Monthly Archives: aprile 2021

Vaccinazioni anti Covid-19

Che succede a Cagliari? Vaccinazioni: avete patologie? Arrangiatevi!
7 Aprile 2021
Ottavio Olita su il manifesto sardo.
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Diritto alla salute per tutta l’Umanità. Oggi martedì 7 Aprile Giornata Mondiale della Salute.
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Opposizione al ddl n. 107 – Il dibattito in Consiglio regionale.

Staff Giunta: al via discussione ddl, Massimo Zedda: “Legge che serve all’apparato digerente della maggioranza”
Da Ansa News – 7 Aprile 2021 – Ripreso da Cagliari Pad.
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Lai (Leu): “Legge vergogna del centrodestra, oltre 6 milioni di euro per accontentare pochi”
Da Cagliaripad Redazione – 7 Aprile 2021
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Maxi staff da sei milioni di euro l’anno, mille emendamenti dall’opposizione
7 Aprile 2021 su SardiniaPost
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DOCUMENTAZIONE. I 21 punti di Letta

pd-logoPD ENRICO LETTA PARTITO DEMOCRATICO
Ecco il Vademecum dei 21 punti
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Oggi mercoledì 7 aprile 2021- Giornata mondiale della Salute

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Covid: dal vertice alla base di buon senso neanche l’ombra!
7 Aprile 2021
Amsicora su Democraziaoggi.
Non so cosa ne pensiate voi, ma a me il Presidente della Repubblica che va nella struttura sanitaria a fare il vaccino non piace. E neppure che ci vada Draghi con la moglie, facendo la regolare sala d’attesa. Certo non è come il duce, che, a petto nudo, e con gesti decisi e netti falciava […]
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Opposizione al ddl n. 107 – L’impegno delle opposizioni in Consiglio regionale.

La posizione dei Progressisti in Consiglio regionale (fb)
15 h ·
POLTRONIFICIO VERGOGNOSO, OLTRE 500 EMENDAMENTI SULLA LEGGE CHE PREVEDE NUOVI SUPER STAFF PER PRESIDENTE E ASSESSORI
Una legge scandalosa, totalmente slegata dalla realtà attuale della Sardegna e dalle priorità che interessano le cittadine e i cittadini.
Sul disegno di legge 107 la nostra posizione è chiara da mesi: è un poltronificio inutile, che non porterà nessun beneficio per l’Isola. La creazione di nuovi staff a disposizione del presidente e degli assessori serve solo per mettere una pezza ai malumori della maggioranza di centrodestra che da mesi bloccano i lavori del Consiglio e delle commissioni. Pensano ai fatti loro mentre imprese, famiglie e lavoratori attraversano un periodo difficilissimo.
Sono oltre 500 gli emendamenti che abbiamo depositato in vista della discussione della legge, che riprende domani [oggi] in Consiglio regionale: in un momento pesante per chiunque, il presidente e la sua maggioranza pensano a risolvere i loro problemi interni, tutti dettati dalla voglia di potere, con una legge che porterà allo spreco di milioni di risorse pubbliche che dovrebbero andare invece a sostegno delle categorie più colpite dagli effetti della pandemia. Una vergogna a cui ci opporremo con tutte le possibilità che abbiamo.
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LE RISPOSTE ALLA NOSTRA LETTERA.
La risposta di Francesco Agus, Presidente del gruppo consiliare “Progressisti”.
La risposta di Maria Laura Orrù, del gruppo consiliare “Progressisti”.
Opposizione al ddl n. 107. Richiesta ritiro in adesione alla protesta popolare di cui al contenuto della presente.
To: Franco Meloni
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OPPOSIZIONE. Regione Sardegna – Disegno di legge n. 107/A di riforma della Presidenza della Giunta e degli Assessorati.

lampadadialadmicromicro13Così scrivemmo (insieme con molti altri) a tutti i consiglieri regionali. E non abbiamo cambiato opinione. [ Sulla questione è stata organizzata per domani una manifestazione, di cui diamo volentieri pubblicità: https://fb.me/e/6DSRSF3Oj ]

Oggetto: Opposizione al ddl n. 107. Richiesta ritiro in adesione alla protesta popolare di cui al contenuto della presente.

Gentile Onorevole, apprendiamo con sconcerto l’intenzione di questo Consiglio regionale di portare in aula il ddl numero 107, contenente le ‘Norme urgenti per il rilancio delle attività della Giunta e di riorganizzazione della Presidenza. Proprio quando la nostra Regione è chiamata a decidere sull’utilizzo dei fondi, esistenti e futuri, al fine di gestire questa delicata fase internazionale, proprio quando non è neanche cominciata la discussione della Legge di bilancio, il governo regionale fa una proposta indecente nella forma, nei contenuti e nei tempi. Una proposta fuori luogo e fuori contesto perché il momento storico che stiamo affrontando richiederebbe sì un rilancio della Regione, ma non a partire dalla struttura di supporto al suo Presidente. Richiederebbe un ripensamento generale della gestione sanitaria e delle risorse da recuperare a favore di una sanità pubblica efficace. Richiederebbe investimenti per rilanciare un tessuto economico impoverito che non si traducano in ristori lasciati alla fortuna di una connessione veloce. Richiederebbe una gestione ancora più oculata del Bilancio regionale per canalizzare le risorse sugli interventi davvero necessari per curarci, vivere, lavorare, studiare, e contribuire al benessere dei sardi. Obiettivi cui siete stati chiamati a dare risposte in virtù dei risultati elettorali. Non certo per destinare sei milioni di euro all’anno per sostenere una nuova struttura politica: per rafforzare quella usate i soldi dei vostri partiti o dei vostri stipendi non le risorse pubbliche già fortemente depauperate. Per questo motivo siamo qui a chiedervi di spostare lo sguardo fuori dalle stanze del vostro palazzo e attivarvi con serietà per migliorare la vita dei sardi a partire dal ritiro di questo osceno disegno di legge. Cordialmente [seguono destinatari e approfondimenti]

Oggi martedì 6 aprile 2021

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Vaccini, tre mesi di campagna aspettando lo sprint
6 Aprile 2021
Una riflessione da Il Manifesto. Su Democraziaoggi.
A che punto siamo. Le incognite per il futuro: le disparità tra regioni, le dosi mai arrivate, il dibattito sulla sicurezza del siero AstraZeneca.
[…]
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Quale ruolo del pubblico nel post-Covid? Un evento online
Sbilanciamoci! 30 Marzo 2021 | Sezione: Economia e finanza, primo piano
Giovedì 8 aprile un dibattito online sul ruolo dello Stato nel dopo pandemia, promosso dalla Scuola Superiore Sant’Anna nell’ambito delle iniziative di disseminazione del progetto GroWInPro (alla cui rete di stakeholders aderisce Sbilanciamoci!). A partire dall’uscita di un libro a cura di Lisi e Frigerio.
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Una sfrenata pandemia di ricchezza
Volerelaluna 06-04-2021 – di: Rocco Artifoni
Un insulto ai poveri. È ciò che viene da pensare dopo aver letto lo studio ‒ presentato recentemente da Institute for Policy Studies (IPS) e da Americans for Tax Fairness (ATF) ‒ che ha calcolato la variazione delle ricchezze negli USA dopo un anno di pandemia.
[segue]

Costituente Terra

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un popolo
una Costituzione
una scuola

Newsletter n.33 del 17 marzo 2021

CONVOCAZIONE ASSEMBLEA
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Che succede?

