hanno determinato il fallimento della politica di Rinascita dell’Isola attuata nel dopoguerra. Lo fa alla sua maniera, con largo impiego di metafore e di uno stile narrativo che, se […]
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Afghanistan, il fallimento della guerra
Giulio Marcon su Sbilanciamoci!
18 Agosto 2021 | Sezione: Editoriale, Politica

In questi giorni molti parlano del fallimento in Afghanistan. 20 anni in cui sono morti 170mila civili (a cui vanno aggiunti le migliaia di militari e combattenti uccisi) e sono stati spesi 5,4 mila miliardi di euro che, se utilizzati a fin di bene, avrebbero potuto debellare la povertà più estrema nel mondo.

RIMUOVETELI!

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lampadadialadmicromicro132Aderiamo alla raccolta firme.
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Messaggio al Sindaco di Cagliari.

Signor Sindaco, questa non è una contesa accademica sulla libertà, magari per confrontarsi sul giudizio sulle ideologie totalitarie che la negano. Questa è una questione di emergenza sanitaria che sta provocando morti e malattie direttamente e indirettamente (direttamente per COVID o a causa della situazione sanitaria dovuta al COVID). L’argine più efficace per combatterla è la vaccinazione di massa, come sostengono la stragrande maggioranza dei componenti della comunità scientifica e l’OMS. Gli Ospedali sono al collasso, medici e personale sanitario in trincea alla disperazione… e Lei che si balocca con tenzoni ideologiche. La smetta e faccia il suo dovere di amministratore pubblico a difesa della popolazione. La risposta n. 1 è oggi: vaccini, vaccini, vaccini… per tutti. Quindi contrastando chi si pone come ostacolo, come questi signori del novax. Per favore s’impegni, insieme con tutti coloro che perseguono il bene comune! Al riguardo una legge che preveda l’obbligatorietà delle vaccinazioni è sempre più urgente e necessaria.

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Approfondimenti
[Matteo Lecis Cocco Ortu su fb] Speriamo non sia ricordato come il “sindaco dei manifesti”. Ma dopo la campagna shock promossa dal primo cittadino durante il primo lockdown oggi Cagliari torna a essere invasa di manifesti che hanno l’obiettivo di fare parlare di sé.
[segue]

Oggi domenica 29 agosto 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
Carbonia. “Il Consiglio di gestione alla Carbosarda, una grande conquista dei lavoratori”
29 Agosto 2021
Gianna Lai su Democraziaoggi.

Nuova domenica, nuovo post su Carbonia dal 1° settembre 2019.
“Una grande conquista dei lavoratori, il Consiglio di gestione alla Carbosarda garantirà la vita a 18 mila famiglie”, così titolava L’Unità, 31 agosto 1947, l’intervista del dottor Marco Giardina, segretario della Camera del lavoro, che poneva al centro i temi della crisi sulcitana. “L’industria carbonifera garantirà la vita a 18 mila famiglie” […]
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Lo Stato è innovatore… e in Italia?
29 Agosto 2021
25 Settembre 2014
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.

Il recente libro di Mariana Mazzucato “Lo Stato innovatore” è al centro del dibattito politico ed economico, soprattutto all’interno di quei Paesi, come l’Italia, che hanno subito i maggiori effetti negativi della crisi scoppiata nel 2007/2008. Secondo alcuni, si tratta “di uno dei libri più importanti pubblicati nel […]
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Sabato 4 settembre Manifestazione per le donne afghane.

Riceviamo la seguente comunicazione per un’iniziativa a cui volentieri aderiamo.
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Ci fa piacere condividere con voi, questa iniziativa che piano piano sta prendendo forma.

In Sardegna, per quanto ne sappiamo, non si è ancora fatto nulla di visibile per le donne afghane.
A Cagliari, come sapete, sono un centinaio le donne accolte.
L’idea sarebbe quella di fare una manifestazione silenziosa, di breve durata, sabato 4 settembre, dalle 18 alle 20.
[segue]

Che succede?

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A KABUL IL RITORNO DEL TERRORE. GLI ERRORI DEL PRESIDENTE USA (E NON SOLO)
27 Agosto 2021 su C3dem.
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DRAGHI E IL QUIRINALE. INCUBO ISIS A KABUL. LAVORO E MULTINAZIONALI
26 Agosto 2021 su C3dem.
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