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TRACCE DI NUOVI UMANESIMI. PROVE DI NUOVI 5 STELLE. UE, IL NODO DEI TRATTATI
5 Aprile 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
Renzo Piano, “Il nuovo umanesimo nascerà negli ospedali” (intervista a La Stampa). EUROPA: Romano Prodi, “La Ue perdente sui vaccini e il nodo dei Trattati” (Messaggero). Sergio Fabbrini, “L’Europa e i ritardi del programma Next generation” (Sole 24 ore). GOVERNO: Paolo Pombeni, “Mattarella e le tre ricostruzioni di De Gasperi” (Il Quotidiano). Francesco Verderami, “Draghi studia i tempi per la ripartenza” (Corriere della sera). Paolo Armaroli, “I silenzi e le parole di Mattarella e Draghi” (Fond. Leonardo). Rino Formica, “Draghi e lo stato dell’Unione” (Domani). Francesco Bei, “Letta e Conte allo specchio” (Repubblica). IL PAESE: Federico Fubini, “Volano i risparmi, per i giovani cresce la povertà” (Corriere della sera). IL PROGRAMMA: Giorgio Santilli, “Recovery plan, commissione unica per il via ai progetti” (Sole 24 ore). Enrico Giovannini, “Strade e nuove linee Tav, le opere da accelerare” (intervista a Il Tirreno). Le alternative di Marco Bersani, “Serve un Recovery per la società della cura” (Manifesto). Le critiche di Giorgio Beretta e Francesco Vignarca, “Tutti uniti, l’industria militare avrà parte dei fondi del Recovery” (Manifesto). PD: Sabrina Cottone, “Rosy Bindi vuole tornare nel nuovo Pd di Letta” (Il Giornale). Franco Monaco, “La beffa delle donne nel Pd, scelte da correnti maschili” (Il Fatto). Mario Giro, “Oltre l’irrilevanza, un impegno comune di cattolici” (Avvenire). [segue]

Oggi lunedì 5 aprile 2021

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L’Amministrazione Condivisa non è un’utopia, ma una via praticabile per la ricostruzione
31 Marzo 2021 by c3dem_admin | su C3dem
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La partita di Mario Draghi, ma anche di Letta e di Conte
5 Aprile 2021
Paolo Bagnoli su Democraziaoggi.
L’attuale fase politica è contraddistinta da un punto fermo e due varianti: il primo è rappresentato da Draghi, gli altri due dai 5Stelle e dal Pd. Ecco una riflessione sulla situazione politica tratta a AdL del 1° aprile.
Punto fermo rimane Mario Draghi cui va il merito di aver rimesso al centro della scena lo […]
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Proposte cagliaritane

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La memoria del passato contribuisce a dare senso al presente. Firmiamo!
https://www.change.org/p/al-sindaco-di-cagliari-dedichiamo-ai-piccioccus-de-crobi-la-piazza-davanti-al-loro-caro-asilo-marina-e-stampace?fbclid=IwAR3sM1dPfe73Z1LNuXGqYdv1mBfPbt-pJqvdIgMr-g2GxR6g-QVoHDoyIMs

Diritto alla salute per tutta l’Umanità. Verso il 7 Aprile Giornata Mondiale della Salute.

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Papa Francesco sui vaccini: «tutti siamo chiamati a combattere la pandemia, i vaccini sono strumento essenziale per questa lotta. Serve internazionalismo dei vaccini, la comunità internazionale faccia di più per superare i ritardi e favorisca invece la condivisione con i Paesi più poveri»
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7 Aprile Giornata Mondiale della Salute: un pool di artisti d’eccezione invitano a fare un click per “liberare” i brevetti da BigPharma con un milione di firme

Decine di artisti e personalità fra i più amati e popolari per il 7 aprile, Giornata Mondiale della Salute, in diretta Facebook dalle 18 alle 19,30: un click per “liberare” i brevetti dei vaccini da BigPharma con un milione di firme, una necessità urgente e indilazionabile.
”O il brevetto, o la vita”! Ad accettare la sfida e “sposare” la causa dei “brevetti liberi” per una Giornata Mondiale della Salute davvero speciale, ci sono artisti e personalità dello spettacolo e della cultura italiana fra i più amati e popolari. Eccoli, in ordine alfabetico: Giulia Anania, Stefano “Cisco” Belotti, Claudio Bisio, Dario Brunori “Brunori Sas”, Giulio Cavalli, Ascanio Celestini, Marco Dose e Antonello Presta, Luigi Ferrajoli, Richy Gianco, Silvio Garattini, Paolo Hendel, Germano Lanzoni, Maurizio Maggiani, Giovanna Marini, Paola Minaccioni, Moni Ovadia, Cochi Ponzoni, David Riondino, Paolo Rossi, Marco Rovelli, Renato Sarti, Andrea Satta, Guido Silvestri, Bebo Storti, Dario Vergassola, Sofia Viscardi. Un elenco ”spettacolare” che continua a crescere: li vedremo alternarsi nella diretta Facebook di mercoledì 7 aprile dalle 18,00 alle 19,30 sulla pagina Facebook Right2cure/DirittoallaCura, con la conduzione di Vittorio Agnoletto, portavoce dela Campagna Europea Diritto alla Cura: https://www.facebook.com/right2cure.it
“Un click per liberare i brevetti dei vaccini dai superpoteri delle aziende farmaceutiche”, questa la parola d’ordine del Comitato Italiano della Campagna Europea Diritto alla Cura, che ha promosso l’iniziativa Facebook: “Firmate la nostra petizione per la raccolta di un milione di firme cliccando qui https://noprofitonpandemic.eu/it/ , non c’è più tempo da perdere”!
“Bisogna spezzare la spirale vorticosa dei numeri - sostiene il Comitato- con cifre, dosi, date e destinazioni che non si rispettano, perchè le capacità produttive delle aziende detentrici dei brevetti sono limitate. Così come non sono tollerabili vicende sconcertanti come quella di AstraZeneca e dei 29 milioni di dosi ‘imboscate’: occorre sottrarsi al condizionamento assoluto delle aziende farmaceutiche, che sfuggono ad ogni controllo e decidono solo in base ai profitti, senza rispetto di accordi e contratti”!
L’obiettivo della Campagna Europea Diritto alla Cura, promossa in Italia da un gruppo di personalità di prestigio, a cui aderiscono ad oggi 92 Organizzazioni, è quello, appunto, di raccogliere 1 milione di firme, utilizzando lo strumento dell’ICE, Iniziativa Cittadini Europei, per obbligare l’UE a modificare gli accordi commerciali con una sospensione, almeno temporanea, dei brevetti dei vaccini. Sospensione richiesta di India e Sudafrica, con il sostegno di un centinaio di Paesi alla riunione del WTO dello scorso 11 marzo e fino ad ora contrastata da Usa-Ue-Uk-Giappone-Brasile-Canada-Svizzera-Australia e Singapore: una pesante e pericolosa battuta d’arresto per il diritto alla salute della comunità mondiale, che verrà contrastata in ogni modo.
Per maggior informazioni sulla campagna e firmare la petizione: https://noprofitonpandemic.eu/it/, “Diritto alla Cura, nessun profitto sulla pandemia”
[COMUNICATO STAMPA]
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Vaccini e diamanti: lo spirito del capitalismo
Volerelaluna. 03-04-2021 – di: Luigi Pandolfi**

Anche sulle vaccinazioni l’Europa sta mostrando tutti i suoi limiti. Quali compiti si era data? Concludere accordi con i singoli produttori di vaccini per conto degli Stati membri. L’ha fatto ricorrendo al fondo da 2,7 miliardi appositamente istituito per supportare i Paesi dell’Unione nella lotta al coronavirus (Emergency Support Instrument). In sostanza, si è fatta carico di acquisire un diritto di acquisto per un certo numero di dosi, dando alle imprese un acconto a nome degli Stati. A ben vedere, una buona garanzia per le imprese produttrici, che in questo modo sarebbero incentivate ad aumentare la produzione. Dopo tre mesi, tuttavia, i conti non tornano. Secondo la tabella di marcia, ad oggi doveva essere vaccinato l’80% degli ultraottantenni e del personale sanitario. Siamo al 27% per gli uni e al 47% per gli altri. Nel frattempo, il numero giornaliero di morti e contagi rimane da paura. Oltre 200 mila i primi, circa 3 mila i secondi. Fallimento? È quello che dice la sezione regionale dell’Oms. «Campagna inaccettabilmente lenta», ha dichiarato il direttore generale Hans Henri P. Kluge. A Bruxelles, però, dicono che la colpa è delle case farmaceutiche che producono poco e dei piani nazionali che non decollano. Ma davvero è solo una questione organizzativa? Troppo semplice, verrebbe da dire.

Intanto, dovremmo chiederci perché i singoli Paesi membri, quasi tutti economicamente avanzati, non sono in grado di produrre i vaccini per i loro popoli. O li producono solo per conto terzi, per i colossi di Big Pharma. Cuba sì e l’Italia no? Un paradosso. Eppure, in passato non è stato sempre così. Fino agli anni Settanta, in Europa esisteva una pluralità di produttori pubblici di vaccini. Ma anche gli istituti privati assolvevano, come in Italia (emblematico il caso dell’Istituto Sclavo), a una funzione pubblica, nel quadro delle strategie nazionali di politica sanitaria. La svolta arriva negli anni Ottanta. La rivincita delle teorie economiche neoclassiche travolge anche il settore sanitario e farmaceutico. La sanità diventa «aziendale», anche i farmaci diventano solo fonte di profitto, al pari di tutte le altre merci. In pochi anni tutti gli istituti pubblici di produzione di vaccini che erano sorti a partire dagli anni Cinquanta nei principali Paesi europei vengono smantellati (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/03/23/per-unindustria-pubblica-del-farmaco-e-del-vaccino/). Fine di una storia. Quella che nei decenni passati aveva fatto conseguire risultati clamorosi nella lotta alle più insidiose malattie endemiche, come ad esempio il vaiolo (per quelli di una certa età la traccia indelebile di quella stagione è data dei segni dell’innesto sul braccio sinistro).

È il trionfo del privato. Un pugno di multinazionali acquisisce il monopolio della produzione farmaceutica su scala mondiale e anche i vaccini vengono interamente assoggettati alla logica del mercato. Da «valori d’uso» si trasformano in meri «valori di scambio». Come per le altre merci, la loro produzione non è più finalizzata al soddisfacimento di un bisogno (in questo caso il bisogno di salute), ma alla realizzazione di un profitto il più possibile elevato. Il processo è quello che si può riassumere nella formula denaro-merce-denaro. Processo capitalistico per eccellenza. L’«utilità marginale» del bene vaccino è commisurata alla formazione del suo valore monetario e alla profittabilità dell’impresa produttrice. L’utilizzatore è un consumatore come un altro. Non conta il numero dei morti che fa il Covid-19, ma la legge della domanda e dell’offerta. Quando la Commissione europea scrive che l’acconto dato alle case produttrici per conto degli Stati serve a incentivare la produzione da parte delle stesse (una copertura del rischio) ammette proprio questo. Che gli affari non guardano in faccia nessuno, anche se di mezzo ci sono malati e morti (https://volerelaluna.it/noi-e-il-virus/2021/03/22/astrazeneca-una-vicenda-che-non-riguarda-solo-il-vaccino/). Nel I libro de Il Capitale, Marx porta il lettore a ragionare sulla duplice natura delle merci. «Come valori d’uso le merci sono soprattutto di qualità differente, come valori di scambio possono essere soltanto di quantità differente, cioè non contengono nemmeno un atomo di valore d’uso», è la sua caustica conclusione. La traduzione è semplice. In un’economia capitalistica la differenza tra un vaccino che salva la vita e un diamante che serve a soddisfare la vanità di una persona è data soltanto dal loro diverso «valore di scambio». Il loro prezzo. Il processo economico capitalista non contempla la produzione di utilità sociali, ma solo la realizzazione di un sovrappiù per chi detiene i mezzi di produzione, dopo aver reintegrato i mezzi per la sussistenza e la riproduzione dei lavoratori e quelli necessari alla ripresa del processo produttivo. Dopo più di tre secoli siamo ancora qui, per quanto si voglia insistere con la storiella che «ormai è cambiato tutto, anche il lavoro e l’impresa».

La pandemia è arrivata alla fine di un lungo ciclo di ristrutturazione delle società occidentali. Anni in cui il mercato è stato fatto entrare dappertutto, finanche dove insistono, per dirla ancora con Marx, «valori d’uso senza valore» (acqua, aria, paesaggio). Tutto è stato assoggettato a «determinazione economica». E tutto è stato riassorbito in un processo fine a se stesso di produzione di denaro a mezzo di denaro. Compresa la politica e le istituzioni democratiche, la cui autonomia rispetto all’economia è pari a zero, ormai. Come per la produzione pubblica di vaccini, anche il «Grande novecento» politico è solo un lontano ricordo. Siamo «dopo l’età della politica». Ma tutto sembra normale: il problema diventano i ritardi nelle forniture e non il fatto che un bene così importante come il vaccino venga prodotto in funzione dei guadagni che su di esso si possono realizzare. Siamo schiavi del mercato ma intendiamo le catene come semplici accidenti. E nemmeno in tutte le circostanze della vita. «Una levigata, ragionevole, democratica non-libertà», avrebbe detto Herbert Marcuse. Salvo aggiungere che «se la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente, ciò non rende questa meno irrazionale e riprovevole».

Un esempio recente di subalternità della politica e delle istituzioni al capitale monopolistico, legato proprio alla questione dei vaccini, è quello del mancato accordo in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) a proposito di una deroga sui brevetti. Si sono schierati contro gli Usa, il Regno Unito, la Commissione Ue e tutti i 27 Stati membri dell’Unione, compresa l’Italia. L’Occidente ricco unito a sostegno dei profitti privati sui vaccini, e contro i diritti elementari delle persone e dei popoli più sfortunati della Terra. (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/02/17/il-nazionalismo-del-vaccino-ovvero-si-salvi-chi-puo/). Una vicenda «riprovevole e irrazionale». Ma tutto maledettamente razionale secondo lo spirito del capitalismo.

Dalla pandemia usciremo, prima o poi. Il problema è che rimarremo ancora a lungo in un sistema nel quale il valore dell’attività umana e la stessa vita continueranno ad essere «espressi in cifre», come efficacemente scrisse due secoli fa il filosofo e attivista tedesco Moses Hess. D’altronde, cosa si muove intorno a noi perché questo giudizio pessimistico sul futuro possa essere ribaltato?
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Nell’illustrazione in testa Discesa agli inferi (XIV secolo), basilica di San Salvatore in Chora ad Istanbul
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** Luigi Pandolfi
Luigi Pandolfi, laureato in scienze politiche, giornalista pubblicista, scrive di politica ed economia su vari giornali, riviste e web magazine, tra cui “Il Manifesto”, “Micromega”, “Economia e Politica”. Tra i suoi libri più recenti: “Metamorfosi del denaro” (manifestolibri, 2020).
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[Benedizione Urbi et Orbi dopo la Santa Messa di Pasqua: video streaming, Papa Francesco annuncia la Resurrezione del Signore. Il messaggio del 2021]
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Auguri di buona Pasqua di Resurrezione!

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Pasqua 2021: salvarsi insieme
Volerelaluna. 03-04-2021 – di: Tomaso Montanari*.
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Gesù non si salva da solo. Gesù non risorge da solo.

Appena vinta la morte, Gesù non ascende al cielo. Non vola dal Padre, e non corre subito nemmeno dai suoi amici, gli apostoli. Egli invece va letteralmente all’inferno, questa terribile prigione perpetua (Pietro 1, 3, 19: «andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione»). Ne scardina le porte blindate. Le abbatte: le porte dell’inferno non prevarranno (Matteo 16, 18). Vediamo, a terra, tutti i chiavistelli del cancello infernale: distrutti, disarticolati, spezzati. Sono i congegni della morte: il peccato e la legge. E sono stati annientati da una legge nuova che non è una legge: ma un amore. Sconosciuto, perché gratuito. La porta, gettata a terra, schiaccia il diavolo: etimologicamente colui che divide, il divisore. È vinto colui che divideva i morti dai vivi, è vinto colui che divideva i vivi tra chiamati e rifiutati. Ora tutti sono chiamati, senza confini di genere, razza, lingua e stirpe. Senza confini di religione.

E quando Gesù mette piede all’inferno, cosa fa? Stende le sue mani, e prende le mani di Adamo e di Eva. Quell’incontro di mani, quella stretta forte è il primo frutto della resurrezione. Gesù stringe a sé tutto il genere umano, le donne e gli uomini di ogni tempo. Non solo quelli che lo hanno preceduto, ma quelli di tutti i tempi. Gesù non considera un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio (Filippesi 2, 6), e non considera un tesoro geloso nemmeno la sua resurrezione: tende le mani, e condivide subito quella vittoria sulla morte.

La Pasqua è il trionfo di quel salvarsi insieme che don Lorenzo Milani definiva semplicemente “politica”. Oggi tutto questo, lo sappiamo, è ribaltato nel suo contrario. Oggi il primo ministro inglese Boris Johnson ha avuto almeno il coraggio di dire apertamente ciò che è tutto l’Occidente pensa: e cioè che se ci salviamo dalla pandemia, ci salviamo grazie all’avidità, al profitto, al mercato. Al denaro. Più o meno tutti gli Stati occidentali lo stanno facendo: e chi, come l’Italia, non lo fa, è perché non ci riesce, non perché non voglia. Ci siamo affidati al grande nemico dell’uomo, il divisore: il diavolo che Gesù identifica col denaro (Matteo 6, 24; Luca 16,13).

Nemmeno la concreta e attuale minaccia di una estinzione di specie ci induce a superare il nostro mostruoso egoismo. La pandemia – lo sappiamo – è il frutto dello scellerato modello di economia che l’Occidente ha imposto al mondo: una crescita infinita per un pianeta finito; le condizioni di vita che imponiamo agli animali, e che tolgono a noi la condizione di umani. È questo l’inferno che abbiamo costruito in terra. Guardato da porte pesanti, da chiavistelli inespugnabili. E ora che quell’inferno minaccia di ingoiare il mondo intero, l’Occidente cerca di risorgere da solo.

Se l’epidemia della spagnola non è ricordata come il flagello mostruoso che fu davvero, è perché la maggior parte dei morti non li fece in Occidente: dove fummo molto più bravi a ucciderci a vicenda con la Prima guerra mondiale. Ma nel resto del mondo il disastro fu epocale: forse fino a cento (certamente fino a cinquanta) milioni di morti, un’ecatombe che stentiamo financo a immaginare, pur con i nostri quasi tre milioni di caduti per il coronavirus di oggi. Il mondo povero non scrive la storia, e oggi il copione sembra ripetersi. Ma con una differenza fondamentale, e cioè che le vaccinazioni occidentali potrebbero essere radicalmente vanificate dal ritorno “a casa nostra” delle varianti del virus generate in un terzo mondo abbandonato a se stesso. Pensiamoci un attimo: se dovessimo finire per il nostro egoismo, se dovessimo morire tutti perché abbiamo pensato a salvarci da soli, chi potrebbe piangere sul nostro egoismo suicida?

Mai come quest’anno, dunque, la Pasqua coincide con la discesa agli inferi del Risorto. La Pasqua è resurrezione di uno che diventa resurrezione di tutti. È salvarsi insieme. È mano tesa a chi è imprigionato nell’inferno che proprio noi abbiamo creato (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/04/12/pasqua-2020-3-domenica-di-pasqua-un-cuore-di-carne/).

Giovanni racconta che, dopo la resurrezione, Gesù si manifestò ai discepoli nel modo più fraterno e commovente: «Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso or ora”» (21, 9-10). Gesù cucina per i suoi amici, prepara un fuoco sulla spiaggia, e aspetta che tornino dal lavoro. Un’immagine indimenticabile di convivialità e amicizia, che dice, nel modo più forte e insieme più semplice, cos’è che davvero importa nella vita: condividere. Gesù, vero uomo, avrà imparato molte cose nella sua vita tra gli uomini. Anche che una vita senza arrostire del pesce per i propri amici, una vita (perfino una vita eterna) da solo non è umana, anzi non è nemmeno immaginabile.

Se vogliamo che l’umanità si salvi, dobbiamo essere umani: scardinando le porte degli inferni che noi stessi abbiamo costruito (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/04/12/che-pasqua-celebriamo/). Gli umani si salvano insieme, risorgono insieme: o non si salvano, e non risorgono. La Pasqua è la speranza che questo accada. La resurrezione è «la speranza che, nonostante tutta questa ingiustizia che caratterizza il mondo, non possa avvenire che l’ingiustizia possa essere l’ultima parola» (Max Horkheimer).
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Vaccini e diamanti: lo spirito del capitalismo
Volerelaluna. 03-04-2021 – di: Luigi Pandolfi**

Anche sulle vaccinazioni l’Europa sta mostrando tutti i suoi limiti. Quali compiti si era data? Concludere accordi con i singoli produttori di vaccini per conto degli Stati membri. L’ha fatto ricorrendo al fondo da 2,7 miliardi appositamente istituito per supportare i Paesi dell’Unione nella lotta al coronavirus (Emergency Support Instrument). In sostanza, si è fatta carico di acquisire un diritto di acquisto per un certo numero di dosi, dando alle imprese un acconto a nome degli Stati. A ben vedere, una buona garanzia per le imprese produttrici, che in questo modo sarebbero incentivate ad aumentare la produzione. Dopo tre mesi, tuttavia, i conti non tornano. Secondo la tabella di marcia, ad oggi doveva essere vaccinato l’80% degli ultraottantenni e del personale sanitario. Siamo al 27% per gli uni e al 47% per gli altri. Nel frattempo, il numero giornaliero di morti e contagi rimane da paura. Oltre 200 mila i primi, circa 3 mila i secondi. Fallimento? È quello che dice la sezione regionale dell’Oms. «Campagna inaccettabilmente lenta», ha dichiarato il direttore generale Hans Henri P. Kluge. A Bruxelles, però, dicono che la colpa è delle case farmaceutiche che producono poco e dei piani nazionali che non decollano. Ma davvero è solo una questione organizzativa? Troppo semplice, verrebbe da dire.

Intanto, dovremmo chiederci perché i singoli Paesi membri, quasi tutti economicamente avanzati, non sono in grado di produrre i vaccini per i loro popoli. O li producono solo per conto terzi, per i colossi di Big Pharma. Cuba sì e l’Italia no? Un paradosso. Eppure, in passato non è stato sempre così. Fino agli anni Settanta, in Europa esisteva una pluralità di produttori pubblici di vaccini. Ma anche gli istituti privati assolvevano, come in Italia (emblematico il caso dell’Istituto Sclavo), a una funzione pubblica, nel quadro delle strategie nazionali di politica sanitaria. La svolta arriva negli anni Ottanta. La rivincita delle teorie economiche neoclassiche travolge anche il settore sanitario e farmaceutico. La sanità diventa «aziendale», anche i farmaci diventano solo fonte di profitto, al pari di tutte le altre merci. In pochi anni tutti gli istituti pubblici di produzione di vaccini che erano sorti a partire dagli anni Cinquanta nei principali Paesi europei vengono smantellati (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/03/23/per-unindustria-pubblica-del-farmaco-e-del-vaccino/). Fine di una storia. Quella che nei decenni passati aveva fatto conseguire risultati clamorosi nella lotta alle più insidiose malattie endemiche, come ad esempio il vaiolo (per quelli di una certa età la traccia indelebile di quella stagione è data dei segni dell’innesto sul braccio sinistro).

È il trionfo del privato. Un pugno di multinazionali acquisisce il monopolio della produzione farmaceutica su scala mondiale e anche i vaccini vengono interamente assoggettati alla logica del mercato. Da «valori d’uso» si trasformano in meri «valori di scambio». Come per le altre merci, la loro produzione non è più finalizzata al soddisfacimento di un bisogno (in questo caso il bisogno di salute), ma alla realizzazione di un profitto il più possibile elevato. Il processo è quello che si può riassumere nella formula denaro-merce-denaro. Processo capitalistico per eccellenza. L’«utilità marginale» del bene vaccino è commisurata alla formazione del suo valore monetario e alla profittabilità dell’impresa produttrice. L’utilizzatore è un consumatore come un altro. Non conta il numero dei morti che fa il Covid-19, ma la legge della domanda e dell’offerta. Quando la Commissione europea scrive che l’acconto dato alle case produttrici per conto degli Stati serve a incentivare la produzione da parte delle stesse (una copertura del rischio) ammette proprio questo. Che gli affari non guardano in faccia nessuno, anche se di mezzo ci sono malati e morti (https://volerelaluna.it/noi-e-il-virus/2021/03/22/astrazeneca-una-vicenda-che-non-riguarda-solo-il-vaccino/). Nel I libro de Il Capitale, Marx porta il lettore a ragionare sulla duplice natura delle merci. «Come valori d’uso le merci sono soprattutto di qualità differente, come valori di scambio possono essere soltanto di quantità differente, cioè non contengono nemmeno un atomo di valore d’uso», è la sua caustica conclusione. La traduzione è semplice. In un’economia capitalistica la differenza tra un vaccino che salva la vita e un diamante che serve a soddisfare la vanità di una persona è data soltanto dal loro diverso «valore di scambio». Il loro prezzo. Il processo economico capitalista non contempla la produzione di utilità sociali, ma solo la realizzazione di un sovrappiù per chi detiene i mezzi di produzione, dopo aver reintegrato i mezzi per la sussistenza e la riproduzione dei lavoratori e quelli necessari alla ripresa del processo produttivo. Dopo più di tre secoli siamo ancora qui, per quanto si voglia insistere con la storiella che «ormai è cambiato tutto, anche il lavoro e l’impresa».

La pandemia è arrivata alla fine di un lungo ciclo di ristrutturazione delle società occidentali. Anni in cui il mercato è stato fatto entrare dappertutto, finanche dove insistono, per dirla ancora con Marx, «valori d’uso senza valore» (acqua, aria, paesaggio). Tutto è stato assoggettato a «determinazione economica». E tutto è stato riassorbito in un processo fine a se stesso di produzione di denaro a mezzo di denaro. Compresa la politica e le istituzioni democratiche, la cui autonomia rispetto all’economia è pari a zero, ormai. Come per la produzione pubblica di vaccini, anche il «Grande novecento» politico è solo un lontano ricordo. Siamo «dopo l’età della politica». Ma tutto sembra normale: il problema diventano i ritardi nelle forniture e non il fatto che un bene così importante come il vaccino venga prodotto in funzione dei guadagni che su di esso si possono realizzare. Siamo schiavi del mercato ma intendiamo le catene come semplici accidenti. E nemmeno in tutte le circostanze della vita. «Una levigata, ragionevole, democratica non-libertà», avrebbe detto Herbert Marcuse. Salvo aggiungere che «se la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente, ciò non rende questa meno irrazionale e riprovevole».

Un esempio recente di subalternità della politica e delle istituzioni al capitale monopolistico, legato proprio alla questione dei vaccini, è quello del mancato accordo in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) a proposito di una deroga sui brevetti. Si sono schierati contro gli Usa, il Regno Unito, la Commissione Ue e tutti i 27 Stati membri dell’Unione, compresa l’Italia. L’Occidente ricco unito a sostegno dei profitti privati sui vaccini, e contro i diritti elementari delle persone e dei popoli più sfortunati della Terra. (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/02/17/il-nazionalismo-del-vaccino-ovvero-si-salvi-chi-puo/). Una vicenda «riprovevole e irrazionale». Ma tutto maledettamente razionale secondo lo spirito del capitalismo.

Dalla pandemia usciremo, prima o poi. Il problema è che rimarremo ancora a lungo in un sistema nel quale il valore dell’attività umana e la stessa vita continueranno ad essere «espressi in cifre», come efficacemente scrisse due secoli fa il filosofo e attivista tedesco Moses Hess. D’altronde, cosa si muove intorno a noi perché questo giudizio pessimistico sul futuro possa essere ribaltato?
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Nell’illustrazione in testa Discesa agli inferi (XIV secolo), basilica di San Salvatore in Chora ad Istanbul
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* Tomaso Montanari
Tomaso Montanari insegna Storia dell’arte moderna all’Università per stranieri di Siena. Prende parte al discorso pubblico sulla democrazia e i beni comuni e, nell’estate 2017, ha promosso, con Anna Falcone l’esperienza di Alleanza popolare (o del “Brancaccio”, dal nome del teatro in cui si è svolta l’assemblea costitutiva). Collabora con numerosi quotidiani e riviste. Tra i suoi ultimi libri Privati del patrimonio (Einaudi, 2015), La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere (Einaudi, 2016), Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità (Edizioni Gruppo Abele, 2017) e Contro le mostre (con Vincenzo Trione, Einaudi, 2017)
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** Luigi Pandolfi
Luigi Pandolfi, laureato in scienze politiche, giornalista pubblicista, scrive di politica ed economia su vari giornali, riviste e web magazine, tra cui “Il Manifesto”, “Micromega”, “Economia e Politica”. Tra i suoi libri più recenti: “Metamorfosi del denaro” (manifestolibri, 2020).

Oggi domenica 4 aprile 2021 – E’ Pasqua di Resurrezione!

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Bona Pasca Manna a tottus!
4 Aprile 2021. Da Democraziaoggi
Buona Pasqua a tutti! E rispetto per l’agnello, il capretto e anche per il porchetto!
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c096bdad-f85c-4452-96a8-bb4edc03669d“Sa pippia cun s’ou” e tutti torniamo bambini
“Su Coccoi cun s’ou” o “Sa pippia cun s’ou” è un pane tipico che viene preparato proprio in questo periodo; impastato con la semola, spennellato d’albume d’uovo e con […]
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Verso i rinnovi contrattuali. Confederazione nazionale e spinte rivendicative locali, il ritardo del sindacato in Sardegna.
4 Aprile 2021. Gianna Lai su Democraziaoggi.
E’ Pasqua, ma non interrompiamo la puntata domenicale sulla storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019
Scioperi di tutte le categorie si registrano in Italia nell’autunno del 1946, “turbato l’ordine pubblico da manifestazioni come quelle degli edili romani….con scambi di colpi di arma da fuoco, lancio di bombe a mano, 3 morti tra le file […]

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Riflessioni su volontariato e terzo settore

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Ridefinire il volontariato per promuovere risposte
Per un necessario cambiamento del Terzo settore

di Luca Gori, su Labsus.
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In un suo editoriale del 2017, Gregorio Arena scriveva che «le parole del legislatore pesano, per cui ne basta una per cambiare completamente la prospettiva». Si può dire che il volume che Emanuele Rossi ed il sottoscritto hanno curato, Ridefinire il volontariato (Pisa University Press, 2021) – e di cui Labsus ha gentilmente chiesto una auto-recensione –, ha inteso prendere sul serio quell’avvertimento: le parole del legislatore “pesano”. In effetti, se si legge con attenzione l’art. 17, comma 2 del Codice del Terzo settore si percepisce come la necessaria “sinteticità” che è richiesta alla legge svolga una duplice funzione: bilancio della disciplina normativa del volontariato italiano e, allo stesso tempo, apertura verso il futuro.
Bilancio perché la storia normativa del volontariato italiano nasce ancora prima della legge n. 266 del 1991 (Legge quadro sul volontariato) e si snoda attraverso diverse leggi statali e regionali, non sempre fra loro coordinate, e interpretate dai giudici. Ciascuna di quelle leggi ed interpretazioni ha progressivamente adattato, riletto, adeguato. Ha sagomato – per riprendere una immagine di Paolo Grossi – il vestito del diritto sopra il corpo sociale, per come esso si è via via organizzato.
Ma vi è anche una significativa apertura verso il futuro, perché il legislatore ha preso atto del polimorfismo del volontariato, che trascende i singoli enti e le singole attività. E ciò è avvenuto, principalmente, attraverso un semplice “anche”: sia nel Terzo settore, sia fuori di esso, sia in modalità del tutto informali. Si prende atto – attraverso l’utilizzo di “anche” – che ad oggi la capacità immaginativa del legislatore si arresta ad un dato storico – il Terzo settore – ma che non si possa escludere, domani, un volontariato del tutto nuovo.
La valutazione complessiva dell’art. 17, c. 2 è positiva. Certamente, si tratta di una disposizione che non si può isolare rispetto al Codice del Terzo settore, ma è estremamente significativo che – finalmente – vi sia una definizione chiara e comprensiva, che si proietta in tutto l’ordinamento giuridico.

Due scenari per il volontariato
Nel libro si è provato a “spezzare” il comma 2 in singoli sintagmi. A ciascun autore si è chiesto di offrire una propria lettura di una singola espressione. Si tratta di una operazione che non ha solo un significato di tipo giuridico – offrire una interpretazione di una disposizione di diritto vigente – bensì pure di lanciare un segnale di tipo culturale. Infatti, la disposizione rappresenta, oltre che una norma propriamente giuridica, una sorta di manifesto culturale. Dalla lettura del libro, emergono, fra i tanti, due “scenari” da valutare.
Il primo. Il volontario «[…] svolge attività in favore della comunità e del bene comune». La norma non indica quale sia la comunità di riferimento (il quartiere, la città, la Regione, ecc.) né indica quale sia il bene comune cui si riferisce. Spetta al volontario individuare quale sia la comunità con la quale voglia entrare in relazione e quale sia l’idea di bene comune che intende sostenere, ed aggregare altre persone, risorse, beni immateriali. La disposizione, quindi, ci parla di un volontario che non è il mero esecutore della volontà degli enti pubblici, ma di un volontario che è chiamato a farsi naturalmente costruttore, sapendo che la propria attività avrà un impatto politico (e non si deve avere paura di dirlo) e modificherà i rapporti all’interno del contesto di riferimento. Anche le micro-azioni di cura dei beni comuni sono espressione di appartenenza alla comunità, di rivendicazione della propria libertà di scegliere e di impegnarsi e di assunzione di una responsabilità.
Al contrario, spesso è diffusa una idea di volontariato come intervento a basso costo, in sostituzione di quello pubblico e con intenti dirigisti da parte della pubblica amministrazione. L’art. 17, c. 2 ricorda che la prospettiva è tutt’altra. Il sintagma «attività in favore della comunità e del bene comune» potrebbe essere così riletto: ciascun volontario è in condizione di esercitare la propria autonoma iniziativa di cittadino individuando, in condizione di libertà, i fini ed i mezzi della propria azione orientata a migliorare le condizioni di vita della comunità ove vive, anche indipendentemente dal potere pubblico, responsabilmente, ovverosia potendo argomentare a quale comunità egli si riferisca ed a quale idea di bene comune si ispiri. Una missione impegnativa, insomma.
Il secondo. Il volontario opera «[…] per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione». Non è detto semplicemente “per realizzare risposte ai bisogni”, ma più ampiamente di “promuovere risposte“. “Promuovere” significa creare le condizioni affinché i bisogni possano trovare risposta e, ancora prima, affinché i bisogni escano da uno stato di latenza e assumano una loro concreta evidenza. Talvolta è richiesto al volontario di attivarsi anche solamente per indicare ai pubblici poteri situazioni e luoghi sui quali intervenire o invocare la tutela di diritti (la c.d. funzione di advocacy). Ciò non esclude che “promuovere” significhi pure prendersi cura direttamente delle situazioni, concretamente e operativamente. Non si deve dimenticare però che la gamma di azioni che il volontario può essere chiamato a mettere in campo è, quindi, assai ampia.

Un cambiamento necessario
Ma soprattutto il richiamo alle “risposte” indica l’idea di un cambiamento necessario: l’azione del volontario determina alterazioni della realtà di fatto, non accettazione di una condizione attuale. Emanuele Rossi, nella conclusione del libro, ricorda che ha molto colpito ed ha generato dibattito il messaggio, a tratti provocatorio, di Papa Francesco in occasione dell’evento “The Economy of Francesco – i giovani, un patto, il futuro” (21 novembre 2020). Il Papa ha ammonito che, per garantire beni e servizi essenziali alle persone, «non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel Terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare. Infatti, non si tratta solo o esclusivamente di sovvenire alle necessità più essenziali dei nostri fratelli. Occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case».
È stato un richiamo forte, quasi ruvido, ma che ha rimesso al centro il tema di quel “promuovere risposte” in maniera integrale: non già il «porre rimedio ai guai fatti dagli altri» (come affermava Maria Eletta Martini), bensì l’andare in profondità, con acume, alle radici dei problemi, attraverso formazione e non tramite improvvisazione. Quando la legge dice “promuovere risposte” si potrebbe dire, più ampiamente, come creare le condizioni affinché quei bisogni siano rilevati e soddisfatti poiché, per la propria competenza, potere pubblico e Terzo settore si adoperano affinché le determinanti di quei bisogni siano individuate e risolte nonché gli effetti, comunque, mitigati.

Le voci
Le “voci” che si alternano del libro appartengono a diversi ambiti disciplinari ed esperienze: giuristi, sociologici, economisti, dirigenti di grandi enti, ricercatori sociali. Hanno infatti contribuito, oltre ai curatori, Pasqualino Albi, Maurizio Ambrosini, Gregorio Arena, Carlo Borzaga, Antonio Cecconi, Andrea Salvini, Jacopo Sforzi, Vincenzo Tondi Della Mura. I contributi sono brevi, di agile lettura, con una indicazione di una bibliografia essenziale.
L’intenzione è stata di indicare sentieri possibili da percorrere, per approfondire e riflettere, a partire da un singolo comma costituito da meno di 400 caratteri che, da solo, indica un essere ed un dover essere della persona-volontario. Il rischio, infatti, è schiacciare l’analisi esclusivamente sul dato normativo e sulla sua portata prescrittiva, che è indubitabile: dagli adempimenti di registrazione, alle incompatibilità, ai divieti di retribuzione, alle assicurazioni ecc., queste sono le preoccupazioni che affliggono il Terzo settore e la pubblica amministrazione oggi. Si tratta di aspetti indubbiamente importanti, ma occorre tenere presente che non sono altro che il riflesso, sul piano giuridico, di alcuni orientamenti valoriali di fondo e, in particolare, di quella naturale vocazione sociale dell’uomo, inscritta nella storia profonda del nostro Paese e cardine della Costituzione repubblicana.
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Dispositivo dell’art. 17 Codice del terzo settore
Fonti → Codice del terzo settore → Titolo III – Del volontario e dell’attività di volontariato

1. Gli enti del Terzo settore possono avvalersi di volontari nello svolgimento delle proprie attività e sono tenuti a iscrivere in un apposito registro i volontari che svolgono la loro attività in modo non occasionale.

2. Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà.

3. L’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere rimborsate dall’ente del Terzo settore tramite il quale svolge l’attività soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata, entro limiti massimi e alle condizioni preventivamente stabilite dall’ente medesimo. Sono in ogni caso vietati rimborsi spese di tipo forfetario.

4. Ai fini di cui al comma 3, le spese sostenute dal volontario possono essere rimborsate anche a fronte di una autocertificazione resa ai sensi dell’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, purché non superino l’importo di 10 euro giornalieri e 150 euro mensili e l’organo sociale competente deliberi sulle tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità di rimborso. La disposizione di cui al presente comma non si applica alle attività di volontariato aventi ad oggetto la donazione di sangue e di organi.

5. La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano agli operatori che prestano attività di soccorso per le organizzazioni di cui all’articolo 76 della legge provinciale 5 marzo 2001, n. 7, della Provincia autonoma di Bolzano e di cui all’articolo 55-bis della legge provinciale 19 luglio 1990, n. 23, della Provincia autonoma di Trento.

6. Ai fini del presente Codice non si considera volontario l’associato che occasionalmente coadiuvi gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni.

6-bis. I lavoratori subordinati che intendano svolgere attività di volontariato in un ente del Terzo settore hanno diritto di usufruire delle forme di flessibilità di orario di lavoro o delle turnazioni previste dai contratti o dagli accordi collettivi, compatibilmente con l’organizzazione aziendale.

7. Le disposizioni di cui al presente titolo non si applicano agli operatori volontari del servizio civile universale, al personale impiegato all’estero a titolo volontario nelle attività di cooperazione internazionale allo sviluppo, nonché agli operatori che prestano le attività di cui alla legge 21 marzo 2001, n. 74.

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Pubblichiamo di seguito il testo del Videomessaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato, a conclusione dei lavori, ai partecipanti all’Incontro internazionale “Economy of Francesco – Papa Francesco e i giovani da tutto il mondo per l’economia di domani”, in corso ad Assisi – in diretta streaming – dal 19 al 21 novembre 2020:

Videomessaggio del Santo Padre

Cari giovani, buon pomeriggio!

Grazie per essere lì, per tutto il lavoro che avete fatto, per l’impegno di questi mesi, malgrado i cambi di programma. Non vi siete scoraggiati, anzi, ho conosciuto il livello di riflessione, la qualità, la serietà e la responsabilità con cui avete lavorato: non avete tralasciato nulla di ciò che vi dà gioia, vi preoccupa, vi indigna e vi spinge a cambiare.

L’idea originaria era di incontrarci ad Assisi per ispirarci sulle orme di San Francesco. Dal Crocifisso di San Damiano e da altri volti – come quello del lebbroso – il Signore gli è andato incontro, lo ha chiamato e gli ha affidato una missione; lo ha spogliato degli idoli che lo isolavano, delle perplessità che lo paralizzavano e lo chiudevano nella solita debolezza del “si è sempre fatto così” – questa è una debolezza! – o della tristezza dolciastra e insoddisfatta di quelli che vivono solo per sé stessi e gli ha regalato la capacità di intonare un canto di lode, espressione di gioia, libertà e dono di sé. Perciò, questo incontro virtuale ad Assisi per me non è un punto di arrivo ma la spinta iniziale di un processo che siamo invitati a vivere come vocazione, come cultura e come patto.

La vocazione di Assisi

“Francesco va’, ripara la mia casa che, come vedi, è in rovina”. Queste furono le parole che smossero il giovane Francesco e che diventano un appello speciale per ognuno di noi. Quando vi sentite chiamati, coinvolti e protagonisti della “normalità” da costruire, voi sapete dire “sì”, e questo dà speranza. So che avete accettato immediatamente questa convocazione, perché siete in grado di vedere, analizzare e sperimentare che non possiamo andare avanti in questo modo: lo ha mostrato chiaramente il livello di adesione, di iscrizione e di partecipazione a questo patto, che è andato oltre le capacità. Voi manifestate una sensibilità e una preoccupazione speciali per identificare le questioni cruciali che ci interpellano. L’avete fatto da una prospettiva particolare: l’economia, che è il vostro ambito di ricerca, di studio e di lavoro. Sapete che urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che «l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista»[1] e colpisce nostra sorella terra, tanto gravemente maltrattata e spogliata, e insieme i più poveri e gli esclusi. Vanno insieme: tu spogli la terra e ci sono tanti poveri esclusi. Essi sono i primi danneggiati… e anche i primi dimenticati.

Attenzione però a non lasciarsi convincere che questo sia solo un ricorrente luogo comune. Voi siete molto più di un “rumore” superficiale e passeggero che si può addormentare e narcotizzare con il tempo. Se non vogliamo che questo succeda, siete chiamati a incidere concretamente nelle vostre città e università, nel lavoro e nel sindacato, nelle imprese e nei movimenti, negli uffici pubblici e privati con intelligenza, impegno e convinzione, per arrivare al nucleo e al cuore dove si elaborano e si decidono i temi e i paradigmi.[2] Tutto ciò mi ha spinto a invitarvi a realizzare questo patto. La gravità della situazione attuale, che la pandemia del Covid ha fatto risaltare ancora di più, esige una responsabile presa di coscienza di tutti gli attori sociali, di tutti noi, tra i quali voi avete un ruolo primario: le conseguenze delle nostre azioni e decisioni vi toccheranno in prima persona, pertanto non potete rimanere fuori dai luoghi in cui si genera, non dico il vostro futuro, ma il vostro presente. Voi non potete restare fuori da dove si genera il presente e il futuro. O siete coinvolti o la storia vi passerà sopra.

Una nuova cultura

Abbiamo bisogno di un cambiamento, vogliamo un cambiamento, cerchiamo un cambiamento.[3] Il problema nasce quando ci accorgiamo che, per molte delle difficoltà che ci assillano, non possediamo risposte adeguate e inclusive; anzi, risentiamo di una frammentazione nelle analisi e nelle diagnosi che finisce per bloccare ogni possibile soluzione. In fondo, ci manca la cultura necessaria per consentire e stimolare l’apertura di visioni diverse, improntate a un tipo di pensiero, di politica, di programmi educativi, e anche di spiritualità che non si lasci rinchiudere da un’unica logica dominante.[4] Se è urgente trovare risposte, è indispensabile far crescere e sostenere gruppi dirigenti capaci di elaborare cultura, avviare processi – non dimenticatevi questa parola: avviare processi – tracciare percorsi, allargare orizzonti, creare appartenenze… Ogni sforzo per amministrare, curare e migliorare la nostra casa comune, se vuole essere significativo, richiede di cambiare «gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società».[5] Senza fare questo, non farete nulla.

Abbiamo bisogno di gruppi dirigenti comunitari e istituzionali che possano farsi carico dei problemi senza restare prigionieri di essi e delle proprie insoddisfazioni, e così sfidare la sottomissione – spesso inconsapevole – a certe logiche (ideologiche) che finiscono per giustificare e paralizzare ogni azione di fronte alle ingiustizie. Ricordiamo, ad esempio, come bene osservò Benedetto XVI, che la fame «non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale».[6] Se voi sarete capaci di risolvere questo, avrete la via aperta per il futuro. Ripeto il pensiero di Papa Benedetto: la fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale.

La crisi sociale ed economica, che molti patiscono nella propria carne e che sta ipotecando il presente e il futuro nell’abbandono e nell’esclusione di tanti bambini e adolescenti e di intere famiglie, non tollera che privilegiamo gli interessi settoriali a scapito del bene comune. Dobbiamo ritornare un po’ alla mistica [allo spirito] del bene comune. In questo senso, permettetemi di rilevare un esercizio che avete sperimentato come metodologia per una sana e rivoluzionaria risoluzione dei conflitti. Durante questi mesi avete condiviso varie riflessioni e importanti quadri teorici. Siete stati capaci di incontrarvi su 12 tematiche (i “villaggi”, voi li avete chiamati): 12 tematiche per dibattere, discutere e individuare vie praticabili. Avete vissuto la tanto necessaria cultura dell’incontro, che è l’opposto della cultura dello scarto, che è alla moda. E questa cultura dell’incontro permette a molte voci di stare intorno a uno stesso tavolo per dialogare, pensare, discutere e creare, secondo una prospettiva poliedrica, le diverse dimensioni e risposte ai problemi globali che riguardano i nostri popoli e le nostre democrazie.[7] Com’è difficile progredire verso soluzioni reali quando si è screditato, calunniato e decontestualizzato l’interlocutore che non la pensa come noi! Questo screditare, calunniare o decontestualizzare l’interlocutore che non la pensa come noi è un modo di difendersi codardamente dalle decisioni che io dovrei assumere per risolvere tanti problemi. Non dimentichiamo mai che «il tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma»[8], e che «la mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità».[9]

Questo esercizio di incontrarsi al di là di tutte le legittime differenze è il passo fondamentale per qualsiasi trasformazione che aiuti a dar vita a una nuova mentalità culturale e, quindi, economica, politica e sociale; perché non sarà possibile impegnarsi in grandi cose solo secondo una prospettiva teorica o individuale senza uno spirito che vi animi, senza alcune motivazioni interiori che diano senso, senza un’appartenenza e un radicamento che diano respiro all’azione personale e comunitaria.[10]

Così il futuro sarà un tempo speciale, in cui ci sentiamo chiamati a riconoscere l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta. Un tempo che ci ricorda che non siamo condannati a modelli economici che concentrino il loro interesse immediato sui profitti come unità di misura e sulla ricerca di politiche pubbliche simili che ignorano il proprio costo umano, sociale e ambientale.[11] Come se potessimo contare su una disponibilità assoluta, illimitata o neutra delle risorse. No, non siamo costretti a continuare ad ammettere e tollerare in silenzio nei nostri comportamenti «che alcuni si sentano più umani di altri, come se fossero nati con maggiori diritti»[12] o privilegi per il godimento garantito di determinati beni o servizi essenziali.[13] Non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare. Infatti, non si tratta solo o esclusivamente di sovvenire alle necessità più essenziali dei nostri fratelli. Occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case. E questo è molto più che assistenzialismo: stiamo parlando di una conversione e trasformazione delle nostre priorità e del posto dell’altro nelle nostre politiche e nell’ordine sociale. [segue]